Nuovi orientamenti nello studio dell’empatia ed individuazione di specifici sottosistemi
Sottosistemi dell’empatia
L’empatia è la capacità di riconoscere, comprendere e condividere gli stati emotivi dell’altro ed è considerata alla base di una genuina e reciproca relazione umana. Non si tratta di un sistema unitario, ma piuttosto un gruppo libero di sistemi neuro cognitivi parzialmente dissociabili. In particolare, si possono fare tre grandi divisioni: empatia cognitiva (o Teoria della Mente), empatia motoria e empatia emozionale.
Possiamo identificare tre principali sottosistemi dell’empatia ognuna dipendente dai sistemi neuronali parzialmente dissociati: empatia cognitiva, empatia motoria ed empatia emotiva.
È possibile utilizzare il termine “empatia cognitiva” nel momento in cui l’individuo rappresenta lo stato mentale interiore di un altro individuo. L’empatia cognitiva è in realtà inscrivibile al concetto della Teoria della Mente.
L’empatia motoria, invece, si manifesta quando una persona è in grado di rispecchiare le reazioni motorie di un qualsiasi altro soggetto che sta compiendo un’azione.
Recentemente questa nozione di empatia motoria è stata inclusa con il nuovo modello “Percezione-Azione” di empatia emozionale [18].
Ci sono almeno due principali forme di empatia emotiva. La prima è una reazione alle esposizioni emozionali altrui; le loro espressioni facciali e vocali e i loro movimenti del corpo. Una seconda forma è una reazione ad altri stimoli emozionali (es. una reazione a una frase come “Adam ha appena perso la sua casa”).
Teoria della mente o empatia cognitiva
La Teoria della mente è riferita alla capacità di impersonare gli stati mentali altrui; cioè, i loro pensieri, i desideri, le convinzioni, le intenzioni e conoscenza [19]. Questa teoria riconosce l’attribuzione di stati mentali di sé stesso e di altri per spiegare e predire un dato comportamento.
Una serie di studi tramite risonanza magnetica funzionale esaminano i sistemi neuronali impiegati durante la rappresentazione degli stati mentali altrui. Questi lavori indicano l’importanza della corteccia mediale prefrontale e dei lobi temporali per la rappresentazione degli stati mentali altrui [20].
Oltre all’essere considerata un’ empatia a sé stante, la capacità di riprodurre gli stati mentali altrui, viene considerata necessaria perché l’empatia emotiva si verifichi [21]. Secondo questa prospettiva, si ritiene che le riproduzioni dello stato mentale interno altrui agiscono come stimoli dell’attivazione della risposta empatica affettiva [22].
Feshbach (1978, 1987), per esempio, definisce l’empatia come una funzione a tre sistemi:
- dell’abilità cognitiva affinché si possano discriminare segnali affettivi altrui;
- delle capacità cognitive più mature che sono richieste per ipotizzare la prospettiva e il ruolo di un’altra persona;
- della reattività emotiva (cioè la capacità di sperimentare le emozioni [23]).
Secondo Feshbach (1987), “l’empatia è considerata essere il risultato di operazioni cognitive e affettive che agiscono congiuntamente”. In breve, gli individui che non sono in grado di riprodurre gli stati mentali altrui non dovrebbero essere in grado di reagire empaticamente ad altri.
Empatia motoria e modello di percezione-azione
L’empatia motoria è definita come la tendenza a imitare e sincronizzare automaticamente espressioni facciali, vocalizzazioni, posture e movimenti con quelli di un’altra persona. E’ stata lungo considerata una “una primitiva forma di simpatia” [24].
Negli ultimi anni è stato sviluppato uno studio neuro cognitivo sull’ empatia motoria [25] rifacendosi primariamente alla recente scoperta dei neuroni specchio. I neuroni specchio sono neuroni che mostrano attività durante l’esecuzione e anche l’osservazione di un’azione [26]. Basandosi sulle neuroimmagini si dimostra come il circuito neuronale coinvolto nelle esecuzioni delle azioni si sovrappone con quello attivato quando le azioni sono osservate [27].
È possibile, quindi, affermare che la percezione dello stato mentale di un altro individuo attiva delle riproduzioni motorie corrispondenti dell’osservatore, delle risposte autonome e somatiche.
A livello anatomico [28] la corteccia temporale superiore codifica una prima descrizione visiva dell’azione e la invia ai neuroni specchio temporo-parietali che codificano l’aspetto kinesico preciso del movimento. Da questo punto l’informazione viene poi inviata ai neuroni specchio siti nella regione frontale inferiore (probabilmente questi ultimi codificano l’obiettivo dell’azione). Si suppone che le connessioni tra la corteccia frontale, temporale, parietale e l’insula permettano a questa informazione di riprodurre delle reazioni emotive attraverso le aree limbiche [29].
L’empatia, quindi, gioca un ruolo di fondamentale importanza nell’ attivazione di neuroni che codificano la descrizione di un’azione (attraverso il solco temporale superiore) e di neuroni specchio (attraverso la corteccia frontale inferiore e parietale).
Quindi le lesioni a una qualsiasi di queste aree dovrebbero bloccare significativamente e globalmente i processi empatici. Infatti lesioni della corteccia frontale disturbano anche il riconoscimento delle espressioni [30].
Le lesioni alle regioni mediali della corteccia frontale orbitale, piuttosto che le lesioni alla corteccia frontale inferiore, sono anche collegate con i deficit nell’empatia affettiva come stimato dai test di autovalutazione opportunamente somministrati [31]. Un valido supporto a questo modello è fornito da alcune informazioni derivanti da studi effettuati tramite risonanza magnetica funzionale, che esaminano la reazione neuronale alle espressioni facciali altrui.
Le espressioni facciali sono spesso correlate all’ attività nel solco temporale superiore [32] così come gli stimoli facciali più genericamente [33]. Inoltre, altri studi hanno osservato un’attività della corteccia frontale inferiore alle espressioni emotive [34]. È utile fare riferimento ad un esperimento fornito da Carr e altri (2003) in cui i partecipanti reagiscono soltanto a stimoli facciali mentre vene loro chiesto di “generare interiormente l’obiettivo emotivo”. Si è notato come l’imitazione e l’osservazione di emozioni “attivava un repertorio funzionale appartenente a specifiche aree del cervello”.
Tuttavia, ci sono diverse problematiche relative a questo studio che ne rendono difficile l’interpretazione:
1) non è stata utilizzata un’analisi congiunta e, di 36 attivazioni identificate, solo 12 erano attivate significativamente in entrambe le condizioni (17 erano attive solo durante l’imitazione, mentre 7 erano attive soltanto durante l’osservazione);
2) è stata osservata una dissociazione tra i sistemi neurali coinvolti nell’imitazione facciale e quelli coinvolti nella reazione ad un’espressione osservata [35].
Empatia emotiva
Le espressioni facciali sono elaborate attraverso un percorso corticale e subcorticale (dalla corteccia visiva tramite la corteccia temporale e le aree limbiche). Si pensa che il tragitto subcorticale provvede all’elaborazione dello stimolo grezzo, mentre il tragitto corticale permette di codificare uno stimolo più preciso e raggiungere l’apprendimento della differenziazione [36].
I primi dati a supporto dell’esistenza del tratto subcorticale suggeriscono, sorprendentemente, che il tratto corticale può fornire uno stimolo sufficientemente preciso che consente l’apprendimento della differenziazione [37]. Tuttavia, ciò è contestato da una ricerca più recente [38].
Vuillemier e altri (2003) hanno osservato che il collicolo superiore e pulvinar reagiscono alle espressioni facciali a bassa frequenza, ma non a quelle ad alta frequenza, cioè informazioni grossolane, ma non precise.
È dato poi, un ulteriore supporto alla tesi del tratto subcorticale da una ricerca effettuata con G. Y., un paziente con una emianopsia cronica laterale-destra causata da una lesione del lobo occipitale all’età di 8 anni [39]. Questo paziente presenta una certa abilità nel distinguere le diverse espressioni facciali nel suo emicampo cieco con differenti reazioni di attivazione dell’amigdala a seconda che le espressioni-stimolo sono di paura o di felicità, quando queste sono presentate sia alla parte cieca che a quella vedente.
Nonostante ciò, l’attività striata si manifestsa solo in risposta a stimoli presentati all’emicampo vedente [40]. Si sostiene, quindi, che le espressioni facciali relative ad un’emozione hanno funzioni comunicative specifiche possedendo la capacità di inviare informazioni specifiche all’osservatore [41].
Partendo da questa teoria l’empatia, almeno per le espressioni emotive, facciali e vocali, è la “traslazione” della comunicazione dall’osservatore.
Quando facciamo riferimento all’empatia emotiva non possiamo non considerare l’elaborazione delle emozioni dell’altro e quelle proprie in relazione a specifici stati emotivi.
Tutti gli studi effettuati in merito tracciano delle emozioni di riferimento come la paura, la felicità, la tristezza, il disgusto e la rabbia [42]. Infatti, i visi paurosi sono valutati come stimoli avversi che trasferiscono rapidamente l’informazione ad altri portando la mente dell’osservatore a elaborare e giudicare come evitabile lo stimolo stesso [43]. Allo stesso modo, si può notare come le espressioni facciali tristi procurano tristezza da parte dell’osservatore portandolo addirittura, in alcuni casi, al compimento di comportamenti riparatori [44].
Attraverso le neuroimmagini si è riscontrato che le espressioni di paura, tristezza e felicità modulano tutte le attività dell’amigdala [45], sebbene le espressioni felici producono sia aumento che diminuzione dell’attività di quest’ultima [46].
Le espressioni di disgusto sono particolarmente importanti per la trasmissione rapida di avversioni del gusto; l’osservatore è messo in guardia: non si avvicina al cibo verso cui l’altra persona sta mostrando disgusto. Altri studi sottolineano l’importanza della reazione dell’insula a stimoli primari di disgusto (cattivi odori/sapori) [47]. Infatti, le lesioni dell’insula implicano la difficoltà del soggetto nel riconoscimento e nell’apprendimento del “gusto cattivo” [48]. In altre parole, l’insula permette la raffigurazione del gusto cattivo che può essere associato a qualità sensoriali del nuovo cibo.
Se le espressioni di disgusto sono importanti per l’apprendimento dell’avversione del gusto allora dovrebbero anche coinvolgere l’insula. Alcuni studi, attraverso la risonanza magnetica funzionale, dimostrano che le espressioni di disgusto impegnano davvero l’insula [49], mentre altri studi neuropsicologici mostrano che pazienti con danni all’insula presentano indebolimento selettivo nel riconoscimento delle espressioni di disgusto [50].
Le regioni dell’ insula anteriore sono attivate dagli stimoli primari di disgusto [51]: l’insula permette la raffigurazione del gusto avverso sia questo uno stimolo primario di disgusto (di gusto o odore) o una comunicazione di gusto cattivo attraverso l’espressione di disgusto altrui. Questo può essere associato alle qualità sensoriali del nuovo cibo.
Le espressioni di rabbia, infine, sono conosciute per limitare il comportamento altrui in situazioni in cui le regole o le aspettative sociali sono state violate [52].
Si è sostenuto che le espressioni di rabbia o imbarazzo non agiscono come stimoli di condizionamenti negativi o di apprendimento strumentale, ma piuttosto come segnali importanti per modulare le reazioni comportamentali comuni, particolarmente nelle situazioni che implicano interazioni gerarchiche. Queste sono utilizzate per informare l’osservatore di terminare l’azione comportamentale prevalente piuttosto che trasmettere alcuna informazione riguardo a se quell’azione dovrebbe essere intrapresa in futuro. Le espressioni di rabbia, in breve, scatenano un’ inversione della reazione, una funzione in cui è coinvolta nello specifico la corteccia frontale ventrolaterale [53]. La reazione neurale alle espressioni di rabbia coinvolge la corteccia frontale ventrolaterale in particolar modo quando le espressioni di rabbia danno il segnale di inversione comportamentale.
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Indice |
PREMESSA |
INTRODUZIONE |
Capitolo I - EMPATIA: CENNI STORICI
Capitolo II - Nuovi orientamenti nello studio dell'empatia ed individuazione di specifici sottosistemi
Capitolo III - QUADRI CLINICI LEGATI AI DISORDINI DELL'EMPATIA
Capitolo IV - Modalità di approccio ai disordini dell'empatia e strategie terapeutiche
|
CONCLUSIONI |
BIBLIOGRAFIA |
Tesi di Laurea di: Emanuela VARRIALE |