Lo schema corporeo

Il primo oggetto che il bambino percepisce è il proprio corpo: benessere e dolore, attuazione di movimenti e di spostamenti, sensazioni visive e uditive ecc., e questo corpo è il mezzo dell’azione, della conoscenza e della relazione. 

La costruzione dello schema corporeo, ossia l’organizzazione delle sensazioni relative al proprio corpo, in rapporto con i dati del mondo esterno, esercita una funzione fondamentale nello sviluppo del bambino. Essa si elabora progressivamente con lo sviluppo e la maturazione nervosa, parallelamente all’evoluzione senso-motoria e in rapporto al corpo degli altri. 

Lo schema corporeo, quindi, è la rappresentazione mentale del nostro corpo. 

Sembra un concetto semplice, ma non lo è, infatti vari autori si sono pronunciati e confrontati a riguardo, delineando varie teorie anche in netta contrapposizione l’una dall’altra come la versione neurologica e psichiatrica. 

Dal punto di vista neurologico, il termine “schema corporeo” viene usato per la prima volta alla fine del XIX secolo nelle descrizioni cliniche di particolari fenomeni riguardanti l’alterata sensazione del corpo o parti di esso, manifestati da adulti con lesioni cerebrali. Essi vennero catalogati, secondo un criterio criticato in seguito, come “ disturbi dello schema corporeo”. La macro o microsomatognosia, l’arto fantasma, e l’autoscopia (apparizione improvvisa della propria immagine in stato di veglia) vengono distinti con il termine di “distorsioni” dello schema corporeo. Tutti questi fenomeni indicano in generale la mancanza di una percezione corretta della forma, dimensione e posizione del corpo. Da qui venne avviata, in Neurologia, un’accurata ricerca inerente ai meccanismi che consentono la conoscenza del corpo. Tali ricerche sono state condotte da autori come Gerstman, Lhermitte e Van Bogaert, i quali, negli anni ’30 affermano che le alterazioni della coscienza del corpo presuppongono necessariamente la preesistenza di un’idea , un sentimento, una conoscenza, sebbene approssimativi, de l proprio corpo. Tale tesi postula l’esistenza di un modello posturale, uno schema, un’immagine del nostro corpo, indipendente dai dati superficiali e da quelli profondi, che gioca un ruolo importante, anche se non appare nella coscienza che ognuno ha di sé. Inoltre, questi autori, ipotizzano che tale idea schematica del corpo sarebbe localizzata nel lobo parietale dell’emisfero dominante. 

Però l’ ipotesi di un meccanismo corticale unico e specifico per la conoscenza dello schema corporeo, la cui lesione sarebbe responsabile delle differenti manifestazioni patologiche , è contraddetta da Denes . L’autore, invece, sostiene che i disturbi dell’orientamento e della conoscenza del proprio corpo possono apparire come conseguenza di alterazioni neuropsicologiche diverse e rivestire significati differenti a seconda del deficit di base, il quale può interessare l’uno o l’altro emisfero ed è diverso in rapporto all’emisfero interessato. 

Un altro autore, Peisse, ancor prima che s’iniziasse a parlare di schema corporeo, introduce il termine “cenestesi”, per indicare il sentimento della propria corporeità, o meglio la cenestesi definisce la sensibilità diffusa del corpo. In particolare la sensibilità si contrappone alla sensorialità, dove quest’ultima si rivolge al mondo esterno e riguarda soprattutto l’affettività e la soggettività. 

Pick, invece, intorno al 1915 afferma che lo schema corporeo, si costruisce attraverso le relazioni che si stabiliscono tra le immagini mentali derivanti dalla percezione visiva del nostro corpo e le sensazioni tattile e cinestetica che da esso provengono. Pick assume come aspetto fondamentale quello spaziale, egli infatti parla di immagine spaziale del corpo definendo una rappresentazione percettiva del corpo. 

Anche per Head e Holmes l’elemento spaziale è importante, ma ad esso accostano la dimensione temporale. L’idea di un corpo rappresentato staticamente nello spazio, formulata da Pick, si movimenta in rapporto alla percezione dei suoi diversi continui cambiamenti di posizione ed all’apprezzamento dello scarto temporale che intercorre tra le diverse sensazioni percepite. Lo schema corporeo di Head ed Holmes, in definitiva implica la prospettiva tridimensionale (visiva, spaziale e temporale). Tale idea di schema corporeo assume così una configurazione più compiuta e rimarrà fondamentale punto di riferimento nelle versioni successive. 

Schilder, noto psicoanalista viennese, apporta alle tesi psicoanalitiche una collocazione peculiare, poiché il vissuto psicologico , che definisce l’immagine corporea, viene ad essere integrato in una concezione, nella quale esso (vissuto) si articola sulla realtà fisiologica. L’autore intende con immagine del corpo umano il quadro mentale del corpo umano che noi ci facciamo del nostro corpo, vale a dire il modo in cui il corpo appare a noi stessi. Tale immagine non è una riproduzione fedele della nostra struttura corporea, né coincide con le impressioni che riceviamo dalle sensazioni tattili, visive, muscolari o viscerali, che pure contribuiscono a formarla; è il risultato di un processo di integrazione dell’insieme delle percezioni, degli effetti e delle idee, che, attraverso la sua storia personale e gli atteggiamenti dell’ambiente esterno, l’individuo attribuisce al suo corpo. Al di là e al di sopra di questo, vi è lo “ schema del nostro corpo”, che l’autore stesso identifica con il modello posturale di Head ed Holmes. Inoltre lo schema corporeo costituisce il substrato della costruzione libidica attorno alle zone erogene del corpo, la quale procede parallelamente con lo sviluppo del narcisismo e conduce alla formazione della nostra immagine attraverso il progressivo investimento libidico delle parti pregnanti del nostro corpo. Di fatto l’autore tiene conto dei dati più importanti della Psicoanalisi e dà particolare valore alla vita affettiva nella costituzione dell’immagine corporea, ma alla fine riconduce tutto quanto ad un dispositivo corticale specifico, che presiede a tutti questi processi (consci ed inconsci) e la cui lesione sarebbe responsabile di un disturbo nell’orientamento e nella percezione del proprio corpo. L’immagine di Schilder riconosce una doppia genesi, percettivo-motoria e libidinale. Così l’immagine prevalentemente inconscia degli psicoanalisti si materializza in un corpo fatto di sensazioni reali, provenienti dalle parti in azione, e nel contempo è espressione simbolica della storia vissuta, che si è inscritta in questa struttura materiale, durante le vicissitudini dell’esperienza di comunicazione con il mondo. Nella concezione di Schindler si ritrovano conciliati sia l’indirizzo neurologico che quello psichiatrico-psicoanalitico. 

In particolare, nella psicoanalisi più recente, viene rielaborato il concetto di “io corporeo”. L’”io corporeo” rappresenta la struttura sulla quale si fonda tale processo, e sulla quale agisce l’ambiente, conformatore dell’Io. In effetti dalla modalità dell’ “holding” (cioè come la madre tiene il bambino) dipende l’integrazione dell’Io nel tempo e nello spazio. Dalla modalità dell’ “halding” (cioè da come la madre “si cura” del bambino) dipende la personalizzazione dell’Io. Solo se queste due modalità di approccio relazionale risultano soddisfacenti, l’Io si ancora all’Io corporeo e la personalità del bambino inizia a legarsi al corpo e alle sue funzioni. 

Quindi, mentre la neurologia si è impegnata nella ricerca di un substrato anatomico ben definito, sede dei meccanismi della conoscenza del corpo, la Psicoanalisi ha studiato l’immagine del corpo nel suo valore affettivo e metafisico, sottolineando come l’esperienza corporea sia influenzata dal vissuto fantasmatico. 

Nel contesto psicosociale, invece, l’immagine corporea finisce con l’essere assimilata all’immagine di sé e al concetto di sé, che perciò vengono usati come sinonimi. 

È stato più volte sottolineata, l’importanza deputata, sia in Psicoanalisi, sia in Fenomenologia, alla presenza dell’Altro nella progressiva conoscenza del proprio corpo. Inoltre l’attitudine dell’Altro verso tale corpo ne condizionerà la dimensione sociale. Il bambino e l’adolescente, come sostiene Ajuriaguerra, si sentono legati a questa sostanza che è il corpo e a questa struttura, che diventa oggetto di esperienza psicosociale. In effetti, essi accettano o rifiutano il corpo, che hanno “conosciuto” in funzione dell’esperienza di accettazione o rifiuto che l’ambiente sociale rimanda. La morfologia (forma visibile del corpo) sembra condizionare le diverse attitudini., in quanto la società attribuisce un particolare “status” al soggetto, in rapporto alla sua immagine, intesa come aspetto esteriore.

Quindi l’individuo si forma un concetto di sé in base all’immagine che gli altri si fanno di lui. Tale scambio di significati circa il corpo può avvenire sia sul piano del reale, sia dell’immaginario. Così l’immagine del corpo si troverà strettamente connessa con la condotta sociale e lo stile relazionale verso gli altri. La diversa morfologia corporea dunque condizionerà la maniera di essere al mondo e cioè il “ruolo”, o meglio la posizione che l’individuo assume e che l’ambiente gli attribuisce, in un determinato gruppo. Ad attribuirne il “ruolo” sono proprio gli adulti, i quali hanno un ruolo estremamente delicato per il processo di formazione dell’identità del bambino, ovvero dell’immagine di sé, cui la percezione del ruolo è strettamente connessa. 

Per quanto riguarda, invece, l’ambito della cultura psicomotoria l’analisi dello schema corporeo sfocia nella nozione di un corpo legato all’azione. 

Defontaine parte dal corpo nel momento in cui esso opera nel mondo esterno e fornisce un’idea quasi grafica dello “schema” che di esso ci facciamo. Defontaine parla di schema corporeo “vissuto” e “conosciuto”; lo schema corporeo vissuto comprende e corrisponde a tutto ciò che connette il corpo con l’azione, tanto da costituirne il supporto e lo strumento, mentre lo schema corporeo conosciuto si riferisce al corpo vincolato alle afferenze ed alla percezione , che consentono la sua conoscenza oggettiva. I due aspetti sono strettamente correlati. 

In altra parte Defontaine introduce il concetto di “coscienza del corpo proprio”, con il quale indica l’insieme di ciò che permette ad un individuo di essere convinto del proprio corpo. L’autore precisa che tale concetto implica un aspetto sensibile ed emotivo che ha le sue radici profonde nell’inconscio. Il concetto di coscienza del corpo proprio conduce così a quello di investimento. È proprio l’investimento, cioè l’interesse affettivo provato per i diversi elementi corporei, a mano a mano che ne raggiungono la maturazione neurobiologica, che spinge l’individuo a prenderne consapevolezza. Questo deriva dunque dall’unificazione del carico affettivo sull’insieme del corpo. È consapevolezza di un corpo che è uno ed ha un vero Io. Defontaine giunge così alla nozione globale di vissuto corporeo, e all’interno di tale nozione si potrebbe riconoscere da una parte la conoscenza organizzata del corpo (e cioè di se stesso), che appartiene all’interiorità dell’essere, e dall’altra l’utilizzazione estemporanea di questo sentimento del corpo. Inoltre Defontaine afferma che la conoscenza organizzata del corpo rappresenta il versante dello schema corporeo. 

Concetti analoghi, vengono espressi da Bergès. Egli, analizzando la natura del processo di conoscenza del corpo, postula che un corpo concepito come schema è il risultato dell’intima coesione tra i dati afferenziali (sensoriali, cinestetici, ecc..) e quelli efferenziali (sia tonici, sia motori). Essi rappresentano autentici vettori di una coerenza interna. Bergès traccia così un’immagine in cui tutto è movimento e linee di forza e le nervature di quello strumento che è il corpo, si delineano e si materializzano nelle azioni che le attivano. L’utilizzazione di tale strumento è volta ad uno scopo definito ed è motivo di conoscenza e fonte di sensazioni. 

Anche Bergès allarga il tema della conoscenza corporea nella nozione di vissuto, intesa come coscienza dell’intero corpo nel duplice significato, gnosico, cioè di conoscenza del corpo morfologico, e prattognosico, di conoscenza del corpo che agisce. All’interno di tale nozione è implicita l’intuizione del corpo come “intimità profonda”, nella quale si configura il concetto di schema corporeo. Questo esprime, nella sua concisione, la qualità essenziale del vissuto corporeo e cioè la coerenza, la quale traduce la coesione interna tra le impronte afferenziali e le linee di forza efferenziali; essa sola giustifica la concezione del corpo come schema. Anche per Bergès dunque lo schema corporeo è essenzialmente un concetto dinamico. Costituisce una sorta di trama spaziale, secondo le cui linee direttrici si organizza e si sviluppa l’azione. Il problema dello schema corporeo si identifica insomma con quello delle acquisizioni prattognosiche. 

Per Le Boulch, invece, lo schema corporeo (o immagine del corpo), può essere inteso come un’intuizione d’insieme o conoscenza immediata che si ha del proprio corpo, sia in condizione statica, sia in movimento, in rapporto alle diverse parti, fra loro in relazione, e soprattutto nei rapporti con lo spazio e con gli oggetti che lo circondano. Esso è alla base della relazione vissuta Io-mondo. Si correla alla nozione di disponibilità del corpo, la quale in un certo senso lo riduce alla sua essenza in quanto essa è la condizione delle diverse relazioni dell’essere con il mondo. Tale disponibilità corporea si può definire come l’armonizzazione di due funzioni fondamentali dell’Io, quella tonica (con i suoi correlati emozionali) e quella motoria (nelle sue componenti conoscitive ed espressive). Nel momento dell’azione, esso si traduce in atteggiamenti nuovi, in desiderio di fare.. e così si perviene al concetto di immagine del corpo operante che attiene al corpo, quale unità organizzata, strumento di relazione nella realtà. Appoggiandosi a quest’immagine, l’individuo potrà esercitare la disponibilità sulla propria motricità e sull’ambiente spazio-temporale. 

Nell’evoluzione del pensiero di Le Boulch compare il concetto di azione vissuta corporeamente, come condizione della rappresentazione della conoscenza di sé e dei dati presenti nella realtà del mondo materiale. La disponibilità corporea allora diventa al tempo stesso disponibilità mentale, disponibilità affettiva, disponibilità verso l’altro.
In definitiva la tesi di Le Boulch, partendo da una concezione unitaria della persona, giunge a postulare lo schema corporeo come il fulcro intorno al quale si organizza la personalità intera.

Secondo l’autore l’immagine del corpo si costruisce seguendo le tappe dello sviluppo per raggiungere, ad ogni livello di organizzazione della personalità, un’unità provvisoria, che deve ricostruirsi ad ogni tappa. Ad ognuna di tali unità provvisorie, corrisponde un concetto diverso di schema corporeo, che però non è mai in grado di tradurre compiutamente realtà sempre differenti. Effettivamente il termine di schema corporeo indica volta a volta, il corpo “subito”, il corpo “vissuto”, il corpo “percepito”, il corpo “rappresentato”, i quali hanno significati differenti nei diversi momenti evolutivi, dipendendo da una parte dalla maturazione e dall’altra dall’esperienza relazionale: 

  • Il corpo subito (0-3mesi), nel quale il bambino si manifesta motoriamente attraverso il proprio corpo che “sente” prevalentemente per le stimolazioni provenienti dall’ambiente esterno; la motricità è riflessa e il bambino dipende totalmente dalla madre. 
  • Il corpo vissuto (3mesi-3anni, fase senso-motoria di Piaget), attraverso l’esplorazione del proprio corpo e quello della madre inizia il processo di differenziazione tra sé e l’altro. I riflessi arcaici dal secondo al sesto mese sono tutti scomparsi. Prima con il lancio degli oggetti nello spazio (8mesi), poi con l’uso strumentale dell’adulto (10-12 mesi), poi con la deambulazione autonoma (12-15 mesi), si forma la coscienza del proprio corpo come strumento di esplorazione e conoscenza del mondo. Vi è un impegno globale della motricità e una percezione del corpo legata all’azione. In questo periodo il bambino acquisisce le posture fondamentali (supina, prona, seduta, carponi, in ginocchio, eretta); ha una conoscenza del corpo relativa alle parti più elementari (testa, occhi, naso, bocca, orecchie, capelli, braccia, pancia, glutei, gambe). Comincia a configurarsi un “Io” attraverso l’imitazione dell’adulto. 
  • Il corpo percepito (4-6anni, fase preoperatoria di Piaget), è la percezione del corpo come unità, come immagine simmetrica. Nel periodo precedente la percezione era rivolta principalmente verso il mondo esterno (guardare, toccare, sentire); in questo periodo la percezione si rivolge verso il proprio corpo, il bambino è capace di portare la propria attenzione sulle singole parti del proprio corpo oltre che sulla totalità di esso e ciò dipende dall’interiorizzazione che è un momento d presa di coscienza dell’Io. Nell’attività motoria emerge un maggior controllo posturale e tonico e un affinamento dell’attività prassica. Grazie poi all’affermarsi della dominanza, lo spazio viene organizzato in modo migliore. In questo periodo il bambino acquisisce una conoscenza di parti del corpo più complesse (articolazioni, organi interni), una coscienza dell’orientamento del corpo nello spazio, un più preciso apprezzamento delle durate temporali. 
  • Il corpo rappresentato (7-12anni, fase delle operazioni formali di Piaget) ricopre l’aspetto preoperatorio dello schema corporeo. È la percezione della tridimensionalità del corpo, della successione dei suoi gesti, movimenti, spostamenti. Il corpo è punto di riferimento per l’orientamento e la strutturazione spaziale. Il bambino passa ad una rappresentazione di tipo dinamico del suo corpo. Grazie ad una maggiore percezione e memorizzazione dei dati temporali è consapevole della successione dei gesti, movimenti e spostamenti, ed è proprio la consapevolezza della percezione che permette la rappresentazione mentale del corpo in movimento. Interiorizza questa immagine e i movimenti diventano più coordinati e fini. È in grado di staccarsi dall’azione concreta e di rappresentarla anche attraverso la rappresentazione grafica e verbalmente. In questo periodo il bambino giunge ad individuare la destra e la sinistra sull’altro ea proiettare questi rapporti di destra e sinistra rispetto agli oggetti e nell’orientamento spaziale in generale (lateralizzazione).

Di conseguenza l’autore afferma che lo schema corporeo (o immagine corporea) è da una parte un concetto utile sul piano teorico, nella misura in cui possa fungere da filo conduttore per meglio capire l’unità dello sviluppo psicomotorio, attraverso le diversità delle sue tappe, e dall’altra corrisponde, nella pratica, ad un insieme funzionale del quale si rende necessario favorire lo sviluppo, nell’educazione, ed il ripristino in rieducazione. 

Pick e Vayer affrontano l’argomento dello schema corporeo facendo ancora più esplicitamente riferimento alla tesi walloniana secondo la quale per la costruzione della propria personalità è necessaria la rappresentazione più o meno specifica e differenziata che si ha del proprio corpo. Tale rappresentazione del corpo è ciò che viene chiamato schema corporeo. Essi affermano che lo schema corporeo è l’organizzazione delle sensazioni relative al proprio corpo, in rapporto con i dati del mondo esteriore. La percezione è l’elemento essenziale della presa di coscienza del proprio corpo. La conoscenza delle varie parti del corpo conseguente alla loro percezione, determina il controllo di sé e la padronanza del proprio corpo e permette di acquisire la disponibilità del corpo per l’azione. La conoscenza e la successiva rappresentazione del proprio corpo hanno un ruolo cruciale nella relazione tra l’Io (corpo in quanto strumento di relazione) ed il mondo esterno (spazio gestuale, spazio materializzato dagli oggetti, spazio appartenenti agli altri soggetti). Attraverso le due funzioni dell’Io, quella tonica e quella motoria si attuano interrelazioni costanti con il mondo degli altri (scambi affettivi) e con la realtà delle cose (rapporti conoscitivi). Il risultato ultimo della interazione continua di questi tre dati (percezione, conoscenza e rappresentazione), i quali sono intimamente connessi con la costruzione dello schema corporeo, è la persona. 

Per quanto riguarda la prospettiva di Lapierre ed Aucouturier ha una dichiarata matrice psicoanalitica, anche se successivamente se ne dissociano, per darne un’elaborazione più personale. Nella formazione dell’immagine corporea vengono enfatizzati i fattori della vita inconscia e vengono richiamate le vicende della storia affettiva profonda. L’immagine del corpo concepita da Aucoutourier è un’immagine inconscia (fantasmatizzazione del corpo e delle sue parti). Da una tale immagine si passa ad un’immagine che prende forma semplicemente perché il soggetto vede e si confronta con il corpo dell’altro. Perciò l’immagine del corpo è anche la storia del corpo dell’altro. Un altro aspetto caratterizzante della teoria di Lapierre e Aucouturier è il significato particolare attribuito all’azione. Essa si svolge costantemente su un fondo affettivo e costituisce l’intermediario attraverso il quale il bambino attua la conoscenza-conquista del mondo, a questa giunge grazie alle intense relazioni affettive con lo spazio, gli oggetti, le persone, stabilite nell’azione. La maniera originale di porsi in relazione col mondo è strettamente legata alla storia profonda dell’individuo, cioè alla storia della sua vita inconscia, essa costituisce ciò che Aucoutourier chiama espressività psicomotoria, peculiare del singolo soggetto. Quindi proprio attraverso questo modo individuale di esprimere la vita profonda viene rappresentata la propria immagine corporea. In definitiva l’espressività psicomotoria è il mezzo con il quale il bambino “dice” la propria immagine. 

Inoltre Aucoutourier distingue “un’immagine di base”, costruita sul processo di dipendenza corporea dalla madre, e le “immagini corporee evolutive”, le quali si formano via via su tutte le esperienze di piacere e dispiacere, che vengono vissute durante l’esistenza, e si integrano sull’immagine di base. L’immagine di base emerge ogni qualvolta una turba affettiva deforma l’immagine del corpo attuale, rinviando il soggetto all’immagine primitiva, nata dalla perdita del piacere. L’immagine di base, dice Aucoutourier, ha poco a che vedere con lo schema corporeo. Lo schema corporeo evolve secondo le leggi genetiche dell’evoluzione neuromotoria, per cui lo sviluppo dello schema corporeo si assomiglia in tutti gli individui. Mentre ognuno di noi si forma un’immagine del corpo che è diversa, in rapporto alla storia profonda di ciascuno. In altre parole, mentre lo schema corporeo è legato all’evoluzione neurologica propria della specie umana ed è perciò patrimonio comune, l’immagine del corpo è un elemento molto personalizzato, fondato sulla dinamica piacere-dispiacere della vita inconscia. Tale distinzione viene fatta, in quanto è all’immagine che va indirizzato il trattamento psicomotorio. Deve essere un approccio individualizzato che ha come intermediario l’espressività psicomotoria, la quale, è il modo personale di “dire” la propria immagine corporea. 

Nella versione di Bucher , il concetto di schema corporeo concerne la presa di coscienza di sé, il sentimento dell’unità e dell’appartenenza del corpo. È il riferimento essenziale ed insostituibile che consente al bambino di apprendere e di elaborare di fatto i dati che sottendono l’organizzazione del suo universo. Lo schema corporeo (termine equivalente, secondo Bucher, a quello di immagine corporea) si sviluppa su diversi piani paralleli, che includono l’attività percettiva, l’attività intellettuale, l’attività simbolica e delle significazioni del mondo fenomenico, la sfera affettiva. Attiene ad un corpo strettamente connesso alla dimensione spazio-temporale, la quale è indissociabile dall’essere, in quanto in essa è inclusa e si modella la storia individuale . si riferisce anche alla “materialità” corporea in quanto l’aspetto fisico è il primo elemento induttore d’immagine. È inoltre legato all’insieme complesso dei fattori affettivi ed emozionali che riguardano la personalità profonda. Risulta così un’esperienza talmente unica e talmente fondata sulla personale esistenza, da rappresentare lo strumento individuale di comprensione del mondo e degli altri, di dialogo con l’universo degli esseri, delle cose, della società. In questo modo viene sottolineata la qualità di strumentalità comunicativa dello schema corporeo. Bucher precisa che tale caratteristica si evidenzia in modo inequivoco allorché si affronta lo studio della personalità del bambino secondo l’approccio corporeo; Egli dall’esame psicomotorio deduce gli elementi utili per lo studio della personalità e per definire il concetto di schema corporeo. Questo sollecita appunto il dialogo non verbale, il quale mette in gioco il vissuto corporeo e offre così il mezzo per rilevare i fattori affettivi-emozionali, altrimenti sfuggenti ad ogni altra analisi. Il dialogo verbale, infatti, risulta a questo scopo, troppo confuso e spesso inadatto a tradurre e trasmettere specialmente i sentimenti profondi, data la facile tendenza dell’individuo a rimuoverli e a controllarli con la razionalizzazione. 

L’Autrice, inoltre, afferma che mettere il corpo nelle situazione di agire nei confronti degli altri ha come conseguenza quella di sollecitare direttamente lo schema corporeo. Vale a dire che viene suscitata l’attenzione verso il corpo, divenuto strumento per l’azione, ma nello stesso In effetti il corpo in azione esige necessariamente la disponibilità dello schema corporeo. tempo vengono chiamati in causa il sentimento di sicurezza, la capacità di adattamento. Essere disposto a mettere in gioco questa o quella parte del corpo dipende dalla capacità di riconoscersi e di accettarsi, la quale a sua volta è connessa con l’evoluzione armonica dei processi quali l’investimento, l’identificazione e la formazione dell’io. Eventuali disarmonie di tale evoluzione condizionano per contro difficoltà di relazione con il proprio corpo, nelle quali essenzialmente consistono, per Bucher , le “turbe dello schema corporeo”. Lo schema corporeo, quindi, è il risultato di una buona qualità delle relazioni e delle esperienze, dell’appropriata valorizzazione narcisistica, della stabilità dei punti di repere affettivi; elementi che hanno permesso al bambino di accettarsi e di riconoscersi in un universo rassicurante e soddisfacente. Dunque, per Bucher, lo scema corporeo è un sentimento di esistere in un corpo, allo stesso tempo spaziale e temporale, la certezza di costruire una realtà individuale, dotata di propri confini, che costituiscono la struttura stessa del sentimento di sé e sono il fondamento di una possibile autonomia dell’essere. 

Il pensiero psicomotorio dà un’importanza peculiare al linguaggio nella conoscenza del corpo. Bucher, in particolare, sostiene un ruolo essenziale del linguaggio nel legare lo sviluppo dello schema corporeo alle prattognosie. La comparsa del linguaggio infatti ha una funzione essenziale nella sintesi mentale circa le esperienze riferite al corpo. Tra l’altro l’attività più astratta, più speculativa quale è il linguaggio verbale, prima di tutto passa per il corpo. L’azione del corpo, dice Ajuriaguerra, può essere facilitata da una verbalizzazione preliminare, come avviene nell’imitazione, ovvero nella comprensione dei gesti altrui: il che implica una certa autonomia della semantizzazione dello schema corporeo. Bucher a sua volta sottolinea che la parola costituisce il simbolo dell’atto. Essa contribuisce a fissare quello nella coscienza e permette in seguito di evocarlo. Si stabilisce così tra il linguaggio e le esperienze del bambino una stretta interdipendenza, che porta all’arricchimento delle rappresentazioni mentali del corpo che agisce. 

L’autore, le cui tesi sono riconosciute come basilari nello sviluppo teoretico della Psicomotricità, è Wallon, secondo il quale lo schema corporeo non è un dato originario, né un’entità biologica o psichica, ma una realtà dinamica che si costruisce in base ai giorni dell’attività, in una sintesi incessante ed attiva dei dati della nostra esperienza vitale. L’Autore insiste sul fatto che lo schema corporeo derivi dalla necessità di una differenziazione e di un’organizzazione del proprio corpo in un’immagine schematica, la quale costituisca l’elemento di base indispensabile alla costruzione della personalità. Si tratta di postulati fondamentali della concezione di Wallon circa la genesi del corpo proprio. La sua tesi parte dal presupposto che, l’individuo, alla nascita, ha del proprio corpo una percezione vaga ed indifferenziata e, solo attraverso l’integrazione delle sensazioni e della motilità, giunge a distinguere il proprio corpo dall’oggetto esterno ed a figurarselo separatamente. Tale processo si compie nel corso dei diversi stati maturativi. Alla fase della “simbiosi fisiologica”, propria della vita feto-neonatale, segue quella della “simbiosi affettiva”, a questo fase Walloon attribuisce particolare importanza per l’influenza che eserciterà su tutti gli sviluppi ulteriori del soggetto. La simbiosi affettiva primaria si esprime essenzialmente attraverso fenomeni motori, costituenti una sorta di embrionale dialogo, il quale prelude al dialogo verbale. Quei fenomeni motori primitivi sono una risposta ai diversi tipi di stimolazione (intero-, estero- e propriocettiva); essi sono dunque di natura riflessa. Talvolta di attuano secondo modelli adatti allo scopo, talvolta sotto forma di scariche impulsive: “stadio impulsivo puro”. Gli atti efficaci di cui il bambino diventa capace, a quest’epoca, non sono solo le gesticolazione per richiamare la madre a suo sostegno, ma anche sorrisi e segni di contentezza, che costituiscono un primordiale legame affettivo. Si tratta dei primi gesti (gesti di espressione)che gli consentono già di “appropriarsi” del mondo esteriore. A questi primi segni orientati verso l’ambiente umano, succedono nuovi comportamenti, per cui il legame col mondo esterno diviene dominante; si giunge così allo “stadio emozionale”. In tale stadio il bambino è una sola cosa con l’ambiente del quale condivide le emozioni. Con esso intrattiene scambi affettivi attraverso un altro strumento considerato fondamentale, “lo stato tonico”. È una modalità di relazione (stati tonici di richiamo, stati espressivi del bisogno di consolazione, di distensione, di soddisfazione); è una forma strutturante di dialogo corporeo, di contatto tra bambino e sua madre, operante nei primi mesi di vita (“dialogo tonico”). Il fenomeno tonico per eccellenza è la attività posturale, la quale costituisce l’intermediario essenziale in tutte le relazioni con l’ambiente: “funzione posturale di comunicazione”. La funzione posturale a sua volta è connessa con le emozioni, vale a dire con l’interiorizzazione delle esperienze affettive. L’emozione, inizialmente legata ad impressioni posturali, diventa solidale con la postura (atteggiamenti e mimiche) per quanto riguarda l’espressività. Gli scambi comunicativi si attuano allora attraverso le reazioni tonico-emozionali. Tali reazioni sono presenti in tutte le manifestazioni affettive , fin dalla loro prima espressione. È per questo che Aiuriaguerra afferma che il dialogo tonico è e resta il linguaggio principale dell’affettività. Le reazioni tonico-affettive, inoltre, costituiscono una sorta di “schemi affettivi” (tali schemi appaiono l’equivalente degli schemi sensomotori di Piaget nello sviluppo cognitivo), fondati su meccanismi sensomotori e senso viscerali. Le loro ripetizioni ed integrazioni successive conducono ad una differenziazione progressiva dell’Altro da sé. In tal modo dunque il soggetto si costituisce a poco a poco e si distingue dalle cose e dal resto del mondo esterno; avviene una presa di coscienza progressiva del proprio corpo realtà distinta dall’ambiente: è lo “stadio del personalismo”, in cui il soggetto è in grado di separare se stesso dalle situazioni, dal contesto emozionale, dai quali in precedenza era totalmente coinvolto ed assorbito. Il riconoscimento del proprio corpo è essenzialmente un processo tonico-posturale. È anche il riconoscimento della propria immagine nell’immagine del corpo dell’Altro, del quale “riflette” l’essenza tonico-emozionale. Nell’insieme dei processi che partecipano all’elaborazione dell’immagine del proprio corpo, lo “stadio dello specchio” occupa, nella tesi di Wallon, un posto importante. 

Secondo l’Autore il problema dello schema corporeo non è quello delle immagini che lo compongono, né si può risolvere nell’identificazione di un’immagine (sia pure l’immagine nello specchio che rappresenta l’Altro e, ad un tempo, un altro sé stesso), ma è il risultato degli scambi corporei con l’Altro. 

A sostegno di questa tesi vi è Le Boulch , per il quale, la conoscenza del corpo, sperimentato nel dialogo tonico-emozionale, precede l’immagine visiva del corpo. Quest’ultima costituisce l’occasione per riconoscere e focalizzare i dettagli forniti dalle sensazioni provenienti dal proprio corpo e che hanno determinato già una preconoscenza di sé stesso. Il bambino si vede solo perché “si conosce”, grazie ai due processi che hanno preceduto da tempo il suo riconoscersi nello specchio e cioè grazie all’esperienza spaziale e alla scoperta dell’Altro. La conoscenza che il soggetto acquista della sua immagine nello specchio gli consente di penetrare l’insieme delle cose e delle persone, delle quali ha saputo progressivamente fissare e l’identità, in modo da cogliersi finalmente come corpo tra i corpi, come un essere tra gli esseri. Da ciò si evince che il ruolo dell’altro nel processo di formazione dell’immagine costituisca l’elemento di primo piano. Non solo perché è l’Altro la fonte delle fondamentali sensazioni estero- e propriocettive, che danno origine alle prime reazioni tonoposturali e all’espressione motoria, ma soprattutto perché esso rappresenta il modello umano (specchio) cui confrontarsi e nel quale riconoscere e contemporaneamente differenziare se stesso. Questo processo di identificazione/ differenziazione innescato dall’’Altro, inizia proprio dalle prime organizzazioni funzionali dello sviluppo neuromotorio e in particolare della funzione posturale, la quale permette da sola reazioni orientate. In definitiva per Wallon lo sviluppo dello schema corporeo è un processo attivo, che si svolge secondo una serie genetica di modalità di organizzarsi in nuove forme di comportamento, rispetto alle sollecitazioni del mondo esterno e in rapporto alla maturazione neurofisiologica del bambino. Lo schema corporeo si costituisce pertanto sulla base di un’interazione tra organismo (con le sue potenzialità neurologiche, geneticamente determinate) e l’ambiente; attraverso il loro approccio dialettico, i due sistemi si fondono a costituire uno spazio unificato, che implica l’idea schematica del proprio corpo. Intorno a questa idea si andrà costruendo l’intera personalità. 

Piaget, invece, affronta il problema dello schema corporeo secondo un approccio più prattognosico, seguendo un percorso diverso, nel quale dà la preminenza allo studio della genesi delle nozioni cognitive del corpo. Dalla nascita al primo mese il bambino attua prevalentemente “esercizi riflessi” che sono l’espressione di meccanismi preformati antenatali. Nel corso dei mesi seguenti si organizza una serie di schemi senso-motori acquisiti che, dopo 18 mesi, vengono “interiorizzati” costituendo le prime rappresentazioni e le prime combinazioni mentali. Alla fine dello “stadio sensomotorio”, con la costituzione dell’oggetto permanente, l’azione viene separata dagli oggetti e, come conseguenza, il corpo diventa un oggetto fra gli oggetti. In questo stesso periodo, con l’acquisizione della prensione, avviene il passaggio dagli atti fortuiti agli atti intenzionali, il quale segna di fatto l’esordio delle prassie. Lo sviluppo delle prassie è a sua volta connessa con l’apprendimento delle prime nozioni ”pratiche” di oggetto e di spazio e dei primi significati concreti. Queste rappresentano le categorie fondamentali della conoscenza e la sorgente delle prime gnosie. Il corpo proprio a questo punto è legato all’organizzazione dello spazio e viene posto in relazione spaziale con tutti gli oggetti e con il corpo altrui. Allorché è acquisita la capacità rappresentativa, o meglio il bambino è capace di imitare col proprio corpo ciò che compie il corpo degli altri: “imitazione gestuale”. In questa relazione cognitiva con gli altri, l’attività degli schemi sensomotori si trasforma di fatto in prassia: l’imitazione gestuale contribuisce a dare al gesto il suo significato e cioè gli fornisce dei contenuti e il senso comunicativo. 

Con la comparsa delle imitazioni differite e poi delle prime immagini mentali, si accede all’immagine corporea, che all’inizio sarà costituita da un’imitazione interiorizzata e dopo acquisterà la consistenza di un’immagine strutturata. Il processo di costruzione dell’immagine corporea è dunque correlativo all’esperienza del proprio corpo che il soggetto si forma nel corso delle vicende che, dall’acquisizione dei primi schemi prassici, conducono all’acquisizione delle condotte figurative. Questa esperienza si basa su un insieme di dati percettivi, che il bambino raccoglie dal proprio corpo in azione. 

In Piaget, in definitiva, lo sviluppo dello schema corporeo procede con il progressivo organizzarsi, secondo una seri genetica, delle percezioni sensomotorie nel contesto spaziale e si compie con la scoperta dell’Altro. È legato, come tutto lo sviluppo nel suo complesso, all’adattamento al mondo esterno, per il quale viene conferita una struttura cognitiva all’azione corporea (tutta la teoria genetica piagettiana si ricollega al passaggio dall’atto al pensiero; l’azione non è soltanto esecutrice, ma stimolatrice dell’attività mentale) per poi addivenire alla concezione di uno schema mentale del proprio corpo. 

 

Indice

INTRODUZIONE
 

Cap. I. LA PSICOMOTRICITA’

  1. Cenni storici
  2. Psicomotricità: educazione, rieducazione e terapia

Cap. II. LE NOZIONI FONDAMENTALI DELLA PSICOMOTRICITA’

  1. Il tono
  2. Lo schema corporeo

Cap. III. LO SVILUPPO PSICOMOTORIO DEL BAMBINO

  1. Primo stadio: dalla vita intrauterina al terzo mese
  2. Secondo stadio: dal terzo al nono mese
  3. Terzo stadio: dal nono al diciottesimo mese
  4. Quarto stadio: dal diciottesimo mese al terzo anno

Cap. IV. L’EDUCAZIONE PSICOMOTORIA NELL’Età PRESCOLARE

  1. Attività motoria globale: gioco libero
  2. Esercizi di percezione del proprio corpo: controllo tonico; scoperta e presa di coscienza delle diverse parti del corpo con verbalizzazione; giochi d’imitazione di gesti e atteggiamenti; orientamento del corpo proprio.….
  3. Motricità fine: dallo scarabocchio al grafema
 
CONCLUSIONI

 

BIBLIOGRAFIA
 

Tesi di Laurea di: Maria PADOVANO

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