IL DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO - revisione della letteratura; l’organizzazione neuropsicomotoria, percezione e “pensiero visivo”, strategie visive

Il Disturbo dello Spettro Autistico

Revisione della letteratura

L’organizzazione neuropsicomotoria nel bambino con Disturbo dello Spettro Autistico

Percezione e “Pensiero visivo” nei bambini con Disturbo dello Spettro Autistico

Strategie visive utilizzate in ambito abilitativo ed educativo

INDICE PRINCIPALE

‘Madame Michel ha l'eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti’.

Da:Muriel Barbery, ‘L'eleganza del riccio’

INDICE

Passato, presente e futuro della storia dell’autismo

Nel 1797, in Francia precisamente nell’Aveyron, dipartimento della Francia meridionale, viene avvistato un ragazzino dall’età presumibile di 12 anni, il quale sembra essere cresciuto come una “bestia selvatica” nella solitudine dei boschi. Lo catturano, ma lui scappa; lo ritrovano e ancora una volta si dà alla fuga, tornando nella foresta. Viene definitivamente ripreso nel 1800 e condotto a Rodez, capitale del dipartimento, dove il naturalista Bonnaterre lo sottopone ad un primo esame e ne dà relazione scritta nella Notice historique sur le sauvage de l’Aveyron (Parigi, 1800). Il fanciullo appare come un essere insolito: incapace di comunicare, comprendere il linguaggio degli uomini, abituato a nutrirsi di ghiande e radici ed ignaro di ogni usanza civile. In seguito è affidato a Jean Itard (1801-1962), giovane medico e educatore che chiama il ragazzo Victor e lo segue quotidianamente presso l’Istituto della rue Saint- Jacques, dove è provvisoriamente ricoverato. Itard, non vuole solo osservare il ragazzino, ma vuole studiarne il comportamento cercando di ri-educarlo. Il medico francese descrive Victor come un ragazzino che non proferisce parola e che ha reazioni uditive stranissime (percepisce lo scricchiolio di una noce schiacciata alle sue spalle, ma non reagisce al rumore di una porta che sbatte). La giovane creatura, inoltre, ha uno sguardo mobilissimo, resta indifferente a tutto, è privo di qualsiasi sentimento, si mostra affascinato dalla fiamma del fuoco o dalla pioggia, va incontro a crisi di rabbia (morde le mani a estranei che si avvicinano a lui), si rifiuta di mangiare cibi cucinati o di indossare vestiti e cerca continuamente di darsi la fuga (1).

Un bambino che non comunica, non socializza, compatisce negativamente i vari cambiamenti e le varie transizioni e che non impara quando gli s’insegnano le cose in modo tradizionale, ha tutte le caratteristiche di un bambino con autismo (2).

La parola autismo deriva dal greco autòs, che significa se stesso ed è stata impiegata per la prima volta nel 1911 dallo psichiatra Eugen Bleuler (1857-1939) per descrivere uno dei sintomi della schizofrenia. Questo consiste nel ripiegamento su se stessi, caratteristico di alcune fasi della condizione schizofrenica (4): tali soggetti si mostrano apparentemente indifferenti di fronte a ciò che succede intorno a loro, sono immersi nel loro mondo interno e guidati da leggi illogiche e incomprensibili a tutti coloro che non fanno parte del loro inaccessibile mondo (3). Secondo lo psichiatra, i sintomi primari della schizofrenia sono rappresentati dalle cosiddette “4A di Bleuler”: apatia, autismo, allentamento dei nessi associativi e ambivalenza. In particolare, secondo l’autore, l’autismo è un sintomo e non un disturbo a se stante coincidente con l’isolamento (11). Il grande contributo di Bleuler non ha permesso, però, all’autismo di essere riconosciuto come categoria diagnostica indipendente, anzi ne rappresentò un impedimento: a quei tempi i disturbi psichiatrici erano suddivisi in nervosi, malattie affettive e schizofrenia. I criteri diagnostici validi per gli adulti erano estesi anche ai bambini e tutti i disturbi psichiatrici dell’infanzia erano confusi con la schizofrenia stessa (3).

A livello di pubblicazioni scientifiche, l’autismo esiste solo dal 1943. In quell’anno Leo Kanner, pediatra tedesco, scrive l’articolo “Autistic disturbances of affective contact”, nel quale descrive per la prima volta un complesso di sintomi (una sindrome), fino allora sconosciuti al mondo scientifico, e presenti in un gruppo di 11 bambini portatori di caratteristiche peculiari e affascinanti, osservati durante un lavoro di ricerca presso un ospedale statunitense (2,6). I bambini colpiti da tali caratteristiche, soffrono di un “disturbo autistico del contatto affettivo”. In particolare, per Kanner, essi sono “colpiti da un’incapacità di reagire con gli altri in un mondo normale…incapacità presente fin dall’inizio della loro vita, di mettersi in contatto con gli altri e con situazioni secondo il modo consueto, e in un desiderio ansioso e ossessivo di mantenere inalterato il proprio ambiente e le proprie abitudini di vita…un isolamento autistico che sembra tagliarli fuori da tutto quello che succede attorno” (Kanner,1943) (5). Kanner ha denominato tale condizione, “autismo precoce infantile” (2,4).

I bambini descritti da Kanner possiedono buone capacità verbali, ma non le utilizzano per comunicare e sembrano ossessionati dal desiderio di compiere sempre le medesime azioni. Sono attratti più dagli oggetti che dalle persone, comunicano ripetendo frasi imparate a memoria e oppongono resistenza di fronte a tutto ciò che modifica la loro abituale routine, generando un cambiamento. In particolare, l’aspetto di questi bambini che più colpisce Kanner, descritto anche da Bleuler per i bambini schizofrenici, è il loro essere ripiegati su se stessi, la loro difficoltà a interagire con gli altri, per questo li definisce “autistici” (4,5).

Kanner comprende che i bambini, trattati nei suoi studi, non sono schizofrenici poiché presentano i sintomi fin dall’inizio della loro vita, non hanno allucinazioni o deliri; utilizza il termine “autismo” proprio per accentuare la difficoltà di accesso al loro universo, che appare per l’appunto “inaccessibile”. I bambini, che descrive, hanno delle loro regole, sembrano indifferenti a quello che accade intorno, non sono attratti dal condividere i loro interessi ed inoltre, il loro comportamento sembra seguire delle logiche incomprensibili (2,5).

Kanner è quindi il primo a descrivere l’autismo con grande precisione, individuandone i sintomi e distinguendo tale patologia dalla schizofrenia e da qualsiasi altra patologia nota, considerando, addirittura, l’autismo come una patologia rara. Lo psichiatra austriaco si spinge, inoltre, verso la formulazione di alcune ipotesi circa la causa dell’autismo. Inizialmente Kanner è convinto che sia presente un’alterazione congenita dello sviluppo del cervello e a tal proposito afferma anche che la circonferenza cranica di questi bambini è atipica. Questa ipotesi dell’autore sulla causa dell’autismo, in seguito, è entrata in contrasto con le credenze dominanti dell’epoca che hanno influenzato lo psichiatra, portandolo a rinnegare tale ipotesi e a modificarla: sono i genitori a causare tale disturbo (2,6). A questo proposito, nelle conclusioni del suo articolo, Kanner afferma: “Un altro fatto risulta con grande chiarezza. Nell’intero gruppo sono molto pochi i padri e le madri davvero affettuosi. Per la maggior parte dei genitori, i nonni e gli altri familiari sono persone fortemente assorte in astrazioni di natura scientifica, letteraria o artistica e non manifestano un autentico interesse per le persone” (Kanner,1943) (5).

Nel 1949 Kanner scrive un articolo circa uno studio di follow-up nel quale dedica gran parte del lavoro alla descrizione del comportamento dei genitori di questi bambini. Undici anni dopo, nel 1960, Kanner è intervistato dalla rivista “Time” durante la quale afferma che spesso i genitori dei bambini autistici sono persone “che per caso una volta si erano scongelate abbastanza da produrre un bambino” (Kanner, 1960). Poiché Kanner è il primo e più eminente esperto di autismo, questi suoi pensieri hanno influenzato e costruito l’opinione medica circa questa patologia (12). L’idea che si diffonde nel mondo scientifico, dopo la pubblicazione dell’articolo di Kanner, è che l’autismo sia una forma di estrema difesa del bambino di fronte all’assenza di affetto da parte dei genitori: essi stessi sono descritti come nazisti o “madri frigorifero” e vengono considerati come la causa del “ritiro autistico” dei loro figli. L’autismo nasce, quindi, dal tentativo disperato del bambino di difendersi dagli spietati genitori (2).

Sempre nel 1943, anno in cui Kanner pubblica la sua prima relazione sull’autismo, in Austria, Hans Asperger (1944-1991) scrive l’articolo “Die autistichen Psychopaten im Kindesalter” (pubblicato nel 1944) in cui descrive alcuni pazienti “affetti da psicopatia autistica”. Egli non conosce la relazione di Kanner, ma i casi da lui descritti hanno le stesse caratteristiche di quelli descritti dallo psichiatra austriaco ed anche Asperger utilizza il termine “autismo” per definire tale patologia (2,7). Asperger, a differenza di Kanner, è molto sicuro circa la causa alla base dell’autismo: quest’ultimo è un disturbo di natura genetica. I pazienti descritti dall’autore nel suo articolo, a differenza di quelli schizofrenici, non vanno incontro a nessun deterioramento e le loro caratteristiche si mantengono stabili; secondo Asperger la “psicopatia autistica” non è una malattia, ma è un diverso modo di stare al mondo, un disturbo della personalità (8). L’autore nella sua opera inserisce alcune proposte terapeutiche di “pedagogia curativa”, che noi oggi definiremmo “proposte d’intervento psico-educativo”, basate su alcuni principi che, attualmente, sono considerati alla base di un appropriato intervento riabilitativo (2). L’articolo di Asperger trovò una più ridotta diffusione rispetto a quello di Kanner, poiché era scritto in tedesco e solo gli articoli scritti in lingua inglese giungevano all’attenzione della comunità scientifica; solo negli anni Ottanta l’opera andrà incontro ad una maggiore diffusione.

Inoltre, l’idea di Asperger di trattare questi soggetti mediante un intervento pedagogico fu reputata folle e in contrapposizione alle credenze dell’epoca.

Nel periodo in cui l’autore scrive l’articolo, in Germania ed Austria vi è il regime nazista: nel 1939, tale regime aveva dato origine ad un programma rivolto a bambini con problemi mentali, i quali venivano definiti “mangiatori inutili” o “inadatti a vivere”. Tale programma prevedeva l’uccisione delle persone con disabilità (tra cui molti bambini con autismo) direttamente all’interno degli ospedali psichiatrici in cui erano ricoverate, oppure, per chi viveva in casa, era prevista la deportazione e la conseguente uccisione all’interno dei campi di concentramento (9,10).

Dagli anni Cinquanta e per tutti gli anni Sessanta, con la pubblicazione di alcune opere di psicoanalisti come Margaret Mahler e Bruno Bettelheim, i genitori dei bambini con autismo, sulla scia anche delle credenze di Kanner, vennero considerati la causa della disabilità del proprio figlio. La teoria psicoanalitica traumatizzò molto i genitori dei bambini autistici di quel tempo. Secondo gli psicoanalisti, l’autismo rappresentava la lotta del bambino, creatura più indifesa, contro i genitori oppressori. Le credenze di Kanner, trovarono il principale esponente in Bruno Bettelheim il quale portò anche la visione psicoanalitica all’apice della sua popolarità e fu considerato il principale mentore della teoria dell’autismo infantile causato dalle madri (2). Egli, nel 1967 scrisse un libro dal titolo “La fortezza vuota: l’autismo infantile e la nascita del Sé”: in esso, Bettelheim rese popolare il concetto di “madre frigorifero” per descrivere il rapporto madre-figlio. L’autore vedeva il comportamento dei bambini psicotici e autistici come il risultato di genitori troppo apprensivi in alcuni stadi delicati dello sviluppo psichico. I bambini che tendono naturalmente a ritenersi responsabili di ciò che preoccupa i loro genitori, finiscono per ritirarsi in un mondo fantastico, allo scopo di prevenire un comportamento distruttivo. Bettelheim paragonava questa deumanizzazione distruttiva del bambino a quanto aveva potuto osservare nei comportamenti tenuti dai nazisti nei campi di concentramento sui prigionieri. L’unica salvezza per questi bambini, secondo l’autore, era l’essere separati dai loro genitori; la separazione rappresentava la sola cura per quello che l’autore definiva “disturbo autistico cronico” (13). I bambini con autismo cominciarono così ad essere separati dai genitori e sottoposti a trattamenti, spesso infondati, all’interno degli ospedali psichiatrici (2).

Nel 1952 venne pubblicata la prima edizione del DSM1 (DSM-I). In tale manuale, le parole “autistico” e “autismo” apparivano a stento. Quando, raramente comparivano, in realtà erano utilizzate per descrivere dei sintomi appartenenti ad un’altra diagnosi, ovvero quella di schizofrenia; persino nel manuale non veniva spiegato cosa fosse realmente l’autismo. Anche nella seconda edizione del DSM (DSM-II), pubblicata nel 1968, all’autismo venne dato il medesimo trattamento senza darne una spiegazione esaustiva (12).

Solo nel 1967, anno anche della pubblicazione di Bettelheim, fu compiuto il primo studio sulla mente dei bambini con autismo, mediante l’utilizzo delle “regole” dell’approccio scientifico. Beare Hermelin e Neil O’Connor condussero uno studio dal titolo “Auditory and visual memory in autistic and normal children”, in cui decisero di mettere a confronto le prestazioni di un gruppo di bambini con autismo con quelle di un gruppo di bambini con sviluppo tipico (gruppo di controllo), mediante una serie di test di memoria. Per studiare la memoria secondo il metodo scientifico, i due studiosi, anziché riportare in modo aneddotico le osservazioni relative ad un caso traendone poi delle conclusioni generali, decisero di sottoporre ciascun individuo, appartenente allo studio, al medesimo test di memoria, confrontando poi i risultati. In questo modo le risposte apparivano “misurabili” e si poteva più facilmente comprendere se l’appartenenza ad uno dei gruppi, portava a rispondere in modo differente al test. L’uso del metodo scientifico se da un lato limitava lo studio poiché non permetteva di studiare le caratteristiche meno “misurabili” della mente del bambino, dall’altro l’utilizzo di uno studio sull’autismo, basato sull’evidenza scientifica, era una rivoluzione e risultati non tardarono ad arrivare. I progressi avuti nella psicologia sperimentale e in quella evolutiva posero le basi per lo studio scientifico di una serie di aspetti riguardanti l’autismo come la reciprocità sociale o l’empatia, che fino a poco tempo prima sembravano inaccessibili allo studio empirico.

L’approccio scientifico, nonostante comporti dei limiti, allo stesso tempo ha permesso di superare posizioni e conclusioni basate su convinzioni ideologiche e che in quel tempo erano molto diffuse come quella che vedeva l’autismo come una risposta del bambino all’oppressione da parte del freddo potere genitoriale (2).

Alla fine degli anni Sessanta gli Stati Uniti si mostravano pronti a studiare l’autismo mediante l’uso di un approccio scientifico al fine di verificarne le basi neurobiologiche con la prospettiva di trovarne una cura. Durante un convegno diretto da Michael Rutter, nel 1971, furono diffusi alcuni dati circa la presenza di epilessia negli adolescenti con autismo: questi dati sembravano dimostrare la presenza di una base organica nell’autismo. Nel corso del medesimo convegno, Eric Shopler, uno psicologo tedesco, propose una nuova idea di trattamento. Shopler propose un trattamento, che noi oggi chiameremmo “family centred” ovvero, incentrato sulla famiglia in cui i genitori diventano co-terapeuti e collaborano con gli operatori al raggiungimento del medesimo obiettivo. Il convegno del 1971 rappresentò l’inizio di un periodo caratterizzato da un clima di cambiamento in quanto, s’iniziarono a eseguire numerosissime ricerche scientifiche che condussero alla conoscenza di molti elementi importanti per la comprensione del disturbo. Dalle numerose ricerche scientifiche si giunse ad una conclusione: l’autismo era un disturbo di natura neuroevolutiva e le sue cause erano biologiche.

E i genitori? A proposito di questo furono eseguiti alcuni studi, come quello di DeMeyer (1979) o di Pennington (2002), con lo scopo di verificare se effettivamente fosse il comportamento della madre a causare il disturbo. Nessuno di questi condusse a dati che permettessero di fare una distinzione tra i genitori di bambini con autismo e genitori di bambini con altre disabilità, nelle modalità relazionali, nelle caratteristiche di personalità e nello stile di accudimento; i genitori, quindi, non vennero più considerati come la causa di tale disturbo (2).

All’inizio degli anni Settanta, grazie al lavoro svolto da Kolvin (1972) e Rutter (1972) si fece un altro passo avanti, verso idee sempre più progredite circa l’autismo. I due studiosi, nei loro lavori, posero l’accento su come tra l’autismo e la schizofrenia ci fossero delle importanti differenze circa l’esordio, le caratteristiche cliniche e la storia familiare. Nonostante fosse ancora molto diffuso il pensiero che l’autismo fosse una patologia assimilabile alla schizofrenia e che fosse causata da una psicopatologia dei genitori, si cominciarono, comunque, a porre le basi per un cambiamento concettuale di grande importanza.

Con il passare del tempo, lo studio dell’autismo venne sempre più frequentemente condotto mediante un approccio scientifico al fine di ottenere un numero sempre più elevato d’informazioni. Negli anni Settanta vennero effettuati degli studi presso il laboratorio dello psicologo Marian Sigman, che dimostrarono come i bambini con autismo avessero un normale attaccamento verso i genitori: vanno in ansia quando il genitore si allontana e cercano il contatto quando il genitore torna. Sull’attaccamento dei bambini con autismo ai genitori, furono condotti altri studi successivi, sostenuti anche da una solida metodologia di ricerca, ma gli autori di tali studi incontrarono difficoltà nella pubblicazione dei dati poiché questi non erano in linea con l’immagine, ancora presente, del bambino autistico come creatura fredda e “anaffettiva” (2).

Negli anni Settanta vennero, inoltre, condotti alcuni studi che portarono a raccogliere dati importanti per la dimostrazione dell’origine organica dell’autismo. Nei bambini con tale disturbo fu osservata un’ampia varietà di anomalie in varie strutture del cervello, anche se queste non erano né specifiche né universali. Infatti, tali anomalie non permettevano di distinguere un bambino con autismo da un altro bambino con la medesima patologia e non si presentavano sempre con le stesse modalità (2).

Verso la fine degli anni Settanta, finalmente l’autismo cominciò a essere studiato in modo indipendente dalla schizofrenia. Nel 1978 Rutter propose una nuova definizione di autismo, con lo scopo di perfezionare quella data da Kanner in precedenza: i sintomi, secondo Rutter, dovevano essere già presenti in epoche precoci e si riferivano a problemi di natura sociale, a difficoltà di natura comunicativa, alla presenza di comportamenti insoliti e di rigidità.

Nel 1980, fu pubblicata la terza edizione del DSM (DSM-III), nella quale l’autismo fu definito come un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo interessante tre domini: “mancanza di responsività verso gli altri, grave deterioramento delle capacità comunicative e risposte bizzarre a diversi aspetti dell’ambiente. Tutti sviluppatisi, entro i trenta mesi di età”. Il DSM-III è, ancora oggi, considerato uno strumento importantissimo, in quanto, in questo, per la prima volta in modo ufficiale, è rilevata la chiara distinzione dalla schizofrenia. La revisione del DSM-III, pubblicata nel 1987, fornisce una definizione ancora più dettagliata circa tale disturbo: questo deve soddisfare, almeno, 8 dei 16 criteri appartenenti ai tre domini, descritti già nell’edizione del 1980 del DSM-III (interazione sociale, comunicazione, restrizione degli interessi e delle attività). In questa edizione, l’insorgenza precoce nella vita non è più considerata come requisito per la diagnosi di autismo. Viene, però, inserita una nuova categoria denominata Disturbo Pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato per tutti quei bambini che soddisfano solo alcuni dei criteri diagnostici (non tutti) per il disturbo autistico. Tale tipologia di autismo viene anche denominata “autismo atipico” (14).

Negli anni Novanta, un numero sempre più elevato di neuropsichiatri riconobbe che alla base del Disturbo dello Spettro Autistico vi era, esclusivamente, una base organica. Poiché però, non ne si conoscevano ancora le cause, l’unica terapia possibile era quella psicoeducativa, termine sinonimo a quello utilizzato da Asperger nel 1944: “pedagogia curativa”. Circa undici anni più tardi sarà proprio un gruppo di esperti internazionali, incaricato dall’United States Department of Education di stilare le linee guida sull’autismo, ad indicare l’approccio psicoeducativo come modello esemplare di presa in carico nei soggetti autistici. Questi pensieri circa l’approccio, comuni a tutti i maggiori esperti mondiali, saranno pubblicati nel 2001 all’interno di un libro: Educating Children with Autism (4,18).

Gli anni successivi alla pubblicazione del DSM-III (1987) sono stati anni caratterizzati da una revisione degli aspetti inerenti la categorizzazione dell’autismo. In questo percorso di revisione e cambiamento Lorna Wing, una psichiatra britannica e madre di una bambina autistica, ricoprì un ruolo di grande rilievo. Nel 1981, pubblicò uno storico studio dal titolo “Asperger Syndrome: a Clinical account”, il quale rese popolare la ricerca di Hans Asperger su questa variante dell’autismo, eseguita anni prima e poco diffusa poiché scritta in lingua tedesca. La psichiatra, per la prima volta, utilizzò l’espressione “Sindrome di Asperger”, facendo appunto riferimento alla condizione osservata anni prima dallo studioso (15,16).

Tali concettualizzazioni sono incluse, prima, nella quarta edizione del DSM (DSM-IV), pubblicata nel 1994, e poi nella sua versione revisionata (DSM-IV-TR) pubblicata nel 2000. Tali documenti proposero un successivo perfezionamento dei complessi criteri diagnostici, il numero dei disturbi pervasivi dello sviluppo passò, così, da tre a cinque: Disturbo Autistico, Sindrome di Asperger, Sindrome di Rett, Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia e Disturbo Pervasivo dello Sviluppo non Altrimenti Specificato (14). Intanto, è dagli studi genetici, condotti in quegli anni, che arrivarono dati importanti sulla causa del disturbo autistico.

Già negli anni Sessanta/Settanta, Michael Rutter osservò come l’autismo fosse causato da geni; l’intuizione dello psichiatra fu innovativa soprattutto per il periodo in cui avvenne, periodo caratterizzato dalla dominanza del pensiero psicanalitico che scoraggiava le ricerche genetiche. Giacomo Vivanti, anni dopo, riferendosi alle intuizioni di Rutter, commentò che la scoperta delle basi genetiche dell’autismo “è un chiaro esempio di come una mente non acriticamente allineata all’establishment possa dare senso a dei dati che la cultura del proprio tempo non era ancora in grado di interpretare” (Vivanti, 2010).

La prevalenza di diagnosi di autismo nei fratelli di bambini autistici era già stata documentata da Kanner ed Einsenberg nel 1957: dal loro studio si evinceva che il 2.3% dei fratelli non gemelli dei bambini con autismo erano a loro volta autistici. I due studiosi interpretarono, però, questa percentuale come molto bassa e quindi pensarono che la sindrome non potesse essere genetica. Rutter, anni dopo, in contrasto con “l’establishment”, osservò che quella percentuale pari a 2.3% era molto più alta rispetto a quella presente nella popolazione non a rischio. Da queste prime analisi, sulla prevalenza della diagnosi di autismo tra fratelli gemelli e non gemelli, si giunse a studi sempre più approfonditi su campioni sempre più vasti. I risultati ottenuti portarono alla conclusione che l’autismo fosse la sindrome psichiatrica maggiormente ereditabile e questo permise di superare completamente il pensiero, secondo il quale l’autismo presentava una base biologica. Il patrimonio genetico ha, quindi, un ruolo principale nella trasmissione della suscettibilità a sviluppare la sindrome; in particolare secondo alcuni studi matematici in questa trasmissione sono implicati un numero di geni che va da 4 o 5 fino a 20, anche se non sono ancora stati localizzati.

Negli anni successivi, alcuni studi internazionali hanno individuato alcune aree “sospette” del genoma e l’attenzione dei ricercatori, ancora oggi, si sta in particolare concentrando su queste aree caratterizzate da una serie di geni che sembrano associati alla sindrome (2).

Nel 1997, intanto, D. J. Cohen e F. R. Volkmar, John Wiley and Sons, Inc, pubblicarono, in America, il manuale “Handbook of Autism and Pervasive Developmental Disorders”, il quale divenne il testo di riferimento per tutte le università americane. Solo nel 2004, il manuale fu tradotto in italiano (Autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo) dalla casa editrice Vannini che decise di inserire una presentazione dello psicologo P. Moderato il quale introdusse il libro in questo modo: “Ormai “rottamate” le teorie psicodinamiche sull’eziopatogenesi dell’autismo, spazzate via dalle inequivocabili evidenze provenienti dalla ricerca genetica, anche gli interventi assumono un altro valore… Di autismo non si guarisce, ma un intervento efficace è fondamentale per migliorare la vita delle persone con autismo e della sua famiglia”. Tale manuale, ancora oggi, è un testo di riferimento a livello mondiale per tutti coloro che si occupano di autismo. In nessun’altra sindrome, ad eccezione dell’autismo e dei disturbi generalizzati dello sviluppo, si può notare l'importanza congiunta di un momento diagnostico e di un momento valutativo. Il primo per escludere ciò che non è autismo e per differenziarne le varie forme; il secondo per definire le specificità individuali da cui partire per organizzare un trattamento adeguato e individualizzato (4,17).

In Italia, nel 2002, l’ANGSA2 stabilì il 2 giugno come giornata nazionale dell’autismo al fine di dare una maggiore importanza e un maggior risalto a livello d’informazione pubblica alle problematiche presenti nell’autismo, le quali sono spesso diverse rispetto a quelle presenti nelle altre disabilità (4).

Tre anni più tardi furono pubblicate le Linee guida SINPIA3 sull’autismo, con lo scopo di superare il disorientamento degli operatori coinvolti nella diagnosi e nella formulazione del progetto terapeutico evitando che ciò potesse ripercuotersi negativamente sui genitori e sulla tempestività ed efficacia del trattamento. Vennero, quindi, tracciati gli elementi clinici principali e le strategie d’intervento (approcci comportamentali e approcci evolutivi), fu evidenziata l’importanza di un intervento precoce e intensivo, con una definizione chiara degli obiettivi e un monitoraggio periodico del percorso terapeutico in cui dovevano essere coinvolti anche la famiglia, la scuola e i servizi di neuropsichiatria infantile, al fine di dar luogo ad un lavoro integrato. In queste linee guida venne anche rimarcata l’importanza di un trattamento individualizzato: non esiste un intervento che vada bene per tutti i bambini autistici o che vada bene per ogni età, così come non esiste un trattamento che possa rispondere a tutte le diverse esigenze direttamente e indirettamente legate all’autismo. Le linee guida, sono, ancora oggi, considerate un documento fondamentale, in quanto consistono in una serie di indicazioni, raccomandazioni e suggerimenti, ricavati facendo riferimento alla letteratura internazionale, e che si pongono come punti di riferimento per i genitori e gli operatori di vario livello. I dati forniti dalle linee guida sono temporanei e sono modificati periodicamente e aggiornati in relazione ai progressi fatti sull’argomento (19).

Nel febbraio 2008, il Tavolo Ministeriale di lavoro sulle problematiche dell’autismo, istituito su indicazione del Ministero della Salute, pubblicò una relazione finale sul lavoro svolto dal maggio 2007 al gennaio 2008. Tale documento è d’importanza fondamentale, in quanto, per la prima volta, compare un riferimento ministeriale che raccomanda un intervento educativo, precoce, intensivo e basato su un approccio comportamentale (20).

In quello stesso anno, si stabilì il 2 aprile come giornata mondiale dell’Autismo, cui si adeguò anche l’Italia (fino allora per l’Italia era il 2 giugno).

Il 3 marzo 2009 il Governo Italiano approvò la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che seppur non specifica per l’autismo, riconosce i diritti per tutti alle cure più appropriate e una vita indipendente, diritti disattesi, molto spesso, per gli individui con autismo.

Intanto, negli Stati Uniti nel 2009, salì al potere una nuova amministrazione, che già nei primi mesi di mandato, nonostante il periodo di crisi economica, stanziò fondi per la ricerca sull’autismo, dando a quest’ultimo una priorità rispetto ad ogni altra disabilità dell’età evolutiva presente nel suo programma (2).

Ulteriori informazioni si sono ottenute nel 2013 con la pubblicazione della quinta edizione del DSM (DSM-V). In questa si parla di Disturbi dello Spettro Autistico, definiti all’interno di due sole categorie: “deterioramento persistente nelle comunicazioni sociali reciproche e nelle interazioni sociali” e “schemi comportamentali ripetitivi e ristretti”, entrambi presenti fin dalla prima infanzia. Il Disturbo di Asperger e il Disturbo Pervasivo dello Sviluppo non Altrimenti Specificato, cosi come altre sottocategorie quali l’autismo atipico, spariscono di scena. Un altro cambiamento presente nel DSM-V è il passaggio da una triade sintomatologica (compromissioni qualitative dell’interazione sociale; compromissioni qualitative della comunicazione; comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati) ad una diade, nella quale gli aspetti comunicativi e quelli dell’interazione vengono fusi in un unico criterio diagnostico. Inoltre, per la prima volta, è indicata tra i criteri di diagnosi una caratteristica da sempre osservata dal punto di vista clinico: la modalità peculiare con cui questi individui reagiscono di fronte agli stimoli sensoriali.

Un'altra novità è rappresentata dalla possibilità di indicare il livello di gravità della persona stabilito in rapporto alla sua necessità di supporto. Inoltre, un’ altra specificazione, ancora possibile è quella riguardante la presenza concomitante di disabilità intellettiva e disturbo della comunicazione nei soggetti con autismo. Dunque, la condizione autistica che viene presentata dal DSM-V si configura come altamente variabile sia per quanto concerne il livello di gravità che per quanto concerne la combinazione dei sintomi tra di loro (14).

Gli anni recenti sono stati caratterizzati, inoltre, dall’esplosione degli studi di neuroimmagine, che hanno permesso di individuare differenze tra i bambini con autismo e quelli con sviluppo tipico anche dove i due gruppi non si differenziavano nel comportamento. Con tali tecniche si è scoperto che i bambini con autismo riescono ad eseguire certi compiti con successo grazie all’attivazione di aree cerebrali, che generalmente, sono preposte ad altri tipi di compiti. Questi meccanismi utilizzati sono definiti “meccanismi di compensazione”: quando il cervello presenta un deficit in un’area, normalmente utilizzata per risolvere un compito, tende a volte con successo a utilizzare altre aree per risolvere quel compito. Meccanismi di tipo compensativo sono stati individuati in compiti di elaborazione di stimoli sociali e d’imitazione di espressioni emotive. Questi fenomeni permettono di comprendere come, quando in un sistema cognitivo sono presenti delle anomalie di funzionamento, questo si riorganizzi globalmente, dando origine a modalità anomale di elaborazione delle informazioni anche negli ambiti apparentemente meno “compromessi”.

Oltre a questi studi di neuroimmagine, sono stati condotti anche alcuni studi di neuropatologia, che hanno permesso di identificare anomalie nell’anatomia delle cellule cerebrali dei soggetti con autismo e di un’eccessiva densità neuronale in alcune aree cerebrali. I dati ottenuti hanno posto i ricercatori di fronte ad una sfida notevole, poiché erano diversi dai modelli cui erano abituati, dove ad una riduzione delle cellule neuronali corrispondeva un deficit cognitivo (es. Malattia di Alzheimer). Durante tali studi è stato, inoltre, osservato che la velocità con cui le cellule nervose si attivano, in alcuni casi, è più lenta e questo suggerisce la presenza di un problema di connettività, ovvero di comunicazione tra aree diverse del cervello. Tale problema non è generalizzato all’intero cervello, ma interessa solo alcune regioni specifiche e può essere la chiave per la spiegazione di molti fenomeni nell’autismo.

Nel frattempo, i progressi della ricerca genetica portarono, alla fine degli anni Novanta, all’identificazione del “fenotipo esteso”, ovvero di aspetti patologici “sottosoglia” in alcuni parenti di primo grado dei soggetti con autismo; tali soggetti presentavano elementi che pur non raggiungendo la soglia della patologia, avevano dei tratti comuni con il disturbo conclamato. L’identificazione del “fenotipo esteso” è stato un passo in avanti importante in quanto la ricerca su di esso potrebbe portare ad una maggiore comprensione dei meccanismi responsabili dell’espressione dei geni coinvolti nell’autismo (2).

Nel frattempo, gli studi genetici sulla causa dell’autismo non si fermarono e ad oggi il modello più accreditato è quello secondo il quale diversi geni mutati possano contribuire ad alterare il normale sviluppo di vari tipi di cellule della corteccia cerebrale fetale. Il 6 febbraio 2020, è stato pubblicato sulla rivista Cell uno studio dal titolo “Large-Scale Exome Sequencing Study Implicates both Developmental and Functional Changes in the Neurobiology of Autism” fondato e coordinato da Joseph Buxbaum, al quale hanno aderito anche alcuni gruppi italiani, tra i quali il gruppo Piemontese di Città della Salute ed Università di Torino. Il lavoro iniziato nel 2015 ha permesso a Buxbaum e colleghi di realizzare il più ampio database sulla genetica dell’autismo, raccogliendo più di 35.000 campioni, tra cui 12.000 di soggetti affetti dal disturbo. Lo scopo principale di questo studio è di analizzare un numero elevatissimo di soggetti mediante la tecnica del sequenziamento del DNA, la quale codifica per proteine e permette d’indentificare eventuali mutazioni associate alla malattia genetica. Dallo studio è stato possibile identificare i geni associati a un incremento del rischio di disturbi dello spettro autistico, i quali sono risultati complessivamente 102, 30 dei quali mai descritti prima (nel 2015 i geni associati all’autismo erano 65). I risultati ottenuti contribuiscono a chiarire i meccanismi neurocerebrali d’insorgenza dell’autismo. Si è osservato come soggetti con autismo siano caratterizzati dall’essere colpiti da mutazioni molto distruttive e frequentemente non ereditate dai genitori; questo implica che, almeno una parte, di queste malattie sia dovuta a mutazioni casuali avvenute nelle cellule riproduttive e spiega la scarsa ricorrenza in famiglia. In particolare, si è osservato come la maggior parte dei geni individuati si esprime nelle prime fasi di sviluppo del cervello e ha un ruolo importante nella regolazione dell’espressione di altri geni o della comunicazione neuronale. Ciò conferma che il disturbo ha origine da un’alterazione dei normali processi di sviluppo. Questo studio è solo l’inizio: si prevede siano oltre 1000 i geni implicati in queste malattie così eterogenee associate a diverse varianti in geni importanti per il neurosviluppo che diventano patologiche solo quando combinate insieme.

Nonostante oggi la ricerca per l’individuazione dei geni responsabili dell’autismo sia ancora articolata, complessa e la strada verso la meta sia ancora molto lunga, tale studio ha condotto comunque a una scoperta sorprendente permettendo alla medicina di fare un grosso passo in avanti. (21,22).

INDICE

Definizione e caratteristiche cliniche prevalenti

Il Disturbo dello Spettro dell’Autismo (Autism Spectrum Disorder- ASD) è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale e dalla presenza di comportamenti, attività e interessi ripetitivi e stereotipati (American Psychiatric Association, 2014). L’autismo, come tutti i disturbi del neurosviluppo, si configura come una disabilità “permanente” che accompagna il soggetto nel suo ciclo vitale, anche se le caratteristiche del deficit sociale assumono un’espressività variabile nel tempo (23).

L’espressione “Disturbo dello Spettro Autistico”, introdotta con il DSM-V, ha lo scopo di sottolineare l’eterogeneità e la continuità delle caratteristiche cliniche associate a tale disturbo.

L’eterogeneità è uno degli aspetti più evidenti nei bambini con tale disturbo, per questo motivo l’autismo è meglio interpretabile come una condizione che si pone all’interno di uno “spettro” o “continuum” di gravità e di caratteristiche (23). Questo vede: da un lato i bambini in cui è assente qualunque forma di reciprocità sociale e di comunicazione verbale e non verbale e il cui comportamento è caratterizzato da movimenti ripetitivi e stereotipati, dall’altro i bambini con sindrome di Asperger o con un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato, condizioni in cui i bambini sono meno gravi, il linguaggio verbale è mantenuto e l’adattamento globale del bambino è meno compromesso (2,23). Tra questi due estremi opposti, vi è tutta serie di bambini che hanno caratteristiche molto diverse l’uno dall’altro, poiché i sintomi non si manifestano sempre nello stesso modo, con la stessa gravità e, inoltre, non compaiono tutti contemporaneamente (2,23).

Una distinzione, largamente utilizzata nella pratica clinica, è quella tra soggetti low functioning e high functioning, che è possibile tradurre con i termini “basso funzionamento” ed “alto funzionamento”. Tale definizione fa riferimento alla gravità della sintomatologia e alle abilità di linguaggio che il bambino presenta. In genere si definisce “a basso funzionamento” un soggetto con un ritardo da medio a severo e con scarsa o assente produzione verbale, e “ad alto funzionamento” un soggetto con intelligenza nella norma o superiore alla norma e linguaggio fluente (2,23).

Le caratteristiche cliniche prevalenti che si riscontrano nei soggetti con Disturbo dello Spettro Autistico sono principalmente tre:

  • Anomalie nel comportamento sociale;
  • Anomalie nel comportamento comunicativo;
  • Comportamenti ripetitivi e stereotipati.

Anomalie nel comportamento sociale

A differenza di quanto capita nei bambini con sviluppo tipico, i quali sviluppano molto precocemente un vasto numero di comportamenti sociali che gli permettono di interagire con l’ambiente che li circonda, nei bambini con autismo molti di questi comportamenti sono ridotti oppure del tutto assenti (2). Il bambino con autismo, fin dalla prima infanzia, sembra rispondere meno agli stimoli sociali come la voce dei genitori, il volto e lo sguardo dei famigliari, i quali non richiamano il suo interesse e la sua attenzione (2). Tutto questo accade perché nei bambini con tale disturbo manca quella propensione sociale innata ed automatica per il quale i volti umani, in particolare gli occhi, rappresentano per il bambino un target favorito su cui orientare lo sguardo, la voce umana è preferita ad altri suoni e il contatto umano è prediletto a quello di un oggetto (2,24,25). Il fatto che questi bambini non abbiano una preferenza verso gli stimoli sociali, comporta ricadute importanti per il successivo sviluppo e apprendimento delle abilità sociali ed adattive caratteristiche delle epoche seguenti (2).

Un altro comportamento sociale che si presenta compromesso nei bambini con autismo è la capacità di attenzione condivisa (2,24,25). Nei bambini con sviluppo tipico questa capacità comincia a comparire intorno ai tre mesi di vita ed è utilizzata dal bambino per condividere con l’altro, un oggetto oppure un evento (2). Il bambino che ha sviluppato la capacità di attenzione condivisa indica o guarda un oggetto posto di fronte a lui e poi guarda la madre al fine di attirare la sua attenzione sull’oggetto in questione (2). Nel bambino con autismo è presente un deficit della capacità di attenzione condivisa; infatti, egli non indica gli oggetti o gli eventi per condividere l’interesse con l’altro, non mostra gli oggetti che ha in mano e non risponde, nell’immediato, quando qualcuno indica o mostra lui qualcosa (26,27). Inoltre, molti bambini con autismo non riescono a riconoscere, comprendere e rispondere in modo adeguato alle espressioni emotive degli altri, hanno un deficit nel riconoscimento e nell’elaborazione dei volti umani ed anche le capacità imitative sono compromesse (26,27).

L’incapacità del bambino autistico di interagire socialmente con i coetanei si manifesta mediante diversi comportamenti: il bambino mostra di aver difficoltà nel percepire la presenza dei compagni o la percepisce come fonte di stress; il contatto oculare è ridotto oppure assente ed il bambino spesso presenta comportamenti di isolamento o in alcuni casi di autoaggressività (2). In altri casi, il bambino appare interessato da ciò che fanno i compagni, ma non sa come interagire con loro durante i giochi (2). Tutti questi comportamenti insoliti, caratteristici del bambino autistico, inducono i compagni ad isolarlo (2)

Anomalie del comportamento comunicativo

La comunicazione può essere definita come l’attività che permette di rendere partecipe qualcuno di un contenuto mentale o spirituale, di uno stato d’animo in un rapporto spesso privilegiato e interattivo (Treccani).

Per il bambino la comunicazione è la risorsa più importante poiché gli consente di apprendere nuove azioni, parole e comportamenti, di esprimere propri bisogni o desideri, di esprimere il proprio stato d’animo, di condividere informazioni e interessi con lo scopo di interagire e di conformarsi al contesto sociale (2).

Nel bambino con sviluppo tipico la propensione a comunicare con gli altri con l’obiettivo di condividere qualcosa, utilizzando strumenti verbali e non verbali (comunicazione sociale), si sviluppa molto precocemente, già durante il primo anno di vita. Nei bambini con autismo tutto ciò non accade poiché essi presentano difficoltà e anomalie dal punto di vista comunicativo (2).

Molti dei bambini con autismo non solo non sviluppano il linguaggio, ma non si mostrano in grado neppure di colmare questa mancanza utilizzando altri strumenti di comunicazione, come la comunicazione mimico-gestuale (2). Questi bambini, infatti, spesso non indicano per richiedere degli oggetti e condividere un interesse, raramente usano gesti come annuire, scuotere la testa per dire no oppure fare ciao-ciao con la mano. Spesso, nei bambini con autismo sono presenti delle difficoltà d’integrazione dei comportamenti al fine di esprimere un messaggio comunicativo (2). Mentre i bambini con sviluppo tipico prima ancora di parlare, guardano la mamma negli occhi e contemporaneamente indicano un oggetto e vocalizzano, i bambini con autismo utilizzano spesso questi strumenti in modo non integrato (per esempio vocalizzano, ma senza stabilire prima un contatto oculare con l’interlocutore e senza indicare l’oggetto), rendendo cosi la comunicazione meno efficace (2).

In alcuni casi i bambini con autismo sviluppano il linguaggio, ma quest’ultimo presenta numerose caratteristiche peculiari, le quali sono osservabili in ambito clinico e documentate in letteratura. Tra queste è possibile trovare:

  • L’inversione pronominale: quel fenomeno per il quale il bambino quando parla in prima persona, al posto di dire “io” utilizza “tu” oppure “lui” (2). Ad esempio se il bambino autistico ha fame al posto di dire “Io voglio mangiare”, afferma “Vuole mangiare” oppure “Vuoi mangiare”;
  • L’ecolalia: questa rappresenta la ripetizione letteraria di frasi “prese in prestito” da qualcun altro e spesso utilizzate in modo non funzionale (2). L’ecolalia può essere immediata quando causa la ripetizione immediata di una frase o parola (2). Ad esempio ad un bambino viene chiesto: “Cosa vuoi da mangiare?” e il bambino fa eco “Cosa vuoi da mangiare?” prima o al posto della risposta. L’ecolalia immediata è comune anche nello sviluppo tipico dei bambini, ma solitamente s’interrompe tra i 2 e i 3 anni; questo non avviene nei bambini con autismo dove si mantiene nel tempo (2). L’altra tipologia di ecolalia è quella differita: ovvero quella che si osserva quando il bambino ripropone vocaboli o frasi a distanza di tempo dall’ascolto (2). Quest’ultima forma è tipica nei soggetti con autismo e si manifesta per esempio con la ripetizione di citazioni preferite da film e cartoni o frasi dette dai genitori (2).
  • Le anomalie nell’intonazione, nel ritmo e nella velocità che rendono spesso il linguaggio inadeguato al contesto (2);
  • Un’importante compromissione delle competenze pragmatiche del linguaggio. Esse sono competenze necessarie a utilizzare e interpretare in modo appropriato il linguaggio in funzione del contesto in cui il bambino si trova (2). Su questo punto, uno studio eseguito nel 2009 da Vivanti, Ozonoff e Nadig ha identificato tre profili distinti nell’abilità di adeguare in base al contesto la quantità di informazioni da comunicare all’interlocutore: un gruppo di bambini con autismo non dava abbastanza informazioni perché il messaggio fosse efficace, un gruppo ne dava più del necessario e un gruppo dava un adeguato numero di informazioni. Altre difficoltà pragmatiche documentate nell’autismo riguardano problemi nell’alternanza dei turni nella conversazione, riguardano l’interpretazione, l’utilizzo della prosodia e del linguaggio non letterale (2). Parlando di questa difficolta presente nei bambini con autismo, Vivanti scrive: “ Se io chiedo a un bambino: Mi puoi passare il sale?, egli può rispondermi di si, ma senza passarmi il sale. Egli sta interpretando la mia richiesta letteralmente: non gli ho chiesto di passarmi il sale, ma gli ho chiesto se può passarmi il sale e quindi se prendiamo alla lettera ciò che gli ho chiesto la sua risposta è impeccabile”.
  • Gravi difficoltà nello sviluppo delle competenze semantiche: i bambini autistici hanno difficoltà a comprendere la relazione che lega le parole al loro significato (2).
  • Linguaggio ripetitivo, stereotipato, scarsamente creativo, comunicativo e informativo:  nonostante in alcuni casi le abilità sintattiche (le regole grammaticali della frase) e l’ampiezza del vocabolario possono essere ben sviluppate, nella maggior parte dei soggetti il linguaggio è caratterizzato da frasi che vengono imparate a memoria e pronunciate in contesti diversi, sempre nello stesso modo, senza tenere conto della situazione o della prospettiva dell’interlocutore (2).
  • Difficoltà della comprensione del linguaggio, in particolare di quello simbolico: di fronte a modi di dire, metafore, espressioni ironiche o sarcastiche, la comprensione delle parole, dove presente, è iper-letterale (2). Su questa caratteristica lo stesso G. Vivanti, nel suo libro, scrive “Una volta ho chiesto a un ragazzino con autismo: come di senti dentro quando hai paura?, e lui mi ha risposto: quando sono in casa non ho mai paura. La parola ‘dentro’ in questo caso era stata interpretata nel modo più concreto,’essere in casa’ “.

Altre caratteristiche ben documentate nel linguaggio delle persone con autismo sono l’uso di forme di linguaggio idiosincratico (il bambino utilizza parole di sua invenzione), difficoltà nell’iniziare o sostenere una conversazione, insensibilità alle risposte dell’interlocutore nelle conversazioni, incapacità di comunicare mantenendo una corretta distanza dall’interlocutore (il bambino si avvicina troppo all’interlocutore oppure si colloca troppo distante da lui), incapacità di catturare l’attenzione dell’interlocutore prima di parlare, incapacità di parlare tenendo conto di ciò che sa o non sa l’interlocutore e, infine, assenza, nel linguaggio di questi bambini, di parole riferite a stati mentali (credere, desiderare, pensare…) (2).

Interessi ristretti e comportamenti ripetitivi e stereotipati

I comportamenti ripetitivi e stereotipati, quando insorgono, rappresentano il segno comportamentale più evidente e che distingue i bambini con autismo da quelli con sviluppo tipico (2,23). Tra i comportamenti ripetitivi, comunemente osservati nei bambini con autismo, sono presenti manierismi motori come ad esempio il flapping delle mani, il clapping, il rocking, lo schioccare le dita o lo scuotere la testa ossessivamente ascoltando una certa musica (2,23)..

Spesso, questi bambini possono rimanere incantati a guardare il movimento dei vestiti in una lavatrice, lo scorrere dell’acqua dal rubinetto, gli schizzi d’acqua da una fontana o fare un uso ripetitivo degli oggetti (2,23). Alcuni di questi comportamenti possono essere osservati già nei bambini molto piccoli, come ad esempio: il comportamento di spinning (tendenza del bambino a far roteare tutti gli oggetti che gli vengono proposti) o il battere continuamente le dita contro determinate superfici, prendendo poi la mano delle persone, senza guardarle negli occhi, ma muovendole affinché facciano la stessa cosa. Mentre nei bambini più grandi è possibile notare una tendenza ad allineare in modo fisso ed ordinato i giocattoli (2,23).

Un altro comportamento anomalo è l’inclinazione a rivolgere la loro attenzione verso un numero ristretto e limitato d’interessi (2,23). Molti bambini autistici rivolgono il loro interesse verso dettagli particolari di oggetti, come ad esempio le ruote di una macchina o l’elica di un elicottero o ancora ad alcune proprietà non funzionali degli oggetti come il sapore o l’odore (2,23). Alcuni di loro preferiscono passare il tempo muovendo velocemente le dita davanti agli occhi, oppure s’interessano esclusivamente ad un certo programma televisivo o ad una certa canzone (2,23).

Nei bambini con buone abilità verbali è presente spesso un eloquio stereotipato: questi bambini mostrano, in molti casi, una propensione atipica verso interessi specifici di cui parlano continuamente dando origine ad un uso stereotipato di parole, frasi o pattern prosodici (2,23).

Una tendenza alla ripetitività era stata messa in evidenza già nella prima descrizione di Kanner: le persone con autismo tendevano a ripetere in modo inflessibile, azioni e abitudini e tolleravano male i cambiamenti di routine.

L’eccessiva aderenza alla routine e i limitati pattern di comportamento possono manifestarsi con una resistenza del bambino verso il cambiamento (per esempio il disagio legato a piccoli cambiamenti apparenti come la confezione del cibo preferito; insistenza sull’adesione alle regole; rigidità di pensiero) o con comportamenti rituali verbali e non verbali (per esempio domande ripetitive, fare ripetutamente un percorso) (2). Qualsiasi cambiamento, seppur minimo, viene tollerato male dal bambino ed è vissuto con sofferenza: la ritualità e la quotidianità fanno parte della vita del bambino autistico e la contraddistinguono, per cui qualsiasi modifica, anche minima, inserita viene da lui difficilmente accettata perché rompe la normale routine a cui lui è abituato (2).

In molti bambini autistici, questa difficoltà verso il cambiamento rappresenta uno dei primi segnali, campanelli d’allarme per una possibile evoluzione successiva del disturbo (2,23).

Altre manifestazioni

Nei bambini con autismo, soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo, si può evidenziare un’alternanza di momenti d’iperattività in cui il bambino mostra un’incapacità a rimanere fermo e tende a muoversi continuamente e momenti d’ipoattività in cui il bambino appare completamente passivo di fronte ad ogni tentativo di coinvolgimento (2,23).

Si riscontrano, inoltre, “atipicità” sensoriali che portano questi bambini a sviluppare delle risposte insolite di fronte agli stimoli sensoriali (2,23). Tali anomalie rivestono un ruolo importante nella vita delle persone autistiche, accanto alle difficoltà comunicative e sociali. I sistemi sensoriali, di cui l’essere umano è fornito, permettono di acquisire informazioni necessarie per agire, interagire e comprendere il mondo esterno e sono alla base dell’apprendimento(2). Dinanzi agli stimoli sensoriali alcuni bambini si mostrano molto interessati, mentre altri si presentano molto preoccupati e spesso ne risultano molto infastiditi (2). Questo, insieme al deficit di comunicazione, genera una maggiore difficoltà da parte del soggetto ad inserirsi nel contesto sociale che lo circonda (2). Gli studi indiretti e le testimonianze dirette affermano che la maggior parte dei bambini con autismo presenta dei disturbi sensoriali che sono molto variabili da soggetto a soggetto. I disturbi sensoriali descritti nei bambini con autismo riguardano soprattutto la modalità uditiva (alcuni suoni sono percepiti come troppo forti o troppo deboli), ma anche la percezione tattile (il contatto con alcune superfici o tessuti di una certa consistenza possono essere percepiti come estremamente piacevoli oppure estremamente sgradevoli), la percezione olfattiva, la percezione del caldo, del freddo o quella del dolore (2,23). Spesso si riscontrano disturbi anche nella sfera alimentare (alcuni cibi aventi determinate consistenze, colori, odori possono essere considerati piacevoli rispetto ad altri oppure al contrario, possono non essere tollerati e scatenare crisi di pianto o di aggressività) (2,23). La comparsa di comportamenti problema nei bambini con autismo nella maggior parte dei casi, è legata proprio alle atipicità sensoriali (2,23). In molte occasioni, i bambini con autismo mostrano, inoltre, un’inadeguatezza nell’espressione e nella regolazione delle emozioni: hanno difficoltà nell’esprimere le proprie emozioni e nel riconoscere ed interpretare quelle degli altri e regolare il proprio comportamento di conseguenza (2). Un’altra difficoltà che si riscontra è quella di adattare il proprio comportamento alle circostanze (29). Può accadere, infatti, che un soggetto con autismo rida di gioia se un’insegnante a lui antipatica viene trasferita in un’altra scuola, mentre un soggetto con sviluppo tipico, che impara in fretta ad adeguare le manifestazioni dei suoi sentimenti al contesto, ad esempio, di fronte a questa comunicazione mostrerebbe dispiacere/tristezza (29). Altre manifestazioni che possono essere riscontrate in questi bambini sono: l’autolesionismo, che può arrivare a mettere in pericolo la vita del soggetto; la mancanza di motivazione nell’apprendere nuovi compiti e nel partecipare all’ambiente sociale e un deficit delle funzioni esecutive (2).

Quest’ultimo porta i soggetti con autismo ad avere difficoltà di pianificazione e organizzazione del proprio comportamento (2). Ad esempio, affinché il soggetto viva in modo ottimale nell’ambiente che lo circonda, deve essere in grado di pianificare il comportamento da assumere e in seguito deve saper seguire lo schema prefissato per raggiungere l’obiettivo senza distrarsi (2). Allo stesso tempo, però, se nell’ambiente insorgono delle situazioni che richiedono attenzione, il soggetto deve essere in grado di stoppare l’attività pianificata e modificare il programma d’azione (2). La capacità di pianificare il proprio comportamento e quella di modificarlo secondo le circostanze, rappresentano aree di difficoltà per molti bambini con autismo (2). Un altro aspetto carente nella sfera delle funzioni esecutive è quello della difficoltà d’inibizione di risposte “prepotenti”: molti bambini non riescono ad inibire o controllare risposte immediate evocate dagli stimoli (ad esempio alcuni soggetti soffiano sulle candeline anche se non è il loro compleanno oppure schiacciano i bottoni dell’ascensore anche se sono già in movimento poiché elementi come le candeline o i bottoni gli evocano tali risposte) (2). Infine, in alcuni soggetti autistici è possibile riscontrare delle anomalie dell’attenzione: tali anomalie comportano tempi di attenzione brevi, per cui il bambino sposta l’attenzione da uno stimolo all’altro ed una preferenza verso i dettagli a discapito dell’insieme (30). Circa le anomalie dell’attenzione, quella in cui i soggetti sono più carenti è l’uso sociale dell’attenzione: hanno un deficit nella capacità di condivisione di un interesse, ovvero non sono in grado di allineare la propria concentrazione con quella di qualcun altro (30).

INDICE

Criteri diagnostici per la diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico

La diagnosi clinica di Disturbo dello Spettro Autistico viene, ad oggi, formulata facendo riferimento alle due principali classificazioni dei disturbi mentali: il DSM, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) e l’ICD, International Classification of Diseases (Classificazione Internazionale dei Disturbi e delle Malattie) (2).

Nel DSM-V, ultima edizione del manuale, redatta dall’American Psychiatric Association (APA, 2013), il Disturbo dello Spettro Autistico è inserito all’interno dei Disturbi del Neurosviluppo (Neurodevelopmental Disorders-ND).

In particolare, nel DSM-V, tale disturbo è definito da alcune caratteristiche essenziali, quali: “La compromissione persistente della comunicazione sociale reciproca e dell’interazione sociale” (CRITERIO A) ed un “Pattern di comportamento, interessi o

attività ristretti e ripetitivi” (CRITERIO B). Questi sintomi hanno esordio nella prima infanzia (CRITERIO C), causano una limitazione o una compromissione clinicamente significativa del funzionamento (CRITERIO D) e tali alterazioni non devono essere meglio spiegate da disabilità intellettiva o ritardo globale dello sviluppo (CRITERIO E) (23).

Nella tabella 1 vengono riassunti i criteri diagnostici del DSM-V per il Disturbo dello Spettro Autistico.

Tabella 1. Criteri Diagnostici per il Disturbo dello Spettro Autistico secondo il DSM-V.

Per porre diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico devono essere soddisfatti i

CRITERI A, B, C e D:

CRITERIO A: Deficit persistenti della comunicazione sociale e dell’interazione sociale in molteplici contesti, come manifestato dai seguenti fattori, presenti attualmente o nel passato:

  1. Deficit nella reciprocità socio-emotiva che vanno da un approccio sociale anomalo e fallimento della normale reciprocità della conversazione a una ridotta condivisione d’interessi, emozioni o sentimenti, fino all’incapacità di dare inizio o di rispondere a interazioni sociali.
  2. Deficit dei comportamenti comunicativi non verbali utilizzati per l’interazione sociale, che vanno da una comunicazione, verbale e non verbale, scarsamente integrata, ad anomalie del contatto visivo e del linguaggio del corpo o deficit della comprensione e dell’uso dei gesti, fino a una totale mancanza di espressività facciale e di comunicazione non verbale.
  3. Deficit dello sviluppo, della gestione e della comprensione delle relazioni, che vanno dalle difficoltà di adattare il comportamento per adeguarsi a diversi contesti sociali alle difficoltà di condividere un gioco di immaginazione o di fare amicizia, fino all’assenza di interesse verso i coetanei.

CRITERIO B: Pattern di comportamento, interessi o attività ristretti, ripetitivi, come manifestato da almeno due dei seguenti fattori, presenti attualmente o nel passato:

  1. Linguaggio e/o movimenti motori e/o uso di oggetti stereotipato e/o ripetitivo: come semplici stereotipie motorie, ecolalia, uso ripetitivo di oggetti, frasi idiosincratiche.
  2. Insistenza nella sameness (immodificabilità), aderenza alla routine, priva di flessibilità o rituali di comportamento verbale o non   verbale: come l’estremo disagio davanti a piccoli cambiamenti, difficoltà nelle fasi di transizione, schemi di pensiero rigidi, saluti rituali, necessità di percorrere la stessa strada o mangiare lo stesso cibo.
  3. Interessi molto limitati, fissi che sono anomali per intensità o profondità: forte attaccamento o preoccupazione di oggetti insoliti, interessi eccessivamente circoscritti o perseverativi.
  4. Iper- o iporeattività in risposta a stimoli sensoriali o interessi insoliti verso aspetti sensoriali dell’ambiente: come l’apparente indifferenza a dolore/temperatura, reazione di avversione nei confronti di suoni o consistenze tattili specifici, annusare o toccare oggetti in modo eccessivo, essere affascinati da luci o da movimenti.

CRITERIO C: I sintomi devono essere presenti nel periodo precoce dello sviluppo, ma possono non manifestarsi pienamente finché la domanda sociale non eccede il limite delle capacità sociali o fino a quando possono essere smascherati da strategie, apprese in età successiva.

CRITERIO D: I sintomi causano compromissione clinicamente significativa del funzionamento quotidiano.

CRITERIO E: Queste alterazioni non sono meglio spiegate da disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) o da ritardo globale dello sviluppo. La disabilità intellettiva e il disturbo dello spettro dell’autismo spesso sono presenti in concomitanza; per porre diagnosi di comorbidità di disturbo dello spettro dell’autismo e di disabilità intellettiva, il livello di comunicazione sociale deve essere inferiore rispetto a quanto atteso per il livello di sviluppo generale.

Un ulteriore e fondamentale criterio di valutazione che è proposto dal DSM-V per l’autismo è il livello di gravità attuale e di supporto richiesto, suddiviso su 3 livelli. Questi descrivono il grado di compromissione tramite la descrizione delle due dimensioni principali (Criteri A e B), con la consapevolezza che la gravità può variare nei diversi contesti o oscillare nel tempo (si veda Tabella 2) (23).

Tabella 2. Livelli di gravità del Disturbo dello Spettro Autistico secondo il DSM-V.

LIVELLO DI

 

GRAVITA’

COMUNICAZIONE

 

SOCIALE

COMPORTAMENTI

 

RISTRETTI, RIPETITIVI

LIVELLO 3

 

“Necessario supporto molto significativo”

Gravi deficit delle abilità

 

di comunicazione sociale, verbale e non verbale, causano gravi compromissioni del funzionamento, avvio molto limitato delle interazioni sociali e reazioni minime alle aperture sociali da parte di altri.

Inflessibilità di

 

comportamento, estrema difficoltà nell’affrontare il cambiamento o altri comportamenti ristretti/ripetitivi interferiscono in modo marcato con tutte le aree del funzionamento. Grande disagio/difficoltà nel modificare l’oggetto dell’attenzione o l’azione.

LIVELLO 2

 

“Necessario supporto significativo”

 

Deficit marcati delle

 

abilità di comunicazione sociale verbale e non verbale; compromissioni sociali visibili anche in presenza di supporto; avvio limitato delle

interazioni sociali; reazioni ridotte o anomale alle aperture sociali da parte di altri.

Inflessibilità di

 

comportamento, difficoltà nell’affrontare i cambiamenti o altri comportamenti ristretti/ripetitivi sono sufficientemente frequenti da essere evidenti ad un osservatore casuale e interferiscono con il

 

funzionamento in diversi contesti. Disagio/difficoltà nel modificare l’oggetto dell’attenzione o l’azione.

LIVELLO 1

 

“Necessario un supporto”

In assenza di supporto, i

 

deficit della comunicazione sociale causano notevoli compromissioni. Difficoltà ad avere le interazioni sociali e chiari esempi di risposte atipiche o infruttuose alle aperture sociali da parte di altri. L’individuo può mostrare un interesse ridotto per le interazioni sociali.

L’inflessibilità di

 

comportamento causa interferenze significative con il funzionamento in uno o più contesti. Difficoltà nel

passare da un’attività all’altra. i problemi nell’organizzazione e nella pianificazione ostacolano l’indipendenza.

L’iCD-10, invece, è una classificazione internazionale di tutte le malattie, curata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità, 1995) che contiene una sezione dedicata ai disturbi psichiatrici e, come già affermato in precedenza, rappresenta un altro strumento molto utilizzato per la diagnosi di autismo.

L’ICD-10, nei criteri diagnostici, è molto simile alle precedenti versioni del DSM, in particolare, è considerato il corrispettivo europeo del DSM-IV.

Nell’ICD-10 l’autismo infantile (codice di classificazione F84.0) viene inserito all’interno del gruppo delle “Sindromi da alterazione  globale dello sviluppo psicologico” al quale appartengono anche l’autismo atipico, la Sindrome di Rett, la Sindrome disintegrativa dell’infanzia di altro tipo, la Sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati, la Sindrome di Asperger, altre Sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico e la Sindrome non specificata da alterazione globale dello sviluppo.

Nella tabella 3 vengono riassunti i criteri diagnostici per la diagnosi di Autismo, secondo l’ICD-10.

Tabella 3. Criteri diagnostici per la diagnosi di Autismo secondo l’ICD-10

Per porre diagnosi di Autismo, deve essere presente uno sviluppo anormale o compromesso, che si manifesta prima dei 3 anni, in ALMENO UNA delle SEGUENTI AREE

AREA 1. Compromissione qualitativa dell’interazione sociale che si manifesta con almeno due dei seguenti sintomi:

  • a) Marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee, i gesti che regolano l’interazione sociale.
  • b) Incapacità di sviluppare relazioni coi coetanei adeguate al livello di sviluppo.
  • c) Mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone.
  • d) Mancanza di reciprocità sociale o emotiva.

AREA 2. Compromissione qualitativa della comunicazione che si manifesta con almeno uno dei seguenti sintomi:

  • a) Ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio verbale che non è accompagnato da un tentativo di compensazione attraverso l’uso di gesti o della mimica come modalità di comunicazione
  • b) In soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri
  • c) Uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo, o linguaggio eccentrico
  • d) Mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi d’imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo

AREA 3. Modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati che si manifesta con almeno uno dei seguenti sintomi:

  • a) Dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti, ripetitivi e stereotipati
  • b) Sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici
  • c) Manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo o complessi movimenti di tutto il corpo)
  • d) Persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti (iperselettività dello stimolo)

Fino all’adozione del DSM-V le due principali classificazioni internazionali dei disturbi mentali, il DSM e l’ICD, coincidevano sostanzialmente nei criteri diagnostici.

Il DSM-V si discosta dall’edizione precedente (DSM-IV) e quindi anche dall’ICD-10 che nei criteri diagnostici per i disturbi dello spettro autistico, definiti “Disturbi Pervasivi dello Sviluppo”, si sovrappone al DSM-IV.

Le principali differenze tra le due classificazioni internazionali sono riassunte nella Tabella 4.

Tabella 4. Differenze tra ICD-10 e DSM-V

ICD-10 DSM-V
  1. In tale classificazione si parla di “Disturbi Pervasivi dello sviluppo” che si distinguono in: Disturbo autistico, disturbo di Asperger, disturbo disintegrativo della fanciullezza, disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato e sindrome di Rett.
  2. In questo, il “disturbo della comunicazione sociale” non appartiene ai disturbi pervasivi dello sviluppo.
  3. Non viene indicata la gravità della sintomatologia del disturbo.
  4. In tale classificazione si parla di “menomazione della reciprocità sociale”, “menomazione del linguaggio/comunicazione”, “repertori ristretti e ripetitivi di interessi/attività”. Ognuna di queste tre categorie comprende quattro sintomi. Per compiere diagnosi di “disturbo pervasivo dello sviluppo” è necessario che siano presenti almeno sei sintomi, di cui almeno due nella prima categoria (menomazione della reciprocità sociale) e almeno uno per ciascuna delle altre due categorie.
  5. L’esordio dei sintomi avviene entro i 36 mesi ) Se il bambino presenta sintomi aggiuntivi sufficienti a rientrare nei criteri diagnostici di un altro disturbo, non è possibile assegnare una doppia diagnosi.
  1. Tutti i sottotipi che nell’ICD-10 appartengono ai Disturbi pervasivi dello sviluppo, in tale manuale sono stati riuniti in un'unica categoria denominata “Disturbi dello Spettro Autistico”, ad eccezione della Sindrome di Rett che appartiene ai disturbi neurologici.
  2. Viene introdotto il “disturbo della comunicazione sociale” le cui caratteristiche si sovrappongono parzialmente con i disturbi dello spettro autistico.
  3. Viene introdotta la necessità di indicare la gravità della sintomatologia del disturbo dello spettro autistico su una scala di tre punti.
  4. Le categorie dei sintomi sono ridotte a due: deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale, comportamenti e/o interessi e/o attività ristrette e ripetitive. La diagnosi di “disturbo dello spettro autistico” richiede la presenza di almeno tre sintomi nella categoria “ dei deficit della comunicazione sociale” e di almeno due sintomi in quella dei “comportamenti ripetitivi”.
  5. L’esordio dei sintomi avviene nella prima infanzia.
  6. Se il bambino presenta sintomi aggiuntivi sufficienti a rientrare nei criteri diagnostici di un altro disturbo, è possibile assegnare una doppia diagnosi.
  7. Viene eliminato il “ritardo/menomazione del linguaggio” fra i sintomi necessari alla diagnosi e viene introdotta, come sintomatologia compresa tra i “comportamenti ripetitivi”, la “sensibilità insolita agli stimoli sensoriali”.

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Diagnosi differenziale e comorbidità

La principale caratteristica clinica del Disturbo dello Spettro Autistico è rappresentata dall’estrema eterogeneità nell’espressione dei sintomi in associazione con la frequente comorbidità di condizioni mediche o genetiche (23,28,30).

Per questo motivo, fare una diagnosi di autismo, soprattutto in età molto precoce, è un aspetto critico poiché, in molte occasioni, è facile scambiare per autismo altre patologie quali ad esempio la disabilità intellettiva, i disturbi del linguaggio e il disturbo della comunicazione sociale, il disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività, la sindrome di Rett, la schizofrenia e i disturbi di carattere sensoriale come quelli uditivi e visivi (23,28,30).

  • Autismo e disabilità intellettiva: anche se è vero che nel 70% dei soggetti con autismo è presente disabilità intellettiva di diverso grado (circa il 30% di grado lieve-medio, mentre il 40% di grado moderato), è la sua qualità che differisce da quella della disabilità intellettiva di altra natura (23,30). In particolare, i bambini, con disabilità intellettiva senza autismo, mettono spesso in atto stereotipie semplici che però non dominano il loro schema generale di attività, come accade, invece, nei bambini con autismo (23,30).
  • Autismo e disturbi del linguaggio/disturbi della comunicazione sociale: in alcune forme di disturbo del linguaggio, ci possono essere problemi di comunicazione e alcune difficoltà sociali secondarie (23,30). Tuttavia, un disturbo specifico del linguaggio non è di solito associato a comunicazione non verbale anomala, né alla presenza di pattern di comportamento, interessi o attività ristrette, ripetitive (23,30)
  • Autismo e disturbo da deficit di attenzione/iperattività: anomalie di attenzione sono comuni nei soggetti con autismo, com’è comune l’iperattività (23,30). Nell’autismo è presente anche un’iperselettività dello stimolo con focus sui dettagli, i disturbi attentivi dell’ADHD4 sono maggiormente caratterizzati da goffaggine e deficit di controllo motorio e della percezione (23,30).
  • Autismo e Sindrome di Rett: un’alterazione dell’interazione sociale può essere osservata durante la fase di regressione della sindrome di Rett (tra 1 e 4 anni) (23,30). Tuttavia, dopo questo periodo, la maggior parte degli individui con sindrome di Rett migliora le abilità di comunicazione e i tratti autistici smettono di rappresentare una grande preoccupazione (23,30).
  • Autismo e mutismo selettivo: nel mutismo selettivo il primo periodo dello sviluppo non è generalmente alterato; anche successivamente alla sua comparsa, negli ambienti in cui il bambino è muto, la reciprocità sociale non è compromessa e non sono presenti pattern di comportamento ristretti o ripetitivi; tali caratteristiche lo differenziano dall’autismo (23,30).
  • Autismo e schizofrenia: la schizofrenia si presenta dopo un periodo di sviluppo normale o quasi normale del soggetto (23,30). La presenza di allucinazioni e deliri, caratteristiche definitorie della schizofrenia, la distinguono dal disturbo dello spettro autistico in cui  questi non sono presenti (23,30).
  • Autismo e disturbi sensoriali (uditivi e visivi): per fare diagnosi differenziale tra questi disturbi occorre compiere esami strumentali approfonditi che permettano di distinguere la presenza di un danno uditivo- visivo di natura organica da disturbi sensoriali legati al disturbo dello spettro autistico (30).

Per quanto riguarda le comorbidità, il Disturbo dello Spettro Autistico è frequentemente associato alla disabilità intellettiva e ai disturbi del linguaggio. In particolare il 70% dei soggetti con Disturbo dello Spettro Autistico ha, almeno, un altro disturbo psichiatrico e il 40% ne ha due o più (23). Si è osservato che circa il 10% dei soggetti con Disturbo dello Spettro Autistico presenta alterazioni genetiche, in particolare la Sindrome dell’X- Fragile (2-6%) e Sclerosi Tuberosa (31,32,33). È abbastanza elevato anche il numero di soggetti autistici che soffre di crisi epilettiche: la loro percentuale si aggira intorno al 20-40% e si riscontrano soprattutto negli individui che presentano disabilità intellettiva (in particolare quando il QI < 50) e con sindromi genetiche (23).

Matson & Cervantes (2014) hanno osservato che il 30% circa dei bambini con autismo presenta un disturbo da Deficit dell’Attenzione e dell’Iperattività. Inoltre, possono essere presenti disregolazioni del sistema immunitario, sintomi gastrointestinali, difficoltà di alimentazione e disturbi del sonno (23). Altri disturbi frequentemente associati sono: condotte dirompenti e oppositive (che si registrano soprattutto nei bambini e negli adolescenti); disturbi d’ansia, che si manifestano soprattutto nel passaggio da un’attività all’altra, quando vengono interrotti comportamenti ripetitivi o quando il bambino si trova a dover tollerare stimoli ambientali o cambiamenti di routine (23). Spesso si riscontra anche depressione, la quale è difficile da diagnosticare, in quanto, i sintomi depressivi variano in base alle abilità cognitive e linguistiche; sono presenti, in molti casi, anche difficoltà di apprendimento o deficit di sviluppo della coordinazione (23).

Un’altra caratteristica che può manifestarsi è la catatonia, che si trova tra gli specificatori nel DSM-V ed è considerata un disordine primario, piuttosto che un sintomo di un disturbo dell’umore o psicotico. Infine, le persone con autismo spesso presentano maggiori difficoltà comportamentali come aggressività, distruttività, iperattività e autolesionismo (23,33).

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Etiopatogenesi

In questo momento, la comunità scientifica non è ancora riuscita a individuare quali siano le cause certe alla base del Disturbo dello Spettro Autistico (6). Per tale motivo, attualmente, si pensa che l’autismo abbia un’origine multifattoriale, all’interno della quale le alterazioni genetiche avrebbero un ruolo principale, ma allo stesso tempo verrebbero favorite o amplificate nella loro espressione da altri fattori ambientali, sia di natura biologica, che di natura esperienziale e psicologica, con grande variabilità da una persona all’altra (6,19).

L’interazione tra gli elementi genetici e i fattori esterni di varia natura, darebbe luogo ad alterazioni strutturali e funzionali del sistema nervoso centrale sin dalla vita intrauterina e con uno sviluppo più o meno rapido e marcato (6,19).

Nel corso del tempo sono stati compiuti numerosi studi che hanno permesso di ottenere risultati scientifici anche consistenti. A oggi i contributi della letteratura disponibili a riguardo, possono essere organizzati in tre aree di ricerca distinte (6,19):

  • Fattori causali (=etiologia);
  • Basi neurobiologiche (=anatomia patologica, in altre parole, le strutture biologiche e la loro organizzazione funzionale);
  • Modelli interpretativi della clinica (=patogenesi);

Fattori causali

Fattori genetici

L’importanza dei fattori genetici è nata negli anni Settanta-Ottanta con gli studi di Rutter, condotti su gemelli monozigoti e dizigoti, che hanno portato ad ottenere risultati a favore dell’esistenza di una base genetica nell’autismo. La ricerca sulle cause genetiche dell’autismo non si è, poi, più mai fermata e in particolare negli ultimi anni ha condotto a un numero elevato di prove che dimostrano l’importanza delle alterazioni genetiche nella genesi dell’autismo (19). Nel 2011 Schaaf & Zoghbi osservarono la presenza di mutazioni e altre anomalie del DNA in circa 1/5 dei soggetti con autismo studiati, mentre in altri studi si osservò come i gemelli omozigoti sviluppassero entrambi il disturbo in una percentuale di casi compresa tra il 60% ed il 90% oltre che la presenza abituale di sintomi autistici in molte sindromi genetiche (X-fragile, Sindrome di Rett, sclerosi tuberosa, fenilchetonuria o rosolia congenita).

Molti dei geni alterati contengono informazioni per la produzione di proteine coinvolte nella formazione di dendriti e sinapsi, ovvero quelle strutture attraverso le quali i neuroni si connettono tra loro e attraverso le quali si scambiano informazioni chimiche (6,19).

La neuroplasticità5di cui sono dotate queste strutture di connessione è fondamentale per il buon funzionamento del cervello: permette la determinazione del movimento delle varie parti del corpo, l’integrazione degli stimoli inviati dall’ambiente esterno mediante organi di senso e favorisce le capacità di apprendimento e quelle emozionali (6,19).

Le alterazioni genetiche associate all’autismo sono numerose, riguardano quasi l’intera totalità dei cromosomi e possono manifestarsi sotto forme diverse: possono esserci alterazioni del numero dei cromosomi, alterazioni della forma, variazioni del numero di ripetizioni di sequenze genetiche e alterazioni di un singolo gene (6,19). Alcune di queste alterazioni sono ereditate; altre sono trasmesse dai genitori, a causa di alterazioni nella produzione di spermatozoi o di ovociti, anche in relazione alla loro età biologica; altre ancora si verificano dopo il concepimento (ex novo), anche in fasi avanzate dello sviluppo intrauterino del cervello e in riferimento ad aree limitate (6,19).

Fattori ambientali

Anche i fattori ambientali, che nel corso del tempo sono stati associati all’insorgenza del Disturbo dello Spettro autistico, sono numerosi. Questi vengono, normalmente, distinti in prenatali, perinatali e postnatali.

  • Fattori prenatali:  tra i fattori ambientali biologici prenatali, quelli maggiormente trattati in letteratura scientifica, sono le infezioni, in particolare quelle da virus neurotropi, problemi allergici o autoimmunitari, i problemi endocrinologici, il diabete gestazionale, l’eccesso di testosterone nel liquido amniotico, la minaccia d’aborto e l’emorragia pre-parto (6,19).
  • Fattori perinatali: questi sono rappresentati, in particolare, da problemi ostetrici, come la durata anomala della gestazione, l’induzione farmacologica del parto, il basso peso alla nascita e l’asfissia perinatale (6,19). I bambini che nascono prima delle 28 settimane di età gestazionale, hanno un maggior rischio di sviluppare problemi neuropsichici ed il rischio rimane alto fino alle 33 settimane di età gestazionale se consideriamo il Disturbo Autistico (6,19). Attualmente, la ricerca scientifica, sta ancora approfondendo il ruolo delle alterazioni del microbioma intestinale, dell’uso di ossitocina sintetica per indurre o stimolare il parto, dell’eccessiva produzioni di ormoni dello stress (in particolare l’ormone per il rilascio della corticotropina) e di derivati della riduzione dell’ossigeno (6,19).
  • Fattori postnatali: essi sono numerosi e molto eterogenei. Tra questi è possibile trovare, la rottura dell’equilibrio tra la produzione e l’eliminazione di sostanze ossidanti (dannose per le cellule nervose), le anomalie di sviluppo dell’amigdala, il deficit di vitamina D, i metalli pesanti, l’aumento della permeabilità intestinale dovuta alla tossicità alimentare e i vaccini (6,19). Per tutti questi fattori, però, non ci sono ancora prove scientifiche che attestino che questi siano effettivamente causa dell’autismo (6,19). Lo stesso Istituto Superiore di Sanità ha recentemente ribadito l’assoluta mancanza d’evidenza scientifica sulla possibilità che i vaccini possano causare autismo; sono state invece reperite valide indicazioni scientifiche su un possibile incremento del rischio legato ad alcune malattie autoimmuni e infezioni virali (6,19).

Basi neurobiologiche

Si tratta dell’area di ricerca volta ad individuare strutture anatomiche e/o circuiti disfunzionali coinvolti nella genesi del quadro clinico-comportamentale (6,19).

Mediante l’utilizzo di strumenti di neuroimaging si è potuto compiere uno studio sullo sviluppo anatomico cerebrale e della connettività neurale, ottenendo, quindi, informazioni sulla struttura del cervello delle persone autistiche (6,19). Gli studi con risonanza magnetica strutturale hanno evidenziato uno sviluppo precoce e accelerato del cervello, sia della sostanza grigia sia di quella bianca, e della circonferenza cranica in circa il 20% dei bambini con autismo, rilevabile già nella prima infanzia e stimabile nella misura del 5-10% del volume cerebrale totale (6,19). Quest’accelerazione, riguarda soprattutto alcune strutture cerebrali, si manifesta dal primo anno di vita e raggiunge il suo picco intorno ai 2-4 anni, seguita poi da una graduale riduzione, fino a raggiungere nuovamente le dimensioni normali alla fine dell’adolescenza (6,19). Gli studi morfologici hanno rilevato anomalie in diverse strutture della corteccia quali il lobo prefrontale, dorsolaterale, parietale superiore, a livello del solco intraparietale, dell’insula, del giro cingolato-anteriore, dell’amigdala e del nucleo caudato (6,19). Diverse ricerche con risonanza magnetica hanno permesso di individuare, anche, alcune aree cerebrali, che negli individui con autismo presentano una minore attività, come per esempio il corpo calloso, il giro del cingolo, il fascicolo longitudinale superiore, la giunzione temporo-parietale, aree della corteccia orbito- frontale e del cervelletto; tali aree sono state ripetutamente associate a funzioni cognitive e motorie molto complesse (attenzione, memoria di lavoro, coordinamento muscolare o inibizione) (6,19). Infine, s’ipotizza con una certa attendibilità, che anomalie quantitative e qualitative a livello recettoriale o nei neurotrasmettitori attivi nel sistema fronto-striatale possano essere coinvolti nel determinismo del Disturbo Autistico (6,19).

Modelli interpretativi della clinica

Nel corso degli ultimi anni le ipotesi interpretative prese maggiormente in considerazione, rientrano nei seguenti modelli:

  • Teoria socio-affettiva: essa parte dal presupposto che l’essere umano nasca con una predisposizione innata a interagire con l’altro (19). E’ qualcosa che appartiene al corredo genetico del bambino e viene definito come “empatia non inferenziale” o “intersoggettività primaria” (19). Secondo tale teoria, quindi, esisterebbe nell’autismo un’innata incapacità, geneticamente determinata, di interagire emozionalmente con l’altro (19). Essa, a sua volta, porterebbe a un’incapacità di imparare a riconoscere gli stati mentali degli altri, alla compromissione dei processi di simbolizzazione, al deficit del linguaggio o di cognizione sociale (19).
  • Deficit della teoria della mente: per Teoria della Mente s’intende la capacità di riflettere sulle emozioni, sui desideri e sulle credenze proprie ed altrui e di comprendere il comportamento degli altri in rapporto non solo a quello che ciascuno di noi sente, desidera o conosce, ma in rapporto a quello che ciascuno di noi pensa che l’altro senta, desideri o conosca (19). Secondo quest’approccio, l’autismo sarebbe legato ad un’incapacità del bambino di accedere ad una Teoria della Mente, rimanendo in uno stato di cecità mentale (19). Il bambino autistico sarebbe, quindi, incapace di comprendere e riflettere sugli stati mentali propri ed altrui e, di conseguenza, di comprendere e prevedere il comportamento degli altri (19).
  • Debolezza della Coerenza centrale: la coerenza centrale è intesa come quella capacità di sintetizzare in un tutto coerente le molteplici esperienze parcellari che investono i nostri sensi (19). Una “debolezza” in tale capacità porta il bambino autistico a rimanere ancorato a dati esperienziali frazionati, con un’incapacità di cogliere il significato di uno stimolo nel suo complesso; tale debolezza non si manifesta solo di fronte agli stimoli sociali, ma in generale di fronte a qualsiasi dato esperienziale (19).
  • Deficit delle funzioni esecutive: per funzioni esecutive s’intendono una serie di abilità che sono fondamentali per l’organizzazione e la pianificazione dei comportamenti da mettere in atto per risolvere problemi (19). Molti dei comportamenti autistici sarebbero espressione di un deficit di tali abilità (ad esempio: l’impulsività dovuta all’incapacità di inibire le risposte inappropriate, l’iperselettività dovuta all’incapacità di cogliere il tutto senza soffermarsi sul singolo particolare…) (19). Anche tale modello, individua nell’autismo, un deficit cognitivo generale e non limitato agli stimoli sociali (19).

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Epidemiologia

L’autismo non sembra presentare delle prevalenze geografiche e/o etniche poiché è stato descritto in tutte le popolazioni del mondo, in ogni razza o ambiente sociale; presenta, invece, una prevalenza di genere, in quanto, viene diagnosticato nei maschi da 2.5 a 4 volte di più rispetto alle femmine, soprattutto per quanto riguarda alcuni sottotipi, come la Sindrome di Asperger (6).

Negli anni Sessanta, la prevalenza della diagnosi di Autismo più alta, reperibile in letteratura, era di 5 persone su 10.000; da allora si è assistito ad un incremento progressivo del disturbo (6).

Nel 2016 il Ministero della Salute ha dato mandato all’ISS6 di effettuare uno studio epidemiologico relativo ai Disturbi dello Spettro Autistico, condotto in collaborazione con un network europeo. L’ISS, infatti, fa parte del progetto Europeo “Autism Spectrum Disorders in the European Union” (ASDEU) che è stato creato con lo scopo di istituire un network di 12 paesi per effettuare uno studio epidemiologico sulla prevalenza del Disturbo dello Spettro Autistico in Europa. Per quanto concerne l’Italia, prima dell’inizio del progetto di ricerca “Osservatorio Autismo” le uniche stime di prevalenza disponibili provenivano dal Piemonte e dall’Emilia Romagna e si attestavano rispettivamente sui valori di 1:238 e 1:357 nella fascia d’età della scuola primaria (6-10 anni).

Tra il 2016 e il 2018 è stato svolto il primo studio epidemiologico italiano, il quale ha coinvolto più di 10000 bambini tra i 7-9 anni (34).

Nel 2018 arrivarono i dati dell’Osservatorio Nazionale per il monitoraggio dei Disturbi dello Spettro Autistico in Italia, i quali attestavano che un bambino su 77 era colpito dal disturbo, dunque più di 1 persona su 100, con i maschi colpiti 4 volte di più che le femmine; se poi venivano considerate tutte le condizioni cliniche incluse nella diagnosi riformulata, secondo i criteri del DSM-V, di Disturbo dello Spettro Autistico, i numeri accrescevano ancor di più (6,35).

Negli Stati Uniti, secondo il Center for Disease Control (CDC) l’incidenza del disturbo è di 1 bambino su 68 ed è in forte crescita in quanto nel 2000 era di 1 bambino su 150. Dagli ultimi dati ricavati dai sistemi informativi sulla presa in carico da parte dei servizi di neuropsichiatria infantile delle regioni Piemonte ed Emilia Romagna, che sono tra i più precisi a livello nazionale, la prevalenza di diagnosi in queste due regioni è rispettivamente di 38 minori su 10.000 e 22 minori su 10.000 nella fascia 0-17 anni. Dall’analisi dei dati circa la prevalenza di diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico, in relazione alle diverse fasce di età, per entrambe le regioni si conferma un progressivo abbassamento dell’età di prima diagnosi (36).

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Prognosi

Il bambino con diagnosi di autismo cresce con il suo disturbo, anche se con il passare del tempo, è in grado di acquisire nuove competenze le quali però vengono adattate al disturbo e quindi avranno sempre comunque una qualità “autistica” (19). La prognosi è fortemente influenzata dal grado di funzionamento cognitivo del bambino, che rappresenta l’elemento più importante per capire e definire come sarà lo sviluppo futuro del soggetto (19).

I bambini che acquisiscono il linguaggio entro i 5 anni di età sembrano avere una prognosi più favorevole, anche se lo stesso linguaggio (sia per quanto concerne la produzione che per quanto concerne la comprensione), è fortemente influenzato dal livello di funzionamento cognitivo del soggetto (19).

In particolare, la pervasività della diade sintomatologica che caratterizza il soggetto autistico e l’andamento cronico del quadro patologico determinano nell’età adulta condizioni di disabilità, con gravi limitazioni nelle autonomie e nel funzionamento sociale (19). Sono moltissimi (60-90%) i bambini autistici che divenuti adulti continuano ad essere non autosufficienti ed hanno bisogno di un importante supporto. Un numero molto minore di soggetti autistici (15-20%) è invece in grado di vivere e lavorare all’interno della comunità, con vari gradi d’indipendenza (19). Alcune persone con autismo possono arrivare, anche, a condurre una vita normale o quasi normale (19).

 

Revisione della letteratura

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La ricerca bibliografica è stata eseguita nel periodo compreso tra Gennaio 2020 e Maggio 2020 mediante l’utilizzo delle principali banche dati biomediche, quali PUBMED e CINHAL.

In un primo momento è stata condotta una ricerca più generale sull’argomento “Disturbo dello Spettro Autistico”, con lo scopo di approfondire maggiormente la materia ed ottenere informazioni utili per la stesura del primo capitolo della tesi; in seguito, sono stati condotti degli approfondimenti sulla base del quesito di ricerca.

 

Quesito di Ricerca

Dall’osservazione dei bambini con disturbo dello spettro autistico, incontrati nel corso del tirocinio eseguito durante il mio percorso universitario, è emerso come in questi soggetti siano spesso presenti delle difficoltà motorie e vi sia una migliore elaborazione delle informazioni presentate in forma visiva piuttosto che in quella verbale. Tali constatazioni sono state, in seguito, anche confermate dalla letteratura scientifica emersa attraverso la ricerca di background.

La ricerca bibliografica di foreground (quesito specifico) è stata dunque condotta con l’obiettivo di valutare ed esaminare le informazioni presenti in letteratura per ciò che concerne sia la correlazione tra il Disturbo dello spettro autistico e la presenza di difficoltà grosso e fino motorie, sia la migliore capacità di elaborazione delle informazioni visive rispetto a quelle verbali nei soggetti con autismo.

È stato pertanto analizzato lo scenario di lavoro mediante il metodo delle 5W e successivamente è stato formulato il quesito di ricerca attraverso il metodo PICO.

Si riportano entrambi qui di seguito.

  • WHAT: Esercizi di tipo prassico
  • WHO: Pazienti in età prescolare (3-6 anni) con Disturbo dello Spettro Autistico
  • WHY: Potenziare le abilità prassiche
  • HOW: Attraverso l’uso di strategie visive (PECS, storie sociali…)
  • WHERE: In un setting neuropsicomotorio adeguato e individualizzato
  • WHEN: In un ciclo di sedute presumibilmente di durata di 6 mesi (1-2 sedute a settimana)

 

  • P: pazienti in età prescolare (3-6 anni) con Disturbo dello Spettro Autistico
  • I: esercizi di tipo prassico mediati dall’uso di strategie visive
  • C: non è presente un gruppo di controllo
  • O: misurazione/valutazione delle abilità prassiche

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Obiettivo

Il progetto di tesi nasce con l’obiettivo di analizzare alcune strategie visive (storie sociali, PECS…), sulle quali sono presenti studi in letteratura, al fine di poter, in seguito, elaborare delle proposte operative, costruite sulla base delle informazioni ottenute mediante la ricerca bibliografica eseguita. Tali proposte hanno lo scopo di potenziare le abilità prassiche dei bambini con Disturbo dello Spettro Autistico in Età Prescolare. L’obiettivo nasce dal fatto che in letteratura sono presenti numerosi studi, circa questa patologia, i quali attestano che una percentuale rilevante di bambini con Disturbo dello Spettro Autistico presenta anche difficoltà motorie, principalmente a livello degli arti superiori. La scelta di utilizzare come strumento le strategie visive nasce, anch’essa, dalla consultazione e analisi di alcuni studi presenti in letteratura, nei quali si è osservato come la funzione visiva nei bambini con Disturbo dello Spettro Autistico costituisca un elemento di facilitazione nello svolgimento di determinati compiti.

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Metodologia

In questo paragrafo viene descritta la metodologia che è stata utilizzata per lo svolgimento della ricerca bibliografica al fine di reperire articoli, revisioni, trials e informazioni presenti in letteratura e fondamentali per la stesura della tesi.

Per la ricerca bibliografica sono state consultate le banche dati biomediche PUBMED e CINHAL.

In un primo momento si è deciso di condurre una ricerca di carattere generale sulla possibile correlazione tra il disturbo dello spettro autistico e i disturbi motori. A proposito di ciò si sono quindi individuate le parole chiave e i termini di tesauro da utilizzare all’interno della stringa di ricerca. In particolare, le parole chiave scelte sono state: disturbi delle abilità motorie (motor skills disorders), disturbo dello spettro autistico (autism spectrum disorders) e bambini (child/infanti). I vari termini presi in considerazione sono stati, in seguito, legati tra di loro attraverso gli operatori booleani AND, OR; si è deciso di non utilizzare l’operatore booleano NOT poiché poco significativo per tale ricerca bibliografica  in quanto avrebbe potuto portare all’esclusione di articoli probabilmente pertinenti. Nella stringa di ricerca, si è scelto, per le parole chiave considerate, di inserire anche dei termini sinonimi in modo da ampliare la ricerca e racchiudere in essa anche articoli che utilizzano termini differenti rispetto a quelli principali.

La stringa di ricerca utilizzata è stata quindi: ("Motor Skills Disorders"[Mesh] OR motor skills-disorder* OR Developmental-Coordination-Disorder* OR motor-abilities- disorder*) AND ("Autism Spectrum Disorder"[Mesh] OR (Autism OR autistic) AND spectrum) AND ("Child"[Mesh] OR "Infant"[Mesh] OR child* OR kid* OR paediatr* OR pediatr* OR infant*). Tale stringa di ricerca è stata lanciata sulla banca dati PUBMED, dando origine a 197 risultati.

I risultati ottenuti sono apparsi spesso poco pertinenti e riguardanti campioni di popolazione con disturbo dello spettro autistico appartenenti ad una fascia d’età diversa rispetto a quella presa in considerazione nella tesi (bambini in età prescolare). Per tale motivo si è deciso di scartare tale stringa poiché considerata poco specifica. È stata, quindi, creata una nuova stringa, limitando il campo della ricerca ad un campione di bambini con disturbo dello spettro autistico ed avente età prescolare, in modo da ottenere informazioni più specifiche e pertinenti. È stato sostituito il termine generico “infant/child” con un termine più specifico “child preschool”. La stringa di ricerca lanciata su PUBMED è diventata quindi: (((((("Motor Skills Disorders"[Mesh] OR motor-skills-disorder* OR Developmental-Coordination-Disorder* )))))) AND (("Autism Spectrum Disorder"[Mesh] OR ((Autism OR autistic) AND spectrum)))) AND ("Child, Preschool"[Mesh] OR preschool-child*) ed ha prodotto 82 risultati.

La medesima stringa di ricerca è stata in seguito lanciata anche sulla banca dati CHINAL dando origine a 49 risultati.

Infine, è stata condotta una ricerca sull’uso di strumenti visivi nei bambini con disturbo dello spettro autistico in età prescolare. Le parole chiave individuate per tale ricerca sono state: strumenti visivi (visual tools), disturbo dello spettro autistico (autism spectrum disorders) e bambini prescolari (child preschool). I vari termini sono stati nuovamente legati tra di loro mediante gli operatori booleani OR, AND, dando origine a tale stringa di ricerca: ("Visual tool*”[Mesh] OR Picture Exchange Communication System OR PECS OR social stories) AND ("Autism Spectrum Disorder"[Mesh] OR Autis*) AND("Child, Preschool"[Mesh] OR preschool-child*). Essa è stata lanciata sia sulla banca dati PUBMED dando origine a 82 risultati, sia sulla banca dati CINHAL dando origine a 56 risultati.

I risultati ottenuti dalle diverse ricerche sono stati molto utili al fine di ottenere informazioni importanti circa l’argomento della tesi. È stato molto utile, inoltre, interrogare banche dati differenti in modo da poter confrontare i diversi articoli trovati ed avere risultati e informazioni più pertinenti circa l’argomento in questione.

Di seguito viene riprodotta la tabella contenente le stringhe di ricerca che sono state lanciate nelle banche dati biomediche precedentemente citate ed utilizzate per reperire il materiale e le informazioni ottenute.

Tabella 5: Stringhe di ricerca bibliografica su banche dati

BANCA

 

DATI

STRINGA DI RICERCA

RISULTATI

 

OTTENUTI

RISULTATI

 

PERTINENTI

PUBMED

(((((("Motor Skills

 

Disorders"[Mesh]  OR  motor- skills-disorder* OR Developmental-Coordination- Disorder*  )))))) AND (("Autism Spectrum Disorder"[Mesh] OR ((Autism OR autistic) AND spectrum)))) AND   ("Child, Preschool"[Mesh]  OR preschool-child*)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

82

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4

CINHAL

(((((("Motor  Skills  Disorders" OR motor-skills-disorder* OR Developmental-Coordination- Disorder*  )))))) AND (("Autism Spectrum Disorder" OR   ((Autism OR   autistic) AND spectrum)))) AND ("Child, Preschool" OR preschool-child*)

 

 

 

 

49 (senza filtro

 

MEDLINE)

 

12 ottenuti applicando il filtro MEDLINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4

PUBMED

("Visual    tool*”[Mesh]   OR

 

Picture Exchange Communication System OR PECS OR social stories) AND ("Autism Spectrum Disorder"[Mesh] OR Autis*) AND("Child,

Preschool"[Mesh]  OR

 

preschool-child*)

 

 

 

 

 

 

 

 

82

 

 

 

 

 

 

 

 

15

CINHAL

("Visual tool*”[Mesh] OR

 

Picture Exchange Communication System OR PECS OR social stories) AND ("Autism Spectrum Disorder"[Mesh] OR Autis*) AND("Child,

Preschool"[Mesh] OR

 

preschool-child*)

 

 

 

 

 

 

56 (senza filtro

 

MEDLINE)

 

27 ottenuti applicando il filtro MEDLINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6

Al fine di selezionare gli articoli pertinenti sono stati definiti alcuni criteri d’inclusione ed esclusione.

Criteri d’inclusione:

  • Presenza di full-text
  • Disponibilità in lingua inglese o italiana
  • Pubblicazione avvenuta negli ultimi 10 anni

Criteri di esclusione:

  • Studi che non prevedono correlazione tra autismo e disturbi delle abilità motorie
  • Studi riguardanti strategie visive utilizzate con patologie diverse dall’autismo

Per quanto concerne la ricerca circa la correlazione tra disturbo dello spettro autistico e disturbi motori, dalle due stringhe di ricerca si sono ottenuti 131 record totali. Su CINAHL è stato poi applicato il filtro MEDLINE in modo da poter rimuovere i record già ottenuti in precedenza con la stringa di PUBMED, evidenziando così la presenza di 37 articoli duplicati; i record totali quindi da sottoporre a screening di titolo ed abstract sono rimasti 94.

In particolare, da una valutazione primaria sono stati esclusi 86 articoli poiché non sono risultati pertinenti al quesito di ricerca in quanto non in linea con i criteri di inclusione ed esclusione stabiliti in precedenza. Gli articoli risultati quindi pertinenti al termine dell’analisi sono stati in numero di 8: 4 articoli reperiti dalla banca dati PUBMED e 4 dalla banca dati CINAHL.

Per quanto concerne, invece, la ricerca circa l’utilizzo di strumenti visivi da parte dei soggetti con disturbo dello spettro autistico in età prescolare, si sono ottenuti 138 record totali  dalle due stringhe di ricerca lanciate. Su CINAHL è stato nuovamente applicato il filtro MEDLINE in modo da poter rimuovere i record già ottenuti in precedenza con la stringa PUBMED, evidenziando così la presenza di 29 articoli duplicati; i record totali da sottoporre a screening di titolo e abstract sono risultati quindi 109.

In seguito è stata condotta una valutazione primaria degli articoli, la quale ha portato all’esclusione di 88 articoli poiché considerati non pertinenti al quesito di ricerca e non in linea con i criteri di inclusione ed esclusione stabiliti. Gli articoli quindi risultati pertinenti al termine dell’analisi sono stati 21: 15 articoli reperiti dalla banca dati PUBMED ed 6 articoli dalla banca dati CINAHL.

INDICE

Analisi dei dati

Gli articoli ottenuti e risultati pertinenti sono stati in seguito raccolti all’interno del programma informatico Mendeley, utilizzato per la gestione dei dati bibliografici e delle citazioni.

Qui di seguito, vengono quindi riportate due tabelle riassuntive in cui sono stati inseriti gli articoli ottenuti dalle due ricerche condotte e ritenuti pertinenti, con riferimento al titolo, agli autori, all’anno di pubblicazione e alla tipologia di studio. Gli articoli, in particolare, sono stati ordinati prendendo in considerazione come parametro di classificazione ‘l’anno di pubblicazione’, dal più recente al meno recente.

Tabella 6: Analisi della letteratura scientifica riguardante la prima ricerca bibliografica eseguita (correlazione disturbo dello spettro autistico- disturbi motori).

 

TITOLO

AUTORI

ANNO

TIPO

 

STUDIO

1

Is motor Impairment in Autism

Spectrum Disorder Distinct From Developmental Cordination Disorder? A report from SPARK study

Anjana

Narajan Bhat

2020

Studio

 

clinico

2

Movement- based interventions

for preschool- age children with, or at risk of motor impairment: a systematic review

Kate L

Cameron, Ree m A Albesher , Jennifer L McGinley , Ki m

Allison, Jeanie

L Y Cheong, Alicia J Spittle

2019

Revisione

sistematica

3

Communication deficits and the

 

motor system: Exploring patterns of

associations in autism spectrum disorder (ASD)

Mody,

M.; Shui, A.; Nowinski, L.; Golas,

S.; Ferron,

C.; O'Rourke, J.; McDougle, C.

2017

Article -

research, tables/charts

4

Three-Dimensional Kinematic

Analysis of Prehension Movements in Young Children with Autism Spectrum Disorde r: New Insights

on Motor Impairment.

Campione,

Giovanna; Piazza, Caterina; Villa, Laura; Molteni

, Massimo

 

2016

Article -

pictorial, research, tables/charts

5

Retrospective Analysis of Motor Development in

Infants at High and Low Risk for Autism Spectrum Disorder

Heathcock, Jill

C.; Tanner,

Kelly; Robson, Danielle; Youn g,

Robyn; Lane,

Alison E.

 

2015

Article - research,

tables/charts

6

Motor skills of toddlers with

autism spectrum disorders

Meghann

Lloyd, Megan MacDonald, C atherine Lord

 

2013

Studio

clinico

7

Motor impairment in sibling pairs and discordant for autism

spectrum disorders

Claudia List

Hilton,Yi

Zhang,Megan R Whilte, Cheryl L Klohr, John Constantino

 

2012

Studio clinico

8

Autism spectrum disorders and motor skills: The effect on socialization as measured by the Baby and Infant Screen for Children with

autism

Traits

Sipes, Megan; Matso n, Johnny

L.; Horovitz,

Max

 

2011

Article - research, tables/charts

Tabella 7: Analisi della letteratura scientifica riguardante la prima ricerca bibliografica eseguita (uso di strumenti visivi nei bambini con disturbo dello spettro autistico in età prescolare).

 

TITOLO

AUTORI

ANNO

TIPO

 

STUDIO

1

Autism Spectrum Social

Stories in Schools Trial 2

(ASSISTS2): study protocol for a randomised controlled trial analysing clinical and costeffectiveness of Social Stories™ in primary schools

Wright B, Teige C,

Watson J, Hodkinson R,

Marshall D, Varley D,

Allgar V, Manfrend

L,Parrot S, Kingsley E,

Hargate R, Mitchell N, Ali

S, McMillan

D, Wang H,

Hewitt C.

2020

RCT

2

Effectiveness

of Social Stories in Teaching Abduction-Prevention Skills to Children with Autism.

 

Kurt, Onur; Kutlu, Metehan

2019

Article -

research, tables/chart s

3

Robot-based play-drama intervention may improve the

narrative abilities Chinese speaking preschoolers with

autism spectrum disorder

So WC, Cheng

CH, Lam WY,

Wong T, Law WW, Haung Y, Ng KC, Tung HC, Wong W.

2019

 

 

 

 

 

 

Trial clinico

4

Effects of PECS on the Emergence of Vocal Mands and the Reduction of Aggressive Behavior Across Settings for

a Child With Autism.

 

Xiaoyi Hu; Lee, Gabrielle

2019

Article - case study, research, tables/chart s

5

Effectiveness of Social Stories

in Teachinf Abduction- Prevention Skills to Children with Autism

Kurt O. Kulu

M.

 

2019

Studio

 

clinico

6

Selection of words for implementation of the Picture

Exchange Comunication

System- PECS in non-verbal

autistic children

Ferreira C, Bevilacqua M,

Ishihara M, Fiori A,

Armonia A, Perissinoto J,

Tamanaha AC.

 

2017

Studio

 

clinico

7

Use of a Picture Exchange

Communication System for

preventive procedures in individuals with autism spectrum disorder: pilot study

Adriana

Gledys Zink ,

Michele Baffi Diniz , Maria Teresa Botti Rodrigues Dos Santos ,Renata Oliveira Guaré

2016

Studio

 

clinico

8

Picture Exchange Communicat

ion System and Pals: A Peer- Mediated Augmentative and Alternative Communication Int ervention for Minimally Verbal Preschoolers With Autism.

 

Thiemann- Bourque, Kathy; Brady, Nancy; McGuf f, Sara; Stump, Keenan; Naylo r, Amy

2016

Article -

case study, glossary, research, tables/chart s

9

Picture Exchange

Communication System and

Pals: A Peer-Mediated Augmentative and Alternative Communication Intervention for Minimally Verbal Preschoolers With Autism

Kathy

Thiemann-

Bourque , Nancy Brady

, Sara McGuff,

, Keenan

Stump , Amy

Naylor

 

2016

Studio

 

clinico

10

A Comparison of PECS and

iPad to Teach Requesting to

Pre-schoolers

with Autistic Spectrum

Disorders.

Agius MM,

Vance M.

2016

Studio

 

clinico

11

iPad-

presented social stories for young children with autism.

Vandermeer J,

Beamish W, Milford T, Lang W.

2015

Studio

 

clinico

12

Social Stories™ to alleviate

challenging behaviour and social difficulties exhibited by children with autism spectrum disorder in mainstream schools: design of a

manualised training toolkit and

feasibility study for a cluster randomised controlled trial with nested qualitative and

cost-effectiveness components

Wright B,

Marshall D, Adamson J, Ainsworth H, Ali S, Allgar V, Collingridge Moore D, Cook E, Dempster P, Hackney L, McMillan D, Trepél D, Williams C.

2015

Studio

 

clinico

13

Impact of PECS tablet

computer app on receptive identification of pictures given a verbal stimulus.

Ganz JB, Hong

ER, Goodwyn F, Kite E, Gilliland W.

 

2015

Articolo di

 

ricerca

14

Effectiveness of Interventions

to

Improve Social Participation,

Play, Leisure, and Restricted and Repetitive Behaviors in People

With Autism Spectrum Disord

er: A Systematic Review.

Tanner,

Kelly; Hand, Brittany

N.; O'Toole

Gjyn; Lane,

Alison E.

2015

Article -

research, systematic review, tables/chart s

15

Long-term effects of PECS on social-

communicative skills

of children with autism spectru

m disorders: a follow-up study.

Lerna A, Esposito D,

Conson M, Massagli A.

2014

Trial clinico

16

Children's Responses to

A Social Story Song in Three

Inclusive Preschool Classroom s: A Pilot Study.

Fees, Bronwyn

S.; Kaff,

Marylyn; Hol mberg,

Teri; Teagarde n,

James; Delreal, Dalila

2014

Journal

Article -

research, tables/chart s

 

17

Social-communicative effects

of

the Picture Exchange Commun

ication System (PECS)

in autism spectrum disorders.

Lerna A,

Esposito D, Conson M, Russo L, Massagli A.

 

2012

Trial clinico

18

Peer-Mediated AAC Instruction for

Young Children with Autism a nd other Developmental

Disabilities.

Thiemann- Bourque K.

2012

Manoscritto dell’autore

19

The Collateral Effects

of PECS Training on Speech Development in Children with Autism.

Carson,

Lynn; Moosa, Taslim; Theure r, Julie; Oram Cardy, Janis

2012

Article -

case study, pictorial, research, tables/chart s

20

Predicting progress

in Picture Exchange Communi

cation System (PECS) use by children with autism.

Pasco G, Tohill C.

 

2011

Studio

 

retrospettivo

21

A communication-based intervention for

nonverbal children with autis m: what changes? Who

benefits?

Gordon K, Pasco G,

McElduff F, Wade A,

Howlin P, Charman T.

 

 

2011

Trial clinico

 

CAPITOLO 3- L’organizzazione neuropsicomotoria nel bambino con Disturbo dello Spettro Autistico

INDICE

‘Una cosa è interessante se diventa oggetto di riflessione e non perché è una cosa nuova…’.

Da: Mark Haddon,‘Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte’.

 

Cenni introduttivi

Il Disturbo dello Spettro Autistico è stato per lungo tempo considerato una patologia a carico delle funzioni superiori del cervello e inizialmente classificato tra le psicosi (37). Solo recentemente, mediante alcune ricerche, si è compreso come l’autismo non sia solo caratterizzato da alterazioni di natura sociocomunicativa ed emotiva, ma anche da particolari deficit percettivi e di organizzazione del movimento (37).

In passato, gli studi compiuti sulla motricità dei bambini con autismo si sono focalizzati in gran parte sulle stereotipie motorie che essi presentano, tralasciando l’aspetto dell’analisi delle competenze di sviluppo motorio, sia nel corso delle procedure di valutazione clinica sia durante la pianificazione degli interventi (38). La conseguenza di tutto questo è stata l’attribuzione di una limitata importanza alla motricità, intesa come fattore evolutivo in grado di influenzare l’outcome clinico (38).

Tuttavia, in questo momento, le difficoltà motorie presenti nei soggetti con disturbo dello spettro autistico, sono considerate come sintomi capaci di interferire con lo sviluppo delle attitudini adattive del bambino; esse influenzano non solo la sua capacità di raggiungere l’autonomia nelle attività di vita quotidiana, ma interferiscono anche con la possibilità del bambino di partecipare alle normali attività con i coetanei, caratteristiche per l’età (39,40,41).

In particolare, è stata rilevata una ridotta capacità del sistema motorio dei bambini con autismo a compiere efficaci previsioni sia sulle perturbazioni che l’ambiente può indurre sul movimento, sia sugli effetti che il loro movimento avrà sull’ambiente (37).

A oggi, gli studi sul controllo motorio nei bambini con autismo sono in forte crescita rispetto al passato, nonostante questi rimangano sempre in numero inferiore rispetto a quelli condotti sugli aspetti sociocomunicativi ed emotivi (42). Gli studi sul controllo motorio, però, sono molto importanti poiché forniscono informazioni rilevanti per la comprensione del funzionamento sociale, che in questi soggetti è uno dei meccanismi comportamentali deficitari (42).

La presenza di anomalie motorie nei bambini con autismo è stata più volte riportata (42).

I primi rapporti clinici sull’autismo hanno descritto questi bambini come i portatori di una generale goffaggine, la quale è stata confermata anche da ricerche più recenti (43). In particolare, le alterazioni motorie sono presenti fin dalla prima infanzia: è possibile, infatti, già nei neonati osservare la presenza di anomalie nella motilità spontanea, le quali sono state considerate da alcuni studiosi un indicatore diagnostico precoce di autismo (43).

Dal punto di vista neuro-anatomico è stato rilevato che la sede della disfunzione motoria principalmente coinvolta è il cervelletto, anche se non è da escludere che possano essere presenti anche altre anomalie a livello corticale (37).

Negli anni Novanta, inoltre, è stata compiuta un’importante scoperta che ha permesso di cogliere l’esistenza di un meccanismo di comprensione delle azioni ed intenzioni altrui, in cui il sistema motorio ha un ruolo chiave (37). Grazie a tale meccanismo, le azioni eseguite dagli altri, captate dai sistemi sensoriali, vengono trasferite al sistema motorio dell’osservatore, permettendogli di avere una copia motoria del comportamento osservato, quasi come se fosse stato lui stesso ad eseguirlo; i neuroni che compiono tale trasformazione sono chiamati “neuroni specchio” (37) .

Diversi anni più tardi, alcuni studiosi, hanno avanzato  l’idea che alla base dell’incapacità dei bambini con autismo di entrare in relazione con gli altri vi fosse un malfunzionamento di tali neuroni (37). Il sistema specchio potrebbe, dunque, costituire il potenziale meccanismo per spiegare sia il deficit motorio sia quello sociocomunicativo, entrambi presenti nell’autismo (37).

In conclusione, lo studio delle anomalie motorie nei bambini con disturbo dello spettro autistico ricopre un ruolo di grande importanza non solo nell’identificazione di un marker precoce del disturbo, proprio perché esso compare fin dai primi mesi di vita del bambino, ma anche nella comprensione dei meccanismi neurobiologici disfunzionali alla base di questo; permette, inoltre, di definire in modo specifico i diversi sottogruppi dello spettro autistico (44).

INDICE

Atipie motorie nei bambini con Disturbo dello Spettro Autistico

Nei bambini con disturbo dello spettro autistico, frequentemente si osserva la presenza di disturbi motori. Questi variano da soggetto a soggetto e sono multiformi: alterazioni

del tono muscolare (ipotonia/ipertonia), sincinesie (un movimento volontario in una parte del corpo ne provoca un altro, involontario, in un’altra parte del corpo), inversione dei riflessi (uno stimolo provoca un riflesso motorio inverso rispetto a quello normale), movimenti compulsivi, poco o per nulla controllabili da parte del soggetto (spasmi, tic), discinesie (difficoltà a coordinare il ritmo e l’intensità dei movimenti), disprassie (incapacità di programmare alcuni movimenti diretti ad uno scopo), aprassie (incapacità di iniziare certi movimenti diretti ad uno scopo), mancanza di coordinamento, incapacità di gestire contemporaneamente i movimenti di diverse parti del corpo e di controllo fine e persistenza dei riflessi “primitivi” (37,45). Questi ultimi sono normalmente presenti nel neonato, ma in seguito, nel corso di uno sviluppo tipico, devono andare incontro a scomparsa al fine di lasciar spazio all’emergere di nuove competenze (37). Ognuno di questi disturbi può riguardare in modo selettivo solo alcuni muscoli, anche molto piccoli (37).

Tali disturbi, come ha affermato Bauman nel 1992, possono essere fluttuanti, poiché spesso appaiono più evidenti e aumentati in situazioni ambientali stressanti per il bambino come quelle caratterizzate da un sovraffollamento di stimoli o si modificano nella tipologia e nell’intensità nel corso del processo di sviluppo del soggetto autistico. In particolare, Bauman durante uno dei suoi studi eseguiti nel 1992 ha osservato la presenza di una compromissione motoria in alcuni bambini con autismo, attribuibile ad un ritardo nel raggiungimento delle tappe critiche di sviluppo motorio. Tali bambini si presentavano goffi, incapaci di portare a termine contemporaneamente programmi motori differenti e iperattivi.

Nel 2007 uno studio condotto da Ming et al. ha riportato che una rilevante percentuale di soggetti con autismo presentava un modo non coordinato di camminare, deficit della motricità fine e deficit nelle abilità grosso-motorie. Tutto ciò confermava i risultati già ottenuti in studi precedenti, condotti nel 1998, durante i quali si era notato come la totalità dei soggetti con autismo esaminati presentasse problemi del comportamento motorio gestuale.

Nel 1996, Leary e Hill dopo un’approfondita analisi degli studi sul comportamento motorio nell’autismo, hanno posto l’accento sull’importanza di tali disturbi per la patologia. I due studiosi ritenevano che alcuni deficit sociali dei soggetti con autismo potessero essere attribuiti a sintomi neurologici di deficit motori. Ne consegue che dovrebbe essere possibile creare una connessione tra i gesti o movimenti socialmente inappropriati e i sintomi neurologici della psicomotricità. L’obiettivo dei due autori era di mostrare un legame tra alcune caratteristiche sociali presenti nei soggetti con autismo ed i correlati neurologici dei disturbi motori. Leary e Hill prendendo spunto dalle categorie utilizzate in diversi strumenti che servono per l’assessment neuro-motorio, hanno raggruppato i sintomi motori presenti nell’autismo in tre livelli: 1) Disturbi della funzione motoria generale come le anomalie posturali, le alterazioni del tono muscolare e la comparsa di movimenti involontari, senza un fine preciso (ad esempio i TICS). 2) Disturbi dei movimenti volontari (diretti verso uno scopo) come le difficoltà nella pianificazione motoria, i movimenti ripetitivi e le difficoltà linguistiche. 3) Disturbi dei movimenti involontari intesi come tutti quelli che condizionano a livello generale e incontrollabile il comportamento.

Nello stesso anno, uno studio condotto da Hughes e colleghi, attraverso l’analisi di una sequenza di atti motori “reach-grasp-place”, ha mostrato che i bambini con autismo presentavano un deficit nella pianificazione dell’azione costituita da più atti motori.

Nel 1978 Damasio e Maurer hanno pubblicato i primi studi sistematici sulla deambulazione in soggetti affetti da autismo. I risultati dei loro studi affermavano che i soggetti autistici presentavano pattern deambulatori simili a quelli dei soggetti affetti da morbo di Parkinson e nelle loro conclusioni i due autori ponevano l’accento sull’importanza della deambulazione come movimento generale da considerare prioritariamente nel corso delle valutazioni motorie dei soggetti con autismo. Alcuni anni dopo, nel 1993 Hallet et al. hanno rilevato nei soggetti autistici una ridotta motricità a livello dell’anca, nel movimento delle caviglie ed una posizione più bassa delle ginocchia nelle prime fasi del movimento deambulatorio.

In generale, le anomalie motorie nei bambini con autismo si osservano già dalla prima infanzia, dove spesso è presente un ritardo nel controllo del capo nella manovra di trazione anteriore e in particolare sono più facilmente identificabili in età pre-verbale, dove il funzionamento motorio è più facile da valutare rispetto al funzionamento sociale ed emotivo (43,45).

Nel 1998, Teitelbaum e colleghi hanno osservato la presenza di peculiari deficit nella motilità spontanea del neonato che possono essere considerati come un possibile indicatore diagnostico precoce di autismo; tali disfunzioni motorie si possono manifestare fin dai primi mesi di vita e rendersi più evidenti rispetto ai deficit sociali che sono caratteristici della patologia autistica. In particolare Teitelbaum e colleghi dopo aver esaminato, nel corso del loro studio, lo sviluppo del movimento, hanno riportato nelle loro conclusioni che i bambini con autismo non superavano adeguatamente le diverse tappe motorie presenti tra la capacità di stare distesi e il cammino autonomo. Nel corso del loro studio, essi hanno rilevato tre elementi di grande

importanza: 1) asimmetria persistente delle braccia rispetto alle gambe nei bambini con autismo quando sono sdraiati; 2) deficit a livello di sincronizzazione dei canali motori: sequenza e mancata sovrapposizione dello sviluppo, movimenti che non si sviluppano in modo integrato, ma in sequenza; 3) sviluppo motorio ritardato e incompleto: presenza di disturbi precoci nell’attività di rotolamento, la deambulazione compare più tardi del normale e i deficit non scompaiono del tutto.

Studi ancora più recenti hanno confermato ulteriormente come i bambini con autismo presentino anomalie di funzionamento motorio, tra cui deficit di coordinazione fino- motoria (movimenti coreiformi delle estremità, incoordinazione dei movimenti di opposizione del pollice), difficoltà di coordinazione grosso-motoria (ridotte abilità nel lancio e ricezione della palla, nella corsa o nel salto), cammino sulle punte o andatura in tandem, asimmetria nei movimenti che coinvolgono le braccia e le gambe nel cammino, ipotonia muscolare generalizzata, anomalie di controllo posturale e difficoltà di equilibrio.

In particolare, hanno confermato ciò che Leo Kanner aveva descritto tempo addietro a proposito del riscontro di alterazioni dello sviluppo motorio in soggetti con autismo tra cui anche la mancata acquisizione dello spostamento in quadrupedica, la scarsa capacità di adattarsi anticipatamente alla manovra di essere presi in braccio, l’impaccio nel cammino e nelle abilità grosso-motorie (43,46).

Tono muscolare

Per quanto riguarda le anomalie del tono muscolare, studi recenti hanno confermato i risultati presenti in letteratura, evidenziando un maggior grado d’ipotonia nei soggetti con autismo rispetto a quelli con sviluppo tipico. Nel 2007, Ming, nel corso del suo studio ha osservato la presenza d’ipotonia muscolare nel 63% dei soggetti con autismo in età prescolare, con grado variabile da lieve a moderato e spesso con distribuzione diffusa piuttosto che distrettuale. Egli ha ipotizzato che tale condizione d’ipotonia andasse, riducendosi progressivamente con l’età, poiché nei soggetti più piccoli questa si riscontrava più spesso che in quelli più grandi. Tuttavia, tale interpretazione evolutiva di Ming è stata soggetta a numerose critiche metodologiche poiché non offre dati trasversali (46).

Simmetrie e stabilità posturale

Come già affermato in precedenza, uno dei primi studiosi a sostenere che i difetti motori nell’autismo fossero presenti già alla nascita è stato Teitelbaum nel 1998. Sebbene la metodologia utilizzata per condurre lo studio sia stata largamente criticata, tale autore ha segnalato la presenza di precoci asimmetrie posturali e di movimento nei soggetti con autismo rispetto ai tipici. Diversi studi più recenti condotti da Esposito, attraverso la video-analisi di filmati, hanno mostrato la presenza di maggiori asimmetrie nei bambini che in seguito avrebbero ricevuto diagnosi di autismo rispetto ai controlli tipici sia durante la posizione supina, sia nel cammino. In particolare, in posizione supina Esposito ha riscontrato un maggior grado di asimmetria statica e dinamica nei soggetti con autismo rispetto ai controlli o a bambini affetti da altra patologia. Nonostante la presenza di precoci asimmetrie non possa essere ritenuta patognomica, alcuni ritengono che tale asimmetria nei soggetti con autismo possa essere considerata come un precoce indice di patologia potenzialmente discriminativo e suggestivo di un interessamento cerebellare. Nel 2009 Esposito ha affermato che le precoci caratteristiche motorie dei soggetti con autismo sarebbero potute essere utilizzate per discriminare diversi sottotipi clinici e lo studio della motricità nei soggetti con autismo avrebbe consentito di ottenere elementi importanti per una diagnosi precoce. Studi ancora più recenti, condotti da Esposito nel 2011, hanno confermato risultati ottenuti già in precedenza circa la presenza di precoci atipie del cammino nei soggetti con autismo conseguenti a un maggior grado di asimmetria posturale.

Tali asimmetrie posturali, individuate in epoche di vita precoci nei soggetti con autismo, sono state poi indagate in periodi di vita differenti, mettendo in luce risultati contraddittori.

Attualmente, a causa dell’eterogeneità dei dati presenti in letteratura circa le asimmetrie posturali, è molto complesso trarre delle interpretazioni conclusive. La presenza di precoci asimmetrie motorie e posturali è stata dimostrata nei bambini affetti da autismo e ritenuta da alcuni autori un indice discriminativo dello sviluppo sociale atipico. Tuttavia, l’evoluzione longitudinale di queste atipie e la loro dipendenza da input sensoriali rimangono incerte confermando la necessità di approfondire lo sviluppo motorio dei soggetti con autismo mediante metodologie comuni (46).

Cammino

Tra le anomalie del cammino riportate in letteratura, quella maggiormente descritta è stata il cammino sulle punte. Nel 2007 Ming ha affermato che il 19% dei bambini con autismo presentava cammino sulle punte e che, in alcuni soggetti, si osservava anche la presenza di un certo grado di rigidità alla manipolazione passiva distale. Eppure il cammino sulle punte, anche se in modo transitorio, è osservabile anche nei bambini con sviluppo tipico o aventi altra patologia, per questo motivo non può essere considerato un elemento patognomonico per l’autismo. Nel 1981 Vilensky ha segnalato la presenza nei soggetti con autismo di un pattern di cammino atipico e riconducibile a un modello “simil-parkinsoniano”, supponendo un coinvolgimento fronto-striatale nella disfunzione motoria dei soggetti con autismo. In particolare, Vilensky riportava che tali soggetti autistici, di età compresa tra i 3 e i 10 anni, studiati mediante l’analisi di video del cammino, presentavano una lunghezza del passo ridotta e tempi di riposo aumentati; tali anomalie sono state confermate anche da studi più recenti.

Contrariamente a quanto affermato da Vilensky, altri autori hanno ipotizzato la presenza nei soggetti con autismo di un cammino di tipo “atassico-cerebellare” accentuando il riscontro di un’ampia base d’appoggio, instabilità posturale e maggiori difficoltà nel cammino sulla linea retta. Nel 2006 Rinehart ha preso in considerazione un campione di bambini di età media di 5 anni,10 mesi e ha riscontrato in questo che i bambini affetti da autismo presentavano una maggiore variabilità nella durata e nella lunghezza del passo rispetto ai bambini con sviluppo tipico. Tale maggiore variabilità osservata e interpretata come indice d’interessamento cerebellare, era stata confermata anche in un gruppo di bambini autistici più grandi rispetto al gruppo di controllo con sviluppo tipico e ai soggetti affetti dalla Sindrome di Asperger. L’autore, inoltre, sosteneva che mentre l’incremento della variabilità della lunghezza del passo potesse suggerire un coinvolgimento cerebellare, la presenza di minori capacità di coordinazione e le anomalie posturali nel tronco e nel capo riscontrate nei soggetti autistici, potessero essere riferibili a un coinvolgimento aggiuntivo della regione dei gangli della base.

Altre anomalie del cammino, sono state descritte da Vernazza nel 2005 il quale ha riscontrato la presenza di una maggiore variabilità nelle traslazioni verticali ascendenti presenti durante la locomozione interpretandole come espressione di una maggiore instabilità posturale. Inoltre, l’autore ipotizzava che, in seguito ad una valida acquisizione delle funzioni motorie primarie e delle strategie di controllo dell’equilibrio dinamico nei soggetti con autismo, la presenza di una maggiore oscillazione del capo, delle spalle e del tronco, rispetto al principale orientamento di direzione dovesse essere

interpretato come una peggiore capacità di modulazione della locomozione nei soggetti autistici. Nonostante la difficoltà di studio dei processi di pianificazione durante il cammino nei soggetti con autismo a causa delle loro problematiche motivazionali e comportamentali, Vernazza ha riscontrato che i bambini con autismo, nonostante avessero compreso la richiesta dell’operatore, presentavano difficoltà a definire l’obiettivo del compito motorio e a selezionare la traiettoria per completarlo. Tali aspetti hanno condotto altri autori ad ipotizzare la presenza di un disturbo di pianificazione durante il cammino. In particolare, nel 2011 Longuet ha avanzato l’idea che tale difetto di pianificazione potesse essere il responsabile della maggiore irregolarità del cammino e apparisse più evidente quando al bambino autistico era richiesto di camminare verso stimoli meno forti o emotivamente avversi. Infine, tale aspetto era correlato alla gravità dell’autismo: maggiore era la gravità del disturbo, maggiori erano le difficoltà di pianificazione osservate (46).

Abilità grosso-motorie

Studi recenti presenti in letteratura descrivono la presenza di deficit nelle abilità grosso- motorie nei soggetti con autismo in età scolare, ponendo l’accento in particolare sulla presenza di un ritardo di sviluppo delle competenze di locomozione e di quelle riguardanti l’uso della palla (46).

Nel 2002 Green, mediante l’uso del M-ABC7, ha rilevato prestazioni al di sotto del 15° centile per tutti i partecipanti con autismo di età compresa tra i 6 e gli 11 anni. In seguito, nel 2009 lo stesso autore ha attestato la presenza di un definito problema motorio in un’ampia popolazione di soggetti con autismo, cognitivamente integri e affetti da un grado variabile di disabilità intellettiva. Studi più recenti, compiuti sempre mediante l’utilizzo della M-ABC, hanno confermato i risultati ottenuti da Green, rilevando la necessità di fornire assessment clinici dedicati a indagare la motricità nei soggetti con autismo. Nel 2011 Whyatt ha eseguito uno studio dal quale è emersa la presenza, nei soggetti con autismo, di uno specifico deficit motorio delle competenze connesse all’uso della palla e in alcune prove di equilibrio statico oltre che nelle abilità manuali. In particolare, poiché le abilità di equilibrio statico, come affermato da Whyatt, sono sottese da lievi cambi di postura e richiedono la modulazione del centro di massa, veniva ipotizzato che i soggetti con disturbo dello spettro autistico in età scolare presentassero una specifica compromissione della capacità di anticipazione, richiesta nel controllo dell’equilibrio statico, e uno specifico deficit nell’uso delle strategie di azione durante i compiti che richiedono controllo e anticipazione motoria (ad esempio, prendere una palla), confermando i risultati ottenuti da studi effettuati in precedenza.

Tra i problemi motori più spesso osservati nei soggetti con disturbo dello spettro autistico alcuni autori rilevavano un disturbo delle capacità di controllo dell’oggetto da parte dei soggetti in età scolare, mentre altri autori rilevavano deficit nelle abilità di locomozione e nelle capacità di controllo dell’oggetto (46).

Nel complesso, studi diversi hanno individuato debolezze motorie differenti e questo potrebbe essere una conseguenza in parte dell’uso di strumenti d’indagine diversi e in parte delle differenti età dei partecipanti o dei diversi fenotipi arruolati nei campioni (46). Da tutto questo ne deriva che l’espressività qualitativa del difetto motorio nei soggetti con disturbo dello spettro autistico sembra influenzata dall’età dei soggetti e dalla co-esistenza di ritardo cognitivo (46). Anche una meta-analisi condotta nel 2010 da Fournier ha rilevato le difficoltà riguardanti il confronto di dati relativi a popolazioni di studio demograficamente diverse, l’eterogeneità dei sintomi autistici nei diversi studi e l’influenza di variabili diverse nei differenti lavori.

Tali aspetti, ancora oggi, nonostante ci sia una confermata significatività del disturbo grosso-motorio nei soggetti con autismo, impediscono agli autori di giungere ad interpretazioni conclusive circa la possibilità di utilizzare il difetto motorio come elemento che permetta di distinguere tra i diversi sottotipi di disturbo dello spettro autistico o di giungere a conclusioni circa il rapporto tra il difetto motorio e la disabilità intellettiva coesistente (46).

Abilità fino-motorie

Molti studi presenti in letteratura riportano che i soggetti scolari e prescolari con disturbo dello spettro autistico presentano un difetto a carico delle competenze fino- motorie (46). In base ai risultati ottenuti le atipie e i ritardi di sviluppo delle abilità fino- motorie nei soggetti con disturbo dello spettro autistico sembrano mantenersi stabili in epoche di sviluppo differenti, anche se secondo i risultati ottenuti da uno studio condotto da Ming nel 2007, tali disturbi sono più frequenti nei soggetti prescolari rispetto ai più grandi.

I risultati ottenuti dagli studi sulle competenze fino-motorie nei soggetti con autismo appaiono eterogenei come diretta conseguenza dell’utilizzo di metodologie diverse, dell’applicazione di paradigmi differenti oltre che di sensibili variabili cliniche nei soggetti esaminati (46).

Tutti gli studi, tuttavia, concordano sulla presenza di atipie a carico delle competenze fino-motorie nei soggetti con autismo, in particolare nel 2003 in uno studio condotto da Mari, si è riscontrato che le atipie fino-motorie presenti nei soggetti autistici risultavano essere peculiari per determinati fenotipi clinici specifici.

Nel 2009 David ha condotto uno studio sulle abilità di afferramento dell’oggetto in un campione di bambini scolari e adolescenti con autismo, durante il quale egli ha osservato un aumento della latenza tra i movimenti di prensione e di sollevamento dell’oggetto ed un aumento della forza di prensione al momento del sollevamento. Nello studio il picco di forza e la durata del picco di forza, invece, non erano diversi tra il gruppo con autismo e quello di controllo.

Studi effettuati in seguito da David nel 2012 hanno confermato la presenza di atipie nelle latenze temporali anche nei soggetti con autismo in età prescolare (2-6 anni) e hanno segnalato un aumento della durata del picco di forza di prensione. Secondo David il picco di forza nella manovra di prensione è programmato utilizzando le esperienze precedenti, integrate in modo anticipatorio per le successive prensioni. In conformità a questo, nel suo studio egli ipotizzava che i bambini con autismo in età scolare in cui non era stato riscontrato un aumento del picco di forza presentassero un miglior controllo anticipatorio della manovra di afferramento; viceversa, nei soggetti di età minore la modalità di controllo della manovra di afferramento veniva interpretata prevalentemente come reattiva piuttosto ché predittiva. Nello studio condotto da David, le atipie motorie presenti nei soggetti con autismo erano diverse dai controlli tipici, ma non erano discriminative rispetto a soggetti affetti da altre patologie. Si ipotizzava, quindi, che ci fosse una relazione tra performance motoria e livello generale di sviluppo (come affermato da Mari nel 2003) e quindi più basso era il livello di funzionamento, più le performance motorie erano peggiori. In particolare, Mari in seguito al suo studio condotto nel 2003, ha ipotizzato che i soggetti con autismo e basse prestazioni cognitive presentassero una specifica asincronia di attivazione di programmi motori relativamente indipendenti ma funzionalmente coordinati e che di fronte a compiti più accurati e richiestivi di un più estensivo programma neurale, tale asincronia si rendesse più evidente. I soggetti con autismo, ma cognitivamente integri, presentavano invece performance più efficienti e rapide. In base ai risultati ottenuti, Mari ipotizzava che le caratteristiche del movimento reach-to-grasp nei soggetti scolari con autismo dipendessero dalle caratteristiche fenotipiche e attribuiva le prestazioni dei soggetti autistici con buone competenze cognitive alla capacità di adottare strategie prestazionali più valide e risultanti da un sistema d’integrazione più efficace.

Nel 2001 Rinehart ha condotto uno studio sui soggetti con autismo privi di disabilità intellettiva. L’obiettivo del suo studio era di comprendere se la disfunzione motoria osservata nei soggetti con autismo fosse da attribuire ad un deficit esecutivo piuttosto che ad un deficit di pianificazione. L’autore ha esaminato un gruppo di bambini scolari durante un compito di programmazione motoria. I risultati ottenuti indicavano che i soggetti con autismo presentavano movimenti preparatori atipici e rallentati rispetto ai controlli, mentre apparivano integre le abilità di esecuzione del movimento richiesto. Lo studio condotto da Rinehart pareva dipendere profondamente da fattori attentivi e per questo motivo alcuni autori ritenevano necessario di dover approfondire tali risultati ottenuti (46).

Nel 2011 Dowd ha confermato la presenza di una rilevante variabilità nella durata del periodo di preparazione al compito motorio in soggetti affetti da autismo e privi di disabilità cognitiva. Nel suo studio l’autore indagava le capacità di pianificazione e di esecuzione motoria nei compiti di afferramento dell’oggetto mediante modalità simili a quelle utilizzate da Rinehart in precedenza. Però, mentre per i bambini con età maggiore si segnalava un aumento dei tempi di preparazione al compito, nei bambini più piccoli si osservava solo un incremento della variabilità. Come conseguenza di tali osservazioni, s’ipotizzava che una diversa espressione del problema in fasce d’età diverse avrebbe potuto riferirsi in parte ad una diversa maturazione di sviluppo (46). Dowd, nel suo studio, ha osservato, infine, una minore variabilità dei tempi preparatori all’azione nei soggetti con autismo rispetto a quelli con sviluppo tipico in presenza di elementi distrattori; questo suggeriva che i soggetti tipici fossero in grado di pianificare l’azione tenendo conto di molteplici fattori, diversamente da quanto capitava nei soggetti con autismo.

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La motricità nei bambini con Disturbo dello Spettro Autistico in età prescolare

Gli studi presenti in letteratura sulla motricità nei soggetti con disturbo dello spettro autistico indicano che le spiegazioni riguardanti le anomalie di sviluppo motorio debbano essere messe in relazione con l’età cronologica dei soggetti considerati, sia per l’analisi delle abilità grosso-motorie che per quelle fino-motorie (46). Nel 2011 Lloyd ha compiuto uno studio longitudinale attraverso il quale ha dimostrato che il livello di sviluppo motorio nei soggetti con autismo sembrerebbe peggiorare nel corso del tempo. In particolare, l’autore ha dimostrato che i soggetti autistici in età prescolare mostravano uno sviluppo delle competenze motorie che, a fronte di una stabilità delle competenze di

sviluppo cognitivo, appariva maggiore in epoca prescolare rispetto a quanto, si osservava in epoche precoci di sviluppo. Tali risultati, non solo suggerivano la presenza di una relazione tra deficit sociale, mancato coinvolgimento in attività esplorative e livello di performance motoria, ma confermavano anche la presenza di un’ipotetica relazione tra difetto motorio ed età cronologica del bambino (46).

In questo momento, nonostante lo studio sul livello di sviluppo motorio nei soggetti con disturbo dello spettro autistico in età prescolare sia un argomento di grande interesse, poiché ci sono sempre maggiori evidenze sul fatto che le atipie motorie possano manifestarsi precocemente in tali soggetti, il numero di studi presenti in letteratura sullo sviluppo motorio nei soggetti autistici prescolari sono, invece, poco numerosi a causa della maggiore difficoltà di assessment strutturato in soggetti con disturbo dello spettro autistico in età prescolare (46).

Nel 2007 Provost, con uno studio eseguito mediante l’uso della PDMS-2 8 , ha confermato la presenza di anomalie delle abilità grosso e fino motorie in bambini affetti da disturbo dello spettro autistico in età prescolare. Nello specifico, i soggetti considerati in tale studio presentavano deficit sia nelle competenze grosso-motorie sia in quelle fino-motorie, presentando quozienti di sviluppo motorio sotto la media, scadenti rispetto ai dati prescrittivi per l’età. I risultati ottenuti evidenziavano una maggiore compromissione delle abilità di locomozione e integrazione visuo-motoria alle quali seguivano compromissioni delle abilità di manipolazione dell’oggetto, afferramento e statica. Due anni più tardi, nel 2009, Jasmin ha confermato i dati ottenuti dallo studio di Provost e ha rilevato, nuovamente, l’importante compromissione che questi soggetti presentavano nelle abilità di manipolazione dell’oggetto, afferramento e locomozione. Un altro elemento importante che viene più volte riportato in letteratura è la relazione che intercorre tra il livello di performance motoria e la gravità della sintomatologia autistica (46).

Proprio, Jasmin nel 2009 ha riportato che le performance motorie dei soggetti autistici in età prescolare erano peggiori rispetto a quelle dei soggetti con diagnosi di disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato; tali risultati sono stati confermati anche da studi eseguiti più recentemente (46).

Infine, in letteratura sono presenti alcuni studi che hanno analizzato il potere discriminativo del deficit motorio nei soggetti con disturbo dello spettro autistico in età prescolare rispetto a quello presente in soggetti con altre patologie (46). Nel 2010 Wavelde ha analizzato la motricità nei soggetti autistici in età prescolare (4-6 anni) mediante l’uso dell’M-ABC; i risultati ottenuti hanno messo in luce un’importante differenza tra le performance motorie dei soggetti autistici di 4 anni e quelle dei soggetti con altra patologia. Tale deficit motorio è stato riscontrato anche ai 6 anni di età, ancora discriminativo rispetto ai controlli. I risultati ottenuti da tale studio, confermavano studi eseguiti in precedenza e inoltre rilevavano la significatività del disturbo motorio nei soggetti con disturbo dello spettro autistico in età prescolare e quanto questo avesse un potere discriminativo e fosse persistente nella fascia d’età 4-6 anni (46).

In conclusione, la letteratura riporta che i soggetti con disturbo dello spettro autistico in età prescolare presentano anomalie di sviluppo motorio, nonostante queste siano variabili tra i diversi soggetti. Dagli studi, si riscontra, inoltre, la presenza di una relazione tra lo sviluppo motorio e le variabili cliniche dell’autismo, nonostante sia ancora difficile giungere per quanto concerne tale aspetto a delle conclusioni definitive. Infine, gli studi sulla motricità dei soggetti autistici in età prescolare sono sempre più numerosi, come diretta conseguenza di un maggiore interesse da parte degli studiosi nell’individuare precoci marker diagnostici e interpretare profili di sviluppo per interventi riabilitativi mirati (46).

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Controllo predittivo e pianificazione motoria nel Disturbo dello Spettro Autistico

La coordinazione motoria rappresenta un problema di base del controllo motorio, che, nel complesso ricopre una grande importanza nel dominio neuroscientifico (47).

Nel 1967 Bernstein ha posto l’accento sul problema computazionale derivante dal rilevante numero di possibilità di movimento (gradi di libertà) fornito dal corpo umano alla realizzazione di un compito motorio.

Tali gradi di libertà permettono all’individuo di adattarsi in modo adeguato alle diverse situazioni ambientali con cui viene a contatto, ma allo stesso tempo lo portano a dover affrontare e gestire dei sistemi caratterizzati da un numero di possibilità di movimento superiori rispetto al necessario, detti per l’appunto “ridondanti” (47).

Le anomalie di coordinazione motoria, che i bambini con autismo presentano, sono importanti al fine di comprendere e definire clinicamente il disturbo per diverse motivazioni: i disturbi motori emergono precocemente nel corso dello sviluppo del bambino; essi possono rappresentare un endofenotipo del disordine; le difficoltà motorie possono influenzare negativamente l’area sociale e comportamentale; infine, le funzioni motorie possono essere misurate e quantificate mediante strumenti standardizzati e la loro valutazione è quindi meno suscettibile alle influenze ambientali rispetto a quella delle caratteristiche comportamentali e socio-comunicative del disordine (47).

In aggiunta, molti studi presenti in letteratura attestano che i bambini con disturbo dello spettro autistico presentano difficoltà di controllo predittivo, le quali si esprimono non solo nel corso dell’osservazione di azioni altrui, ma anche durante la pianificazione e l’esecuzione di azioni dirette verso uno scopo e nei compiti d’imitazione (42,47).

In particolare, la maggior parte degli studi condotti riguarda il movimento di “raggiungimento e prensione”, analizzato sia nei bambini con autismo sia in gruppi di soggetti con sviluppo tipico (42). La mano, nello specifico, rappresenta da un punto di vista cinematico la struttura più complessa del corpo ed è l’elemento centrale per comprendere i processi cognitivi che s’instaurano alla base del movimento (42).

Il biologo Napier, nel 1956, formulò una teoria secondo la quale la mano agisce in stretta relazione con le intenzioni che guidano l’azione. Altri studi, riguardanti il movimento di raggiungimento e prensione dell’oggetto, hanno evidenziato come la mano si adatti progressivamente non solo alla forma dell’oggetto che sta per essere afferrato, ma anche allo scopo dell’azione da compiere con tale oggetto ed hanno, inoltre, fornito risultati che attestano rilevanti differenze tra i bambini con disturbo dello spettro autistico e i bambini con sviluppo tipico (42).

Tale movimento è stato considerato nel corso del tempo un elemento di fondamentale importanza nello sviluppo del bambino poiché la capacità di elaborare e coordinare informazioni circa il “dove” e il “cosa” di un oggetto, richiedono un processo di pianificazione e di esecuzione motoria successiva (42).

I bambini con sviluppo tipico acquisiscono la capacità di raggiungere e afferrare un oggetto mediante un processo caratterizzato da un susseguirsi di tappe. Il bambino appena nato non afferra gli oggetti verso i quali dirige la mano: in particolare, apre la mano durante l’estensione dell’arto superiore, ma successivamente la richiude quando flette l’arto superiore verso il corpo (sinergia estensoria). Intorno ai 2 mesi, il bambino tende a chiudere la mano a pugno durante l’estensione dell’arto superiore e solo a 3 mesi incomincia ad aprire nuovamente la mano durante la fase estensoria, ma esclusivamente quando questa viene mossa verso un target fissato dal bambino. In quest’ultimo caso l’apertura della mano non è più considerata come una parte del movimento di estensione dell’arto superiore, ma è considerata come una vera preparazione al grasping. Solo dal 9° mese di vita il bambino incomincia ad adattare la mano in base alla forma dell’oggetto verso cui è rivolto il suo movimento; afferrato l’oggetto, il bambino con sviluppo tipico in seguito lo avvicina al viso e lo esplora utilizzando diversi canali sensoriali (tatto, vista, gusto) in modo da aumentare le sue conoscenze circa il mondo che lo circonda (42).

I bambini con età inferiore ai 12 mesi, ai quali successivamente verrà fatta diagnosi di disturbo dello spettro autistico presentano, invece, un’esplorazione atipica degli oggetti, caratterizzata da una maggiore rotazione e rivoluzione e da un’insolita esplorazione visiva (42).

Nel 2007 in uno studio condotto da Cattaneo e colleghi è stata registrata l’attività elettromagnetica dei bambini con sviluppo tipico e con autismo durante l’esecuzione di azioni differenti per tipologia di scopo da raggiungere. Esso ha mostrato che i bambini con autismo presentano difficoltà nella rappresentazione dell’azione che si manifesta con un’attività elettromiografica ritardata rispetto a quella dei bambini con sviluppo tipico. In altre parole, nei bambini con autismo l’attività muscolare inizia dopo aver intrapreso l’azione: nell’afferramento di un oggetto al fine di inserirlo in un contenitore, ad esempio, l’attività muscolare nei bambini con autismo inizia solo dopo aver afferrato l’oggetto; mentre nei bambini con sviluppo tipico incomincia alcuni millisecondi prima dell’atto di grasping (afferramento) (42,47).

Tali problematicità potrebbero derivare da difficoltà di rappresentazione dell’obiettivo dell’azione nei bambini con autismo; difficoltà che erano già state ipotizzate in precedenza (47).

Una chiave interpretativa molto interessante è quella fornita dal sistema dei neuroni specchio, i quali si attivano non solo quando un soggetto compie un’azione, ma anche quando lo stesso soggetto osserva un altro individuo compiere un’azione simile. Un deficit a carico di tale sistema nei bambini con autismo potrebbe essere una possibile spiegazione dell’incapacità di tali bambini di comprendere lo scopo finale dell’azione, di predire eventi futuri e di avere rilevanti difficoltà nella pianificazione delle azioni (47).

Uno studio molto importante, eseguito allo scopo di analizzare il movimento di raggiungimento, prensione degli oggetti e successiva disposizione di questi in un punto dello spazio nei bambini con disturbo dello spettro autistico, è quello condotto da Mari e colleghi nel 2003. In esso sono state analizzate diverse componenti cinematiche tra cui:

  1. il tempo di raggiungimento del picco di velocità;
  2. il tempo di decelerazione;
  3. la coordinazione tra le componenti di reach e grasp dove, in particolare, la prima è controllata dalla muscolatura prossimale della spalla, mentre la seconda dalla muscolatura distale del braccio e dell’avambraccio. Dallo studio condotto è emerso che i bambini con autismo presentano deficit di coordinazione e si sono osservate anche differenze all’interno dello stesso gruppo di soggetti autistici, in funzione del Quoziente Intellettivo. I risultati rilevano l’importanza di considerare tra i criteri d’inclusione anche il Quoziente Intellettivo, che deve essere il più omogeneo possibile all’interno di uno stesso gruppo di soggetti da valutare (42).

Nel 2005 è stato condotto uno studio da Vernazza-Martin nel corso del quale, è stata esaminata la capacità di coordinazione motoria durante un compito di locomozione nei soggetti con autismo e in quelli con sviluppo tipico. Da questo sono emerse delle differenze tra i due campioni: in particolare si è osservata un’importante difficoltà dei bambini con autismo a modulare la propria attività di locomozione alle richieste imposte dallo sperimentatore. Tale diversità è stata interpretata dagli autori come un deficit di pianificazione motoria, poiché i bambini avevano mostrato una difficoltà nel definire l’azione adeguata alla richiesta del compito.

Un elemento che è stato particolarmente studiato nei bambini con disturbo dello spettro autistico è il movimento di reaching in compiti di pianificazione motoria che richiedono il raggiungimento e afferramento di un oggetto (47).

Nel 2011 Forti et al. hanno eseguito un’ analisi cinematica di un compito di manipolazione comparando la prestazione dei bambini in età prescolare con autismo con quella dei bambini con sviluppo tipico. Dallo studio è emersa una differenza tra i due gruppi: i bambini con autismo mostravano una minore preparazione in prossimità dell’oggetto (i bambini con sviluppo tipico, invece, riducevano la velocità della mano in prossimità del target iniziando a orientarla per il rilascio dell’oggetto); la velocità della mano era significativamente maggiore e presentavano una ridotta inclinazione del polso rispetto al gruppo di controllo. Lo studio ha quindi evidenziato delle differenze tra i due gruppi in prossimità del raggiungimento dell’oggetto. Secondo gli autori dello studio tale passaggio rappresenta il punto di transizione in cui si passa dal movimento guidato dal processo di pianificazione al movimento guidato dal processo di controllo.

“I bambini con autismo, in particolare, hanno raggiunto questo passaggio con una minore preparazione della mano, necessitando così di maggiori correzioni rispetto ai soggetti di controllo” (Forti et al.).

Nel 2009 Fabbri-Destro et al. hanno studiato le capacità di manipolazione nei bambini con autismo, attraverso un compito di precisione e di non precisione, con l’obiettivo di valutare la capacità di pianificazione motoria attraverso il sequenziamento di atti motori all’interno di un’ azione coerente. I risultati hanno mostrato una differenza rilevante tra i bambini autistici e quelli con sviluppo tipico nell’esecuzione del reaching (raggiungimento dell’oggetto di metallo) e placement (inserimento dell’oggetto nel contenitore). In particolare, il movimento di reaching durava di più quando l’oggetto doveva essere collocato in un contenitore di piccole dimensioni, in altre parole quando l’azione successiva richiedeva una maggiore precisione. Tale differenza tra le due condizioni non era presente nei bambini con autismo. Essi sembravano eseguire gli atti motori in modo indipendente gli uni dagli altri senza che questi fossero concatenati in una singola azione. La durata del primo atto motorio sembrava non esser stata influenzata dalla complessità dell’azione che appariva organizzata in una catena di atti motori legati tra di loro.

Dalle conoscenze presenti in letteratura risulta che la pianificazione motoria dei bambini con disturbo dello spettro autistico può presentare dei difetti (47).

Tali studi riguardano tutti bambini con età superiore ai 3 anni poiché tale età rappresenta un valore soglia sotto cui non è possibile andare a causa dei limiti imposti dal manuale diagnostico (DSM-V), il quale afferma che la diagnosi di disturbo dello spettro autistico può essere eseguita solo a partire dai 36 mesi d’età del bambino (47).

Nonostante tali vincoli diagnostici, per cercare di evidenziare l’evoluzione nel tempo delle anomalie motorie nei bambini con autismo, è interessante indagare le possibili relazioni con i deficit di pianificazione motoria osservati dopo i tre anni di età (47). Poiché la funzione posturale ricopre un ruolo molto importante nel corso della produzione dei movimenti, alcuni autori hanno analizzato variabili motorie come il controllo e la stabilità posturale e l’abilità di anticipazione della postura con lo scopo di verificare la presenza di anomalie nei bambini con autismo rispetto ai bambini con sviluppo tipico (47).

Nel 2004 Minshew e colleghi hanno valutato, mediante un esame posturografico, le differenze circa la stabilità posturale tra un gruppo di soggetti con autismo e un gruppo di soggetti a sviluppo tipico: tale studio ha mostrato una minore stabilità posturale nei soggetti con autismo rispetto a quella presente nel gruppo di controllo.

Nel 2006 due studi successivi hanno rilevato alterazioni della camminata in bambini di 3 anni di età: le anomalie riguardavano il ridotto movimento del braccio, una postura anormale, una limitata coordinazione delle braccia ed una lunghezza del passo ridotta. In un altro studio precedente, eseguito nel 1992 da Kohen-Raz et al., è stato osservato che nel mantenimento della posizione eretta, i bambini con autismo mostrano una maggiore oscillazione del corpo e una distribuzione anormale del peso.

Con lo scopo di analizzare anche il comportamento di soggetti con età inferiore ai 3 anni, alcuni autori hanno condotto studi retrospettivi su bambini ai quali poi successivamente è stato diagnosticato l’autismo. Alcuni studi hanno riportato pattern di movimento deficitari (47).

Nel 2009 uno studio condotto da Esposito et al. ha analizzato il comportamento motorio di bambini di età compresa tra le 12 e le 21 settimane con autismo, con sviluppo tipico e con ritardo non associato ad autismo. Da questo è emerso che i bambini con autismo presentano una ridotta simmetria in posizione supina rispetto alle altre due tipologie di bambini presi in considerazione. Nel 2008 Ozonoff et al. hanno mostrato che i bambini con autismo acquisiscono molto più tardi le competenze necessarie per passare alla posizione seduta e alla camminata rispetto ai bambini con sviluppo tipico. Altri studi condotti su bambini di pari età o di età minore hanno sempre evidenziato un’inferiore stabilità posturale e un ritardo rilevante nell’acquisizione e nel raggiungimento di nuove posture durante la crescita. Infine, in uno studio condotto nel 1996 da Hughes & Brief è stata esaminata la capacità di pianificazione motoria nei bambini con autismo, attraverso un’analisi di una sequenza di atti motori. A questi bambini è stato richiesto di afferrare un’asta e di collocare una delle due estremità di questa all’interno di uno dei due anelli posti sul piano di lavoro in modo che l’asta stesse in piedi. In conformità a com’è posta l’asta nella fase di partenza, è possibile sollecitare i partecipanti a utilizzare una presa overhand o underhand (42). La prima concede di afferrare l’asta partendo da una posizione della mano favorevole, ma di terminare il movimento di posizionamento con una postura scomoda; la seconda permette di iniziare il movimento di presa in modo scomodo, ma di terminarlo in modo confortevole (42). La modalità con cui l’asta viene afferrata dipende dalla capacità di pianificazione del bambino; se il bambino presenta una capacità di pianificazione motoria appropriata allora utilizza un movimento della mano sul target del tipo underhand (42).

Dallo studio è emerso che la maggior parte dei bambini con autismo termina il movimento di posizionamento con una postura scomoda (poche azioni underhand) a differenza di quanto si osserva nei soggetti con sviluppo tipico. Questo porta a dedurre che i bambini con autismo presentano alla base un deficit di pianificazione motoria che impedisce loro di pianificare una serie di atti motori concatenati che risulterebbero in una postura finale di presa confortevole (42).

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Ipotesi neurobiologiche

Le principali alterazioni anatomo-funzionali riscontrate nei soggetti con disturbo dello spettro autistico si localizzano a livello del cervelletto, dei gangli della base e delle aree della corteccia sedi dei circuiti perieto-frontali. Poiché, però, alcuni studi recenti assegnano al sistema motorio un ruolo principale nel mediare la capacità di eseguire l’azione e di comprendere le intenzioni altrui è verosimile ipotizzare che il danno a carico del meccanismo specchio, coinvolto in queste capacità, possa essere anch’esso alla base dei deficit presenti nell’autismo (37).

Il sistema dei neuroni specchio nell’autismo

Negli anni Novanta è avvenuta un’importante scoperta neurofisiologica che ha messo in luce l’esistenza di un meccanismo di comprensione denominato “meccanismo specchio”. In seguito alla scoperta di tale meccanismo prima nel macaco e poi nell’uomo, alcuni studiosi si sono domandati se certi aspetti della sindrome autistica non fossero dovuti a un ipofunzionamento di tali neuroni specchio (37).

In particolare, è stato osservato che il sistema specchio è coinvolto nelle seguenti funzioni: 1) controllo ed esecuzione di azioni dirette a uno scopo; 2) imitazione; 3) comprensione dello scopo e del significato di azioni osservate e predizione di azioni future compiute da altre persone il quale svolgerebbe un ruolo rilevante ai fini di comprendere le azioni altrui; 4) altre funzioni sociali quali il linguaggio, teoria della mente ed empatia (42).

Tali funzioni appaiono essere compromesse nei soggetti con autismo (37,42).

Nel 1997 Altschullar e collaboratori e in seguito nel 2001 Williams e collaboratori hanno elaborato l’ipotesi che l’incapacità di relazionarsi con le persone in modo abituale, sintomo principale dei soggetti con autismo, dipendesse da un malfunzionamento del sistema specchio.

Recentemente sono state condotte alcune indagini anatomiche e studi neurofisiologici e di neuroimmagine i quali hanno supportato l’ipotesi avanzata in precedenza.

In questo momento un tema di ricerca dell’autismo che appare ancora molto dibattuto e che porta i ricercatori ad avere vedute differenti, riguarda una delle funzioni del sistema specchio, che è quella dell’imitazione (37). Tale sistema, fornendo una copia motoria dell’azione osservata, rappresenta il candidato neurale ideale per l’imitazione (Fabbri- Destro, 2009). Il sistema specchio è coinvolto, in particolare, sia nella ripetizione di azioni compiute da altri, ma anche nell’apprendimento per imitazione. Alcuni studi hanno dimostrato che i bambini con autismo presentano difficoltà d’imitazione rispetto ai soggetti con sviluppo tipico; le maggiori difficoltà si osservano nei compiti in cui è richiesto al bambino di imitare azioni transitive, espressioni facciali e azioni intransitive (37).

Al contrario, altri studi riportano che i bambini con autismo presentano adeguate performance nei compiti di imitazione: i bambini imitano adeguatamente azioni che richiedono l’uso di oggetti, mentre gli adolescenti autistici si mostrano capaci di imitare anche azioni intransitive. L’eterogeneità dei risultati ottenuti dai diversi studi è probabilmente una conseguenza dei diversi compiti cui questi soggetti sono sottoposti. In generale, i soggetti autistici mostrano performance migliori in compiti d’imitazione molto strutturati in cui le istruzioni fornite e il contesto in cui sono inseriti svolgono un ruolo importante e quando sono esplicitamente istruiti ad imitare; le performance diventano peggiori nei compiti richiedenti un’imitazione spontanea (37).

Un’altra spiegazione potrebbe riguardare la presenza di un ritardo dello sviluppo delle funzioni imitative nei soggetti con autismo (37).

Nel 1977 Meltzoff e Moore hanno descritto alcune manifestazioni d’imitazione molto precoce in neonati durante le prime ore di vita, basate su schemi innati. In particolare, la capacità di “sintonizzazione affettiva” con l’altro, che secondo Stern si sviluppa dai 2 mesi e si manifesta mediante la percezione e la risposta sincrona del neonato a diverse espressioni affettive della madre, si basa sui processi imitativi.

Già nel 1953 Ritvo ha descritto i soggetti autistici come bambini aventi difficoltà imitative. In seguito nel 1991 Rogers e Pennington hanno ipotizzato che un deficit imitativo nell’autismo potesse impedire lo sviluppo del‘self-other-mapping’.

In generale, il deficit imitativo, presente nei soggetti con autismo, può essere considerato come un ritardo dello sviluppo che attraverso la riabilitazione e lo sviluppo della persona può essere compensato (37).

Un altro tema su cui sono presenti numerosi studi è quello riguardante il ruolo del sistema specchio e il suo malfunzionamento nell’autismo nella comprensione dell’azione (37).

Nel 2005 Oberman e collaboratori hanno compiuto un’analisi elettroencefalografica delle onde cerebrali mu in bambini con autismo e in quelli con sviluppo tipico.

Il ritmo di tali onde cerebrali è registrato a livello della corteccia senso-motoria e rivela l’attività dei neuroni specchio. Al fine di osservare se il sistema specchio è integro, è possibile misurare la risposta delle onde mu durante l’esecuzione o l’osservazione di azioni da parte del soggetto; in generale quando il soggetto osserva o esegue un’azione, è stato fissato che tali onde si sopprimono (37). Nel corso dello studio condotto nel 2005 è stato osservato che la registrazione dell’attività elettrica non mostrava differenze tra i due gruppi durante l’esecuzione dell’azione, mentre erano presenti delle differenze durante l’osservazione di questa: in particolare, tali onde erano soppresse solo nei bambini con sviluppo tipico e non in quelli autistici.

In seguito, altri studi più recenti condotti nel mondo hanno prodotto risultati che hanno confermato ulteriormente la presenza di una disfunzionalità del sistema specchio nei soggetti con autismo (37).

Nel 2006 Dapretto et al. hanno condotto uno studio mediante l’uso della risonanza magnetica funzionale, al termine del quale hanno avanzato l’ipotesi che alla base dell’incapacità dei bambini con autismo di entrare in relazione con gli altri, fosse presente un mal funzionamento del sistema specchio, il quale è necessario per la codifica dell’azione altrui.

Nel 2006 Ramachandran e Oberman hanno sviluppato quella che è chiamata la ‘broken mirror theory’: in questo momento accanto alla letteratura descritta in precedenza, sono presenti alcuni lavori che confutano tale teoria. Le principali critiche che sono state avanzate all’interno di tali lavori riguardavano il fatto che i bambini con autismo non avessero difficoltà nel comprendere l’obiettivo dell’azione. In una review effettuata da Hamilton nel 2009, l’autore ha riportato numerosi studi in cui era stata negata l’ipotesi di un legame tra il sistema specchio e l’autismo, sostenendo che la capacità di comprendere e imitare gli altri era intatta in tali soggetti, nonostante tutto questo fosse in contrasto con la bassa performance in compiti sociali richiedenti l’imitazione di azioni, cosi come nei compiti di falsa credenza. I risultati contrastanti ottenuti dai diversi studi sono una diretta conseguenza di una limitata chiarezza del meccanismo alla base della capacità del soggetto di comprendere l’intenzione altrui (37). Fabbri-Destro sostiene che l’errore risiede nell’utilizzo del termine ‘intenzione’ il quale viene impiegato sia per indicare l’obiettivo del singolo atto motorio (‘che cosa sta facendo?’ sta afferrando una palla di spugna), sia l’obiettivo dell’azione ( ‘perché lo sta facendo?’ per lanciarla). L’uso dello stesso termine per descrivere due processi differenti induce in errore poiché il primo processo contempla l’immediata comprensione dell’atto motorio osservato, mentre il secondo contempla una predizione del goal finale dell’intera azione. Mentre il primo processo, non richiede necessariamente la comprensione di stati mentali dell’agente che sta eseguendo l’azione, il secondo, potrebbe richiederli.

Nel momento in cui il soggetto è chiamato a dover comprendere che cosa l’altro stia facendo, il sistema specchio non è sufficiente, ma il soggetto necessita di numerose altre informazioni (37). In particolare, l’oggetto utilizzato fornisce informazioni semantiche su quali azioni sono eseguite normalmente con quell’oggetto e inoltre anche l’associazione tra l’oggetto e alcuni atti motori può generare informazioni utili a comprendere che cosa l’agente è più prevedibile che realizzerà. Se il sistema specchio è compromesso il riconoscimento del “cosa l’altro stia facendo” potrebbe rimanere intatto, ma appare molto più complessa la situazione in cui il soggetto è chiamato a comprendere l’intenzione dell’altro (37). In conclusione sono numerosi gli studi che in questo momento riportano che i bambini con disturbo dello spettro autistico presentano un deficit nella comprensione delle intenzioni altrui a conferma di quanto aveva già descritto il famoso Kanner, nel 1943, il quale riportava che erano numerose le madri che rimanevano colpite di fronte alla difficoltà dei loro bambini ad assumere una posizione anticipatoria prima di essere presi in braccio; comportamento che nei soggetti con sviluppo tipico non è presente.

Altri sistemi neuromotori disfunzionali

Come descritto in precedenza, oltre al sistema specchio sono state descritte altre aree cerebrali nelle quali sono state riscontrate alterazioni nei soggetti con autismo: il cervelletto, i gangli della base e le aree della corteccia, sedi dei circuiti parieto-frontali. In particolare, da un punto di vista filogenetico il cervelletto rappresenta una struttura nervosa antica che si è specializzata per prima nella coordinazione dei movimenti motori (42). Nel 2009 Mostofsky ha condotto uno studio in cui sono stati coinvolti un gruppo di bambini con autismo e un gruppo di bambini con sviluppo tipico. I risultati ottenuti da tale studio hanno permesso di giungere alla constatazione che alla base dei deficit motori nei soggetti con autismo vi è una diversa attivazione del cervelletto. In particolare, è stato osservato che durante l’esecuzione di un’attività motoria semplice (toccarsi le dita in sequenza), nei bambini con sviluppo tipico l’attivazione del cervelletto (area cerebrale coinvolta nell’attività motoria automatica) aumenta, mentre nei bambini con autismo aumenta l’attività dell’area motoria supplementare (regione del cervello deputata al movimento volontario).

Dallo studio è emerso che i soggetti con autismo si basano su una pianificazione motoria maggiormente volontaria poiché non sono in grado di fare affidamento sul cervelletto per automatizzare le attività motorie (42).

Nei soggetti con autismo, inoltre, sono state descritte anche anomalie in strutture coinvolte nel controllo motorio come i gangli della base, in particolare, a livello del nucleo caudato che appare aumentato di volume; tale incremento potrebbe essere correlato con la presenza di movimenti ripetitivi e ritualistici nei soggetti con autismo.

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Percezione e “Pensiero visivo” nei bambini con Disturbo dello Spettro Autistico

‘Dovete lasciar perdere il linguaggio verbale.

Io penso per immagini. Non penso con il linguaggio’.

Temple Grandin

 

Cenni introduttivi

Com’è stato già ampiamente descritto in precedenza, il disturbo dello spettro autistico è caratterizzato da alcune peculiarità che sono proprie del disturbo (48). Queste si esplicitano in: 1) difficoltà di comprensione della mente altrui, così come viene descritto nella teoria della cecità9; 2) difficoltà radicata nel cogliere la complessità degli stimoli, caratteristica del deficit di coerenza centrale; 3) deficit delle funzioni esecutive, i quali sono alla base dei comportamenti stereotipati (48). In particolare, la presenza in questi bambini di una certa disorganizzazione e una limitata capacità di riconoscere gli stati mentali, porta ad alterazioni delle loro abilità di cogliere l’ironia e induce a sospettare la presenza in essi di un deficit dell’udito con conseguente alterazione o addirittura assenza di linguaggio verbale (48).

Alcuni ricercatori, invece, hanno definito l’autismo come un disturbo dei sensi, piuttosto che come una disfunzione sociale: nel 1995 Hatch-Rasmussen ha affermato che nei soggetti autistici ogni senso opera in modo isolato e il cervello non è capace di organizzare gli stimoli ricevuti in modo significativo. Già nel 1974 Delacato ha definito l’autismo come una disfunzione sensoriale e pochi anni più tardi, nel 1979, Ayres ha descritto l’autismo come un disturbo sensoriale integrativo in cui il cervello non è capace di dare un significato alle sensazioni e di organizzarle in percezioni e in concetti. Le difficoltà, che incontrano i bambini con autismo nel filtrare le informazioni sensoriali provenienti dall’ambiente esterno e il loro essere inondati da stimoli sensoriali ad una velocità insostenibile, conduce a quella che l’insegnante e ricercatrice Olga Bogdashina ha denominato: sensoriale agnosia delle persone autistiche. Con tale definizione, l’autrice, vuole porre l’accento sulla presenza spesso, in questi soggetti, di comportamenti che simulino cecità o sordità dovuti alle anomalie sensoriali che questi presentano.

Va osservato che il disturbo dello spettro autistico rappresenta uno dei disturbi più complessi a causa dell’eterogeneità dei sintomi con i quali si manifesta (essi sono già stati descritti in precedenza). È importante, però, porre l’accento su come la persona con autismo, in seguito ad un sovraccarico sensoriale, rischi di essere assoggettata inconsapevolmente da un accumulo di nozioni inconsce, potenziali fonti di stati estremizzati che terminano in collera e dolore fisico, tali da generare un blocco conscio della conoscenza ed una chiusura del soggetto a scopo auto-tutelativo da difesa (48). L’avvio di una comunicazione, dunque, non è così semplice ed immediata in questi soggetti a tal punto che spesso vi è un’assenza di comunicazione verbale. Poiché non esiste persona al mondo che non sia in grado di comunicare, come affermato nel 2003 da Warrick, molti soggetti con autismo in realtà si esprimono utilizzando altri canali comunicativi differenti rispetto a quello verbale. Si tratta di modalità di interazione e di processi di informazione alternativi, aventi alla base intenti comunicativi, connessi anche alla difficoltà di memorizzazione di parole astratte, più comprensibili se associate ad immagini (48).

Tale procedimento prende il nome di “pensiero visivo”, il quale si riferisce alla rappresentazione di contenuti mentali attraverso le immagini (48).

“La mia mente è completamente visiva e i compiti spaziali come il disegno sono facili… Ogni informazione che ho memorizzato è visiva…Se devo ricordare un concetto astratto io “vedo” la pagina del libro o i miei appunti nella mia testa e “leggo” le informazioni da questi. A lezione prendo appunti perché altrimenti dimentico il materiale uditivo…Io penso in immagini. Le parole sono come una seconda lingua per me. Io traduco immediatamente le parole, sia pronunciate che scritte, in filmati a colori completi di suono, che scorrono come una videocassetta nella mia mente. Quando qualcuno mi parla, traduco immediatamente le sue parole in immagini” (Temple Grandin, 2006).

L’autrice, affetta da Sindrome di Asperger, con le sue parole descrive una capacità che caratterizza i soggetti con disturbo dello spettro autistico e che permette loro di far esperienza del mondo in modo immediato e profondo, nonostante non siano capaci di tradurre le esperienze vissute in parole. Il pensare per immagini è una modalità molto comune tra le persone autistiche e rappresenta un punto di forza per facilitare la comunicazione. Secondo Vivanti, partire dal pensiero visivo per facilitare la comprensione, l’apprendimento e l’attenzione del bambino rappresenta un’azione efficace e permette di organizzare programmi di intervento adeguati. Nei bambini con disturbo dello spettro autistico dotati di capacità di visualizzazione visiva, l’immagine può costituire un valido strumento di mediazione e facilitazione per l’acquisizione di nuove conoscenze e per l’apprendimento, attraverso il potenziamento di forme comunicative. Infine, mediante l’utilizzo d’immagini, disegni, fotografie è possibile ridurre la difficoltà di comprensione del linguaggio, verbale e non, tipica dell’autismo, permettendo così al bambino di interagire meglio con l’ambiente circostante e con gli altri. Tali strategie visive, quindi, possono essere utilizzate sia per supportare e incrementare la comunicazione sia per favorire la partecipazione sociale nei bambini con autismo i quali spesso mostrano una volontà ad isolarsi e difficoltà di contatto con l’altro tanto che la stessa Temple Grandin, nel 2002, li ha definiti “i bambini del silenzio”.

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La percezione sensoriale

Tutto ciò che noi conosciamo sul mondo che ci circonda e su noi stessi, deriva dai nostri sensi. È utile fin da subito aprire una breve parentesi e fare una distinzione tra i termini sensazione e percezione. In particolare, con il termine ‘sensazione’ s’intende un processo basilare o elementare che può essere ulteriormente scomposto; la sensazione deriva da ciò che gli organi di senso, presenti sul corpo, rilevano e poi traducono in stimoli fisiologici, inviati al cervello sotto forma di segnali elettrici (49). Al contrario, la ‘percezione’ è un processo più complesso che mira all’attribuzione di un significato ai dati sensoriali percepiti e il suo scopo è quello di identificare, ordinare e classificare gli stimoli sensoriali provenienti dal mondo esterno (49). In particolare, i sensi operano attraverso organi di senso specializzati, chiamati recettori, i quali hanno il compito di captare gli stimoli provenienti dall’interno o dall’esterno del corpo e di inviarli alle diverse aree del cervello (ognuna delle quali ha una propria specializzazione) le quali avranno l’incarico di analizzarli (50).

Un bambino con sviluppo fisiologico non nasce dotato di conoscenze e strategie pronte per percepire la complessità degli stimoli ambientali, ma i neonati acquisiscono informazioni sul mondo e verificano costantemente la validità delle informazioni ottenute (50). La percezione dipende sia dall’apprendimento sia dalla maturazione: è con le esperienze, le memorie e i processi cognitivi che si viene a creare il mondo percettivo (50). Con il passare del tempo, ciascun bambino comprende come il suo corpo non sia costituito da organi separati tra loro, impara a “sentirsi” e a controllare le parti del corpo per produrre movimenti finalizzati (50).

I bambini devono anche imparare come ottenere e immagazzinare le informazioni provenienti dai loro sensi. Essi precisamente imparano a usare i loro organi di senso e a connettere delle immagini sensoriali con dei significati (50). Secondo Ornitz, però, se i processi percettivi non funzionano in modo adeguato, il neonato non è in grado di “dare un senso” all’ambiente poiché un input sensoriale distorto diviene un’informazione distorta.

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Esperienze sensoriali nei soggetti con disturbo dello spettro autistico

“C’è un continuum di problemi di percezione sensoriale per molte persone autistiche, che va da gravi a lievi anomalie”. (Temple Grandin)

“Imparare come funzionano i sensi di ciascuna singola persona autistica è un elemento chiave fondamentale per la comprensione di quella persona” (O’Neil, 1991).

Infatti, nonostante le persone autistiche vivano nel medesimo mondo fisico di persone con sviluppo tipico, il loro mondo è estremamente diverso e questo li porta ad avere una diversa conoscenza di esso (50). I soggetti con autismo hanno esperienze di percezione sensoriale che possono comportare iper- o ipo-sensibilità, fluttuazioni tra volumi diversi di percezione, difficoltà ad interpretare l’input di un senso e molte altre (50). Tali esperienze sono basate su fatti reali, come quelli vissuti da persone con sviluppo tipico, ma tali esperienze reali possono essere percepite o interpretate in modo diverso (50).

Di seguito sono elencate le diverse tipologie di esperienze sensoriali presenti nei soggetti con autismo:

  • Percezione della Gestalt: incapacità di distinguere tra le informazioni di primo piano e quelle di sfondo. L’incapacità dei bambini con autismo di filtrare tali informazioni è in grado di spiegare quali siano i punti di forza e di debolezza della percezione di tali bambini. Da una parte essi sembrano percepire informazioni più accurate e in maggiore quantità; dall’altra, tale quantità d’informazioni non selezionate non può essere trattata in modo simultaneo e ne può derivare un sovraccarico di informazioni. Tutto questo spiega come mai i bambini con autismo non amino i cambiamenti; se cambia il minimo dettaglio, l’intera scena (Gestalt) è diversa, non familiare (50). “ Non posso tollerare alcun tipo di [modifica]…Se una sedia o un tavolo era fuori posto, l’avrei subito rimessa dove doveva essere…Sarebbe angosciante per me trovare che qualcunoha preso una rivista dal tavolino perché io le ho disposte in un certo modo. Cosi gli ospiti si sorprenderebbero di vedermi prendere le riviste dalle loro mani e metterle di nuovo nel posto in cui ho pensato che dovrebbero essere” (Tito Mukhopadhyay).
  • Intensità di funzionamento dei sensi (ipo/ipersensibilità): ogni canale sensoriale può essere iper (il canale è troppo aperto e quindi entrano troppe informazioni da gestire per il cervello) o ipo (il canale non è sufficientemente aperto e quindi entrano poche informazioni e il cervello è deprivato) (50). Secondo Delacato ciascun canale sensoriale potrebbe essere interessato in modo diverso ed inoltre, secondo lui, l’ipo/ipersensibilità vissuta dai soggetti con autismo è la causa di tutti i comportamenti tipici di questi bambini (in particolare le auto-stimolazioni o il distacco dall’interazione sociale e dalla comunicazione). “Mi sembra di avere le orecchie molto sensibili, gli occhi e la pelle. Alcuni rumori decisamente fanno “male” alle mie orecchie e certe luci fanno “male” ai miei occhi.” (Wendy Lawson). “I miei sensi a volte possono diventare opachi al punto che non   posso chiaramente vedere o sentire, e il mondo intorno a me apparentemente cessa di esistere…” (Hawthorne).
  • Sensibilità per (disturbo) alcuni stimoli (50)
  • Fascinazione per alcuni stimoli (50)
  • Incoerenza della percezione (fluttuazione): si possono distinguere due tipi d’incoerenza, fluttuazione tra iper e ipo e fluttuazione tra iper/ipo e normale. La prima è piuttosto comune nei bambini con autismo: spesso si osservano soggetti che in alcune situazioni sembrano sordi, mentre in altre reagiscono ad un rumore quotidiano in modo che fa pensare ad un forte dolore (50). “La sensazione della pelle era insopportabile un minuto prima e del tutto impercettibile quello dopo”. (Blackman)
  • Percezione frammentaria: è una percezione “a pezzi”. Quando troppe informazioni devono essere elaborate simultaneamente, molto spesso i soggetti autistici tendono a frammentare l’intera immagine in unità significative, interpretando gli oggetti, le persone e l’ambiente come parti che formano un’intera soluzione. Elaborano, invece, “i pezzi” che volta per volta attirano la loro attenzione (50). “Ho sempre saputo che il mondo era frammentato. Mia madre era un odore, mio padre era un tono, e mio fratello maggiore era qualcosa che si muoveva” (Donna Williams).
  • Percezione distorta: il bambino autistico percepisce in modo distorto la profondità, lo spazio, le forme e le dimensioni; è presente una visione in 2D (50). “Un bambino con distorta percezione uditiva può sentire il suono come una cattiva connessione da telefono cellulare, dove le dissolvenze di voci dentro e fuori o intere parti della comunicazione sono mancanti” (Temple Grandin).
  • Agnosia sensoriale: è la conseguenza di non essere in grado di filtrare le informazioni sensoriali e di essere pervasi da stimoli sensoriali ad una velocità insostenibile. Tutto questo porta ad un’incapacità di dare significato alle sensazioni provate, ovvero a interpretarle (50). “Ho guardato la goccia di colore beige di fronte a me. Il senso ha chiuso non solo le mie orecchie, ma anche i miei occhi. Ho potuto vedere, ma non avevo assolutamente più idea di cosa fosse”. (Williams).
  • Percezione ritardata: consiste in un’elaborazione ritardata degli stimoli (50). “..sembrava come se non sentissi dolore o fastidio, non avessi bisogno di aiuto, non ascoltassi o non guardassi. Con il tempo alcune di queste risposte acquisivano senso e significato…passavano quindici minuti, un giorno, una settimana, un mese, anche un anno di distanza dal contesto in cui l’esperienza era avvenuta, prima che potessi rispondere.” (Donna Williams)
  • Vulnerabilità al sovraccarico sensoriale: le persone autistiche sono vulnerabili al sovraccarico sensoriale. Le cause di questo sovraccarico d’informazioni possono derivare da un’incapacità di filtrare informazioni rilevanti o sovrabbondanti; da un’elaborazione ritardata d’informazioni; da una tendenza di questi bambini a funzionare a singolo canale, ma essere costretti a mettersi in ricezione su più canali; da una percezione distorta, frammentaria e stress che a loro volta possono generare ipersensibilità (50). “…vado con i miei genitori. Spesso mi lascio condurre da loro come fossi cieco, non perché non vedo niente, ma perché vedo troppo e quindi perdo il senso dell’orientamento” (D.Zoller)
  • Elaborazione a singolo canale (monotropica): al fine di evitare sovraccarichi d’informazioni sensoriali, il cervello elabora le informazioni che entrano in una sola modalità. Per le persone che funzionano a singolo canale, elaborare il significato di ciò che stanno guardando mentre sono toccate può voler dire non avere nozione di dove siano toccate o di che cosa abbiano pensato o visto a proposito di ciò (50). “Ho notato che quando sto usando un canale particolare per affrontare un compito, se si tenta di introdurre un altro canale, perdo il punto nel completamento del compito e ho la necessità di ricominciare.” (Lawson)
  • Percezione periferica: evitamento della percezione diretta poiché “fa male”, ovvero è iper. L’evitare la percezione diretta è per le persone autistiche un altro adattamento involontario che li aiuta a sopravvivere in un modo sensorialmente distorto, evitando il sovraccarico di informazioni (50). “Mi sono sentita subito male e, a volte terrorizzata quando ero a faccia a faccia con una persona…vedere qualsiasi faccia da una distanza sociale era intollerabile.” (Lucy Blackman)
  • Arresti di sistema: un eccessivo sovraccarico può essere causa di “arresti di sistema”, in cui la persona perde in parte o del tutto il suo normale funzionamento (50). Temple Grandin ipotizza che quando il bambino non è in grado di gestire le informazioni sensoriali, chiude tutti o alcuni dei suoi canali sensoriali. Facendo ciò si crea la propria deprivazione sensoriale autoimposta che da origine ad anomalie del sistema nervoso centrale secondario derivanti dal fatto che il bambino evita gli input. “ All’inizio della vita mi sono autoimposta la deprivazione sensoriale: quando la stimolazione sensoriale è diventata troppo intensa sono stata in grado di spegnere il mio udito e ritirarmi nel mio mondo..” (Temple Grandin).
  • Compensazione di un senso inaffidabile per mezzo degli altri sensi: a causa dell’ipersensibilità, della percezione frammentaria o distorta, dell’elaborazione ritardata o dell’agnosia sensoriale, un senso non è mai sufficiente alle persone autistiche per dare un significato al contesto materiale (50).
  • Risonanza: tale stile percettivo prevede che il soggetto autistico abbia una fascinazione per certi stimoli che può culminare nel “perdersi” in essi. Il soggetto può fondersi con vari stimoli sensoriali come se divenisse parte dello stimolo (50).
  • Sogni ad occhi aperti (50)
  • Sinestesia: è un’esperienza fisica involontaria di un’associazione cross-modale, in altre parole ciò avviene quando la stimolazione di una singola modalità sensoriale causa la percezione in uno o più altri sensi. Il più delle volte la sinestesia è unidirezionale, cioè per esempio la vista può essere sperimentata come tatto (50). “Nel negozio ho sentito nero, poi la parola si ruppe in pezzi e sono entrati nei miei occhi. Sono diventato cieco perché era tutto nero.” (Soggetto autistico anonimo)
  • Memoria percettiva (50)
  • Memoria associativa: definita come “memoria seriale”. Tale tipo di memoria differisce dalla memoria verbale, quella cioè “ordinaria”, poiché non è lineare, è multidimensionale, in un certo senso spaziale e può essere attivata da stimoli sensoriali. Spesso tale memoria viene utilizzata dai soggetti autistici come compenso della loro incapacità di elaborare rapidamente le informazioni (50).
  • Pensiero percettivo: nell’autismo i sistemi che elaborano le informazioni visuo- spaziali sono intatti. Infatti, una delle notevoli caratteristiche dei soggetti autistici è la loro capacità di eccellere nelle abilità visuo-spaziali e avere invece performance più basse in quelle verbali. Le parole sono come una seconda lingua (50). I “pensatori visivi” vedono effettivamente i propri pensieri, hanno difficoltà con informazioni verbali troppo lunghe e preferiscono i testi scritti. Il pensiero visivo è molto rapido e non sequenziale(50). Molto spesso le persone autistiche presentano una scarsa memoria uditiva a breve termine e hanno difficoltà a ricordare istruzioni orali che costano di tre o più passaggi (50). Tuttavia quando tali istruzioni sono presentate in “passaggi visivi” è tutto molto più facile per loro, giacché tale cosa li aiuta a “tradurre” dalla forma “uditiva” alla loro forma visiva interna (50). “Per disporre del concetto di gatto ho bisogno di incontrarne diversi tipi per riempire la mia biblioteca mentale di video: non possiedo il concetto generalizzato di gatto.” (Temple Grandin)

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Il cervello autistico e il “pensiero visivo”

Il cervello rappresenta un organo molto complesso, composto di diverse strutture ognuna delle quali aventi una propria funzione. L’autrice Temple Grandin, affetta da sindrome di Asperger, utilizza una metafora per descrivere il proprio cervello: questo, per lei, è un palazzo composto di numerosi uffici, i quali sono in contatto tra loro attraverso relazioni più o meno strette, ma ognuno dei quali presenta funzioni specializzate. In particolare, da un punto di vista anatomico il cervello umano è rivestito dalla corteccia cerebrale la quale a sua volta è suddivisa in quattro grandi sezioni, dette lobi, ognuna delle quali contiene delle regioni funzionali (51). Qui di seguito le descriveremo più nel dettaglio:

  • Lobi frontali: essi sono fondamentali per la pianificazione ed esecuzione dei comportamenti acquisiti e intenzionali, sono anche la sede di molte funzioni inibitorie (51). Nei lobi frontali ci sono numerose aree funzionalmente distinte:
    • Corteccia motoria primaria: controlla tutte le parti mobili sul lato controlaterale del corpo;
    • Corteccia frontale mediale: importante per l’arousal e la motivazione (51);
    • Corteccia frontale orbitale: contribuisce a modulare i comportamenti sociali (51);
    • Corteccia frontale posteroinferiore sinistra (detta anche area di Broca): controlla la funzione espressiva del linguaggio (51);
    • Corteccia frontale dorsolaterale: elabora le informazioni acquisite più recentemente, funzione denominata memoria di lavoro (51);
  • Lobi parietali: essi sono costituiti da molte aree aventi funzioni specifiche (51).
    • Corteccia somatosensitiva primaria: integra gli stimoli somestesici per il riconoscimento e il richiamo della forma, della superficie e del peso (51);
    • Aree posterolaterali al giro postcentrale: generano le relazioni visuo- spaziali e integrano queste percezioni con altre informazioni sensoriali per determinare la percezione delle traiettorie degli oggetti in movimento (51);
    • Parti del lobo parietale medio dell’emisfero dominante: sono implicate in abilità quali il calcolo, la scrittura, l’orientamento destra-sinistra e il riconoscimento (51) ;
    • Lobo parietale non dominante: integra la parte controlaterale del corpo con l’ambiente, rendendo consapevoli di tale spazio circostante, ed è importante per abilità come il disegno (51);
  • Lobi temporali: sono necessari per la percezione uditiva, per la comprensione del linguaggio, per la memoria visiva, dichiarativa e per l’affettività (51).
  • Lobi occipitali: contengono la corteccia visiva primaria e le aree di associazione visiva. È nei lobi occipitali che sono elaborate le informazioni visive (51).

In particolare l’autrice, all’interno del suo libro “Il cervello autistico” afferma di aver partecipato, nell’anno 2006, ad uno studio durante il quale è stata sottoposta alla risonanza magnetica funzionale (fMRI) e ad una versione della tecnica di neuroimaging chiamata “imaging con tensore di diffusione” (DTI) (52).

Mediante la risonanza magnetica funzionale è stata misurata l’attivazione della corteccia visiva ventrale in seguito alla visione di disegni di volti umani, di oggetti e di edifici sia nell’autrice sia in un altro soggetto di controllo (52). Da un punto di vista cerebrale, si sono osservate risposte simili nei due soggetti di fronte alla visione di disegni di oggetti e di edifici, ma il cervello dell’autrice ha mostrato una minore attivazione in risposta ai volti umani (52). Con la tecnica di neuroimaging DTI sono stati esaminati, invece, i tratti di fibra bianca presenti tra le regioni del cervello dell’autrice. Le immagini ottenute hanno mostrato la presenza di un’iperconnessione a livello del cervello, in particolare il fascicolo fronto-occipitale inferiore (IFOF) e il fascicolo longitudinale inferiore (ILF), due tratti di fibra bianca presenti a livello cerebrale, hanno mostrato molte più connessioni rispetto a quelle presenti in un cervello di un individuo con sviluppo tipico (52). Le scansioni ottenute, nel corso dello studio del 2006, hanno mostrato come il fascicolo longitudinale inferiore (ILF), nell’autrice, sia più sottile rispetto a quello presente in un cervello normale, mentre il fascicolo fronto-occipitale inferiore (IFOF) appare esageratamente allungato. Entrambi i tratti si prolungano in tutto il percorso di ritorno dalla corteccia visiva primaria, questo potrebbe spiegare la presenza di una straordinaria memoria visiva nei soggetti autistici come Temple Grandin (52). In seguito, nel 2010, l’autrice si è sottoposta ad una serie di risonanze magnetiche presso l’Università dello Utah. Durante tale studio i ricercatori hanno notato che il ventricolo sinistro dell’autrice era il 57% più lungo di quello destro, mentre nei soggetti di controllo tale differenza era stata solo del 15%. In particolare, hanno osservato che il ventricolo sinistro dell’autrice si estendeva nella corteccia parietale la quale è associata alla memoria a breve termine o alla memoria di lavoro. Il disturbo a carico della corteccia parietale potrebbe spiegare la presenza nell’autrice e nei soggetti autistici come lei di una difficoltà nei compiti che richiedono di seguire parecchie istruzioni una dietro l’altra (52).

Ma, qual è il motivo per il quale i due ventricoli apparivano cosi diversi? L’ipotesi principale riguarda che quando nel cervello accade un danno cerebrale nelle prime fasi dello sviluppo, le altre aree del cervello tentano di compensare il danno presente. Nel caso dell’autrice il danno si sarebbe verificato a livello della materia bianca nell’emisfero sinistro e il ventricolo sinistro si sarebbe ingrandito per riempire la zona danneggiata. Contemporaneamente la sostanza bianca dell’emisfero destro avrebbe tentato di compensare il funzionamento deficitario dell’emisfero sinistro e tale espansione sarebbe avvenuta a scapito delle dimensioni del ventricolo destro (52).

Nel corso dello studio presso l’università dell’Utah si è giunti ad altre importanti osservazioni circa il cervello dell’autrice e dei soggetti con autismo:

  • Il volume intracranico, lo spazio intorno al cranio e le dimensioni del cervello erano maggiori del 15% rispetto a quelle dei soggetti di controllo (52);
  • La quantità di materia bianca nell’emisfero sinistro era circa il 15% superiore rispetto a quella presente nei soggetti di controllo (52);
  • Le amigdale erano più grandi del normale e poiché l’amigdala è importante per elaborare la paura e le altre emozioni, queste dimensioni potrebbero spiegare la presenza di un’ansia permanente in molti soggetti con autismo (52);
  • Lo spessore di entrambe le cortecce entorinali era significativamente maggiore nell’autrice rispetto a quello presente nei soggetti di controllo (52). A proposito della corteccia entorinale, Itzhak Fried (professore di neurochirurgia all’università della California a Los Angeles) sostiene che essa rappresenti un accesso privilegiato al mainframe della memoria ed in particolare, secondo il neurochirurgo “ogni esperienza visiva e sensoriale che finiamo per affidare alla memoria si incanala attraverso questo accesso in direzione dell’ippocampo. Le cellule del cervello devono mandare dei segnali attraverso questo snodo per formare ricordi che in seguito possiamo richiamare coscientemente”. Tale peculiarità presente nell’anatomia cerebrale dei soggetti con autismo, come l’autrice Grandin, contribuisce a spiegare le eccezionali capacità mnemoniche che tali soggetti presentano soprattutto per quanto concerne le informazioni visive (52).

Il concetto di pensiero visivo porta ad un’importante riflessione sulle modalità con cui le persone con autismo elaborano le informazioni: in letteratura, infatti, sono presenti alcune ricerche che hanno evidenziato la presenza di una modalità peculiare di elaborare le informazioni provenienti dall’ambiente esterno nei soggetti con autismo. In uno studio condotto nel 2004, Gervais e colleghi hanno rilevato la presenza, in tali soggetti, di un’ipoattivazione del solco temporale superiore, generalmente deputato all’elaborazione preferenziale di stimoli vocali umani. Altri studi, eseguiti in precedenza, come quello condotto da Farah nel 1989 o da Zeki nel 1992, hanno riscontrato la possibilità che il pensiero visivo e il pensiero verbale funzionassero mediante aree cerebrali diverse nei soggetti con autismo.

In seguito un gruppo di ricercatori, sotto la guida del professor Laurent Mottron, hanno condotto, presso il CETEDUM10, uno studio con lo scopo di dimostrare che le persone autistiche presentano una concentrazione di risorse cerebrali maggiore nelle aree associate alla rilevazione e identificazione visiva; al contrario essi presentano una minore attività nelle aree deputate alla pianificazione e al controllo dei pensieri e delle azioni (53). Questo potrebbe spiegare le grandi capacità che i soggetti autistici presentano per i compiti visivi (53).

Per comprendere il motivo per il quale le persone con autismo possiedono grandi capacità nel trattamento delle informazioni visive, i ricercatori hanno preso in considerazione un gran numero di dati provenienti da studi di brain imaging, eseguiti negli anni precedenti, circa le modalità con cui il cervello autistico opera mentre interpreta i visi, gli oggetti o le parole scritte (53).

Attraverso la meta-analisi effettuata, i ricercatori hanno potuto osservare come le regioni temporali e occipitali del cervello dei soggetti autistici mostrino una maggiore attività, mentre la corteccia frontale presenti un’attività ridotta rispetto a quella che si osserva nei soggetti non autistici (53).

Le regioni temporali e occipitali sono coinvolte nella percezione e nel riconoscimento degli oggetti, mentre quelle frontali sono coinvolte nelle funzioni cognitive superiori (processi decisionali, controllo cognitivo, pianificazione, esecuzione) (53).

In particolare la presenza di un coinvolgimento maggiore delle aree cerebrali responsabili delle abilità visive nei soggetti autistici, è in accordo con le loro capacità visuo-spaziali superiori rispetto a quelle presenti nei soggetti non autistici (53). Tale scoperta suggerisce la presenza di una riorganizzazione funzionale generale del cervello, la quale favorisce i processi di percezione, attraverso i quali l’informazione viene registrata nel cervello (53). Tutto questo permette alle persone con autismo di compiere a modo loro dei compiti cognitivi che richiedono un più elevato coinvolgimento delle aree frontali, come quelli che richiedono un ragionamento (53).

Lo studio ha quindi permesso di dimostrare un maggiore coinvolgimento visivo nei soggetti con autismo, il quale costituisce la prima conferma fisiologica che il sovra funzionamento del trattamento riguardante la percezione è una caratteristica importante per i soggetti con autismo (53). Tale scoperta ci permette di comprendere come il cervello autistico si adatti riassegnando aree del cervello alla percezione visiva e questo è molto importante per la valutazione  visiva dei soggetti con autismo, per l’impostazione del trattamento e per quanto concerne anche la scelta di eventuali facilitazioni da fornire al bambino autistico per lo svolgimento di determinate attività (53).

La solidità dei risultati di tale studio, pubblicato nel 2011, ha per conseguenza che il modello della cognizione nei soggetti autistici fondato su un sovra funzionamento percettivo è il più accreditato al momento, come dichiarato da Mottron, coordinatore dello studio (53).

Infine, nel 2013, Cottini e Vivanti, hanno eseguito alcune ricerche sulla percezione visiva nei soggetti con autismo, le quali hanno evidenziato la presenza in questi bambini di ottime abilità di discriminazione e analisi visiva.

Secondo Vivanti, tutte queste scoperte che hanno permesso di comprendere meglio il funzionamento del cervello autistico, assumono un’importanza centrale nella relazione e nel lavoro con i bambini autistici: le difficoltà che molti di questi soggetti incontrano nell’apprendere informazioni verbali o informazioni per le quali non è possibile generare una rappresentazione grafica, possono suggerire strategie per facilitare la comprensione, l’apprendimento e l’attenzione, permettendo quindi l’organizzazione di programmi di intervento efficaci.

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Strategie visive utilizzate in ambito abilitativo ed educativo

‘Poi però lo vedono fare cose strane: sfrega le mani, salta sul posto, corre avanti e indietro rapidamente, come se disegnasse, con quel suo zigzagare una mappa con l’inchiostro invisibile. Sento altri commenti sottovoce, appena è passato: “È pazzo?”, “Hai visto cosa fa?”, “Quello è fuori!”. Certo è fuori, ma non dal mondo: proviene da un luogo, dove valgono altri codici, altri segni, altre bellezze, che lui trasferisce qui, quando vuole e come può’

Dal libro: Se ti abbraccio non aver paura

 

Cenni introduttivi

Con il termine “strategie visive” si fa riferimento a tutti quegli strumenti che attraverso il canale visivo permettono di ampliare il processo comunicativo, aumentando l’efficacia della ricezione, dell’elaborazione e dell’espressione nel soggetto (54).

In tale definizione, normalmente, rientrano: 1) il linguaggio del corpo (comprese le espressioni facciali), la vicinanza del corpo, la postura e i movimenti del corpo, come toccare e indicare, il contatto visivo, la posizione e lo spostamento dello sguardo; 2) i segnali ambientali usuali, come l’arredamento, la posizione degli oggetti o la presenza delle persone; 3) gli strumenti visivi tradizionali per pianificare la vita e diffondere informazioni, come i calendari, gli orologi, le liste della spesa, i menù, le note, i segnali, le mappe, le agende, gli elenchi telefonici e le istruzioni per l’uso o per il montaggio (54).

In origine, le strategie visive sono state sviluppate come elementi facenti parte di un programma di comunicazione per i soggetti con disturbo dello spettro autistico, poiché era stato osservato che molti di essi presentavano disturbi comportamentali legati alle difficoltà comunicative che possedevano (55). In seguito all’arricchimento visivo dell’ambiente, si è osservato, infatti, un miglioramento delle prestazioni di tali soggetti sia dal punto di vista delle loro capacità di comprensione sia per quanto concerne la loro capacità di partecipazione all’ambiente (55).

In particolare, è noto che i bambini con disturbo dello spettro autistico rientrano tra i cosiddetti “visual learner”, in altre parole individui che per apprendere e comprendere la realtà che li circonda, prediligono il canale visivo, piuttosto che quello uditivo (54). Temple Grandin, nel suo libro, descrive molto bene cosa significhi essere un ‘pensatore visivo’ e questa caratteristica dei soggetti con autismo è stata anche trattata in modo piuttosto ampio nel capitolo precedente di questa tesi.

Questa predilezione per il canale visivo delle persone con autismo ha permesso, per l’appunto, la diffusione dell’uso di strategie che si servono di supporti all’apprendimento e alla comprensione della realtà basati sulle immagini e sulla strutturazione visiva, i cosiddetti supporti visivi (54).

Il messaggio trasmesso dal supporto visivo, essendo duraturo e non transitorio, permette di rispettare i tempi e le competenze necessari per accedere all’informazione (54). Gli ausili visivi, inoltre, facilitano il soggetto autistico fornendogli le informazioni in forma logica, sequenziale e strutturata, ma sono validi, solo se, effettivamente presentano un significato per la persona che li deve utilizzare, se sono facilmente riconoscibili, comprensibili e condivisibili in modo universale (54).

Lo psicologo Hodgdon sostiene che gli strumenti visivi siano stati creati per uno scopo ben preciso, ovvero quello di essere dei mezzi di supporto per la comunicazione. Essi, in particolare, possono essere utilizzati in molteplici casi: problemi di comunicazione, interruzioni comunicative, problemi di pianificazione e organizzazione dell’ambiente e modifiche del comportamento; nei bambini con disturbo dello spettro autistico, che presentano molte difficoltà in tali ambiti, questi strumenti sono molto utili (55).

Un altro aspetto molto importante su cui soffermarsi riguarda che gli strumenti visivi dovrebbero essere considerati come un mezzo e non come un fine: l’utilizzo di tali supporti non deve essere pensato come un intervento educativo di per sé, ma esso rappresenta una strategia finalizzata al raggiungimento di obiettivi specifici, come nel caso di questa tesi il potenziamento delle abilità prassiche nel bambino autistico in età prescolare (54).

L’utilizzo di strumenti visivi nel corso dei processi di apprendimento del bambino rappresenta una facilitazione la quale potrebbe essere collegata alle carenze di memoria e di attenzione: le istruzioni verbali, infatti, avvengono in modo lineare nel tempo e non rimangono disponibili (56). Al contrario, le informazioni visive, rimangono a disposizione del bambino autistico e possono essere riguardate per tutto il tempo che occorre al soggetto per elaborare le informazioni, avviare l’azione, realizzarla e concluderla (56).

Quando si decide, però, di lavorare sull’insegnamento di un comportamento complesso con i bambini con disturbo dello spettro autistico può essere importante utilizzare in associazione ai supporti visivi anche il sistema della Task Analysis (TA) al fine di facilitare il soggetto nel processo di apprendimento. Esso prevede la scomposizione dell’azione principale, che il soggetto deve apprendere, in micro-comportamenti (57). Tale sistema permette di facilitare il bambino nell’apprendimento di azioni come: lavarsi i denti, apparecchiare la tavola o aprire/chiudere un barattolo (57). Le TA sono realizzate in forme visualizzabili come schemi o tabelle (57). Molto spesso sono rappresentate con immagini PECS (Picture Exchange Communication System), le quali saranno descritte più nel dettaglio in seguito, o con disegni che descrivono i vari micro- comportamenti posti in sequenza (57). In tale modo il soggetto autistico può visualizzare in modo semplice le diverse fasi di un’azione complessa e imitarle seguendo la sequenza che gli viene presentata, al fine di compiere l’intero comportamento (57).

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Il sistema della Task Analysis e il concatenamento

Un compito o qualsiasi elemento della vita quotidiana, può essere pensato come un’abilità complessa, scomponibile in sotto-abilità che possono essere insegnate (58).

Da un punto di vista letterale, con il termine Task Analysys intendiamo “l’analisi del compito” (59). Nell’ambito delle teorie di apprendimento 11 , essa rappresenta una procedura attraverso la quale un’abilità o un compito vengono scomposti in piccole sotto-abilità o unità insegnabili in maniera graduale (59). La Task Analysis, in particolare, si basa sul principio di gradualità dell’insegnamento: al bambino vengono insegnate prima le abilità più semplici e solo in seguito quelle più complesse (58). Lo scopo di tale proceduta è di determinare una sequenza di comportamenti che sono necessari per l’apprendimento di un’abilità complessa in modo autonomo ed efficiente (58). Nello specifico, però, affinché una Task Analysis sia corretta, questa deve essere individualizzata e tener conto di alcuni elementi che caratterizzano il bambino a cui è rivolta quali: l’età, il livello di competenza e il livello di esperienza (58). La sequenza di azioni, per questo motivo, può essere modificata ed è diversa da persona a persona (58).

La metodologia della Task Analysis prevede due diversi momenti:

  • Descrizione del compito: consiste nella descrizione sistematica dei singoli atti e comportamenti necessari, al fine di compiere correttamente e adeguatamente una performance (58,59).
  • Analisi delle abilità componenti: consiste nel verificare i prerequisiti necessari che consentono l’apprendimento delle risposte rispetto ad ogni componente della catena. Vengono valutate tali variabili: tipi di risposte, sequenza, grado di precisione, punti critici e tempo necessario per lo svolgimento del compito(58).

Lo scopo finale di quest’operazione è di scorgere i prerequisiti di un compito e verificare se la carenza nella padronanza in qualcuno di questi va messa in relazione “causa-effetto” con le difficoltà che il bambino può presentare in fase di apprendimento (58).

Durante l’insegnamento di un’abilità è importante condurre un’analisi accurata per due specifiche ragioni:

  1. Conoscere che cosa il bambino sia in grado di fare o non sia in grado di fare permetterà di evitare di dover ritornare o soffermarsi su ciò che è già stato insegnato (58).
  2. La frammentazione di un’attività in fasi specifiche permetterà di identificare e affrontare con maggior facilità le difficoltà che il bambino presenta (58).

In particolare l’obiettivo legato alla Task Analysis non è quello di insegnare le sotto abilità in maniera individuale ma concatenata (58). Per questo motivo si parla di Chaining (58).

Il termine Chaining12 tradotto in italiano, significa concatenamento delle singole abilità (58). Esso si riferisce per l’appunto ad una procedura utilizzata per insegnare al bambino autistico, un comportamento complesso usando delle catene comportamentali (58).

Più nel dettaglio, si tratta di una sequenza di stimoli discriminativi (SD) e di risposte (R), in cui ciascuna di queste, tranne l’ultima, fornisce uno stimolo discriminativo per la risposta successiva e l’ultima risposta è normalmente seguita da un rinforzatore (58). È una sequenza di sotto-abilità, che fanno da stimoli per comportamenti che il bambino autistico deve mettere in atto (58). Le connessioni stimolo-risposta rappresentano degli anelli che tengono insieme l’intera catena: ciascuno stimolo che collega due componenti della catena svolge due funzioni contemporaneamente, quella di stimolo discriminativo e quella di rinforzatore (58).

Le due principali tipologie di concatenamento sono: il concatenamento anterogrado (in avanti) e il concatenamento retrogrado (all’indietro) (59).

12 Rappresenta una strategia utilizzata per l’insegnamento di strategie complesse utilizzata nell’ABA (Applied Behavior Analysis) una scienza applicata, fondata su una scienza di base, l’Analisi Sperimentale del Comportamento (EAB- Experimental analysis of behavior)

  • Il concatenamento anterogrado (forward chaining): è una procedura in cui il comportamento è insegnato al bambino nel suo ordine naturale. Ogni singola fase della sequenza viene insegnata e rinforzata una volta completata correttamente. Dopo che il bambino autistico ha completato con un certo livello di precisione un certo passaggio della sequenza, gli è insegnato il successivo, attraverso l’uso di un rinforzo contingente al completamento di tutti i passaggi (59).
  • Il concatenamento retrogrado (Backward chaining): è una procedura in cui si comincia con l’insegnamento dell’ultima risposta della catena comportamentale e si finisce con la prima. Il motivo risiede nel fatto che l’ultima risposta emessa è più vicina al rinforzo finale e consente al soggetto la gratificazione di compiere l’azione (59).

Per finire, nel complesso è possibile affermare che la Task Analysis è un sistema utile al bambino con disturbo dello spettro autistico per: 1) pianificare le diverse fasi del compito; 2) ricordare l’ordine in cui succedono le azioni; 3) mantenere l’attenzione per la durata di tutte le fasi del compito; 4) generalizzare determinate competenze.

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Il sistema PECS

Il sistema PECS (Picture Exchange Communication) è un sistema di comunicazione per scambio d’immagini facente parte delle strategie utilizzate nell’ambito della Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA) (60,61,62). È stato sviluppato a partire dal 1985 negli Stati Uniti d’America, in particolare nel Delaware Autism Program, da Lori Frost e Andy Bondy (60,61,62). I suoi creatori lo hanno definito come un programma basato sui principi del metodo ABA (Applied Behavior Analysis) e sul Verbal Behaviour di Skinner, modificati e progettati per un addestramento ad una comunicazione non vocale, simbolica e precoce (60,61,62). Le tecniche di addestramento per il PECS comprendono strategie ABA quali: rinforzi (elementi che possono modificare la frequenza di un comportamento), prompting (aiuti, in particolare prompt visivi e fisici), fading (diminuzione graduale degli aiuti), modeling e strutturazione dell’ambiente (60,61,62). Il PECS costituisce una strategia che si basa sulla comunicazione mediante lo scambio di, inizialmente, una sola immagine PECS e in seguito di una striscia formata da diverse immagini PECS componenti una frase (60,61,62). Tale sistema è stato in un primo momento ideato per i bambini con disturbo dello spettro autistico in età prescolare e per persone che presentavano un deficit della comunicazione sociale (60,61,62). Nel corso degli anni, però, tale sistema è stato adattato per essere utilizzato con una popolazione molto più ampia e diversificata: bambini con menomazioni comunicative, cognitive, fisiche, incluse le paralisi cerebrali infantili, la cecità e la sordità (60,61,62).

L’obiettivo principale del PECS è di insegnare al bambino la comunicazione funzionale (60,61,62). Esso può essere anche definito come un metodo d’insegnamento focalizzato sul cosa serve e come si usa la comunicazione: in particolare, attraverso il PECS vengono insegnate la funzione di richiesta (mand), di commento (tact) e di risposta a domande (intraverbal) (60,61,62).

La procedura per insegnare il sistema PECS è caratterizzata dall’uso di un protocollo specifico che è stato ideato dalla Piramyd Educational Consultants (fondata dagli stessi ideatori del sistema) che gestisce, ad oggi, anche l’aspetto della formazione (60,61,62). Più nel dettaglio, il sistema rappresenta un programma di apprendimento graduale che comprende 6 fasi:

  • Lo scambio fisico guidato (I fase): costituisce il semplice scambio dell’immagine con l’oggetto (60,61,62).
  • Distanza e persistenza (II fase): costituisce una fase in cui il bambino deve imparare a dirigersi verso il libro per la comunicazione al fine di staccare la carta-simbolo (60,61,62).
  • Discriminazione del simbolo (III fase): in questa fase il bambino impara a discriminare tra stimoli visivi ed esprimere una scelta (60,61,62).
  • La frase (IV fase): in tale fase il bambino impara a costruire semplici frasi con le carte simbolo, composte da “voglio” a cui segue il nome dell’oggetto di interesse (60,61,62).
  • Rispondere ad una domanda (V fase): il bambino impara a rispondere alla domanda “che cosa vuoi?” (60,61,62).
  • Commentare (VI fase): in tale fase il bambino impara a commentare in risposta ad una sollecitazione dell’adulto in modo spontaneo (60,61,62).

Nelle prime due fasi è necessaria la presenza di due adulti con il bambino: l’interlocutore e la guida fisica (“ombra”) (60,61,62). Nelle fasi successive è sufficiente il rapporto 1:1, nonostante sia indicato coinvolgere due adulti all’inizio di una nuova fase del sistema (60,61,62). Una volta che i primi apprendimenti sono consolidati, è necessario solo un adulto. Infine, un altro aspetto molto importante, è la variabilità graduale degli interlocutori e dei contesti al fine di favorire nel bambino un processo di generalizzazione delle capacità acquisite (60,61,62).

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Video Modeling

Il concetto di modeling (apprendimento per imitazione) è stato più volte in passato oggetto di ricerche e applicazioni, fin dai primi studi eseguiti da Bandura al fine di elaborare una teoria dell’apprendimento sociale (63). Con il suo lavoro, lo psicologo ha dimostrato come il modeling abbia un’importante influenza sullo sviluppo dei bambini, i quali tendono ad acquisire un’ampia varietà di abilità non dalle proprie esperienze, ma attraverso l’osservazione di altri soggetti che eseguono quelle azioni (63). Anche gli studi più recenti eseguiti sui neuroni specchio, supportano le linee di base della teoria dell’apprendimento sociale, conferendo a questa anche un’interpretazione di carattere fisiologico (63). Nel modeling, in particolare, sono coinvolti numerosi processi di natura percettiva, motoria, cognitiva e affettivo relazionale (63). Tra questi, secondo Bandura, un ruolo centrale è attribuito all’attenzione, alla ritenzione, alla riproduzione e al movimento (63).

Solo dagli anni Novanta, la strategia del modeling è stata concretamente attuata, utilizzando la tecnologia video, la quale permette di mettere in atto situazioni di autoapprendimento per imitazione (63).

In particolare, il video modeling è un sistema di autoapprendimento per imitazione sviluppato attraverso la presentazione di filmati che spiegano la modalità adeguata di comportamento in certi contesti o la corretta esecuzione di azioni al fine di far apprendere al bambino autistico specifiche abilità (63). Parlando più concretamente, il video modeling prevede la visione individuale di una dimostrazione videoregistrata, cui segue l’imitazione del bambino dei comportamenti osservati durante il filmato (63). Come modello possono essere scelti dei compagni di classe, coetanei del bambino, i familiari oppure adulti conosciuti o non conosciuti (63). Negli ultimi venticinque anni si sono registrate varie applicazioni del video modeling per favorire l’apprendimento di persone con autismo (63).

Nonostante l’imitazione sia un campo nel quale i bambini con disturbo dello spettro autistico manifestano importanti problematiche e difficoltà, si è potuto constatare che essi tendono ad imitare con maggiore facilità ciò che vedono nei video, rispetto a quello che possono osservare nell’interazione faccia a faccia con l’adulto (63). Per tale motivo si può affermare con grande certezza che il video modeling rappresenta una strategia importante per facilitare gli apprendimenti funzionali, quali tendono a manifestarsi nel tempo e a generalizzarsi con maggiore efficacia in situazioni e contesti diversi da quelli originali (63).

Infine, sul video modeling sono stati compiuti numerosi studi i quali hanno fornito risultati molto significativi anche se non sempre concordi per tutti i soggetti coinvolti nelle sperimentazioni (63). L’analisi della letteratura, in particolare, pone in risalto le potenzialità della strategia video modeling per facilitare l’apprendimento di bambini con disturbo dello spettro autistico, anche se appare evidente la necessità di successive ricerche che permettano di affrontare aspetti strategici per l’attuazione d’interventi educativi e riabilitativi con l’utilizzo di tale metodologia (63).

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Le Storie Sociali

Carol Gray descrive le storie sociali come delle brevi storie realizzate, in origine, in modo specifico per i bambini con disturbo dello spettro autistico per aiutarli nella comprensione di una parte del loro mondo sociale in modo che questi bambini riuscissero a comportarsi convenientemente al suo interno. Si parla quindi di un insegnamento di abilità mediante l’imitazione, la comunicazione, l’iniziativa sociale con i coetanei, il gioco e l’autonomia (64).

Le informazioni contenute all’interno delle storie sociali devono essere chiare, concise e adeguate e devono riguardare una specifica situazione sociale, descrivendo il luogo in cui l’attività viene svolta, quando, cosa accadrà, chi parteciperà e perché il bambino dovrebbe comportarsi in un certo modo (64).

È importante scrivere solo l’essenziale, ciò che aiuta il bambino con autismo a comprendere la situazione che gli si presenta, senza inserire divagazioni o abbellimenti letterari (64). Un altro elemento che occorre ricordare è che la storia sociale deve essere utilizzata per fornire delle informazioni e suggerire capacità che il bambino con autismo possiede, ma non utilizza in modo conveniente (64). Per questo motivo ogni storia è specifica per quel bambino che si trova a dover affrontare una determinata situazione (64).

Il primo lavoro riguardante le storie sociali è stato compiuto per l’appunto da Carol Gray, la quale nel 2004 ha scritto un libro in cui sono state raccolte numerose storie (64). L’obiettivo dell’autrice era di realizzare uno strumento che utilizzasse ciò che operatori, insegnanti e genitori facevano quotidianamente, in altre parole cercare di spiegare ai bambini autistici come funziona il mondo sociale e come ci si deve comportare in esso (64). Gray basò il suo lavoro sulle storie sociali partendo dalla convinzione che molti bambini autistici si comporterebbero in modo adeguato nelle diverse situazioni se solo sapessero come farlo, se solo ci fosse uno strumento in grado di spiegarglielo (64).

A differenza di molti altri interventi utilizzati con i bambini con disturbo dello spettro autistico, le storie sociali sono in grado di sfruttare funzionalmente una qualità unica che questi bambini possono presentare (65).

Più nel dettaglio, poiché i bambini con tale patologia spesso aderiscono fermamente alle routine, tale strumento può servire per stabilire una routine o una regola che il bambino potrà in seguito applicare alla situazione sociale (65). In aggiunta, la storia sociale, oltre a basarsi su questo punto di forza, ha un formato che può essere meno intrusivo rispetto ad altri trattamenti alternativi utilizzati per i deficit nelle abilità sociali di bambini con autismo (65). Presentando, infatti, al bambino le istruzioni per iscritto e non in forma verbale, l’aspetto sociale del fornire istruzioni è ridotto al minimo e questo aiuta a limitare il comportamento avversivo provocato dal fatto di ricevere delle istruzioni (65). La storia sociale permette quindi ad un bambino autistico di ricevere delle regole che controllino il comportamento sociale al fine di massimizzare la probabilità che il bambino trarrà beneficio dalle istruzioni (65).

Nonostante Gray e Garand nel 1993 abbiano utilizzato tale approccio con moltissimi bambini con disturbo dello spettro autistico, gli studi empirici con importante validità interna che ne supportino l’uso, sono scarsi (65). In conclusione, le storie sociali possono aiutare in modo efficace ad affrontare i bisogni sociali/comportamentali dei bambini con disturbo dello spettro autistico, ma i limiti nella ricerca esistente hanno reso difficile l’interpretazione degli attuali risultati della ricerca (65).

Come scrivere le storie sociali

Le storie sociali possono essere scritte dagli insegnanti, dai medici, dai terapisti, dai genitori, dagli educatori e da tutti quelli che vivono o lavorano con bambini con disturbi dello spettro autistico (64). Quando si scrive una storia sociale, una prima strategia che può essere utilizzata consiste nel creare una storia che rilevi un’abilità del bambino in modo che esso identifichi tale strumento come utile per la sua autostima (64). Un’altra strategia che può essere utilizzata per attirare il bambino rispetto alla lettura di una storia sociale è quella di realizzare dei libretti, diversi per regole di scrittura dalle storie sociali, che descrivono nel dettaglio e in forma visiva ciò che il bambino con autismo sa fare molto bene (64). Tali strumenti introduttivi non condividono gli obiettivi delle storie sociali, ma il loro scopo è di far in modo che il bambino con autismo familiarizzi con una storia realizzata dalle sue insegnanti o dai suoi genitori, in modo specifico per lui (64). Le storie sociali rispondono alle domande: Chi? Quando? Che cosa sta succedendo? Perché sta succedendo? Rispondendo a tali domande rendono esplicito ciò che ognuno di noi, inconsapevolmente, impara affrontando le situazioni sociali di tutti i giorni (64). La storia sociale, di solito, è scritta in prima persona, ma alcune volte anche in terza persona (65). Il linguaggio che è utilizzato è positivo (65). La storia sociale, inoltre, è precisa da un punto di vista letterale, utilizza un tono calmo, deve essere facile da tradurre da un punto di vista visivo e deve essere presentata tenendo conto delle capacità della persona con disturbo dello spettro autistico (65). Gli elementi portanti delle storie sociali sono i tipi di frase e la proporzione tra queste, la quale definisce la loro frequenza (65). In particolare, sono utilizzate frasi descrittive, soggettive e direttive (65). Le frasi descrittive spiegano in modo obiettivo ciò che succede, non esprimendo opinioni, ma descrivono “chi, cosa, quando, perché” (65). Sono lo scheletro della storia, sono obbligatorie, portano logica e precisione alla storia e descrivono la situazione come se fosse vista da una telecamera (65). Le frasi soggettive mostrano lo stato interno di una persona, ciò che pensa, quello che sente o che crede (65). Permettono al bambino autistico di comprendere il motivo per il quale le persone mettono in atto determinati comportamenti, una tipologia di comprensione che i bambini con sviluppo normale comprendono naturalmente mediante lo sviluppo della teoria della mente (65). Raramente tali frasi descrivono lo stato interno del bambino con disturbo dello spettro autistico, solitamente descrivono lo stato interno degli altri (65). Le frasi direttive suggeriscono una risposta comportamentale a una situazione all’interno di un certo contesto (65). Annunciano, cioè, in termini positivi quello che la persona dovrebbe cercare di fare o di dire nella situazione stimolo (65). Infine, un’altra modalità per utilizzare le frasi direttive è quella di usarle per presentare una serie di scelte al bambino autistico, in seguito alle quali il bambino deve manifestare una sola preferenza (65).

 


  • 1 Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, ovvero, tradotto in lingua italiana, “Manuale Diagnostico e statistico dei disturbi mentali”. La prima versione risale al 1952 e fu redatta dall’American Psychiatric Association (APA), come replica nell’area del disagio mentale all’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che nel 1948 aveva pubblicato un testo, la classificazione ICD, esteso pure all’ambito dei disturbi psichiatrici.
  • 2 Associazione nazionale Genitori soggetti autistici. Essa è stata fondata nel 1985 con lo scopo di combattere contro le teorie psicodinamiche colpevolizzanti i genitori, fare opera di formazione informazione e scambi culturali con esperti di altri paesi.
  • 3 Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza
  • 4 Disturbo da deficit dell’attenzione e dell’iperattività
  • 5 Capacità di tali strutture di modificarsi continuamente sulla base del mutare degli stimoli ambientali
  • 6 Istituto superiore di sanità
  • 7 Movement Assessment Battery for children, Handerson e Sugden 1992
  • 8 Peabody Developmental Motor Scale-2, Folio 2000
  • 9 Baron-Cohen dopo aver concluso il dottorato con Uta Frith, fu coautore nel 1985 di un primo studio che riferiva l'autismo ad un ritardo nello sviluppo di una teoria della mente e ad un certo grado di incapacità a sviluppare consapevolezza di cosa possa esserci nella mente di un altro essere umano, incapacità chiamata "mind-blindness", o "cecità mentale", da cui "Mind- blindness theory", o "teoria della cecità mentale”. L'elaborazione di una teoria della mente da parte del bambino fu, infatti, individuato come fondamentale per acquisire la capacità di sostenere interazioni sociali flessibili e di comunicare e per lo sviluppo dell'empatia.
  • 10 Centro d’eccellenza in disturbi pervasivi dello sviluppo dell’università di Montreal
  • 11 In particolare si fa riferimento alle teorie dell’apprendimento di Gagné “The condition of learning” (1970) e di Mager “Preparing Instructional Objectives” (1975)

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