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Lo sviluppo del bambino da 0 a 3 anni nella letteratura scientifica in relazione a diversi autori

Lo sviluppo del bambino da 0 a 3 anni

Prima della nascita della Psicologia dello sviluppo l’infanzia non era pensata come una fase autonoma dell’età evolutiva e i bambini venivano considerati degli adulti in miniatura. Negli anni, grazie all’evoluzione di diversi filoni di studio sul bambino e sulla crescita, vi è stata un’importante inversione di tendenza: la personalità, le capacità di un adulto sono oggi considerate come il frutto di esperienze che hanno le loro radici nell’infanzia di ogni persona.

Alcune considerazioni generali:

Oggi, da parte di molti studiosi e ricercatori, si tende ad avere una visione scientifica integrata dello sviluppo, soprattutto nei primi anni di vita. Si cerca cioè di superare contrapposizioni e contrasti fra le ricerche di matrice diversa tentando di analizzare e integrare conoscenze multidisciplinari per fornire una sintesi che possa contribuire alla fondazione di un approccio neurobiologico allo studio delle relazioni interpersonali.

Tutte le scoperte recenti nel campo della genetica e delle neuroscienze vengono sicuramente ad interrogare non solo gli approcci biologici, neurologici, cognitivi dello sviluppo ma anche l’approccio più psicologico.

Diventa importante rivisitare alcuni degli autori e dei concetti che hanno aperto tutto il mondo della prima infanzia mettendo l’accento sulla relazione madre-bambino ed in modo più complesso sulla relazione ambiente-bambino.

A permettere di ampliare le conoscenze su abilità insospettate del bambino (come la competenza precoce alla comunicazione e la predisposizione alla relazione con il suo ambiente) è stata la profonda trasformazione nei metodi di ricerca e studio caratterizzati da metodologie osservative nuove.

Negli anni settanta si afferma lo studio dei processi nei bambini nelle loro età reali, con attenzione privilegiata all’interazione momento per momento tra madre e bambino. È grazie a questi studi basati sull’osservazione diretta dei neonati e delle loro interazioni con l’ambiente che si sono radicalmente cambiate le vecchie rappresentazioni del bambino che si pensava coinvolto soprattutto in reazioni globali ed indifferenziate di risonanza.

Viene così a delinearsi un modello evolutivo dello sviluppo infantile precoce che considera sia le caratteristiche individuali del bambino sia quelle del contesto ambientale in cui egli è immerso sin dai primi momenti di vita, in modo che lo stato di uno influenza il successivo stato dell’altro, attraverso un processo dinamico continuo (Sameroff, 2000). Emerge che il bambino e la madre si modellano reciprocamente.

Un ruolo centrale nel determinare lo sviluppo delle strutture psichiche nelle prime fasi della vita sarebbe dunque svolto dalle relazioni interpersonali che continuano ad esercitare importanti influenze sulle attività della mente durante tutta la nostra esistenza. Il bambino appare predisposto fin dalla nascita ad interagire attivamente con il mondo, mostrando una preferenza per alcuni stimoli, come la configurazione del volto umano, il suono e le modificazioni del tono della voce e distinguendo secondo questi parametri la madre da un estraneo sin dalla seconda settimana di vita. Contemporaneamente sin dall’inizio il bambino appare ricercare lo specifico livello di stimolazione che si adatta al proprio stato interno. La madre a sua volta, spesso senza esserne consapevole, si pone in relazione con il proprio piccolo con modalità in sintonia con le sue capacità ricettive. Si costituisce così una danza interattiva fatta di ritmi e caratteristiche formali che appartengono solo a quella specifica diade (Stern, 1998), dando vita ad un sistema di regolazione affettiva di tipo preverbale, che si ipotizza possa fungere da matrice delle successive competenze relazionali del bambino, nonché nei primi nuclei della sua personalità (Beebe, Lachmann, & Jaffe, 1997).

 

Lo sviluppo psicomotorio del bambino tratto da P. Vayer e J. Le Boulch

Lo sviluppo psicomotorio segue determinate fasi evolutive, ma non evolvono tutte necessariamente allo stesso ritmo.

Leggi dello sviluppo psico-motorio

  • Legge cefalo – caudale, la maturazione neuro-motoria inizia dalla testa e coinvolge progressivamente le estremità.
  • Legge prossimo – distale, lo sviluppo procede, a partire dall’asse centrale del corpo, dalle parti più vicine all’asse a quelle più lontane.

Fasi di sviluppo dello schema corporeo

  • Corpo vissuto (fase materna), 0-3 anni
  • Corpo percepito (fase preoperatoria – globale), 3-5 anni
  • Fase di transizione (dissociazione e analisi motoria), 5-7 anni
  • Corpo rappresentato, 7-11/12 anni

Alcune tappe importanti

0 mesi

Posizione fetale

1 mese

Prono solleva il mento

2 mesi

Prono solleva il torace

3 mesi

Supino cerca di afferrare, ma non ci riesce

4 mesi

Siede con appoggio

5 mesi

Siede sulle ginocchia di qualcuno e afferra gli oggetti

6 mesi

Siede sul seggiolone e afferra un oggetto che si muove

7 mesi

Siede senza appoggio

8 mesi

Sta in piedi se aiutato

9 mesi

Si tiene in piedi appoggiato ad un mobile

10 mesi

A terra si sposta trascinandosi

11 mesi

Cammina se aiutato

12 mesi

Si alza per mettersi in piedi appoggiandosi

13 mesi

Sale i gradini in quadrupedia

14 mesi

Sta in piedi

15 mesi

Cammina senza aiuto

Due anni e mezzo, tutte le abilità locomotorie progrediscono rapidamente

  • Sale le scale con fiducia
  • Corre in avanti e comincia ad arrampicarsi
  • Spinge e tira grandi giocattoli
  • Va in triciclo ma spingendosi con i piedi
  • Può saltare a piedi uniti da uno scalino basso

Tre anni

  • Sale le scale alternando i piedi e scende appoggiando entrambi i piedi sul gradino
  • È più agile nell’arrampicarsi
  • Può aggirare gli ostacoli mentre corre
  • Valuta i suoi movimenti e le dimensioni del suo corpo in rapporto agli oggetti.
  • Va in triciclo usando i pedali
  • Può stare sulla punta dei piedi e camminarci.
  • Può stare per un momento su un piede solo se glielo si mostra.
  • Siede con le gambe incrociate
  • Lancia la palla in avanti a mani unite e afferra un pallone con le braccia tese, calcia la palla con forza.

 

Lo sviluppo cognitivo secondo J. Piaget

Jean Piaget è stato uno psicologo e pedagogista svizzero. È considerato il fondatore dell'epistemologia genetica, ovvero dello studio sperimentale delle strutture e dei processi cognitivi legati alla costruzione della conoscenza nel corso dello sviluppo.

Piaget dimostrò innanzitutto l'esistenza di una differenza qualitativa tra le modalità di pensiero del bambino e quelle dell'adulto e, successivamente, che il concetto di capacità cognitiva, e quindi di intelligenza, è strettamente legato alla capacità di adattamento all'ambiente sociale e fisico. Ciò che spinge la persona a formare strutture mentali sempre più complesse e organizzate lungo lo sviluppo cognitivo è il fattore d'equilibrio, «una proprietà intrinseca e costitutiva della vita organica e mentale». Lo sviluppo ha quindi una origine individuale, e fattori esterni come l'ambiente e le interazioni sociali possono favorire o no lo sviluppo, ma non ne sono la causa.

Assimilazione e accomodamento

Secondo Piaget, i due processi che caratterizzano l'adattamento sono l'assimilazione e l'accomodamento, che si avvicendano durante l'intero sviluppo. L'assimilazione e l'accomodamento accompagnano tutto il percorso cognitivo della persona, flessibile e plastico in gioventù, più rigido con l'avanzare dell'età (tesi amatiana).

  • Assimilazione, consiste nell'incorporazione di un evento o di un oggetto in uno schema comportamentale o cognitivo già acquisito. In pratica il bambino utilizza un oggetto per effettuare un'attività che fa già parte del suo repertorio motorio o decodifica un evento in base a elementi che gli sono già noti (per esempio il riflesso di prensione palmare porta il neonato a stringere nella mano oggetti nuovi).
  • Accomodamento, consiste nella modifica della struttura cognitiva o dello schema comportamentale per accogliere nuovi oggetti o eventi che fino a quel momento erano ignoti (nel caso del bambino precedente, se l'oggetto è difficile da afferrare dovrà per esempio modificare la modalità di presa).

Gli stadi dello sviluppo cognitivo secondo J. Piaget

Nei suoi studi sull'età evolutiva Piaget notò che vi erano momenti dello sviluppo nei quali prevaleva l'assimilazione, momenti nei quali prevaleva l'accomodamento e momenti di relativo equilibrio. Sviluppò così una distinzione degli stadi dello sviluppo cognitivo individuando quattro periodi fondamentali dello stesso, comuni a tutti gli individui e che si susseguono sempre nello stesso ordine.

Stadio senso-motorio. Dalla nascita ai 2 anni circa. Come suggerisce il nome, il bambino utilizza i sensi e le abilità motorie per esplorare e relazionarsi con ciò che lo circonda. L’evoluzione procede secondo i seguenti momenti:

  • Reazioni riflesse (primo mese);
  • Reazioni circolari primarie (secondo – quarto mese);
  • Reazioni circolari secondarie (quarto – ottavo mese);
  • Reazioni circolari differite (otto – dodici mesi);
  • Reazioni circolari terziarie (o dodici – diciotto mesi);
  • Stadio della rappresentazione cognitiva (diciotto – ventiquattro mesi).

Stadio pre-operatorio. Dai 2 ai 6-7 anni. In questo stadio il bambino è in grado di usare i simboli.

Stadio delle operazioni concrete. Dai 6/7 agli 11 anni. Il termine operazioni si riferisce a operazioni logiche o principi utilizzati nella soluzione di problemi.

Stadio delle operazioni formali. Dai 12 anni in poi. A partire dai 12 anni il bambino riesce a formulare pensieri astratti: si tratta del cosiddetto pensiero ipotetico dove il bambino non ha bisogno di tenere l'oggetto dinanzi a se ma può ragionare in termini ipotetici.

 

Un autore fondamentale Donald W. Winnicott

Winnicott, psicanalista inglese di formazione pediatrica, ha sempre occupato un ruolo originale nel campo della psicanalisi infantile. Poco interessato a porre dei punti di riferimento cronologico allo sviluppo, ha avanzato delle proposte che, pure esse, si lasciano difficilmente concettualizzare in modo dogmatico.

I contributi più importanti di Winnicott si ritrovano nella sua descrizione delle origini evolutive del Sé all’interno della relazione madre-bambino.

Molte sono state le ricerche sull’Io e sul Sé nella psicanalisi e nonostante le considerazioni divergenti quasi tutti gli autori concordano nel parlare di un Sé inteso come nucleo di soggettività che caratterizza ogni esperienza di vita, ogni attività o comportamento; un senso di Sé integrato e coerente dotato di continuità lungo lo sviluppo.

Winnicott segue una ricerca originale che lo porta a delineare la genesi infantile del Sé attraverso la scoperta di un’attività psichica e mentale di tipo primitivo. Gli studi sui processi di sviluppo della psiche infantile lo portano a riconoscere che prima che ci sia un IO ha luogo uno sviluppo del SÉ.

Il Sé ha a che fare con la vita e riguarda l’essenza della natura umana; è una potenzialità ereditaria del bambino di sentire la “continuità dell’esistenza” e di arrivare ad acquisire a modo proprio e con un proprio ritmo una realtà psichica e uno schema corporeo personali.

Il potenziale ereditario può trasformarsi gradualmente in un infante determinato grazie alla continuità delle cure materne che vanno a costruire la continuità dell’essere.

Secondo Winnicott non si può dunque parlare dei processi che hanno luogo nell’individuo nei primi mesi di vita, processi che danno luogo alla formazione di un Sé separato, distinto, senza far riferimento al ruolo insostituibile che la madre riveste.

Il bambino si sviluppa a partire da un’unità mamma-bambino; tre funzioni di questa unità facilitano lo sviluppo sano:

  1. L’holding
  2. L’handling
  3. L’object relating

 

L’holding che porta all’integrazione degli elementi senso - motori. Il concetto del sostenere si riferisce al momento iniziale del rapporto madre-bambino, in cui non vi è ancora un Sé separato dalle cure materne, verso le quali esiste, in senso psicologico, una dipendenza assoluta. È l’esperienza che, subito dopo la nascita e nei primi mesi, all’interno di un’attività di adattamento continuo e totale della madre al figlio, fa si che ci si sente come una cosa sola, non due attraverso l’esperienza del contatto fisico. Le cure che la madre presta al neonato rispondono essenzialmente a bisogni fisiologici, ma non sono fine a se stesse e non si esauriscono nella protezione del bambino, ma rappresentano in ogni dettaglio fatti psicologici.

Assume allora grande rilevanza il modo in cui la madre prende in braccio il bambino, lo guarda, gli parla, lo cambia, lo sposta. Le cure non possono essere date in modo freddo, meccanico o semplicemente routinario, ma implicano l’empatia della madre, il suo costante adattamento attivo ai bisogni del bambino man mano che si manifestano.

Dalle ripetute esperienze motorie e sensoriali sperimentate nella vita quotidiana, sentite inizialmente come separate e prive di connessioni, si origina la tendenza all’acquisizione del “senso di esistere” che molto gradualmente porta alle integrazioni delle parti del Sé prima delle parti del corpo in un’ unità contenuta dalla pelle e psicologicamente integrata, successivamente del Sé.

L’handling, che facilita la personalizzazione, l’autonomia. La manipolazione, le cure e le attenzioni che la madre quotidianamente rivolge al corpo e alle sue funzioni permettono all’infante di arrivare a sentire il corpo come proprio. Via via che le esperienze si saldano fra loro può avvenire il processo di personalizzazione, di insediamento della psiche nel soma e la costruzione di un’ unità fra il corpo, le funzioni del corpo e la psiche.

È attraverso questo processo, in cui pian piano il corpo viene coinvolto nello sviluppo emotivo- affettivo, che l’individuo arriva a sentire di abitare nel proprio corpo e questo rende possibile le prime primordiali esperienze emotivo- affettive.

L’object relating, che da’ origine alla creazione dei rapporti umani. Si riferisce alla capacità della madre di mettere a disposizione del suo bambino l’oggetto nell’esatto momento in cui ne ha bisogno, né troppo tardi né troppo presto, in modo tale che il bambino abbia il sentimento onnipotente di aver lui stesso creato magicamente questo oggetto. La presentazione troppo precoce dell’oggetto toglie al bambino la possibilità di sperimentare il bisogno, poi il desiderio, rappresenta un’irruzione da cui egli deve proteggersi creando un falso sé. All’opposto la presentazione tardiva dell’oggetto porta il bambino a sopprimere il proprio desiderio per non essere annientato dal bisogno e dalla collera. Il bambino rischia anche di sottomettersi passivamente al suo ambiente.

 

Il Sé si va quindi costruendo usando come strumenti propri il contenimento e la manipolazione e sperimentando attraverso il contenimento e la manipolazione quell’area che non è né del bambino né della mamma.

È l’area del gioco, l’area dei fenomeni transazionali, un’area ponte fra la mamma e il bambino dove si realizza l’illusione che permette la conquista dello spazio fra dentro e fuori. In quest’area che non è né dell’uno né dell’altro, ma di tutti e due, il bambino può elaborare l’angoscia di fronte all’esperienza di separazione e può costruirsi l’identità come senso di continuità dell’essere.

Il rappresentante più caratteristico dello spazio transazionale è l’oggetto transazionale che non è né interno né esterno, appartiene al mondo della realtà ma il bambino lo include all’inizio nel suo mondo d’illusione e di onnipotenza; è precedente allo stabilirsi della prova di realtà e rappresenta il seno o l’oggetto della relazione primaria.

 

La teoria dell’attaccamento

I lineamenti principali della teoria dell’attaccamento sono rintracciabili nei lavori di John Bowlby pubblicati tra il 1958 e il 1963.

Appoggiandosi e rifacendosi alla psicoanalisie all’etologia, Bowlby fu in grado di elaborare una teoria del tutto originale, da molti definita una teoria di tipo spaziale. Essa, infatti, prevede che un soggetto si senta bene quando si trova vicino a chi ama, e si senta invece ansioso, triste e solo quando si trova lontano dai propri oggetti d’amore.

Con la teoria dell’attaccamento Bowlby propone un modello di sviluppo dell’individuo svincolato dal concetto di fase, proprio della psicoanalisi classica. E’ un modello che viene da lui denominato epigenetico, esso prevede che per ogni individuo siano possibili più linee di sviluppo, il cui risultato finale dipende dall’interazione dell’organismo con il proprio ambiente.

La stessa concezione della mentesubisce con Bowlby una profonda trasformazione.

Per Freud la mente aveva un carattere monadico, era prestrutturata ed organizzata secondo il sistema motivazionale delle pulsioni; le dinamiche interazionali erano il risultato delle vicissitudini pulsionali e l’amore era frutto di un apprendimento.

La teoria di Bowlby si colloca invece in un modello della mente di tipo relazionale(Ammaniti, Stern, 1992). Diventa infatti centrale la qualità dell’accudimento, intesa come disponibilità e capacità di risposta materna.

Bowlby ha così potuto definire:

  1. Il comportamento di attaccamento come quel comportamento che ha la duplice funzione di assicurare la vicinanza a una figura di attaccamento e proteggere il piccolo dal pericolo. Il comportamento di attaccamento pur avendo carattere pulsionale, è per sua natura interazionale, ha una motivazione propria, viene innescatodalla separazione o dalla minaccia di separazione dalla figura di attaccamento, può essere eliminatoo mitigato per mezzo della vicinanza; e può manifestarsi in circostanze diverse e nei confronti di individui diversi.
  2. Il legame di attaccamento è ciò che unisceprofondamente e strettamente due persone. Esso è dunque riservato solo a pochissimiindividui.
  3. Una nuova concezione d’istinto. Secondo Bowlby non esiste un’antitesi tra innato e acquisito.Ogni carattere è il prodotto dell’interazione tra il patrimonio genetico e l’ambiente. Il comportamento istintivo umano deriva da uno o più prototipi comuni ad altre specie animali, “prototipi che ovviamente sono stati molto arricchiti ed elaborati in certe direzioni”.
  4. La relazione d’attaccamento. La relazione di attaccamento può essere definita dalla presenza di tre caratteristiche:
    1. Ricerca di vicinanza a una figura preferita chesi sviluppa come risultato di un processo graduale di sviluppo programmato geneticamente e di apprendimento sociale.
    2. L’effetto “base sicura”. Dove non esiste una base sicura, l’individuo fa ricorso a manovre difensive per minimizzare la sofferenza ed eventualmente manipolare il sostegno a scapito di un sodalizio veramente reciproco.
    3. La protesta per la separazione. Bowlby identificò la protesta come la risposta primaria provocata nei bambini dalla separazione dai genitori. Pianto, urla, morsi, calci sono reazioni normali ed hanno la doppia funzione di riparare il legame di attaccamento la cui rottura è minacciata dalla separazione, e di punire chi si cura del bambino per evitare ulteriori separazioni. Un’interessante caratteristica dei legami di attaccamento è la loro resistenza. Essi persistono nonostante maltrattamenti e punizioni severe e non adeguate al contesto.

 

L’ontogenesi del sistema di attaccamento può essere suddivisa in tre fasi fondamentali:

  1. Prima fase: 0-6 mesi. Orientamento e pattern di riconoscimento.
  2. Seconda fase: 6 mesi-3 anni. Attaccamento “set-goal” (scopo programmato).
  3. Terza fase: dai 3 anni in poi. La formazione di una relazione reciproca.

 

I pattern di attaccamento e stile materno

Fu Mary Ainsworth ad approfondire la connessione tra sistema comportamentale esplorativo e sistema d’attaccamento. Una prima classificazione degli stili di attaccamento è stata da lei formulata attraverso la Strange Situation (1978), un’innovativa tecnica di osservazione della relazione madre-bambino, ottimo strumento diagnostico, oltre che di ricerca, attualmente ancora molto utilizzato.

La Strange Situation è stata messa a punto per illustrare il funzionamento del sistema comportamentale di attaccamento nei bambini di un anno, esponendoli a situazioni combinate di lieve pericolo (in un ambiente sconosciuto, dal quale la madre si allontana per un breve tempo).

Ainsworth ha sviluppato un sistema di classificazione suddiviso in quattro categorie (A, B, C, D) per descrivere il modello di risposta del bambino al genitore insieme al quale è osservato. L’autrice ha riscontrato uno stretto legame tra la modalità di risposta del bambino alla separazione e alla riunione con la madre durante il test, e l’interazione madre-figlio nella situazione domestica.

  • Sicuri (gruppo B). Questi bambini accoglievano con gioia il ritorno delle loro madri dopo una breve separazione nella Strange Situation. Le avvicinavano cercando l’interazione o il contatto stretto, si tranquillizzavano abbastanza rapidamente e tornavano poi a giocare.
  • Insicuri-evitanti (o gruppo A), essi evitavano la madre al suo ritorno rimproverandola, guardando lontano, voltandosi o allontanandosi, oppure rifiutavano le offerte di interazione.
  • Insicuro-ambivalente (gruppo C), essi cercavano il contatto fisico ravvicinato, ma mostravano anche comportamenti di rabbia e resistenza.
  • Insicuri-disorganizzati (gruppo D)il cui comportamento non corrisponde a nessuna delle tre categorie individuate dalla Ainsworth.

Va notato comunque che, sebbene la sensibilità della madre possa giocare un ruolo fondamentale nello stabilire il tono iniziale della relazione, una volta che particolari modelli di comunicazione si sono stabiliti in una diade, essi tendono ad essere mantenuti da entrambi i partner.

Secondo la Ainsworth e collaboratori (1978) ,le differenze qualitative nel tipo di attaccamento sviluppato dai bambini sarebbero determinate dalla sensibilità mostrata dalla madre nei confronti del piccolo durante i primi mesi di vita. In particolare, è stato mostrato come le madri di bambini classificati come sicuri siano in grado di recepire i segnali di comunicazione del bambino, rispondendo prontamente a segnali di disagio o di malessere e mostrandosi nel contempo disponibili e affettuose. Di conseguenza, il bambino confidando nella disponibilità della madre a sostenerlo riuscirebbe a sviluppare un senso interno di sicurezza che gli permette di esplorare il mondo circostante.

Differentemente, le madri classificate come insicure-evitanti sembrerebbero non essere in sintonia con i comportamenti del bambino, mostrandosi poco sensibili ai segnali di disagio e poco accoglienti anche sul piano fisico. In rapporto a ciò, il figlio svilupperebbe una scarsa fiducia circa una pronta e adeguata risposta alle proprie difficoltà. Tenderebbe così a mantenere una sorta di atteggiamento di autosufficienza con il risultato di minimizzare le occasioni di vicinanza alla madre e quindi il rischio di un possibile rifiuto.

Infine, le madri di bambini classificati come insicuri-ambivalenti, mostrano un atteggiamento piuttosto imprevedibile: alcune volte, magari proprio quando il bambino ha più bisogno, si rivelano, di fatto, poco pronte e disponibili. Ciò naturalmente ha delle conseguenze per il bambino: quest’ultimo, infatti, svilupperà presumibilmente un’incertezza circa la disponibilità della madre a fornire protezione in caso di bisogno e come risultato resterà tenacemente coinvolto con la figura di attaccamento, non riuscendo però ad utilizzarla come base sicura per l’esplorazione.

 

I modelli operativi interni

Nell’inquadrare lo sviluppo dell’attaccamento dapprima come un insieme di relazioni semplici, attivate automaticamente alla presenza di un qualsiasi adulto e poi come sistema complesso rivolto a persone specifiche e ben differenziate, un altro aspetto risulta fondamentale e riguarda ciò che sono definiti Modelli Operativi Interni.

In generale i Modelli Operativi Interni non sono da intendere come delle copie fedeli del mondo quanto piuttosto come degli schemi che raccolgono certe relazioni essenziali tra elementi della realtà esterna (ad esempio connessioni temporali, di causa-effetto oppure spaziali) in modo da rendere il soggetto capace di formulare previsioni sull’andamento futuro dei fenomeni rappresentati (Craick, 1943). Il termine “operativi” mette bene in luce la natura dinamica di questi schemi che possono andare incontro a ripetuti aggiustamenti sulla base delle esperienze intercorrenti.

Naturalmente, tra gli aspetti del mondo importanti per il bambino, nessuno risulta così fondamentale come quello riguardante le relazioni interpersonali da cui dipende la sua stessa sopravvivenza fisica e il suo benessere emotivo: proprio per questa ragione egli costruirà un modello interno delle figure di attaccamento, interiorizzando la qualità delle ripetute interazioni con queste ultime. Strettamente connesso al modello delle figure d’attaccamento è il modello che il bambino svilupperà di sé e che appare delinearsi in modo complementare al primo: infatti, un modello che ha costruito un modello della figura d’attaccamento come disponibile e attenta, tenderà a sviluppare un modello complementare di sé come degno e meritevole di cure.

Un problema aperto resta quello di comprendere la natura dei modelli operativi interni che il bambino sviluppa nel caso di figure d’attaccamento con più figure significative. Si assisterà, in questo caso, a una molteplicità di modelli delle varie figure d’attaccamento? In realtà è poco plausibile che avvenga una cosa del genere ma le ipotesi formulate in alternativa sono piuttosto diverse: alcuni autori ritengono che il modello di sé sia plasmato soprattutto dal legame con la figura d’attaccamento primaria (Main, Kaplan, & Cassidy, 1985), mentre altri ritengono che nel corso dello sviluppo il bambino integri i diversi modelli in un unico meta modello (Bretherton, 1995).

 

Daniel Stern, l’organizzazione interna del Sé

Daniel Stern, psichiatra e psicoanalista statunitense specializzato nell'infant research, rappresenta l’intermediario tra le teorie di stampo più puramente psicanalitico (Freud, Mahler) e gli psicologi dello sviluppo (Winnicott, Ainsworth).

Nei suoi studi egli afferma l’esistenza precoce di un’organizzazione, ma ne individua l’origine nel sistema diadico madre – bambino, considerando il Sé come un prodotto sociale.

In quest’ottica processuale il Sé si sviluppa a partire da un nucleo fondamentale costituito dalla continuità di esperienze che vengono mantenute dal caregiver (sequenze di comportamento motorio, regolazione della tensione e affettività) e solo successivamente il bambino inizia a svolgere un ruolo più attivo sia nel controllo e nella padronanza delle esperienze che nell’attivazione del caregiver.

Nel modello evolutivo presentato da D. Stern (1987) il senso del Sé è concepito come esperienza soggettiva del bambino, e ciascun Sé, pensato nella sua linea evolutiva, emerge in un determinato periodo, definito “campo di relazione” del bambino.

  • Senso di un Sé emergente, (0-2 mesi)
  • Senso di un Sé nucleare, (2-6 mesi)
  • Senso di un Sé soggettivo, (7-9 mesi)
  • Senso di un Sé verbale, (15-18 mesi)

Attraverso le continue interazioni con il proprio caregiver l’infante si costruisce un proprio mondo rappresentazionale, creato grazie alla concettualizzazione di eventi, schemi percettivi, sequenze motorie, aree semantiche. Questo concetto si avvicina molto ai contenuti della teoria dell’attaccamento.

Anche il rapporto madre-bambino inoltre, evolve attraversando sette fasi che Stern scandisce individuando un graduale incremento della reciprocità e della partecipazione attiva del bambino allo scambio intersoggettivo (gioco condiviso): regolazione fondamentale (0-3 mesi), scambio reciproco (3-6 mesi), iniziativa (6-9 mesi), focalizzazione (9-12 mesi), autoaffermazione (14-20 mesi), riconoscimento e continuità (18-36 mesi).

 

Cenni di neurobiologia dell’esperienza interpersonale

Da quanto emerso dal libro “La mente relazionale” scritto da Daniel J. Siegel (2001) i rapporti di attaccamento influenzano profondamente lo sviluppo dei circuiti neuronali del bambino, e hanno effetti diretti sulla maturazione delle attività cerebrali che mediano processi fondamentali: memoria, narrativa autobiografica, emozioni, rappresentazioni e stati della mente. In questo senso un attaccamento insicuro può rappresentare un fattore di rischio significativo per quanto riguarda il successivo manifestarsi di condizioni.

Anche se questi processi si manifestano con particolare evidenza nell’età infantile, gli adulti continuano a presentare comportamenti di attaccamento, per tutta la vita: soprattutto quando attraversano periodi particolarmente difficili.

La regolazione delle emozioni è alla base dei processi di organizzazione del Sé, e le comunicazioni emotive che si stabiliscono fra genitore e figlio influenzano profondamente lo sviluppo delle capacità di autorganizzazione del bambino.

Nel corso del primo anno di vita lo sviluppo del sistema simpatico è dominante, mentre il sistema parasimpatico diventa progressivamente più attivo a partire dal secondo anno; quando il bambino incomincia a camminare diventa in effetti essenziale avere la possibilità di modulare gli stati emozionali primari mediati dal sistema simpatico (interesse, eccitazione, gioia) allo scopo di controllare e impedire comportamenti potenzialmente pericolosi. Durante i primi mesi di vita del bambino la condivisione e l’amplificazione di questi stati positivi, che possono essere considerate come una forma di risonanza delle attività dei sistemi simpatici di genitore e figlio, costituisce una parte essenziale e dominante delle loro comunicazioni emotive. Più tardi è invece necessario che i genitori intervengano con divieti e proibizioni tesi a inibire tali stati emotivi «attivanti», che in determinate situazioni possono mettere a repentaglio la sicurezza del bambino.

Nei suoi studi Schore (Shore, 2010) ha analizzato il ruolo specifico che la corteccia orbito-frontale svolge nelle relazioni di attaccamento. Diversi autori hanno utilizzato i termini «sintonizzazione affettiva» per descrivere le modalità con cui stati emotivi interni vengono espressi e condivisi nell’ambito di relazioni di attaccamento. Secondo Schore in tali interazioni si crea una corrispondenza fra gli «stati psicobiologici» di genitore e figlio (Stern, 1987).In questo libro vengono usati due termini correlati, «allineamento» e «risonanza».

Per allineamento s’intende una componente dei processi di sintonizzazione affettiva, in cui lo stato di un individuo viene modificato per accordarsi con quello dell’altro; può essere quindi un processo unilaterale, in cui un solo membro della coppia altera il suo stato in funzione di quello dell’altro, o biunivoco, con una partecipazione attiva di entrambi gli individui coinvolti.

Anche se in una relazione di attaccamento interazioni di questo tipo sono frequenti, è chiaro che non sempre sono possibili; la sintonizzazione affettiva prevede anche momenti di «non allineamento», in cui i membri della coppia non cercano direttamente di stabilire una corrispondenza fra i loro stati della mente. In questo senso il concetto di sintonizzazione è più ampio di quello di allineamento: implica anche che le due persone coinvolte siano in grado di percepire quando l’altro ha bisogno di «essere lasciato solo».

I processi di sintonizzazione portano inoltre all’instaurarsi di quella che abbiamo in precedenza definito come «risonanza», in cui le menti di due individui si influenzano reciprocamente. Una risonanza emotiva, per esempio, non coinvolge unicamente un accordo di stati emozionali, ma include le modalità con cui questa interazione si ripercuote su altri aspetti e attività della mente. La risonanza continua anche dopo l’allineamento; in questo modo la sintonizzazione affettiva si basa su un alternanza di momenti di allineamento e di non allineamento degli stati della mente, e permette una risonanza emotiva che persiste anche quando i due individui non sono più in diretta comunicazione. Momenti di rottura nelle comunicazioni emotive fra genitore e figlio inducono un’attivazione del sistema parasimpatico, mentre un successivo riallineamento porta alla riattivazione del sistema simpatico, associata a livelli di arousal più appropriati e accettabili.

 


 

A conclusione di questo capitolo,

in cui abbiamo preso in esame alcuni dei maggiori autori esperti di sviluppo del bambino, posso dunque affermare quanto la fascia d’età 0- 3 anni sia un periodo fondamentale, la base dove si pongono le fondamenta per la costruzione armonica dell’individuo.

In questa fase della sua vita, infatti, il bambino va incontro a repentini e continui cambiamenti, intervallando momenti di crescita e conquista di nuove competenze a momenti di stallo o addirittura di regressione. Lo sviluppo infatti procede per crisi. Riportando quanto detto da Stern, I sensi del Sé con i loro rispettivi campi di esperienza non sono considerati come quattro fasi che si succedono l'una all'altra bensì come strutture che si mantengono pienamente funzionanti e attive per tutta la vita, in continuo sviluppo e coesistenza. Pertanto tra un passaggio all’altro dello sviluppo il bambino non andrà a perdere le conoscenze apprese ma le unirà tra loro integrandole alle sue esperienze sociali.

Alla luce di quanto emerso dalla cornice teorica prima riportata, l’immagine che oggi abbiamo del bambino è quella di un essere globale in cui sviluppo motorio, cognitivo ed affettivo si influenzano a vicenda in un reciproco scambio di spunti e conoscenze per passare alla tappa successiva della crescita.

Grande importanza per questa fascia d’età le hanno le continue interazioni bambino- madre/ ambiente attivate da un’innata predisposizione del piccolo all’interazione sociale (teorie neurobiologiche), grazie alle quali va via via formandosi un senso di Sé del bambino (Winnicott, Stern).

Fondamentali dunque i rimandi che la mamma da al suo piccolo ed il legame d’attaccamento che si crea fra i due per una sana rappresentazione mentale del bambino di sé e degli altri (teoria dell’attaccamento).

È infine solo grazie all’azione sull’ambiente attraverso il movimento ed il gioco che il bambino scopre e conosce la realtà che lo circonda e si costruisce gli schemi mentali che lo porteranno a modalità di apprendimento sempre più complesse (Piaget).

Ecco qui spiegate alcune delle principali ragioni di un intervento psicomotorio preventivo- educativo nella fascia 0-3, in bambini così piccoli la linea di demarcazione tra disagio e benessere è così sottile che è difficile prevedere come la situazione andrà ad evolvere. Un occhio clinico attento saprà riconoscere le modalità adatte per far sviluppare le competenze del bambino e un aiuto alle mamme di questi piccoli permetterà uno sviluppo ed una crescita nella norma.

 

Indice

 
 
RIASSUNTO; PREMESSA; SCOPO.
 
  1. Lo sviluppo del bambino da 0 a 3 anni nella letteratura scientifica in relazione a diversi autori: Lo sviluppo psicomotorio del bambino tratto da P. Vayer e J. Le Boulch; Lo sviluppo cognitivo secondo J. Piaget; Un autore fondamentale Donald W. Winnicott; La teoria dell'attaccamento; I pattern di attaccamento e stile materno; I modelli operativi interni; Daniel Stern, l'organizzazione interna del Sé; Cenni di neurobiologia dell'esperienza interpersonale.
  2. La prevenzione in psicomotricità: Psicomotricità e prevenzione; Categorie di osservazione; Fattori di rischio; L'atteggiamento del neuropsicomotricista in un contesto preventivo; La formazione corporea del terapista; Il gioco.
  3. Ricerca - azione, gruppo preventivo 0 - 3 anni: Conduzione del gruppo: metodologia e setting; La relazione con le madri; Il caso del piccolo X.
 
CONCLUSIONI
 
BIBLIOGRAFIA - APPENDICE
 
 
Tesi di Laurea di: Laura PIZZI 
 

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