Perché il termine “NEUROPSICOMOTRICISTA” viene associato al "Terapista della NEURO e PSICOMOTRICITÀ dell’Età Evolutiva" ?

Il Disturbo di Apprendimento con compromissione della lettura - Dislessia: Teorie e Modelli

In questo capitolo verrà presentata la dislessia, cui è diretto il lavoro sperimentale che indaga i possibili effetti provocati dall’utilizzo dei videogiochi d’azione sulle abilità di lettura. Verrà presentato il disturbo, i diversi modelli interpretativi e di intervento, con particolare attenzione alle nuove frontiere che si avvalgono dell’utilizzo degli action videogames.

 

Il disturbo di apprendimento con compromissione della lettura (dislessia)

Come definito dal DSM 5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quinta edizione, 2013), il disturbo specifico dell’apprendimento con compromissione della lettura (dislessia) è una condizione che rientra all’interno dei disturbi specifici dell’apprendimento, che a partire da questa edizione sono stati inclusi all’interno della macro- categoria dei disturbi del neurosviluppo, che comprendono una grande varietà di categorie diagnostiche tra cui la disabilità intellettiva, i disturbi del linguaggio, i disturbi dello spettro autistico, i disturbi dell’apprendimento, i deficit di attenzione e i disturbi di iperattività, ovvero un gruppo di condizioni con esordio nel periodo dello sviluppo, caratterizzati da deficit dello sviluppo che causa una compromissione del funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo. (DSM 5, 2013)

I disturbi dell’apprendimento sono un gruppo eterogeneo di deficit persistenti che inficiano le capacità d’apprendimento.

Causano lettura imprecisa, lenta o faticosa delle parole; difficoltà nella comprensione del significato di ciò che viene letto; difficoltà nello spelling; difficoltà con l’espressione scritta; difficoltà nel padroneggiare il concetto di numero, i dati numerici o il calcolo e difficoltà nel ragionamento matematico.

Le abilità scolastiche risultano compromesse e questo causa un rendimento significativamente al di sotto di quello atteso per l’età cronologica. Le difficoltà di apprendimento iniziano durante l’avvio della carriera scolastica, ma possono non manifestarsi pienamente fino a quando la richiesta, rispetto a tali capacità, non supera le capacità dell’individuo.

Sono difficoltà che non sono meglio giustificate da disabilità intellettive, acuità visiva o uditiva alterata, altri disturbi mentali o neurologici, mancata conoscenza della lingua, o da istruzione scolastica inadeguata. Hanno un’origine biologica, che è alla base delle anomalie a livello cognitivo, che a loro volta sono associate ai sintomi comportamentali del disturbo. L’origine biologica comprende un’interazione di fattori genetici, epigenetici e ambientali, che colpiscono le capacità cerebrali di percepire o processare informazioni verbali o non verbali in modo efficiente e preciso. Fattori di rischio importanti possono essere di tipo ambientale (nascita prematura o peso molto basso alla nascita o esposizione prenatale alla nicotina); fattori genetici e fisiologici (i soggetti con elevata familiarità sono 4-8 volte più a rischio). (DSM 5, 2013)

Fra i segnali precoci del disturbo sono segnalati ritardi nell’attenzione, nel linguaggio e nelle abilità motorie, che possono persistere successivamente ed essere concomitanti con il disturbo specifico dell’apprendimento (DSM 5, 2013), ma anche un comportamento disattento, ritardi o disturbi dell’eloquio o del linguaggio ed elaborazione cognitiva compromessa, quali segnali precoci presenti in età prescolare (M. Habib, K. Giraud. 2013).

Il disturbo si presenta trasversalmente a lingue, culture e condizioni socioeconomiche diverse, ma la sua manifestazione può variare secondo la natura dei sistemi simbolici parlati e scritti (DSM 5, 2013). Il disturbo specifico dell’apprendimento altera il normale pattern di apprendimento delle abilità scolastiche. Un’istruzione sistematica, intensiva e personalizzata, potrebbe però mitigare e migliorare le difficoltà di apprendimento, promuovendo l’utilizzo di strategie di compensazione per favorire il successo scolastico.

Nello specifico dei disturbi dell’apprendimento la dislessia definisce il disturbo della lettura e secondo i dati AID (Associazione Italiana Dislessia, 2014), colpisce il 3-5% dei bambini, con maggior incidenza nei maschi. Gli affetti hanno difficoltà nell’accuratezza di lettura delle parole, nella velocità o fluenza della lettura e nella comprensione del testo. La diagnosi viene effettuata generalmente durante il secondo anno della scuola primaria, attraverso la somministrazione di test specifici che valutano la lettura di parole e non parole, la lettura di un testo e la comprensione.

 

Dislessia: Teorie e modelli

Ipotesi Fonologica

La teoria più conosciuta sulla dislessia evolutiva è la teoria del deficit fonologico. Questa teoria presuppone che ciò che è danneggiato negli individui dislessici sia la rappresentazione, l’immagazzinamento e/o il recupero dei suoni del parlato (Ramus 2003).

Il modello proposto da Ramus spiega la dislessia sostenendo il fatto che, se i suoni del parlato hanno rappresentazione, immagazzinamento e recupero deboli, questo porterebbe come risultato ad una comprensione insufficiente delle corrispondenze grafema-fonema della lingua.

Altri autori, che sposano questo modello, sottolineano il ruolo centrale delle competenze metafonologiche per la lettura ed in particolare la segmentazione e fusione fonemica, la segmentazione e fusione sillabica (rime) e lo sviluppo della working memory fonologica, necessaria per la codifica e il mantenimento delle parole in forma fonologica (Casalini, Brizzolara, 1995; M. Habib, K. Giraud, 2013; Rourke, 1983).

A livello neurologico, studi condotti attraverso l’uso di fMRI (Pugh et al., 2000, Shaywitz et al., 2002) e studi anatomici (Galaburda et al., 1985) suggeriscono che una disfunzione congenita delle aree perisilviane sinistre del cervello sia alla base del deficit fonologico.

Gli studiosi che mettono in dubbio la teoria del deficit fonologico sostengono invece che la dislessia sia un disturbo di più ampia portata rispetto a quello che la teoria fonologica suggerisce, con la sua origine

in processi generali sensoriali, motori e di apprendimento. Non è messa in discussione l’esistenza di problemi fonologici nella dislessia, ma si sostiene che questi problemi rappresentino soltanto un aspetto, di un disturbo più generale. Questa visione forma le basi della prossima teoria.

La teoria del deficit di processing temporale

L’ipotesi di un deficit di processing temporale (conosciuta anche come rapid auditory processing theory) mette in dubbio la specificità del deficit fonologico della dislessia, sostenendo che i problemi fonologici deriverebbero da un deficit di tipo uditivo (Tallal et al., 1993).

La principale idea di questa teoria è che la dislessia sia il risultato di un disturbo di processing uditivo del linguaggio, nella sfera temporale. La conseguenza di un deficit di processing temporale è che i bambini colpiti non hanno la piena capacità di percepire ed elaborare eventi acustici brevi o che variano rapidamente, inclusi quelli cruciali nel riconoscimento dei suoni del parlato.

Questa tesi è compatibile con varie indicazioni sulla presenza di rappresentazioni del suono del parlato difettose nei bambini dislessici (Liberman, 1973).

Ipotesi Cerebellare

Tale ipotesi prende origine dall’osservazione dei problemi riscontrati nei dislessici, che non sono confinati alla sola lettura. Sembra infatti che i dislessici abbiano un danno generale alla loro capacità di eseguire abilità in modo automatico e si pensa che questa abilità dipenda dal cervelletto.

La teoria cerebellare (Fawcett & Nicolson, 1994) ha una base biologica e sostiene appunto che il cervelletto dei dislessici sia lievemente disfunzionale. Il cervelletto gioca un ruolo importante nel controllo motorio e, di conseguenza, nell’articolazione del parlato, ma anche nell’automatizzazione di abilità come il typing (la capacità di scrivere digitalmente), la guida e la lettura (Fawcett & Nicolson, 1994).

La teoria cerebellare è corroborata dal fatto che i soggetti dislessici hanno difficoltà con diversi compiti motori, nell’esecuzione di due compiti simultanei ed hanno problemi di percezione del tempo, ovvero in una serie di compito cerebellari di tipo non motorio) (Fawcett & Nicolson, 1994).

Ipotesi Magnocellulare

La teoria magnocellulare (Stein et al., 1997) è stata proposta come una teoria unificante, che cerca di integrare tutti i risultati delle teorie menzionate sopra.

La teoria magnocellulare suggerisce che uno sviluppo danneggiato di un sistema di neuroni nel cervello (le magnocellule) può essere responsabile sia per la rielaborazione visiva e acustica, sia per i problemi tattili trovati nei dislessici.

La teoria magnocellulare spiega le difficoltà visive nella dislessia suggerendo che i soggetti dislessici hanno poco controllo sul movimento oculare (Stein e al., 1997).

Il sistema magnocellulare connette la retina ai lobi occipitale e parietale e permette all’informazione trasmessa dall’occhio, di essere elaborata dalle aree del cervello. Le magnocellule giocano un ruolo cruciale in diverse elaborazioni visive e in particolare nel movimento del controllo oculare, di particolare importanza nella lettura.

Secondo Stein et al. (1997), uno sviluppo danneggiato del sistema magnocellulare può causare un controllo oculare instabile durante la lettura, che spiegherebbe le immagini movimentate e offuscate riportate da molti dislessici.

Queste immagini mosse/sfocate causerebbero una confusione visiva dell’ordine delle lettere e questo, a sua volta, porterebbe ad una memoria povera della forma visiva delle parole e ad un impedimento nell’acquisizione di abilità ortografiche da parte dei soggetti affetti.

La teoria magnocellulare spiega così i problemi uditivi/fonologici nei dislessici, suggerendo un danno nel sistema uditivo, equivalente a quello del sistema magnocellulare visivo.

Uno sviluppo danneggiato dell’elaborazione delle transizioni uditive porterebbe ad una confusione uditiva dei suoni delle lettere e così ad un impedimento nell’acquisizione delle abilità fonologiche.

In conclusione, la letteratura mette in evidenza due grandi gruppi di teorie che spiegano le cause delle difficoltà dei dislessici: da un lato la teoria fonologica sostiene che la dislessia sia dovuta ad un deficit di tipo fonologico; dall’altro la teoria magnocellulare sostiene che l’incapacità di leggere sia dovuta a deficit generali sensoriali, di tipo visivo, uditivo e motorio.

Accreditare una teoria piuttosto che un’altra risulta ad oggi ancora impossibile, sia per l’eterogeneità della patologia, sia perché non tutta la popolazione dei dislessici ha le caratteristiche che ne rendono possibile la collocazione all’interno di un modello, piuttosto che un altro.

Gli studi non screditano nessuna di queste spiegazioni, lasciando ancora molti spazi aperti per la ricerca nella spiegazione della patologia.

 

Il bambino con dislessia

Il quadro del paziente con dislessia evolutiva è quello di un bambino che durante l’apprendimento dell’alfabeto fatica con l’acquisizione delle regole di conversione grafema-fonema e fallisce nella corrispondenza automatica tra i simboli visivi e i segmenti sonori elementari della sua lingua (M. Habib, K. Giraud. 2013).

Altri segni, spesso presenti nel bambino dislessico, sono la difficoltà nell’estrarre il senso di un discorso, nella produzione di rime e nell’effettuare lo spelling delle parole. Si tratta di segnali presenti già in età precoce, associati per lo più ad una acquisizione tardiva del linguaggio parlato, punti centrali per il quadro funzionale della dislessia evolutiva, che devono essere adeguatamente valutati al momento della diagnosi del disturbo (Torgesen and Bryant, 1994; Robertson and Salter, 1995; Wagner et al., 1999).

I sintomi associati più frequentemente alla dislessia sono:

  • Sintomi uditivi: compaiono quando viene chiesto al bambino di ripetere o trascrivere parole o suoni e lui fatica nell’abilità di processare e decodificare gli input linguistici (Giraud et al. 2005).
  • Sintomi visivi: gli errori di lettura precoci coinvolgono grafemi simili (l/f; m/n; p/q; b/d), specialmente nelle parole più complesse, suggerendo difficoltà nel processare informazioni visuo-spaziali. La lettura è lenta, faticosa e non efficiente dal punto di vista cognitivo, spesso è anche compromessa la memoria di lavoro (M. Habib, K. Giraud. 2013).
  • Sintomi di sequenziamento: derivano da un deficit nella maturazione dei sistemi implicati nel processare la successione degli eventi nel tempo. Gli errori includono l’inversione di tutti i tipi di informazione (lettere scritte durante lo spelling e suoni durante il linguaggio parlato) (Mezernich, Jenkins, Johnstone, 1996).

La dislessia evolutiva può presentarsi isolata oppure insieme ad altri disturbi dello sviluppo, associati al disturbo di apprendimento, che pesano ulteriormente sulla prognosi. Fra i disturbi più frequentemente associati ci sono:

  • La disfasia evolutiva, disturbo del linguaggio che causa difficoltà nell’espressione del parlato. Non ci sono dati esatti sulla prevalenza, ma i bambini dislessici hanno spesso alle spalle una storia di difficoltà nell’espressione e comprensione del linguaggio parlato (Tallal, 1980; Tallal, Miller, Fitch, 1993).
  • Il disturbo della coordinazione motoria, un altro disturbo del neurosviluppo che causa difficoltà di coordinazione, equilibrio e abilità con la palla. Le difficoltà motorie sono frequenti nella dislessia evolutiva (30-50%), soprattutto nei maschi (M. Habib, K. Giraud. 2013).
  • Il deficit dell’attenzione con iperattività (ADHD), la cui associazione è stimata in un rapporto 1/5 (M. Habib, K. Giraud. 2013).
  • Disordini affettivi esternalizzati e internalizzati, in particolare ansia e depressione; si possono manifestare in quasi tutti i casi di dislessia evolutiva, spesso determinati dal sentimento di inadeguatezza in cui cadono i soggetti affetti (SE Shaywitz, R. Morris, BA Shaywitz, 2008).

 

Trattamento della dislessia: confronto tra le proposte

Come detto precedentemente, i quadri diagnostici della dislessia sono vari ed eterogenei. Tenendo presente che ogni caso è influenzato non solo dalla biologia della patologia, ma anche da fattori ambientali come la famiglia, la scuola e la stimolazione cui il bambino viene sottoposto, ogni caso risulta differente da tutti gli altri e questa grande differenza interindividuale rende molto difficoltoso anche il confronto fra le diverse metodologie di intervento proposto.

In questo paragrafo verrà elaborata una breve review delle metodiche riabilitative più studiate, fra i limiti generali che accomunano tutte le proposte va segnalato che le evidenze sono per lo più riferite a gruppi ridotti nel numero di pazienti e che spesso non presentano dati di follow up post trattamento (Sistema Nazionale per le Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità 2011b).

La letteratura descrive approcci al disturbo in chiave preventiva, in forma di trattamenti effettuati a casa, o a scuola. Nonostante la diagnosi sia effettuabile solo alla fine del secondo anno di scuola elementare, sono infatti presenti già in età precoce diversi segnali che possono indurre a pensare una possibile evoluzione futura della dislessia. In prima elementare possono essere rilevati, come indicatori di rischio, segni importanti di discrepanza tra le competenze cognitive generali e l'apprendimento della lettura e scrittura (Stella G, 1999). L’intervento preventivo va a cercare di ridurre la comparsa di tali sintomi e si effettua per lo più all’interno delle scuole, con progetti e laboratori, che utilizzano una metodologia neuro e psicomotoria, propria del Terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva (Ministero della Salute 1997).

In caso di disturbo conclamato le linee guida per i disturbi di apprendimento (2006), definiscono un programma di riabilitazione specifico (trattamento e abilitazione). Il trattamento ha lo scopo di aumentare l’efficienza del processo di lettura/scrittura (Battaglia FM, 1999; Kavale KA, Fuchs D, Scruggs TE, 1994), mentre l’abilitazione è l’insieme degli aiuti che permettono l’utilizzazione del livello di funzionamento attuale del soggetto.

Gli interventi abilitativi possono comprendere diverse procedure, per la stimolazione specifica delle abilità risultate deficitarie:

  • Promozione dei prerequisiti all’apprendimento di lettura, scrittura, lettura e calcolo (Coltheart M, 1978).
  • Intervento sulle abilità generali che appaiono carenti e sottendono difficoltà di apprendimento: linguaggio, percezione, attenzione, memoria, motricità (Forness SR, Kavale KA, 1996).
  • Uso di programmi psicolinguistici per sviluppare alcune competenze fonologiche e di simbolizzazione verbale (Felton RH, 1993).
  • Rieducazione funzionale, con criteri derivati dalla neuropsicologia cognitiva, che analizza e individua le operazioni mentali carenti che poi va a stimolare, suggerendo strategie alternative che sopperiscano al meccanismo danneggiato (Ferraboschi L. Meini N. 1993).

In linea generale l’intervento abilitativo cerca di migliorare la qualità della vita del bambino; l’intervento precoce è una delle chiavi per rendere il quadro prognostico il più possibile vicino alla normalità e per avvicinarsi alla massimizzazione delle competenze possedute dal bambino.

Riguardo invece l’intervento riabilitativo vero e proprio, bisogna tenere presente che nelle lingue trasparenti come l’italiano e il tedesco, le problematiche dei bambini dislessici non riguardano tanto il numero di errori compiuti, quanto la fluidità del processo di decodifica, che porta gli studenti dislessici a leggere lentamente, con esitazioni di fronte a parole a bassa frequenza e prive di prosodia (Wimmer, 1993; Zoccolotti, 1999).

La presa in carico deve avvenire il prima possibile e avvalersi di personale specializzato e di un team multidisciplinare di operatori. Dal momento che la diagnosi viene effettuata nella migliore delle ipotesi durante il secondo anno di scuola elementare, la riabilitazione delle competenze di lettura spesso accompagna tutti gli anni di frequenza alla scuola elementare e talvolta anche quella quelli di scuola media, anche considerando che in un certo numero di casi la diagnosi viene fatta tardivamente.

Le indicazioni generali per il trattamento sono un quoziente di lettura inferiore a 80; oppure un’età di lettura minore di due anni, rispetto all’età cronologica.

Nei casi più gravi il trattamento deve essere di tipo intensivo, facendo ricorso a tutte le risorse disponibili.

Allo stato attuale non esistono prove scientifiche validate sull’efficacia dei vari trattamenti proposti; i trattamenti più utilizzati, descritti in letteratura sono: il trattamento Davis-Piccoli, il trattamento Bakker, il trattamento lessicale con parole isolate, il trattamento sublessicale con mascheramento percettivo, secondo il paradigma di Geiger (Societa’ Italiana Di Neuropsichiatria Dell’infanzia E Dell’adolescenza, 20013). Geiger e Lettvin, infatti, per primi hanno avviato un programma specifico per il potenziamento della selezione di informazioni visive e di potenziamento dell’attenzione visuo-spaziale, tramite un software di orientamento del campo visivo e di riconoscimento di lettere/parole che in soli tre mesi di trattamento ha portato a miglioramenti significativi nell’accuratezza e nella velocità di lettura, nello spelling e nel riconoscimento fonemico (Lorusso ML., Facoetti A., Cattaneo C., Pesenti S., Galli R. Molteni M., and Geiger G. Training, 2006).

Infine, non vi sono trattamenti farmacologici efficaci per la dislessia (Schulte-Korne 2010) e i farmaci possono essere presi in considerazione solo in caso di comorbilità con altri disturbi come il Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività (ADHD) o la depressione.

Uno studio d’analisi, condotto in Italia (Tressoldi et al., 2003), mostra come i trattamenti più efficaci per la dislessia evolutiva siano quelli rivolti alla decodifica automatica degli stimoli lessicali e sub-lessicali, come il Trattamento Sublessicale (Cazzaniga et al., 2005) e la stimolazione visiva emisfero-specifica, ispirata dal Balance-Model (Bakker et al., 1995; Lorusso et.al., 2006-2011).

Sono state pertanto elaborate alcune raccomandazioni che guidano la scelta dei trattamenti (Tretti, Vio, 2011):

  • Il trattamento dei disturbi della lettura, almeno per la nostra lingua, deve considerare che nelle prime fasi di apprendimento della lettura, la velocità nel processare il grafema sembra essere cruciale nella decodifica della parola;
  • Le competenze di conversione grafema-fonema evolverebbero in modo lineare, dalle prime fasi di alfabetizzazione, probabilmente fino alla terza classe della scuola primaria, quindi è fondamentale procedere nelle proposte di trattamento gradualmente, dalla lettera, alla sillaba, alla parola;
  • L’indice di velocità in lettura (rapporto sillabe/tempo) esprime in modo attendibile il livello di acquisizione delle abilità fonologiche nella lettura.

Verranno descritti brevemente alcuni degli approcci riabilitativi più frequenti nella realtà italiana, con i punti di forza e i limiti di ognuno. L’efficacia dei trattamenti si misura in termini di velocità e accuratezza di lettura (errori commessi) quali indici di outcome delle proposte di intervento, misurati per lo più attraverso le prove di lettura della batteria MT (Cornoldi, Colpo e Gruppo Mt, 1981).

Trattamento Percettivo-motorio (Benetti, 2002)

Questo trattamento si ispira ad un modello di apprendimento della lettura che dipende dallo sviluppo di alcuni pattern motori, alla base della motricità grossolana, quali andare a carponi e camminare in modo crociato; dallo sviluppo di una definita lateralità della mano e dell’occhio e dallo sviluppo di abilità di coordinazione oculo-motoria (Delacato, 1980). Vengono proposti esercizi specifici in tal senso ed esercizi di discriminazione visiva. Il training si svolge prevalentemente a domicilio, con tempi medi di 20 minuti ed è prevista una supervisione mensile da parte di un responsabile.

Il trattamento sembra migliorare in modo efficace l’accuratezza di lettura, tuttavia non incrementa in modo significativo la velocità di lettura. (Tressoldi, P.E., Vio, C., Lorusso, M.L., Facoetti, A.,Iozzino, R. 2003)

Trattamento Davis-Piccoli (Godi, 2002)

Questo trattamento si ispira al modello di Davis e Braun (1998), che considera la dislessia come un deficit nella formazione e/o nell’utilizzo della capacità attentiva visiva. Il training prevede 8 incontri strutturati presso una struttura di riferimento ed esercitazioni a domicilio di circa 20 minuti al giorno, centrate sullo sviluppo di un focus attentivo, che deve favorire la rilevazione rapida delle parole del testo, utilizzando indizi iniziali come ad esempio un mascheramento tramite un semplice foglio, a destra del punto di fissazione. A questi esercizi ne sono associati altri di discriminazione spaziale dei grafemi ed altri ancora per lo sviluppo della abilità di sintesi fonetica.

Questo trattamento migliora la velocità di lettura, tuttavia i bambini commettono molti errori di lettura, il trattamento infatti non raggiunge i criteri di efficacia individuati per l’accuratezza (massimo 12 errori di media, post-trattamento).( Tressoldi, P.E., Vio, C., Lorusso, M.L., Facoetti, A.,Iozzino, R. 2003)

Trattamento Linguistico generico

Il trattamento comprende esercizi di lettura, esercizi per lo sviluppo della metafonologia, esercizi di scrittura, ricerca e correzione di errori, esercizi di composizione e scomposizione di parole. Viene svolto completamente in forma ambulatoriale, con frequenza bisettimanale, per circa 45 minuti a sessione.

Anche questo trattamento non sembra essere particolarmente efficace perché come per il training precedente non vengono raggiunti i criteri di efficacia, né per la velocità, né per l’accuratezza di lettura. (Tressoldi, P.E., Vio, C., Lorusso, M.L., Facoetti, A.,Iozzino, R. 2003)

Trattamento Balance-Model

Il trattamento ispirato al Balance Model, conosciuto anche come metodo Bakker, dall’autore che l’ha introdotto (1992), si basa su un modello che interpreta la lettura come frutto di un equilibrio tra i contributi dell’emisfero cerebrale destro (analisi visuo-percettiva) e quelli dell’emisfero sinistro (anticipazione/integrazione su base linguistica). Secondo questo modello la lettura si basa inizialmente soprattutto sull’analisi visuo-percettiva del testo scritto, mentre in una fase successiva diventerebbero prioritari i processi di anticipazione e integrazione a livello linguistico. Sempre secondo questo modello, la dislessia sarebbe causata da una sbilanciata attivazione delle funzioni visuo-percettive o linguistico-verbali, rispettivamente dell’emisfero destro e sinistro. Esisterebbero quindi, tre tipi di dislessie: Percettiva (P), in cui l’emisfero ipoattivato è quello sinistro: la lettura è lenta ma abbastanza corretta; Linguistica (L), in cui l’emisfero ipoattivato è invece quello destro: la lettura in questo caso è abbastanza rapida ma decisamente scorretta; Mista (M), in cui tutte e due gli emisferi sono ipoattivati e non c’è adeguata integrazione. In questo caso la lettura risulta sia scorretta che molto lenta. Il trattamento proposto da Bakker consiste nello stimolare l’emisfero ipoattivato, mediante una presentazione tachistoscopica di parole o brevi stringhe di testo sul monitor di un computer (stimolazione visiva emisfero-specifica), in sedute ambulatoriali bisettimanali di 45 minuti, per 4 mesi. La dislessia P viene trattata stimolando l’emisfero sinistro, mediante la presentazione di parole nell’emicampo visivo destro e compiti che stimolino strategie di tipo linguistico; la dislessia L invece, stimolando l’emisfero destro, mediante la presentazione di parole percettivamente complesse nell’emicampo visivo sinistro; infine, la dislessia M, stimolando prima l’emisfero destro e poi quello sinistro, ripercorrendo il ciclo di attivazione degli emisferi cerebrali previsto dal normale sviluppo della lettura) (Tressoldi, P.E., Vio, C., Lorusso, M.L., Facoetti, A.,Iozzino, R. 2003).

Il trattamento con metodo Balance risulta essere uno dei più efficaci; migliora in modo significativo la velocità di lettura e inoltre il numero di errori commessi dopo il ciclo riabilitativo è nettamente al di sotto della media di errori concessa. (Tressoldi, P.E., Vio, C., Lorusso, M.L., Facoetti, A.,Iozzino, R. 2003)

Trattamento per l’automatizzazione del riconoscimento sublessicale e lessicale

Questa forma di trattamento è ispirata ad un modello psicolinguistico che vede la lettura come una progressiva automatizzazione nel riconoscimento di gruppi di grafemi linguisticamente rilevanti sempre più complessi, come ad esempio le sillabe (Carreiras, Alvares, De Vega, 1993; Berninger, Yates e Lester,1991; Tressoldi, Lonciari e Vio, 2000). Il training prevede la lettura di brani al computer, con delle facilitazioni per automatizzare la rilevazione di sillabe e parole. Di questo trattamento sono state applicate tre varianti definite: «trattamento sublessicale breve», che prevede un training domiciliare di 10-15 minuti al giorno, per 3 mesi; «trattamento sublessicale lungo», che richiede un training domiciliare di 5-10 minuti al giorno, per una media di 7 mesi ed infine «trattamento sublessicale con mascheramento percettivo», che prevede una lettura di brani con mascheramento percettivo (lettura sillabica con testo nascosto a destra e lettura rapida di parole con testo nascosto sia a sinistra che a destra, secondo il paradigma di Geiger e Lettvin, 1999) in forma di training domiciliare di circa 10 minuti al giorno, per un periodo di 3 mesi di media.

Tutti e tre i trattamenti risultano essere efficaci nel migliorare le abilità di lettura dei bambini con dislessia. Per quanto riguarda la velocità, la modalità che incrementa maggiormente questo parametro è il trattamento sublessicale con mascheramento; invece per quanto riguarda il numero di errori il trattamento sublessicale breve e lungo registrano lo stesso miglioramento, ampiamente all’interno del coefficiente di efficacia, mentre il trattamento con mascheramento rientra a malapena nel range di errori concessi. (Tressoldi, P.E., Vio, C., Lorusso, M.L., Facoetti, A.,Iozzino, R. 2003).

Un trattamento per risultare efficace deve diminuire il tempo di lettura, ma anche rientrare all’interno del coefficiente di sufficienza per gli errori commessi. Basandosi unicamente sui criteri di velocità, la letteratura evidenzia come i trattamenti basati sui software di lettura, il balance model e le tre varianti del trattamento sublessicale siano ugualmente efficaci, provocando un incremento della velocità di lettura di circa 0,40 sill/sec. Il trattamento Davis-Piccoli, pur con limiti evidenti nell’accuratezza, a questo livello risulta ancora più efficace (0,95 sill/sec), mentre il trattemento Linguistico e il Percettivo-motorio non determinano miglioramenti significativi. Considerando anche l’accuratezza della lettura il trattamento maggiormente efficace si rivela essere quello basato sul Balance model, che garantisce l’incremento di velocità più alto, a fronte di una media errori sullo stesso livello degli altri trattamenti. Più o meno allo stesso livello si collocano anche le tre varianti del trattamento sub-lessicale. Il trattamento Davis-Piccoli, pur risultando il migliore dal punto di vista della rapidità, non modifica l’accuratezza di lettura, tanto da non rientrare nei criteri di efficacia. Esattamente opposti sono i risultati descritti per il trattamento Percettivo-Motorio, che risulta particolarmente efficace nel migliorare l’accuratezza di lettura, ma non provoca alcun incremento dal punto di vista della velocità, che pertanto non rientra nei criteri di efficacia. Infine, il trattamento Linguistico si mostra inefficace sia per quanto riguarda la rapidità che per quanto riguarda l’accuratezza, anch’esso viene pertanto escluso dai criteri di efficacia. (Tressoldi, P.E., Vio, C., Lorusso, M.L., Facoetti, A.,Iozzino, R. 2003)

In conclusione sembra, allo stato attuale delle conoscenze, che i trattamenti più efficienti per migliorare le abilità di lettura siano quelli che mirano all’automatizzazione del processo di riconoscimento sublessicale e lessicale, mediante software creati ad hoc, utilizzando brani e quelli basati sul Balance Model, che sfruttano direttamente l’accesso delle parole ai due emisferi cerebrali.

L’efficienza nella velocità di lettura attraverso questi trattamenti viene infatti raggiunta, senza compromettere l’accuratezza (Tressoldi, P.E., Vio, C., Lorusso, M.L., Facoetti, A.,Iozzino, R. 2003).

Come conclusione ai modelli descritti in questo paragrafo, verrà considerato anche il training riabilitativo utilizzato nello studio sperimentale di questo lavoro: Il Training di Lettura Ritmica (RRT).

Il Training di lettura ritmica (RRT)

Le caratteristiche di questo training riabilitativo, che utilizza un software per pc, sono state presentate da Bonacina S., Cancer A., Lanzi P. L., Lorusso M. L. e Antonietti A. (2015), all’interno di uno studio condotto su studenti italiani con diagnosi di dislessia.

Il programma combina una base riabilitativa classica, basata su esercizi di lettura, con un sottofondo musicale che stimola il processamento ritmico.

L’ideazione di questo tipo di software è dovuta al disagio provato dalle persone con dislessia verso il processamento rapido delle informazioni uditive, che concerne sia i suoni del parlato che quelli del non parlato, come la musica.

Alcuni studi, infatti, riportano un’associazione tra la musica e le abilità di lettura (Abrams, D. A., Bhatara, A., Ryali, S., Balaban, E., Levitin, D. J., and Menon, V. 2011).

È stato dimostrato che l’esercizio musicale ha effetti positivi sul linguaggio e sulle abilità di scrittura nei bambini normo-lettori; inoltre, sia nei bambini con dislessia che in quelli normo-lettori, le abilità di discriminazione musicale, valutate usando un task melodico-tonale e ritmico, predicono le abilità fonologiche e quelle di lettura (Anvari, S. H., Trainor, L. J.,Woodside, J., and Levy, B. A. 2002).

Tutte queste evidenze suggeriscono che gli interventi rivolti al miglioramento della percezione uditiva dei bambini con dislessia, migliorano le abilità di linguaggio e di lettura (Bonacina S,. Cancer A., Lanzi P. L., Lorusso M. L. e Antonietti A., 2015).

Nonostante le certezze di un effetto positivo dell’allenamento musicale sulla percezione uditiva deficitaria e sul tempo di processamento dei bambini con dislessia evolutiva, sembra che l’educazione musicale, da sola, non riesca a produrre miglioramenti nella lettura, comparabili con quelli che risultano dagli altri metodi (Kraus and Chandrasekaran, 2010).

Overy (2003) e Register et al. (2007) hanno condotto studi che misurassero la capacità dei trattamenti musicali di migliorare le abilità di lettura, ma senza giungere, nei loro risultati, a incrementi clinicamente significativi.

Combinare l’intervento classico, mirato al miglioramento delle connessioni grafema-fonema e l’intervento musicale, sembra essere al momento un approccio interessante ed innovativo, andando a sperimentare trattamenti che combinano l’approccio riabilitativo classico (trattamento sublessicale), con un training di processamento ritmico (training di lettura ritmica – RTT).

Alla base di tali proposte c’è il fatto che l’ipotesi che l’accompagnamento ritmico fornisca ai lettori una struttura che li aiuti ad organizzare gli spunti temporali dei suoni del parlato (Chandrasekaran et al., 2009) e che il ritmo assuma il ruolo di aiuto nel processamento uditivo rapido, supportando così le abilità di decodifica.

I risultati degli studi condotti hanno effettivamente mostrato un miglioramento da parte dei soggetti sottoposti a questo tipo di trattamento (tutti studenti italiani con diagnosi di dislessia evolutiva), sia nella velocità che nell’accuratezza di lettura, pertanto il training sembra essere una strategia promettente per migliorare le abilità di lettura nei soggetti dislessici, che si avvale peraltro di un attivo incontro con la musica, che rende più piacevole l’esperienza di tutti i soggetti coinvolti (Antonietti, 2009).

Una proposta alternativa: l’utilizzo degli Action Videogames

Anche i videogiochi, come detto nel capitolo precedente, possono diventare una reale alternativa ai metodi riabilitativi fino ad ora maggiormente utilizzati, anche nel caso della dislessia.

Le caratteristiche dei software permettono di stimolare diverse aree e funzioni cerebrali, sfruttando il fattore motivazionale, che specialmente in età evolutiva, riveste un ruolo decisamente importante nell’affrontare un ciclo riabilitativo.

La letteratura che ha indagato nello specifico gli effetti dei videogiochi d’azione sui pazienti affetti da dislessia è ampia e ci sono evidenze scientifiche sull’efficacia di questo tipo di trattamento, che collocano questo approccio allo stesso livello di efficacia dei trattamenti definiti precedentemente come efficaci, con un miglioramento della velocità di lettura di 0,39 sill/sec, senza costi nell’accuratezza. (Tressoldi, P.E., Vio, C., Lorusso, M.L., Facoetti, A.,Iozzino, R. 2003)

Il punto comune di questi interventi è la stimolazione, tramite i videogiochi, delle abilità visuo-spaziali e dei tempi di reazione, che la letteratura ha individuato come deficitari nei soggetti affetti da disturbo della lettura, in particolare le abilità di focusing (A. Facoetti, M. Molteni, 2001).

L’esperienza visuo-spaziale e il coinvolgimento prolungato in un compito visivo dispendioso, ottenuto attraverso l’utilizzo di videogiochi d’azione, ha dimostrato di incrementare in maniera importante i processi visivi e cognitivi di chi gioca (West, G. L., Stevens, S. A., Pun, C., & Pratt, J.; 2008), dimostrando che l’esperienza con i videogiochi d’azione modula i processi sensoriali, determinando un incremento della sensibilità verso gli eventi visivi salienti che catturano l’attenzione all’interno del campo visivo.

Anche Green e Bavelier (2007) hanno dimostrato che i videogame players possono identificare in modo accurato un bersaglio soggetto a distrattori, a una distanza inferiore della soglia normale (crowding), suggerendo che i giocatori, attraverso un training possono potenziare la risoluzione spaziale del processamento visivo, evidenziando le potenzialità per un uso degli Action Videogames in un setting riabilitativo per soggetti con dislessia.

Altri studi hanno evidenziato migliori prestazioni dei videogame players su più misure percettive e cognitive (M.W.G. Dye, C.S. Green, D. Bavelier. 2010), con effetti diffusi anche in compiti diversi da quelli specifici allenati nel gioco (West, G. L., Stevens, S. A., Pun, C., & Pratt, J. 2008). Questa ulteriore possibilità di ottenere ampi trasferimenti, dal gioco verso altri aspetti della cognizione, sottolineata anche da altri autori (Pashler & Baylis, 1991; Bherer et al., 2005; Kail & Salthouse, 1994) è importante, perché contrasta un’estesa letteratura che invece mostra che il training su un compito raramente aumenta le performance su altri (Ball et al., 2002; Hertzog et al., 2009; Owen et al., 2010).

La proposta illustrata in questo progetto di tesi, che incentiva l’utilizzo dei videogiochi in riabilitazione, non vuole andare a proporre una sostituzione dei metodi riabilitativi classici, quanto proporre una metodica differente, che sia in grado di affiancare le proposte già presenti, attraverso un approccio complementare efficace che permette di coinvolgere i pazienti sul piano motivazionale e permette ai clinici di proporre trattamenti a cicli che aiutano a sgravare le liste d’attesa dal peso dei tempi di presa in carico, talvolta troppo lunghi.

Il limite attuale della ricerca che vede l’utilizzo dei videogichi come strumento riabilitativo risiede nel fatto che una buona parte di quelli che hanno mostrato di incrementare maggiormente la capacità di performance, sono inutilizzabili per i bambini sia in termini di contenuti che di difficoltà, in quanto presentano contenuti destinati ad un pubblico adulto.

Identificare quali aspetti del gioco risultano maggiormente rilevanti in termini di sviluppo di competenze, permetterebbe lo sviluppo di videogames che possiedano un ampio range di fruibilità e di accessibilità, così che possano essere usati nella clinica riabilitativa e/o nella prevenzione primaria della dislessia, che in condizione ideale richiederebbero un intervento il quanto più precoce possibile e certamente, poter affiancare il metodo tradizionale, fin da subito, con uno alternativo di comprovata efficacia, come si cercherà di dimostrare attraverso lo studio sperimentale proposto in questo lavoro e descritto nel dettaglio nel capitolo successivo, come valore aggiunto per la riabilitazione.

 

Indice
 
INTRODUZIONE
 

Capitolo 1

  • Una definizione di riabilitazione
  • La riabilitazione in età evolutiva
  • La riabilitazione ecologica in età evolutiva e l’uso dei videogiochi

Capitolo 2 

  • I nativi digitali
  • I videogiochi
  • I videogiochi in riabilitazione: prove di efficacia
  • Controversie legate ai videogiochi
  • Videogiochi, realtà virtuale e riabilitazione in età evolutiva

Capitolo 3

  • Il disturbo di apprendimento con compromissione della lettura
  • Dislessia: Teorie e modelli
  • Il bambino con dislessia
  • Trattamento della dislessia: confronto tra le proposte

Capitolo 4

  • Razionale e scopo
  • Materiali e metodi
  • Test di valutazione
  • Trattamento
  • Risultati
 
DISCUSSIONE - CONCLUSIONI 
 
BIBLIOGRAFIA
 
 
Tesi di Laurea di: Manuel LIVERI 
 

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