IL SÉ CORPOREO: Percezione, Organizzazione e Rappresentazione del Corpo in Terapia Neuropsicomotoria
- IL SÉ CORPOREO
- IL SÉ CORPOREO E LA DIMENSIONE RELAZIONALE
- IL SÉ CORPOREO NELLA TERAPIA NEUROPSICOMOTORIA
- PERCEZIONE, ORGANIZZAZIONE E RAPPRESENTAZIONE DEL SÉ
IL SÉ CORPOREO
INQUADRAMENTO TEORICO
Definire il Sé corporeo risulta estremamente complesso per la natura dell’oggetto stesso che si va a considerare. Negli anni, numerosi sono stati gli studiosi che hanno voluto indagarne i fondamenti a livello neurofisiologico e psicologico e lo sviluppo all’interno del contesto ambientale e relazionale in cui il bambino è immerso sin dalla nascita. Pur avendo poi fornito definizioni e teorie differenti, tutti gli autori sembrano concordare sul fatto che la costruzione di un’unità corporea di base risulti essere il prerequisito indispensabile per il passaggio alle successive tappe dello sviluppo nelle sue diverse aree e che le esperienze psicomotorie rivestano un ruolo fondamentale in questo.
Il concetto di Sé corporeo fa parte del linguaggio professionale del Terapista della Neuro e psicomotricità dell’Età Evolutiva; tuttavia, in letteratura lo si ritrova spesso sotto forma delle espressioni di “schema corporeo”, “percezione corporea”, “immagine corporea” o “coscienza del corpo”. Ciascun autore, infatti, propone la propria terminologia specifica, argomentata secondo le proprie idee e deduzioni.
Uno studioso, tra i principali che si sono dedicati a questa tematica, è Paul Schilder. Egli sostiene che “lo schema corporeo è l’immagine tridimensionale che ciascuno ha di se stesso” (Schilder, 1992, p 18). Utilizza anche l’espressione immagine corporea, per sottolineare che esso non è semplicemente la percezione del corpo che giunge attraverso i sensi, ma implica anche la creazione di schemi e rappresentazioni mentali (Schilder, 1992). A partire da tale definizione, è già possibile porre in evidenzia come vi sia una stretta interrelazione tra aspetti sensomotori e neuropsicologici e come, di conseguenza, non si vada a considerare la sola dimensione fisica e corporea, ma anche quella cognitiva e relazionale.
Secondo una concezione prevalentemente organicistica lo schema corporeo può essere considerato come il risultato della maturazione nervosa combinata alle esperienze che il bambino vive con il corpo e il movimento. Ne deriva una conoscenza sempre più matura delle caratteristiche motorie, espressive e reattive grazie alle quali il bambino percepisce con chiarezza la globalità del suo corpo nello spazio e nel tempo della realtà (Vecchiato, 2007). Anche gli autori Wille e Ambrosini considerano le informazioni sensopercettive e spazio-temporali provenienti dal corpo responsabili della strutturazione dello schema corporeo, distinguendole dagli aspetti soggettivi del vissuto intimo, emotivo del corpo alla quale fanno riferimento invece con il termine corporeità (Wille e Ambrosini, 2010). Vecchiato (2007) utilizza la nozione di immagine corporea per esprimere lo stesso concetto, andando a marcare l’attenzione sul ruolo delle esperienze corporee e affettive del bambino, soprattutto nella relazione con le figure genitoriali, nella formazione della struttura psichica inconscia e della consapevolezza dell’essere globale.
Tale dicotomia viene rivisitata da De Vignemont (2010), il quale critica la confusione concettuale che si viene spesso a creare quando si cerca di definire le due nozioni. Nel tentativo di porre chiarezza, propone una definizione specifica di schema corporeo: a suo parere, esso è un insieme di rappresentazioni sensomotorie orientate dall’azione e include tutte le proprietà del corpo necessarie alla programmazione dell’azione e ai feedback sensoriali. Ne deriva che il modo in cui usiamo le informazioni del corpo determina il modo in cui il cervello le decodifica e che, osservando come vengono integrate le informazioni multisensoriali, è possibile dedurre come il cervello rappresenti il corpo in generale e rispetto al suo ruolo funzionale. Infine, egli insiste sull’esistenza di una stretta connessione tra schema e immagine corporea, che li rende inscindibili al di là della distinzione terminologica.
Per sostenere la teoria di De Vignemont, si vanno a considerare le due rappresentazioni non come entità separate e a sé stanti, ma piuttosto si tiene presente che è proprio dall’interconnessione dinamica tra le due che si struttura nel bambino il sentimento di possedere ed essere corpo; corpo che interagisce con il mondo e alimenta, a sua volta, il sentimento di essere corpo che agisce (Di Sarno et al., 2019).
Ci si propone, dunque, di utilizzare il concetto di Sé corporeo al posto di schema corporeo o immagine corporea, proprio per superare la scissione tra quelli che possono essere le origini e i riferimenti concettuali e teorici ai quali i due termini rimandano. Tutt’al più, in età evolutiva questa distinzione concettuale è resa difficile poiché la maturazione dell’organismo ha di per sé un effetto modificativo sul modo in cui il bambino sente, percepisce e rappresenta il suo corpo. Utilizzando il termine Sé corporeo possiamo ovviare a questa problematica, andando ad intendere in maniera diretta il “modello di sè”, la rappresentazione unitaria, immediata e tridimensionale del corpo e della sua posizione nello spazio, senza tralasciare che esso viene a crearsi dall’integrazione tra le informazioni sensitivo-sensoriali e le istanze relazionali, psicologiche, immaginative ed intellettive (Impara, 2019).
LO SVILUPPO DEL SÉ CORPOREO
Il processo di sviluppo del Sé corporeo è un fenomeno articolato, complesso ed esteso nel tempo. I primi anni di vita risultano fortemente determinanti e condizioneranno quello che sarà il senso di Sé corporeo della persona adulta. Data la sua natura precoce e a carattere evolutivo, la maturazione dipende dai fattori strutturali e contestuali propri della vita e dello sviluppo di ciascun bambino.
Tra i primi possiamo far rientrare tutti gli aspetti che riguardano il corpo, inteso come organismo fisico, e il sistema nervoso che riceve, elabora ed integra le informazioni provenienti dal corpo e dall’ambiente e che matura con il procedere dello sviluppo.
Per analizzare quali siano questi elementi e come determinino lo sviluppo del Sé corporeo è interessante citare gli studi di Rochat (2010), dai quali emerge che sin dalla nascita il bambino manifesta un, seppur minimo, senso del proprio corpo come entità differenziata dalle altre entità nel mondo, che occupa un determinato spazio, che possiede dei limiti fisici, che è organizzata e agisce sull’ambiente. Secondo Rochat, questa prima minima forma di consapevolezza si sviluppa a partire dalla trentesima settimana gestazionale, quando le connessioni talamo-corticali diventano funzionali. Tale primitiva forma di Sé corporeo sarebbe essenzialmente relegata allo schema posturale, cioè all’insieme degli aggiustamenti posturali che il bambino compie di fronte alle forze esterne (ad esempio la forza di gravità) e alle forze interne, quali quelle affettive ed emotive. Le sue ricerche mostrano che a partire dal movimento, dall’azione e dalla ridondanza degli stimoli multimodali, i bambini creano un’implicita proto- rappresentazione del loro corpo. Molto precocemente, però, questo senso implicito di sé si sviluppa per diventare esplicito, concettuale e soprattutto sociale.
Il livello più basilare della rappresentazione corporea origina, dunque, dagli stimoli sensoriali provenienti dalle diverse parti del corpo. Questi vengono combinati formando una percezione globale e multisensoriale del corpo, attraverso le funzioni sensoriale, motoria, emotiva e sociale (Longo et al., 2010).
Dal punto di vista dello sviluppo evolutivo, ciò che accade è che, nel primo anno di vita, il bambino dedica molto tempo all’esplorazione del proprio corpo, quale oggetto primario di esplorazione, di relazione e di comunicazione. A partire da queste esperienze si va a stabilire la relazione tra il processo percettivo e il processo motorio: base da cui evolve il nostro modo di agire, recepire ed esprimersi (Cohen, 2020).
Il sistema percettivo è il primo sistema di elaborazione degli stimoli sensoriali. Con questi ultimi si fa riferimento alla sensibilità specifica, cioè ottica, uditiva, olfattiva, gustativa e vestibolare, e a quella generale, cioè esterocettiva (termica e tattile), propriocettiva ed enterocettiva. L’integrazione degli stimoli multisensoriali, come illustra Anna Jean Ayres (2012), è alla base di un’adeguata percezione del Sé corporeo. Secondo l’autrice, quest’ultima è la memoria composita formata da ogni parte del corpo e da tutti i movimenti che quelle parti hanno fatto e contiene le memorie neurali relative a grandezza, peso, limiti di estensione di tutte le parti del corpo, alla loro posizione attuale rispetto al resto del corpo e ai loro movimenti. Essa contiene anche memorie neurali relative all’ambiente, quindi le informazioni sulla natura della gravità, della durezza, della flessibilità degli oggetti. La rilevanza degli stimoli provenienti non solo dal corpo, ma anche dall’ambiente, nello sviluppo del Sé corporeo viene confermata dagli studi neurofenomenologici proposti da Gallese e Sinigaglia (2010), i quali mettono in luce quanto il Sé corporeo sia vissuto primariamente come potenzialità di azioni. Ripercorrendo, dunque, quello che può essere il processo di sviluppo di una forma di consapevolezza corporea sempre più matura, questi autori vanno a sottolineare quanto il bambino faccia primariamente esperienza del corpo come possibilità di esecuzione di atti motori in relazione agli oggetti e allo spazio. I primi, in particolare, attraverso le loro caratteristiche richiamano nel soggetto possibili determinate azioni da compiere su/con essi (affordance); lo spazio, invece, riveste un ruolo significativo perché è spazio di azione per il corpo: questo mette in luce come non vada considerato come spazio percettivo unicamente lo spazio corporeo, ma anche lo spazio peri-personale.
Alla luce di quanto riportato sino a questo punto, il processo di sviluppo e costruzione del Sé corporeo risulta essere primariamente basato su determinanti neurofunzionali di origine innata, che evolvono seguendo le vicissitudini del rapporto con i numerosi fattori corporei ed extra-corporei del bambino. Tale assunto vale chiaramente non solo per i primi anni di vita, ma per l’intero arco di sviluppo. È nei primi anni di vita in particolare, però, che il bambino è esploratore, scienziato, scopritore del proprio corpo e del mondo; di conseguenza, è in questa fase che pone le fondamenta e i primi mattoni dell’edificio del proprio Sé corporeo. Le sue graduali capacità di controllo volontario del movimento, che lo rendono sempre più competente e autonomo nella relazione con il mondo, si traducono in piacere del movimento. Sono proprio le capacità e il piacere del movimento che contribuiscono in larga misura alla costruzione dell’identità corporea. Fino ai tre anni, la sperimentazione pratica del corpo conduce il bambino ad acquisire una percezione globale di sé. Per fare un esempio, la conquista della posizione seduta tra i sei e gli otto mesi di vita costituisce il raggiungimento di una prima forma di unità corporea, perché tale posizione libera la verticalità del bambino, consentendogli di fare esperienza di una rappresentazione di sé unificata (Gison et al., 2012). Le Boulch (1975) denomina la fase di vita che va dalla nascita ai tre anni come “fase del corpo vissuto”.
La percezione del proprio essere come organismo fisico, parallelamente allo sviluppo delle funzioni motorie, consente al bambino di esercitare l’abilità di autocontrollo a diversi livelli: motorio, percettivo e cognitivo (Sabbadini, 2005). Infatti, a partire dalla percezione corporea e con il procedere dello sviluppo psicomotorio, il bambino diventa sempre più capace di organizzare il proprio corpo in termini di pianificazione e controllo del movimento, integrazione tra le varie parti, abilità visuo- spaziali, utilizzo del corpo per l’espressività delle emozioni e così via (Ayres, 2012). Sperimenta il proprio corpo, lo spazio, gli oggetti, dedicandosi per gran parte del suo tempo al gioco sensomotorio, il quale è in grado di procurargli esperienze di natura propriocettiva, cinestesica, tattile e vestibolare (Vecchiato, 2007). Il bambino scopre, in questo modo, un universo con un’organizzazione ed una struttura di cui fa parte il corpo stesso: nasce in lui una nuova espressività corporea e si parla in questa seconda fase (dai tre ai sette anni di vita circa) di “corpo percepito” (Wille e Ambrosini, 2010).
Tutto il processo di sviluppo del Sé corporeo ha matrice relazionale, innanzitutto per l’esperienza che il bambino fa di “altri Sé corporei”. Secondo Gallese e Sinigaglia (2010), il Sé corporeo è, tra le prime cose, Sé interpersonale perché nelle interazioni primarie con l’altro, egli percepisce un senso di sé come Sé corporeo che ha a che fare attivamente con altri Sé corporei. In queste circostanze le esperienze corporee proprie e altrui si plasmano contemporaneamente.
Fin dalla nascita il bambino riceve costantemente rimandi relazionali attraverso il corpo e relativi al corpo. Infatti, poichè tutte le esperienze del bambino sono vissute corporalmente e sono connesse ai valori sociali che l’ambiente attribuisce al corpo e a certe sue parti, esso finisce per essere investito di significati, di sentimenti e di valori assolutamente personali (Vayer e Saint-Pierre, 2002).
Infine, è inevitabile non citare Daniel Stern, il quale, in ottica interpersonale, ha delineato vari sensi di Sé all’interno dell’organizzazione psichica globale e complessa che caratterizza l’essere umano. Egli considera il senso di Sé come una forma di organizzazione soggettiva delle proprie esperienze, legate al corpo, agli stati d’animo, alle intenzioni e, per questo, lo assume come principio organizzatore dello sviluppo. Nella fase di formazione delle prime forme di senso di Sé che egli va a descrivere, uno degli elementi centrali è proprio il corpo e l’emergere della consapevolezza progressiva di essere un’entità fisica intera, dotata di confini. Stern lo definisce proprio “Sé dotato di coesione” ed è quella forma che, nello sviluppo normotipico, si sviluppa nella fase del senso di Sé nucleare, che si colloca tra i due e i sette mesi di vita e precede le fasi di formazione degli altri sensi di Sé (Stern, 1985).
A partire dall’integrazione multisensoriale, dalle esperienze del corpo, dall’acquisizione delle competenze motore, cognitive, comunicative, linguistiche ed emotive e dalle esperienze relazionali, il bambino sviluppa una rappresentazione del Sé corporeo. L’esperienza e la rappresentazione del proprio corpo, il senso di appartenenza delle singole parti o dell’intero corpo, l’immagine relativa all’aspetto fisico e la rappresentazione della propria identità in relazione alle altre persone non sarebbero, dunque, stabili ma mutevoli costantemente sulla base degli input sensoriali e dei modelli interni che ciascuno ha del proprio corpo (Tsakiris, 2010).
La rappresentazione del Sé corporeo si sviluppa secondo un processo graduale e continuo. Il bambino diviene progressivamente sempre più abile ad esplicitarla a livello grafico, verbale ed espressivo, sia gestuale che emotivo. In particolare, dopo i cinque anni il bambino comincerà a possedere un’immagine del corpo con significato concettuale permanente e simbolico. Le Boulch riconosce queste competenze nella fase più avanzata, che colloca a partire dagli otto anni e chiama fase del “corpo rappresentato” (Wille e Ambrosini, 2010).
In sintesi, nella prima infanzia, il bambino ha modo di maturare la percezione del Sé corporeo a partire dall’integrazione multimodale delle informazioni provenienti dal corpo e dall’ambiente e, sulla base della maturazione nervosa e dei prerequisiti neuromotori da lui posseduti, organizza il proprio Sé corporeo. Infine, attraverso le esperienze emotivo-relazionali, sviluppa una propria immagine del corpo. Percezione,
organizzazione e rappresentazione del Sé corporeo maturano in parallelo, integrandosi e influenzandosi reciprocamente.
In modo trasversale allo sviluppo, la consapevolezza corporea è dettata da un’essenza dinamica e plastica. Per valutare il livello di maturazione del Sé corporeo è necessario tenere conto dello sviluppo ontogenetico, del profilo neuro e psicomotorio del bambino, della presenza di eventuali problematiche e dell’ambiente nel quale il bambino vive.
Possiamo concludere, infine, che il carattere globale (somestesico, visivo, propriocettivo, sensomotorio, relazionale, psico-intellettivo) della costruzione del Sé corporeo, spiega molto facilmente come la lesione a livello di anche una sola delle componenti che la determinano, provochi ripercussioni d’insieme, soprattutto in età evolutiva (Impara, 2019).
I CORRELATI NEURALI DEL SÉ CORPOREO
“Il fatto che il cervello sia nel corpo è un fatto fisico. L’affermazione inversa è vera allo stesso modo: il corpo è nel cervello” (Tessari et al., 2010, p. 1). Vi sono molteplici rappresentazioni neurali e mentali del corpo, ciascuna dotata di una funzione specifica, che supporta diversi tipi di interazione tra il sé e il mondo esterno. Si ritiene interessante e doveroso andare ad analizzare e riportare quali siano i correlati neurali del Sé corporeo, cioè quali siano le aree del sistema nervoso centrale (SNC) coinvolte nell’elaborazione e costruzione della rappresentazione corporea.
La realtà duale del corpo, che è contemporaneamente insieme di sensazioni interne e oggetto del mondo fisico, conduce numerosi studiosi a ritenere che vi siano varie rappresentazioni del corpo. In particolare secondo uno studio di neuroscienze cognitive (Longo et al., 2010), esisterebbero processi di percezione somatica e di rappresentazione somatica, che porterebbero a corrispondenti modelli di rappresentazione del corpo. Alla percezione somatica corrisponderebbe la percezione delle informazioni tattili, esterocettive e enterocettive; alla rappresentazione somatica corrisponderebbe la conoscenza lessicale-semantica, quella visiva della configurazione strutturale del corpo, la conoscenza delle emozioni e degli atteggiamenti diretti verso il proprio corpo e il legame tra corpo fisico e sé psicologico. Inoltre, dagli stessi studi emerge la possibilità di identificare due modelli di rappresentazione del corpo: uno implicito, caratterizzato dall’homunculus somatosensoriale, ed uno esplicito, che origina dall’integrazione tra la percezione cosciente della forma del corpo e le informazioni visive.
L’homunculus somatosensoriale è una mappa somatotopica che si crea a livello della corteccia somatosensoriale, nella quale rappresentazione grafica le varie parti del corpo vengono dipinte in modo distorto, perché la loro dimensione è proporzionale al grado di percezione sensoriale ad esse associata. La corteccia somatosensoriale, localizzata nella porzione frontale di ogni lobo parietale, immediatamente dietro al solco centrale, riceve le informazioni relative alla sensibilità somestesica (cioè alle sensazioni del corpo): ciascun emisfero, in particolare, riceve principalmente segnali sensoriali dal lato opposto del corpo. Tuttavia, la semplice consapevolezza del tatto, della pressione e della temperatura o del dolore viene riconosciuta ad un livello inferiore dell’encefalo: dal talamo. Ma, mentre il talamo rende coscienti, la corteccia localizza la sorgente del segnale, percepisce l’intensità dello stimolo, per giungere ad una percezione più completa. A sua volta, la corteccia somatosensoriale proietta ad aree superiori per un’ulteriore elaborazione, analisi e integrazione delle informazioni.
L’homunculus sensoriale è una prima forma di mappa, che ci può aiutare a comprendere come il corpo si possa rappresentare a livello del SNC. Tuttavia essa si riferisce solamente agli aspetti sensoriali e, come abbiamo avuto modo di comprendere, il fenomeno di maturazione del Sé corporeo è ben più complesso della semplice percezione, quindi vi sarà una corrispondente complessità anche a livello neurale.
Infatti, è possibile delineare anche una seconda mappa somatotopica: l’homunculus motorio. Quest’ultimo rappresenta la posizione e la relativa estensione di corteccia motoria deputata all’invio dei segnali ai muscoli delle diverse parti del corpo. Anche in questo le varie parti risultano distorte e le loro dimensioni sono proporzionali al grado di finezza del controllo motorio a cui sono soggette, quindi alla precisione e alla complessità dell’abilità motoria richiesta. L’homunculus motorio si colloca a livello della corteccia motoria primaria, che occupa l’area nella porzione posteriore del lobo frontale, adiacente alla corteccia somatosensoriale. Anche in questo caso, la corteccia di ciascun lato dell’encefalo controlla i muscoli della parte opposta del corpo.
Un ruolo importante per consentire all’individuo di avere una “visione generale” delle relazioni tra le diverse parti del corpo e il mondo esterno è dato dalla corteccia associativa parietale temporo-occipitale, in grado di raccogliere e integrare le sensazioni somatiche, uditive e visive per una complessa elaborazione percettiva.
Altre aree coinvolte nella percezione e nell’organizzazione del Sé corporeo sono i gangli della base, che regolano il tono muscolare, l’attività motoria finalizzata e le contrazioni relative alla postura e al sostegno del corpo; il talamo, che collabora nel dirigere l’attenzione agli stimoli che interessano e, come sappiamo, è proprio sulla base degli stimoli ricercati e ricevuti che il bambino matura il Sé corporeo; il cervelletto, che è responsabile dell’equilibrio, del tono muscolare, della coordinazione e del controllo del movimento (Sherwood, 2012).
A conferma dell’interessamento delle aree e strutture del SNC appena elencate nella definizione del Sé corporeo, un recente studio, pubblicato nel 2017, identifica il correlato neurale del Sé corporeo in due network cerebrali: quello del controllo senso-motorio e quello localizzato in area fronto-parietale (Fontan et al., 2017). La struttura del primo comprende le regioni corticali motorie e somatosensoriali, i gangli della base, il talamo e il cervelletto; il secondo si estende dal giro frontale inferiore alla corteccia parietale posteriore.
Il processo che porta alla rappresentazione del corpo risulta essere estremamente complesso: molti meccanismi neurali che lo riguardano rimangono ancora sconosciuti.
Per fornire un modello schematico di quali siano le aree implicate nell’elaborazione e costruzione dell’immagine corporea, viene riportata di seguito una tabella, ripresa dagli studi di neuroscienze di Longo, Azanon e Haggard (2010).
TABELLA 1: maggiori componenti della percezione somatica e della rappresentazione somatica e relative funzioni di base e basi neurali.
|
FUNZIONI |
BASI NEURALI |
SENSAZIONI SOMATICHE |
Prima forma di elaborazione sensoriale degli stimoli somatici |
Corteccia somatosensoriale primaria |
PERCEZIONE SOMATICA |
|
|
Schema della superficie corporea |
Localizzazione dello stimolo sulla superficie corporea |
Lobi parietali (in particolare corteccia parietale anteriore e giunzione temporo- parietale) |
Schema della postura |
Percezione dell’attuale postura del corpo |
Corteccia parietale superiore e intraparietale laterale (in particolare destra) |
Modello della dimensione e forma del corpo |
Percezione delle proprietà metriche degli stimoli tattili |
Non conosciuto; presumibilmente lobi parietali |
Immagine del corpo cosciente |
Costruzione e mantenimento del senso di sé e riconoscimento di sè |
Corteccia postero- parietale (in particolare destra) |
Emozioni provenienti dal corpo |
Elaborazione affettiva e risposte agli stimoli somatici |
Parte anteriore dell’insula |
RAPPRESENTAZIONE SOMATICA |
|
|
Conoscenza generale del corpo |
Conoscenza semantica generale |
Non conosciuto, probabilmente diffuso |
Conoscenza lessicale e semantica del corpo |
Denominazione e comunicazione |
Emisfero sinistro, in particolare corteccia parietale inferiore, temporale anteriore e frontale inferiore |
Conoscenza della struttura del proprio corpo |
Conoscenza semantica della disposizione tra le parti del corpo |
Emisfero sinistro, in particolare corteccia parietale superiore, solco intraparietale e lobo temporale sinistro |
Emozioni relative al corpo |
Formazione di attitudini verso il corpo |
Emisfero destro, in particolare i lobi parietale e frontale |
IL SÉ CORPOREO E LA DIMENSIONE RELAZIONALE
PREMESSA
Nel precedente capitolo è stato evidenziato come la dimensione relazionale costituisca il nucleo per la costruzione del Sé corporeo. Per riprendere brevemente quanto fino ad ora esposto, il bambino sin dalla nascita si trova immerso in una realtà che è oggettuale e primariamente relazionale. Dai rimandi che riceve dall’incontro tra il suo corpo e questa realtà va a costruire a livello percettivo e rappresentativo una forma di consapevolezza ed organizzazione del proprio corpo via via sempre più evoluta.
Si ritiene importante dedicare uno spazio proprio a questi aspetti, per un duplice motivo. In primo luogo, qualsiasi ricerca e teoria sullo sviluppo del bambino non può prescindere dalla sfera relazionale, in quanto qualunque aspetto della vita infantile si vada a considerare, esso risente indubbiamente della matrice intersoggettiva in cui il bambino è immerso. Infatti, lo sviluppo in età evolutiva è globale, cioè avviene a livello di tutte le aree (percettiva, motoria, cognitiva, sociale, emotiva) nella stretta interrelazione e interconnessione tra le stesse, come ci indica lo stesso termine “psicomotorio”, che accompagna normalmente la parola “sviluppo”. Tradotto in altri termini, qualsiasi sia la tappa evolutiva o la sfera che si va a studiare, essa risente sempre dei condizionamenti provenienti dalle relazioni di cui il bambino fa esperienza. In secondo luogo, la dimensione relazionale costituisce il principale fattore terapeutico all’interno della terapia neuropsicomotoria, per cui è opportuno fare una premessa rispetto, appunto, alle implicazioni che la stessa comporta nelle interazioni con il bambino.
Per cominciare, è utile fornire una definizione di “relazione”. La relazione interpersonale è il rapporto tra due persone, caratterizzato da interscambi, con un certo grado di reciprocità, che si attuino per un certo periodo di tempo. La relazione, dunque, si costruisce su una serie di interazioni, che nel tempo vanno incontro a cambiamenti e diversificazioni nel tipo e nella qualità. Ciascuna relazione interpersonale è caratterizzata da comportamenti specifici del bambino, che la contraddistinguono dalla relazione con altre persone con cui egli interagisce (Berti, Comunello, Savini, 2001).
Data questa premessa, possiamo passare all’analisi di quella che è la relazione precoce, ossia la relazione che si viene ad instaurare tra il bambino e la figura di riferimento primaria, con cui intendiamo la madre.
LA RELAZIONE PRECOCE E IL DIALOGO TONICO-EMOZIONALE
Gli studi del filone dell’Infant Research (Stern, Schaffer, Meltzoff, Trevarthen) dimostrano che il bambino nasce con competenze sul piano relazionale ed emotivo, mostrandosi fin dall’inizio un essere intenzionale, capace di dirigere il proprio comportamento e compiere delle scelte, biologicamente predisposto a interagire e adattarsi alle azioni dell’adulto. Il suo stato intenzionale è primariamente emotivo e, infatti, la comunicazione tra genitore e figlio è principalmente emotiva e lo sarà sempre (Berti e Comunello, 2011). Nei primi mesi di vita il contenuto della comunicazione è unicamente di tipo emozionale e si esplica attraverso il corpo: per mezzo di tono, postura e ritmo del movimento della madre, il bambino può essere contenuto e calmato; ciò non richiede coscienza, né competenze intellettive o di altra natura (Nicolodi, 2015). Questo costante e infinito dialogo della diade, che coniuga la dimensione corporea e quella emozionale, prende il nome di “dialogo tonico-emozionale”. Tale espressione è stata coniata da Ajuriaguerra per indicare il primitivo dialogo fra madre e bambino, costituito da reciproci scambi e micro-adattamenti tonico-posturali. In questi momenti di interazione, principalmente mediata dal contatto corporeo, il bambino percepisce simultaneamente il proprio reclutamento tonico e le reazioni di chi si occupa di lui. La capacità di comunicazione bidirezionale del tono, infatti, fonda i processi di interazione sociale, comunicazione e sintonizzazione (Cartacci, 2011).
Il tono diventa, dunque, modalità di espressione del mondo emozionale interno, ma nello stesso tempo anche mezzo per giungere alla rappresentazione di sé. Secondo Livoir- Petersen, il bambino “rappresenta i propri stati tonici sotto forma di emozioni grazie alla percezione delle fluttuazioni toniche dei suoi familiari, ossia grazie all’accoppiamento tra quanto esperito tonicamente e la percezione sensoriale delle reazioni altrui, quando esse sono accordate e sincrone con quello che prova lui” (Livoir-Petersen, 2015, p. 22). Ne deriva l’importanza che riveste la competenza dell’adulto di fungere da specchio sensoriale al bambino tramite gli aggiustamenti tonico-emozionali, per facilitare la rappresentazione dei suoi stati tonici, e di contenere i cambiamenti interni o esterni e l’intensità degli sbalzi tonici attraverso le cure. L’adulto, infatti, ha una funzione maternante anche in senso fisico, corporeo: tutte le cure fisiche prestate al bambino sono importanti eventi psichici (Nicolodi, 2015). Quando la relazione che si viene a costruire tra i due componenti della diade è buona, influenza in modo positivo anche il legame di attaccamento, che, come la relazione, parte da un primo livello che è proprio quello corporeo (Cartacci, 2014).
Il dialogo tonico-emozionale non scompare mai, ma è al lavoro tutta la vita, perché avviene anche attraverso l’utilizzo della parola, in cui è riconoscibile l’eco tonica alla quale i suoi suoni sono stati agganciati. Naturalmente gli aggiustamenti tra bambino e figura di riferimento sono un fenomeno culturale, perché risentono ampiamente delle convenzioni sociali della cultura del gruppo (Livoir-Petersen, 2015).
Riassumendo, fin dalla nascita il corpo del bambino incontra il corpo dell’adulto e nell’interazione tra i due si instaurano numerose dinamiche. Il bambino possiede un proprio fondo tonico che dipende dalle organizzazioni neurologiche e dalla loro maturazione; in quanto fisiologicamente legato al circuito delle emozioni, il tono subisce numerose variazioni, che si esprimono nei primi mesi come stati di tensione e distensione. La madre li coglie, interpreta e rende significativi e, in questo modo, essi si moduleranno e si adegueranno nell’interazione con lei (Nicolodi, 2015). All’interno di questo circuito semiotico nel quale il bambino è immerso, “parallelamente all’esperienza di sé in rapporto all’ambiente, si sviluppa l’esperienza del corpo come simbolo dell’Io e come attore nelle relazioni con il mondo degli altri” (Vayer e Saint-Pierre, 2002, p. 27).
IL RUOLO DELLA RELAZIONE NELLO SVILUPPO DEL SÉ CORPOREO
La teoria concernente la relazione precoce e il dialogo tonico-emozionale aiuta a rendere chiarezza di quali siano le dinamiche che si attivano nelle interazioni, in particolare in quelle corporee, tra il bambino e l’adulto. Sulla base di questa consapevolezza, veniamo ora a descrivere in quale modo la relazione con la figura di riferimento vada a plasmare il mondo delle rappresentazioni corporee del bambino.
Il neonato, attraverso il tatto e la propriocezione, si identifica progressivamente all’altro, in particolare al tono materno, grazie alla reciprocità tonica e sensoriale che caratterizza i momenti di cura. Per mezzo di una conoscenza propriocettiva innata e tramite un’identificazione immediata e globale al volume e alla figura materna, il bambino riconosce il suo volume nello spazio, la dimensione della sua prospettiva e della sua struttura tridimensionale. Gradualmente, di pari passo al processo di integrazione degli schemi motori di base, del sistema tonico-posturale e dei processi senso-percettivi e in stretto contatto alla dimensione affettiva, verrà meno questa aderenza al corpo della madre, mentre si costruirà l’ossatura delle rappresentazioni del Sé corporeo (Gison et al., 2012). Insita in ciò è la necessità che il bambino possieda i prerequisiti che permettano l'integrazione sincrona di esperienze multimodali, soprattutto visive e somatiche. Come emerge da numerosi studi sui Disturbi dello Spettro Autistico, un'armoniosa interazione sociale con un partner richiede una buona coordinazione multisensoriale tra sguardo, voce e tatto. I comportamenti sociali, di cui in particolare la sintonizzazione, sono il risultato di un processo neurofisiologico circolare, che coinvolge le funzioni percettiva, emotiva, cognitiva e motoria (Le Menn-Tripi et al., 2019).
Nel dialogo primario, le esperienze corporee dei bambini sono reciprocamente condivise: a partire dalle sei settimane di vita, nelle interazioni faccia a faccia sono riconoscibili i segni di differenziazione soggettiva del loro corpo da quello altrui, che è analogo e comparabile al loro. Dopo il primo anno di vita, si apre un nuovo orizzonte in cui gli altri diventano per il bambino specchio del sé: uno specchio sociale in cui il Sé corporeo diventa oggettivato. A partire dai tre anni circa emerge nel bambino il desiderio di riconoscimento sociale: il bambino diviene consapevole che ciò che gli altri vedono non è solo il suo corpo ma la rappresentazione oggettivata del suo corpo (Rochat, 2010).
A partire dalla percezione, il bambino integra la propria immagine corporea con quella dei corpi altrui. Schilder (1992) sostiene che il modello posturale del nostro corpo è correlato con quello del corpo altrui, perché il bambino è intimamente interessato al corpo dell’altro, verso cui dedica un’attenzione speciale, caricata di un’intensa emotività. Esisterebbe, dunque, una relazione molto stretta tra la nostra immagine corporea e l’immagine corporea degli altri. Da qui, viene da chiedersi quanto, dunque, l’immagine corporea che l’altro ha di sé vada ad influenzare quella del bambino. In effetti, recenti studi mettono in luce come l’emergere della consapevolezza corporea del bambino sia necessariamente mediata dalla consapevolezza e dal rapporto che il caregiver intrattiene con il proprio corpo. Per questo, “concentrare l’osservazione su come la diade si muove armonicamente (o meno) risulta, seguendo quest’ottica, di cruciale importanza per definire l’emergere della consapevolezza, non come un fenomeno ascrivibile esclusivamente al bambino, ma definendolo come una costruzione relazionale emergente dalla relazione madre-bambino-ambiente” (Di Sarno et al., 2019, p. 44).
Appurato il fatto che nella stretta relazione tra l’immagine corporea propria e degli altri vi sia un trasferimento e arricchimento di parti, possiamo aggiungere più specificatamente che il bambino interiorizza con il tempo le esperienze di incontro del suo corpo con quello dell’altro, andando ad identificarsi con quelle posture, che ha assunto lui stesso o che ha riprodotto imitando coloro con cui ha condiviso la relazione affettiva, che più di altre hanno creato in lui un benessere (Vecchiato, 2007).
In tutto ciò, vediamo come ritorna la dimensione emotiva ad orientare gli interessi del bambino e a condizionare, sulla base dei vissuti corporei, la formazione dell’identità corporea. La coscienza di sé, di avere un corpo unitario ed una personalità distinta, viene di conseguenza all’armonizzazione tra le sensazioni corporee vissute come emozioni positive o negative e le emozioni che derivano dalla vita di relazione.
Tutto ciò che la persona ha vissuto durante il processo maturativo viene riflesso fedelmente dal corpo, che comunica costantemente al mondo esterno attraverso un linguaggio che funziona in modo analogico: il linguaggio corporeo, che è direttamente collegato alla struttura psichica inconscia.
LA RELAZIONE IN TERAPIA NEUROPSICOMOTORIA
Data la rilevanza che la relazione tra bambino e figure di riferimento primarie detiene nel modo in cui il bambino percepisce e costruisce il proprio Sé corporeo, viene di dovere sottolineare quanto anche la relazione tra bambino e Terapista della Neuro e psicomotricità abbia lo stesso potere. In uno spazio in cui al bambino viene concessa la piena libertà di movimento, quale espressione autentica del Sé, le dinamiche relazionali che si instaurano assumeranno connotati molto simili a quelli della relazione primaria. Questo perché il terapista riprende come modello generale la relazione madre-bambino, con due note di differenziazione importanti rispetto all’azione della madre: ciò che il terapista compie è il frutto che matura dalla consapevolezza e dalla progettualità; e l’implicazione affettiva in gioco si realizza ad un livello diverso, cioè a quella “giusta distanza” che consente al neuropsicomotricista di tenere sotto controllo e eventualmente utilizzare i meccanismi proiettivi ed identificativi attivati (Berti e Comunello, 2011). All’interno della stanza di terapia, dunque, il bambino rivive la relazione con l’adulto di riferimento/con l’altro, non sul piano verbale ma sul piano dell’azione, del comportamento spontaneo (Lapierre e Aucouturier, 1996). Per questo, in ottica neuro e psicomotoria, si dà ampio peso alla relazione tra terapista e bambino ed ecco che di nuovo il corpo si impone come elemento protagonista.
IL SÉ CORPOREO NELLA TERAPIA NEUROPSICOMOTORIA
IL CORPO IN TERAPIA NEUROPSICOMOTORIA
La terapia neuropsicomotoria viene definita “terapia dell’azione”, poiché è la “ricomposizione e la connessione di azioni o di frammenti di azione, attraverso l’interazione di gioco, ossia la costruzione di un senso condiviso, passando, per parafrasare de Ajuriaguerra, dall’essere un corpo al riconoscersi un corpo” (Berti, Comunello, Savini, 2001, P. 41). L’azione acquista significato e lo rivela attraverso i suoi modi, ossia le qualità del movimento. Ecco perché in terapia neuropsicomotoria, l’osservazione e l’intervento sono attuati sulla base del modello semiotico, il quale porta a porre il focus dell’attenzione sul corpo, riconoscendolo come produttore di segni e di scambi di segni. A partire da questa prospettiva, il terapista è portato a tenere in considerazione contemporaneamente quattro aspetti fondamentali che si esprimono attraverso il corpo e il movimento: il mondo interno del bambino, il mondo esterno con cui entra in contatto, l’interazione con l’adulto e l’interazione con eventuali altri bambini presenti (Nicolodi, 2020). Il motivo per cui è proprio il modello semiotico a fondare l’intervento neuropsicomotorio è, per l’appunto, il presupposto secondo cui il corpo, tramite le proprie attività in interazione con l’altro, può articolare e ampliare le proprie modalità di trasformazione del mondo, di comunicazione e condivisione (Berti e Comunello, 2011).
In terapia neuropsicomotoria vige la legge della centralità del corpo perché il bambino vive il corpo nella globalità: globalità dell’essere che si alimenta di emozione e pensiero (Gamelli, 2020). Fino ai sei/sette anni di vita il bambino manifesta necessariamente ciò che prova e pensa direttamente attraverso il corpo, poiché non c’è mediazione tra quello che sente e ciò che il suo corpo esprime. In quanto essere globale, il bambino racconta tanto nel movimento quanto nel gioco qualcosa di sé.
Il corpo, dunque, non viene inteso meramente come entità fisica, ma come principale strumento a disposizione del bambino per esplorare, apprendere, comunicare, esprimere. L’esperienza corporea è alla base del processo di sviluppo del Sé, che tra le sue forme trova anche il Sé corporeo (Mansi, 2005).
Il corpo in terapia neuropsicomotoria è corpo, mente, emozione, identità.
L’IMPORTANZA DI OSSERVARE IL SÉ CORPOREO IN TERAPIA NEUROPSICOMOTORIA
Nei primi due capitoli, è stato avvalorato quanto lo sviluppo del Sé corporeo sia un processo che si instaura alla nascita e procede per l’intero arco della vita. Tuttavia, è nel periodo della prima infanzia che il senso di Sé corporeo del bambino matura in modo consistente, sulla base delle esperienze che egli fa. Il bambino vive nella globalità del suo essere, acquisisce nuove competenze in tutte le sfere dello sviluppo, le quali non evolvono seguendo linee indipendenti, ma si influenzano e condizionano reciprocamente. Lo sviluppo del Sé corporeo, come è stato documentato nei precedenti capitoli, avviene secondo gli stessi principi e fonda le radici del Sé del bambino, in tutti gli ambiti: come espresso da Stern (1985) e Nicolodi (2015), alla base del Sé agente, del Sé soggettivo, del Sé sociale troviamo il Sé corporeo. Osservare il Sé corporeo è, dunque, fondamentale per essere consapevoli, avere a mente e tenere conto di quelle che sono le basi che fondano l’intero sviluppo del bambino, in tutte le sue aree. Se, dall’osservazione attenta del Sé corporeo, della sua percezione, organizzazione e rappresentazione, degli aspetti emotivi e relazionali che lo influenzano e definiscono, si rilevano carenze, difficoltà, mancanze, il Terapista della Neuro e psicomotricità può favorirne lo sviluppo e l’integrazione. Questo promuove lo sviluppo globale del bambino, partendo proprio da quelle che sono le sue fondamenta.
IL SÉ CORPOREO E IL GIOCO SENSOMOTORIO
Il gioco è un insieme di azioni in cui lo scopo è il gioco stesso. La sua caratteristica è quella della gratuità. È la cornice in cui le azioni del soggetto si inseriscono che consente di qualificare le azioni stesse come gioco: il gioco ha un inizio e una fine, ha un senso, ha delle regole, è condiviso e soprattutto genera piacere (Berti, Comunello e Savini, 2001).
Il gioco psicomotorio è contraddistinto dalla spontanea espressione corporea del bambino, che attraverso il movimento compie azioni atte al raggiungimento di uno scopo, esprime i suoi stati d’animo, sviluppa competenze comunicative e relazionali e arriva all’autodeterminazione della propria identità (Vecchiato, 2007). Il gioco psicomotorio è la cornice all’interno della quale i nuclei dell’azione, dell’emozione e dell’interazione si intersecano ed esprimono nel movimento e nell’assetto tonico-posturale (Cartacci, 2013).
Tra le varie tipologie di gioco, una risulta essenziale nello sviluppo, nella maturazione naturale e nell’espressione spontanea del Sé corporeo: si tratta del gioco sensomotorio. Il gioco sensomotorio è il gioco di movimento-contatto-sensazione- movimento, che genera nel bambino piacere, gratificazione e favorisce l’interazione tra la componente somatica in senso biologico e neurologico e quella psichica (Vecchiato, 2007). Nel gioco sensomotorio il bambino sperimenta tutti gli usi possibili del corpo, definendone i confini, i limiti di estensione e le potenzialità. “Il gioco sensomotorio è la modalità di movimento che fonda, forma e dispiega il rapporto dell’Io corporeo sia nei confronti del proprio corpo che nei confronti del mondo esterno” (Nicolodi, 2015, p. 76).
IL GIOCO SENSOMOTORIO COME NUCLEO DI ESPRESSIVITA’ DEL SÉ CORPOREO
Il gioco sensomotorio è l’insieme di tutti gli usi possibili del corpo, vissuti con forte intensità sia fisica che emotiva: il movimento che lo determina provoca un autentico bombardamento sensoriale; l’emozione che lo colora è il motore che fa esprimere e buttare fuori tutte le possibilità del corpo. In esso, infatti, viene mantenuto un costante collegamento tra la dimensione somatica e quella psichica. Fino ai nove anni di vita circa, il gioco sensomotorio ha il puro scopo di esprimere le potenzialità corporee in forma assoluta e gratuita (Nicolodi, 2015).
Il setting neuropsicomotorio offre il terreno adatto all’osservazione del Sé corporeo, perché al suo interno il bambino trova la libertà di esprimersi totalmente attraverso il corpo e il movimento, che raccontano anche i suoi piaceri e i suoi bisogni.
La dimensione complessiva ed integrata della neuropsicomotricità consente di tenere conto contemporaneamente di molti elementi utili all’indagine relativa al Sé corporeo, dalla respirazione alle afferenze sensitive e sensoriali, dal tono muscolare alla postura, dal linguaggio alla comunicazione non verbale, dall’affettività alla coscienza delle proprie emozioni, dal movimento del corpo come espressione del sé alle capacità di equilibrio, coordinazione e ritmo (Impara, 2019).
In terapia neuropsicomotoria, l’osservazione dell’espressività corporea del bambino avviene attraverso l’osservazione del movimento e l’analisi delle categorie psicomotorie. Con queste ci si riferisce al tono muscolare, alla postura e allo sguardo, alla voce, allo spazio, al tempo e agli oggetti. Ciascuna di queste categorie ha una valenza ed un significato specifici sul piano neurofisiologico-biologico-maturativo, sul piano cognitivo e su quello emozionale-relazionale-espressivo. Dall’incontro tra essi e dalla combinazione dell’utilizzo delle varie categorie nasce l’azione del bambino. I modi dell’azione, ossia le qualità del movimento, costituiscono il linguaggio espressivo del bambino, che il terapista è portato a decodificare.
IL GIOCO SENSOMOTORIO COME MEZZO PER LA MATURAZIONE DEL SÉ CORPOREO
Il gioco sensomotorio assume un significato essenziale nello sviluppo spontaneo del Sé corporeo, perché caratterizzato da fattori sensopercettivi, motori, cognitivi ed emotivo-relazionali, che entrano in campo seguendo una determinata linea evolutiva.
Come tutte le forme di gioco, il gioco sensomotorio si sviluppa e complessifica nel tempo, assumendo forme diverse. Esso nasce a partire dal movimento fusionale o “gioco tonico-emozionale”, che è la prima forma di gioco a comparire. Nel movimento fusionale, il bambino fa esperienza delle sensazioni vestibolari e tattili del corpo dell’altro che lo sostiene e contiene, dando forma al senso di unità, continuità, pienezza, totalità e armonia del corpo. Quando la maturazione neurologica, sensoriale e psicologica consente al bambino di creare lo spazio tra sé e l’altro, di superarlo e di muoversi al suo interno, ecco che compare il gioco sensomotorio vero e proprio (Nicolodi, 2015).
Una delle sue prime forme è il gioco di equilibrio-disequilibrio, che nasce nel gioco di spinte e controspinte sul corpo dell’altro, al suolo e contro gli oggetti, quindi a partire dai due mesi di vita circa. Man mano che il bambino diventa padrone del movimento, matura l’immagine interna del corpo e si sente sicuro di Sé, ricerca il disequilibrio e i vissuti di perdita dei confini corporei che derivano da esso.
Il gioco sensomotorio è movimento, nello spazio e in rapporto all’oggetto. È il piacere di passare sotto, strisciare, rotolare, dondolare, scivolare, cadere, arrampicarsi, entrare ed uscire, girare, saltare, correre, scoprendo tutte le possibilità motorie del proprio corpo e le sensazioni che offre l’ambiente esterno. Da queste esperienze scaturiscono la sicurezza nelle proprie capacità motorie e l’allenamento emozionale che il gioco stesso comporta. Il gioco nel quale il bambino sperimenta tutto il corpo e tutti i sensi, sentendosi a suo agio, favorisce l’integrazione sensoriale e l’utilizzo di moltissime sinapsi: di conseguenza si creano nuove interconnessioni e il bambino impara a facilitare certi messaggi e inibirne altri, a metterli insieme e dirigere efficacemente la sua attenzione, diventando sempre più abile nel dare risposte adattive all’ambiente, attraverso il suo corpo (Ayres, 2012). Anche l’uso dell’oggetto è funzionale a questi scopi. Il gioco di unire, separare, dividere, ammucchiare, mettere in fila, in alto, prendere, manipolare, lanciare a conquistare lo spazio, far apparire e scomparire, modificare, distruggere, ricostruire, modellare, disfare fa sentire il bambino agente, competente e facilita l’apprendimento e la consapevolezza di sé.
Quasi tutte le sperimentazioni sensomotorie, corporee e con l’oggetto, sia esperite in modo attivo che passivo, assumono un significato specifico e speciale in rapporto alla maturazione del Sé corporeo. Per citare qualche esempio:
- il dondolio attivo genera la piacevole sensazione di perdita momentanea dei riferimenti spaziali del corpo e il loro ritrovamento rallentando il ritmo;
- lo scivolamento aiuta a consolidare dal punto di vista spaziale il davanti e il dietro dell’asse corporeo;
- il rotolamento rafforza la percezione dell’asse corporeo, del corpo come entità intera e la capacità di controllo su di esso;
- il girare su se stesso allude alla perdita del senso di Sé nel vortice di sensazioni labirintiche, che viene ritrovato nella caduta;
- la caduta genera un intenso e globale contatto: il piacere nella caduta testimonia la sicurezza di un corpo unitario;
- il salto in profondità genera sensazioni di perdita ed integrazione del proprio Sé corporeo e richiede una buona consapevolezza in termini di percezione del corpo come unitario e di controllo della motricità;
- il volo in alto gioca sulle sensazioni contrapposte di leggerezza e di stabilità del baricentro al suolo, di mancanza di respiro ed integrazione con il proprio respiro;
- la corsa è funzionale al consolidamento della percezione del corpo e della sicurezza di sé;
- l’arrampicata e, in generale, il movimento nella dimensione verticale allude alla crescita, alla sfida, alla conquista e al rinforzo dell’immagine di sé. L’arrampicata, in particolare, è un’attività che richiede un’elevata capacità di coordinazione motoria;
- il movimento nella dimensione orizzontale richiama la ricerca della solidità e stabilità del suolo e l’appropriazione dello spazio attraverso il corpo (Vecchiato, 2007 e Nicolodi, 2015).
Molto interessante è l’apporto di Laura Bettini (2017) al significato simbolico e funzionale degli oggetti psicomotori e del loro utilizzo, anche in relazione al Sé corporeo. Secondo l’autrice
- l’utilizzo di stoffe, teli e dell’amaca, negli avvolgimenti e nei dondolii, conferisce un senso di benessere corporeo diffuso e globale;
- le corde, che richiamano il legame fisico ed emotivo, possono essere usate per avvolgere e facilitare la percezione del corpo e della sua compattezza;
- il passaggio nel tunnel rinforza la percezione dei confini corporei ma, allo stesso tempo, è possibile solo se il bambino ha una coscienza del Sé corporeo sicura e non teme di perdersi o disgregarsi;
- la palla, per la sua forma, richiama l’idea di unità coesa, compiuta e compatta: è il simbolo dell’individuazione, della vitalità, del corpo, dell’unicità dell’essere;
- il cerchio definisce lo spazio: il dentro e il fuori;
- i bastoni, che simbolicamente rimandano alla verticalità, al potere, alla capacità di contrapposizione, vengono spesso usati in giochi di ordine aggressivo, i quali favoriscono la percezione e stabilizzazione dei confini del corpo, perché nella collisione, pressione, separazione il bambino edifica un’immagine interiore del corpo stabile e impara a dosare l’energia dei suoi gesti e movimenti.
In sintesi, dunque, il gioco sensomotorio e le sue infinite sfumature che spesso annullano la distinzione tra esso e il gioco tonico-emozionale, il gioco di costruzione e il gioco motorio, hanno un potere smisurato nella maturazione naturale e spontanea del Sé corporeo. Per il Terapista della neuropsicomotricità diventa un vero e proprio strumento per favorire nel bambino una maggiore consapevolezza del Sé corporeo e per aiutarlo ad ampliare le capacità di modulazione tonico-posturale, organizzazione motoria, acquisizione di abilità motorie, scoprire e rinforzare delle capacità del proprio corpo. Il gioco sensomotorio diventa, quindi, strumento nella misura in cui, attraverso la predisposizione del setting e del materiale, l’esempio, la guida fisica il terapista ne favorisce l’attivazione, l’investimento e il piacere. In questo modo, dalla sperimentazione e ripetizione delle esperienze sensomotorie, il bambino può trarre i benefici che sono stati descritti poc’anzi.
L’adulto, di fronte al gioco sensomotorio del bambino, ha il ruolo di rimanergli vicino, di condividere in modo pieno e risonante le emozioni intense che si esplicano a livello corporeo, di offrire un sostegno emotivo, incanalando e identificando opportunamente il magma emozionale e contribuendo al suo riconoscimento e alla sua identificazione. La legittimazione, il rispetto dei tempi, la comprensione, la protezione, la sintonizzazione e la restituzione al bambino di ciò che sta vivendo sono elementi imprescindibili per l’integrazione del vissuto del corpo come buono e positivo. Il rimando relazionale durante il gioco sensomotorio, che passa attraverso lo sguardo, la parola, le espressioni, la presenza, è costante e per questo è fondamentale che il terapista ne sia consapevole.
LA CONSAPEVOLEZZA CORPOREA DEL TERAPISTA
Al fine di offrire al bambino la più ampia libertà di espressione, è importante che gli vengano offerte stabilità, sicurezza e contenimento. Il principale modo perché questo avvenga è, sì, la predisposizione di un setting accogliente, sicuro e ricco di oggetti che inducano al movimento, ma è soprattutto la coerenza e il contenuto del messaggio che il corpo del terapista veicola in maniera del tutto non verbale. Ecco perché diviene fondamentale la consapevolezza che il terapista deve avere del proprio corpo.
Il corpo e la consapevolezza della corporeità sono a tutti gli effetti gli strumenti tecnici del neuropsicomotricista. Nell’interazione con il bambino, nel gioco che intesse tutta la relazione terapeutica, il terapista deve essere consapevole del proprio stile relazionale di partenza, cioè di come lui per primo utilizza le categorie psicomotorie. Tale presa di coscienza costante gli consente di utilizzare il proprio stile in modo funzionale ai propri obiettivi.
Lo stare alla presenza, l’interazione costante con il bambino, il gioco sono pervasi dall’ininterrotta comunicazione tra il corpo dell’adulto e quello del bambino, con tutto ciò che ne deriva. Per esempio, come abbiamo potuto constatare nei precedenti capitoli, come l’adulto vive ed esprime il proprio Sé corporeo, va ad influenzare l’immagine corporea del bambino. Ecco perchè questo costituisce un fondamentale elemento di cui il terapista dovrebbe essere consapevole. Per raggiungere questo traguardo, comunque, la formazione del Terapista della Neuro e psicomotricità include anche corsi di consapevolezza corporea, che facciano sperimentare il proprio modo di fare, mettere in gioco la propria storia corporea e la vocazione ad usare la simbologia dell’azione. Nella formazione personale corporea il terapista ha la preziosa possibilità di entrare in ascolto del proprio corpo e di aprirsi alla percezione del Sé preverbale, multisensoriale e sinestesico (dunque corporeo) attraverso il movimento e il contatto, risvegliando nello stesso tempo immagini ed emozioni nascoste, contattando modelli relazionali di fondo legati ai temi della dipendenza, della fiducia e dell’affermazione di sé. La ricchezza della dimensione del gruppo in ambito formativo dimora nella possibilità di trarre dalla guida del gruppo la via di rassicurazione e trasformazione ad eventuali resistenze, reattività e fissità comportamentali (Cartacci, 2013).
In conclusione, per il terapista, non è sufficiente “sapersi occupare” del corpo, ma è necessario imparare a “stare con il corpo”, cioè ad utilizzare le categorie psicomotorie per “parlare al corpo e dal corpo” (Berti e Comunello, 2011).
PERCEZIONE, ORGANIZZAZIONE E RAPPRESENTAZIONE DEL SÉ CORPOREO: DALLA TEORIA ALL’OSSERVAZIONE
Aver definito cosa sia il Sé corporeo e aver delineato in termini evolutivi il processo secondo il quale si sviluppa, aiuta a definire quali siano gli aspetti più utili alla sua osservazione nella pratica neuropsicomotoria. Per facilitare questa analisi, è possibile andare a considerare le tre categorie distinguibili all’interno del processo di costruzione del Sé corporeo: la percezione, l’organizzazione e la rappresentazione.
Verranno ora prese in esame separatamente, per poter comprendere di ciascuna il funzionamento e la funzione all’interno del processo e, di conseguenza, che cosa sia possibile andare a rilevare durante l’osservazione del bambino tale che ci possa comunicare la qualità dello svolgersi di questi tre sotto-processi.
LA PERCEZIONE DEL SÉ CORPOREO
Nei precedenti capitoli è stato messo in luce come il Sé corporeo si sviluppi a partire dalle esperienze che il bambino vive con il proprio corpo, in relazione all’ambiente che lo circonda e alle persone con cui interagisce. La percezione del Sé corporeo, che verrà approfondita in questa sezione, è alla base della sua organizzazione e rappresentazione.
Per spiegare ciò che la determina, vengono ripresi i concetti espressi nella teoria dell’integrazione multisensoriale di Ayres (2012), secondo la quale tale percezione corporea deriva dall’integrazione, organizzazione e differenziazione delle informazioni provenienti dai sensi tattile, propriocettivo e vestibolare. Solo se le informazioni sono chiare e precise la percezione corporea è ben organizzata. Dunque, i requisiti di base necessari allo svolgimento dell’intero processo sono un’adeguata stimolazione sensoriale e un buon flusso di impulsi che dai recettori giungono al cervello.
L’obiettivo di questo capitolo è proprio quello di porre il focus sui meccanismi coinvolti nella percezione del Sé corporeo, per diventare maggiormente consapevoli del loro funzionamento e ruolo nel processo di maturazione del Sé corporeo e poter comprendere che cosa può limitarne o comprometterne una completa ed integrata costruzione. A tale scopo, si vanno a studiare i sensi considerati da Ayres come responsabili della percezione corporea (tattile, propriocettivo e vestibolare) e, in aggiunta, il senso della vista, per i motivi che verranno esplicitati in seguito.
Infine, anche se non verranno discussi in questo lavoro, è bene non dimenticare gli input viscerali, che informano il cervello relativamente alla pressione sanguigna, la digestione, il respiro e altre funzioni del sistema nervoso autonomo. In qualche modo anche essi danno un contributo alla percezione del Sé corporeo. È, a tal proposito, suggestivo quanto affermato da Cohen (2020), la quale sostiene che il tono dei muscoli riprende il tono degli organi interni e che l’essenza emotiva e sensoriale degli organi interni genera la forma della postura.
Prima di addentrarci nel merito dei sensi sopraelencati, è opportuno aggiungere un’ulteriore chiarificazione di concetti, illustrando la distinzione terminologica tra la nozione di “sensazione” e quella di “percezione”. Con “sensazione” si intende l’immediato risultato che gli stimoli provocano sugli organi di senso, i quali li registrano e trasmettono al cervello; con “percezione” invece si intende il processo attraverso il quale vengono estratti, categorizzati e interpretati gli input sensoriali (Gison et al., 2012, p. 111). Quindi, ciò che avviene è che ciascun input sensoriale viene registrato e trasmesso alle aree cerebrali deputate alla sua elaborazione e, poi, inviato ad altre aree corticali: così è resa possibile l’integrazione tra le diverse esperienze sensoriali e percettive, che le renda globali e coerenti. È interessante riportare, a proposito della percezione, una citazione di Sabbadini (2005), che mette insieme l’aspetto percettivo, quello di integrazione e quello relativo al Sé corporeo: l’autrice afferma che, rispetto alla capacità di percepire, non è semplice definire quale elemento tra la percezione dell’Io, la percezione del mondo esterno e gli strumenti che permettono di recepire predomini sugli altri, perché “essi si manifestano ed evolvono insieme, ciascuno inevitabilmente al servizio o come strumento degli altri due e, contemporaneamente, come condizione per l’esistenza e la crescita degli altri due” (Sabbadini, 2005, p. 16).
Vengono presi ora in esame i sensi implicati nel processo di sviluppo del senso di Sé corporeo.
I SENSI COINVOLTI NELLA PERCEZIONE DEL SÉ CORPOREO E I CORRISPONDENTI INDICI OSSERVATIVI
Il senso tattile
Il senso tattile è il senso maggiormente esteso del nostro corpo, in quanto composto da molteplici recettori presenti su tutta la superficie cutanea. Il loro ruolo, di vitale importanza nel comportamento umano, sia fisico che mentale, è quello di ricevere le sensazioni di tipo pressorio, termico, dolorifico, vibrazionale e di trasmetterle al sistema nervoso centrale. Gli impulsi vengono inviati al tronco cerebrale e, da esso, al cervello. A livello del tronco cerebrale avviene la prima forma di elaborazione, che comunica che “si è toccati da qualcosa”, com’è questa cosa e soprattutto se è pericolosa. Le informazioni relative agli stimoli tattili vengono distribuite, poi, a varie parti del cervello, ma solo poche di esse raggiungono quelle aree corticali responsabili della consapevolezza della sensazione tattile. Normalmente, infatti, non siamo consapevoli di uno stimolo tattile a meno che non focalizziamo l’attenzione sulla parte del corpo che è stata toccata, oppure lo stimolo è così forte da richiamare la nostra attenzione. In realtà, riceviamo in ogni istante innumerevoli sensazioni tattili e queste consentono, per esempio, di muoversi in modo efficace, di influenzare le emozioni e di dare significato agli altri tipi di informazioni sensoriali, pur non giungendo a consapevolezza. Diveniamo invece consapevoli dello stimolo e dei suoi dettagli relativi alla forma e alla localizzazione grazie all’elaborazione svolta dalle aree sensoriali della corteccia. La funzione percettivo-tattile, espletata dalla corteccia, compare all’età di quattro anni, epoca in cui il bambino diviene abile nel riconoscimento di oggetti familiari a partire dalla loro forma (“percezione stereognosica”), senza il supporto visivo. Questa competenza si affina con il procedere dello sviluppo e già all’età di cinque anni compare l’esplorazione tattile ad occhi chiusi, che inizialmente avviene effettuando un’analisi sommaria e poi con crescente metodicità e attenzione per i particolari e la forma (Gison et. al 2012).
Il sistema tattile è il primo a svilupparsi, insieme alla propriocezione, e sta alla base delle altre modalità percettive (Cohen, 2020). Infatti, come sostiene Ayres (2012), il tatto è molto importante per l’organizzazione neurale nel suo complesso. Le numerose stimolazioni tattili che il corpo riceve in ogni momento servono a mantenere attivo il sistema tattile e questo è di vitale importanza, poiché senza una grande quantità di stimolazione tattile del corpo, il sistema nervoso tende a diventare instabile, a disorganizzarsi. Questo fa pensare, per esempio, all’importanza del contatto pelle a pelle tra madre e neonato, alle stimolazioni tattili che caratterizzano i momenti di cura, ai giochi corporei nei quali il bambino, attraverso il tatto, percepisce il tono dell’altro e, in generale, a qualsiasi contesto relazionale in cui la comunicazione tra i corpi è mediata dal contatto. Attraverso le mani della mamma il bimbo riceve stimoli tattili accurati e attenti, che favoriscono la percezione di uno spazio definito e di un contenimento accogliente.
La pelle, in quanto organo, ha la funzione immediatamente percepibile di definizione di un confine, limite materiale che ci definisce ed individua rispetto al mondo esterno e all’altro. Psiche Giannoni e Liliana Zerbino (2000), fisioterapiste dell’età evolutiva, sottolineano quanto una buona esperienza tattile sia in grado di aiutare l’evoluzione del bambino sin dall’inizio della sua vita e quanto il contatto precoce con mani “buone” possa influenzare i futuri rapporti interpersonali del bimbo. “La pelle è il confine del proprio essere e perciò il processo tattile è una fonte primaria di sicurezza per il bambino” (Ayres, 2012, p. 75). Sia nella normalità che nella patologia, rivolgere attenzione allo stato del connettivo, permette di predisporre la pelle del bambino ad una ricezione migliore degli stimoli esterni.
È opportuno tenere a mente, poi, la stretta interconnessione tra sistema tattile e propriocettivo, che li lega in modo indissolubile sin dai principi dello sviluppo: movimento e tocco rivestono un ruolo fondamentale nello sviluppo dinamico dell’esperienza percettiva e sono indispensabili per scoprire chi siamo noi e chi è l’altro (Cohen, 2020). A partire dalle informazioni della cute, il sistema nervoso regola le risposte per mantenere il giusto e necessario livello di contrazione muscolare (Psiche e Giannoni, 2000).
Quanto delineato finora, consente di afferrare quanto un disturbo nella percezione, dunque nell’elaborazione dello stimolo tattile, abbia un certo peso nella vita del bambino e soprattutto nello sviluppo del suo senso di Sé, sia corporeo che psichico.
Esistono, infatti, casi in cui vi è un’irregolarità nel processamento dell’informazione sensoriale di tipo tattile, che può essere riconosciuta attraverso specifici segni clinici, quali:
- Anormali reazioni allo stimolo tattile. Si tratta della manifestazione clinica di un disturbo della modulazione sensoriale. Alcuni bambini possono presentare una sensibilità eccessiva (iper-reattività) o troppo poco sviluppata (ipo-reattività) verso alcuni stimoli sensoriali; altri possono avere reazioni atipiche verso un solo tipo di stimolo sensoriale (ad esempio, fascinazione o intolleranza) (Ayres, 2012). La causa trova sede a livello neurologico.
- Deficit nella localizzazione dello stimolo tattile. Rientra tra i disordini di discriminazione sensoriale, che consiste nella difficoltà a localizzare in modo accurato lo stimolo tattile e ad identificare il suo significato in relazione allo spazio. Ayres spiega molto chiaramente che “il bambino ha difficoltà a discriminare e identificare le cose che lo toccano o che lui tocca. Sa e sente quando viene toccato ma non sa identificare dove e con cosa” (Ayres, 2012, p. 124). Anche in questo caso la disfunzione è a livello neurologico. A proposito della localizzazione, Paul Schilder (1992) sottolinea quanto le impressioni visive siano essenziali per giungere all’orientamento nei confronti del proprio corpo. In altri termini, egli evidenzia quanto sia fondamentale che, a livello corticale, avvenga un’integrazione tra l’informazione tattile, quella cinestesica, quella visiva e l’immagine corporea, affinché il soggetto sia in grado di discriminare lo stimolo a contatto con il suo corpo. Tale competenza si svilupperà negli anni, partendo da una capacità di localizzazione grossolana, che diverrà via via più fine e precisa. Più specificatamente, il bambino può dire approssimativamente dove è stato toccato e anche dirigere le risposte in modo volontario a partire dai due anni. Segnali che parlano di una disfunzione a questo livello sono la goffaggine nel maneggiare gli oggetti e le frequenti cadute: il bambino non è in grado di sentire esattamente come è strutturato il suo corpo o cosa sta facendo ciascuna sua parte, perché le sensazioni della pelle non gli comunicano correttamente dove il corpo inizia e dove finisce (Ayres, 2012).
- Deficit nel riconoscimento dello stimolo tattile: rientra anch’esso nella categoria dei disordini di discriminazione sensoriale, con causa neurologica. Consiste nella difficoltà a qualificare le caratteristiche dello stimolo sensoriale, in particolare quelle relative alla forma. Si ricorda, però, che il riconoscimento dello stimolo tattile con esclusione del canale visivo (stereognosi) è una competenza che il bambino acquisisce attorno ai 4-5 anni, in quanto richiede che, a livello cognitivo, la prima forma di elaborazione dello stimolo sensoriale (stadio percettivo), sia seguita dall’attribuzione di un significato allo stimolo (stadio gnosico).
Il senso propriocettivo
Il sistema propriocettivo è esteso quasi quanto quello tattile, poiché comprende i muscoli e le articolazioni. Difatti, con il termine “propriocezione” si fa riferimento rispettivamente alle informazioni sensoriali frutto della contrazione, decontrazione e del rilassamento muscolare e del flettersi, allungarsi, tirarsi e comprimersi delle articolazioni. Queste sensazioni originano principalmente durante il movimento, ma non solo, in quanto gli organi deputati alla propriocezione inviano costantemente sensazioni al cervello per comunicargli la posizione del corpo.
Le informazioni relative agli stimoli propriocettivi vengono colte dai recettori che si trovano nei muscoli e nelle articolazioni e vengono integrate con quelle recepite dall’apparato vestibolare e dalla cute, per fornire una precisa consapevolezza della posizione del corpo. Esistono due tipi di meccanocettori in grado di espletare questo fondamentale compito: i fusi neuromuscolari e gli organi tendinei del Golgi. La funzione dei primi è quella di percepire le variazioni di lunghezza delle fibre muscolari durante l’allungamento e la velocità a cui esso avviene; quella dei secondi è di informare l’encefalo relativamente alla tensione del muscolo e indurre risposte alle variazioni della tensione stessa (Sherwood, 2012). Le informazioni salgono attraverso il midollo, fino ad arrivare al tronco cerebrale e al cervelletto e, in parte, raggiungere gli emisferi cerebrali. Tuttavia la maggior parte degli input viene elaborata nelle regioni del cervelletto, che non producono una consapevolezza cosciente.
La propriocezione consente di eseguire i movimenti velocemente, fluidamente e senza sforzi e di compiere tutti i movimenti, grossolani o fini, che perseguono specifici scopi. Se non ci fosse la propriocezione dovremmo fare affidamento alle informazioni visive, guardando con più attenzione cosa sta facendo il corpo. Ecco perché i bambini con una scarsa organizzazione propriocettiva, di solito, si affidano molto di più alla vista, trovando difficoltà a fare cose che non riescono a vedere (Ayres, 2012). Tale strategia di compenso prende il nome di “monitoraggio visivo”.
Relativamente al Sé corporeo, la propriocezione è il senso che aggiorna istante per istante la percezione corporea, così che il cervello possa organizzare correttamente il movimento che deve avvenire (Ayres, 2012). Approfondendo questa categoria della percezione, infatti, si attribuisce la centralità al movimento. Cohen (2020) sostiene proprio che il movimento sia una forma di percezione, aggiungendo che il bambino inizia ad apprendere attraverso la percezione del movimento e, a sua volta, il movimento gioca un ruolo fondamentale nello stabilire una base per tutto il nostro modo di percepire. Il legame tra movimento e percezione emerge anche dalle parole di Paul Schilder (1992), il quale asserisce che alla base del nostro Sé corporeo vi sia una continua attività, un continuo movimento perché ogni sensazione ha la sua motilità e la risposta motoria ha una sensazione in se stessa.
Di notevole interesse risulta quanto illustrato da Cohen (2020) relativamente all’esperienza sensomotoria del bambino nei primi anni di vita. L’autrice, dopo aver dichiarato che nel primo anno di vita si va a stabilire la relazione tra il processo percettivo e il processo motorio, spiega che quanto più ampia è la base di pattern sensomotori di cui il bambino fa esperienza, tanto maggiore sarà l’integrazione sensoriale e motoria degli stessi e la capacità di espressione del bambino. Gli elementi fondamentali del processo evolutivo del movimento sono i riflessi arcaici1, le reazioni di equilibrio e di raddrizzamento2, perché costituiscono un continuum di schemi motori automatici alla base dei nostri movimenti volontari. A ogni riflesso corrispondono riflessi opposti ed uguali che lo completano, lo modulano, lo risolvono. Quanto meno le coppie raggiungono un buon grado di integrazione, tanto più il movimento diventa laborioso e maldestro con l’aumentare delle combinazioni tra i riflessi e della complessità delle azioni.
Gli schemi di movimento si sviluppano e consolidano nel tempo e ad essi corrispondono dinamiche percettive, quali l’orientamento nello spazio e l’immagine del si intendono tutte le risposte che consentono all’uomo di muoversi all’interno della gravità. Le prime avvengono ogniqualvolta il baricentro oscilla poco all’interno della base d’appoggio; le seconde quando il baricentro si sposta molto all’interno della base d’appoggio (Giannoni e Zerbino, 2000).
Sé corporeo. Dunque, come teorizza Cohen (2020), il grado di percezione corporea è influenzato dalla qualità e dalla quantità dei pattern motori, dei riflessi arcaici e delle reazioni di raddrizzamento e di equilibrio. I riflessi arcaici sono alla base delle reazioni di raddrizzamento, delle risposte di equilibrio e del repertorio di movimenti automatici. Se un riflesso non si sviluppa, il suo schema di movimento non diventa parte del repertorio; se i riflessi si sviluppano in modo asincrono o permangono, condizionano il tono posturale che resterà troppo basso o troppo alto oppure eccessivamente instabile e incostante. La qualità motoria è determinata secondi i parametri di scioltezza muscolare, equilibrio, dissociazione e regolarità del movimento (Ambrosini e Pelegatta, 2012).
Alla luce di quanto emerso, alcuni degli elementi che saranno oggetto di osservazione per l’analisi del Sé corporeo del bambino sono:
- Quantità e qualità degli schemi motori;
- Presenza di monitoraggio visivo di compenso;
- Persistenza dei riflessi arcaici.
Il movimento e le sensazioni ottenute dal contatto del corpo con gli oggetti facilitano la percezione. Tuttavia essa dipende anche, in larga misura, dalle qualità fisiche dei tessuti del nostro corpo e dalla relazione intercorrente tra la struttura ossea e la cute, da cui deriva l’elaborazione finale di tutte le nostre sensazioni tattili e della percezione del corpo (Schilder, 1992). Il feedback propriocettivo proveniente dai muscoli e dalle articolazioni viene direttamente influenzato dall’attivazione muscolare, cioè il tono muscolare. Il tono muscolare è uno stato di contrazione dei muscoli che consente di mantenere l’equilibrio, di reagire velocemente agli stimoli esterni ed interni organizzando l’azione più adeguata a favorire l’adattamento all’ambiente circostante (Vecchiato, 2007). È possibile distinguere il tono di base, inteso come fondo di attivazione, regolato dalle strutture sottocorticali del tronco encefalico che costituiscono il “sistema di arousal di attivazione reticolare”, e il tono d’azione, che si esprime nel movimento attraverso regolazioni toniche funzionali alla contrazione muscolare necessaria per la realizzazione dello scopo del movimento. In ambito psicomotorio si può aggiungere un’ulteriore distinzione: il tono relazionale, costituito dalle reazioni tonico-emozionali, le cui ripetizioni e integrazioni successive permettono la differenziazione tra Sé e l’altro (Persico, 2015). Il tono muscolare è sempre presente: prima, dopo e durante la contrazione muscolare. Esso inizia a svilupparsi per effetto della gravità già in ambiente intrauterino e, dopo la nascita, continua a variare in risposta alla gravità ed è influenzato da come gli altri si relazionano al bambino fisicamente, percettivamente ed emotivamente. A conclusione di ciò, Cohen svela che “il tono è relativo e riflette l’interazione tra l’ambiente al nostro interno e quello al nostro esterno” (Cohen, 2020, p. 14).
Aprire questa parentesi sul tono diviene utile per sottolineare la valenza che la qualità del tono di base e del tono di azione, delle possibilità di controllo tonico-motorio e tonico-emotivo hanno nello sviluppo del bambino. Esse hanno triplice significato: rappresentano elementi di una certa dotazione neurobiologica, costituiscono le modalità di reazione alle afferenze esterne e le componenti fisiologiche del “vissuto corporeo”, cioè della conoscenza del corpo e del corpo che agisce (De Panfilis, 2015). Quanto descritto fa desumere che un alterato tono muscolare può comportare ripercussioni a livello della percezione del Sé corporeo, sia in termini fisici che emotivo-psicologici, ma poi anche a livello dell’organizzazione.
Un contributo importante a sostegno di questa tesi è tratto dagli studi sui bambini affetti da Paralisi Cerebrale Infantile (PCI), in cui vi è un’importante alterazione del tono. Nelle PCI il reclutamento tonico è troppo alto o troppo basso o di tipo fluttuante e questo condiziona negativamente il senso della posizione del bambino, il quale non sarà in grado di identificare esattamente dove sono i suoi arti nello spazio. In tutti i casi di PCI i muscoli, sensori della propriocezione, non sono in grado di inviare i segnali per un’informazione corretta, di conseguenza risultano alterate la percezione dello schema corporeo e la pianificazione del movimento. Nelle PCI, inoltre, è frequente riscontrare la permanenza dei riflessi arcaici o la presenza di reazioni associate, cioè di reazioni involontarie ad alcuni stimoli a cui il bambino non è in grado di dare una risposta adattiva. Esse comportano una risposta qualitativamente bassa, organizzata a livello spinale, con tono variabile (Giannoni e Zerbino, 2000). Anche le reazioni associate, dal momento che coinvolgono il tono, possono avere un peso in termini di percezione del Sé corporeo.
Le Paralisi Cerebrali Infantili, tuttavia, costituiscono solamente un esempio di condizione clinica in cui il tono muscolare risulta alterato. Esistono, infatti, numerosi casi in cui si riscontra questo deficit e, in ogni caso, l’alterazione porta con sé l’esito di una percezione alterata del corpo. Jean Ayres (2012), per citare un altro esempio, trattando la Disprassia dello sviluppo (condizione clinica spesso accompagnata da tono muscolare basso), afferma che il tono muscolare basso riduce la quantità di propriocezione che i muscoli rimandano al sistema nervoso.
Le funzioni del sistema propriocettivo sono in stretta connessione con quelle del sistema vestibolare e del sistema tattile: insieme forniscono informazioni sull’ampiezza e la direzione del movimento, sulla posizione del corpo nello spazio, sulle tensioni muscolari e la pressione fisica e contribuiscono a regolare e coordinare il movimento (Giannoni e Zerbino, 2000). Anche la vista è fortemente integrata alla propriocezione; tuttavia è proprio l’esclusione del canale visivo che sollecita la percezione delle sensazioni cinestesiche, favorendo una maggiore consapevolezza del Sé corporeo e del suo agire.
Il tono muscolare è strettamente connesso alla postura e ne costituisce la determinante principale. Schilder (1992) sostiene, a tal proposito, che anche il senso di postura ha un ruolo considerevole nel determinare la conoscenza del nostro corpo. E, pensando al sistema tattile-propriocettivo in relazione alla postura, si desume come anche le informazioni derivanti dal carico nelle varie posture (supina, prona, seduta o in stazione eretta) vada a condizionare la percezione del Sé corporeo, soprattutto laddove vi siano asimmetrie.
In conclusione, dunque, per osservare come il bambino percepisce il proprio Sé corporeo, diviene utile andare ad osservare, oltre a quanto elencato poco sopra, anche:
- Il tono muscolare di base;
- Il sostegno del carico.
Il senso vestibolare
L’apparato vestibolare trova collocazione nell’orecchio interno. La sua struttura molto complessa, formata da ossa, contiene due tipi di recettori: i recettori di gravità e i canali semicircolari. I primi informano costantemente il sistema nervoso rispetto alla gravità; i secondi sono responsabili del “senso del movimento”, o meglio, del “senso di accelerazione e decelerazione della testa”. La combinazione tra gli input provenienti da queste due strutture è molto precisa e puntuale e ci informa esattamente su dove siamo rispetto alla direzione della gravità, se siamo fermi o in movimento, quanto velocemente ci muoviamo e in che direzione (Ayres, 2012). Tuttavia, i recettori vestibolari informano il cervello sul movimento riferito prettamente alla testa, ma non al resto del corpo.
Affinchè il cervello possa conoscere le relazioni che intercorrono tra l’oggetto, la testa e il corpo, le informazioni di gravità e movimento devono interagire con le sensazioni provenienti dai muscoli e dalle articolazioni, specialmente quelle degli occhi e del collo. Il meccanismo vestibolare situato nell’orecchio interno, infatti, non solo recepisce ed invia le sensazioni vestibolari, ma riceve a sua volta informazioni dagli altri recettori del movimento (propriocettori, enterocettori3 e recettori cinestesici) diffusi in tutto il corpo. Le sensazioni di gravità e movimento che attivano il sistema vestibolare, così, sono intrecciate con le informazioni provenienti dai muscoli, dalle articolazioni e dalla pelle, per completare la percezione corporea. Non a caso, il sistema vestibolare viene considerato il sistema che ha la funzione di “unificare” tutti gli aspetti dell’esperienza.
Ciò che accade sul piano neurofisiologico è che le sensazioni vestibolari vengono elaborate in gran parte a livello sottocorticale: nello specifico, nei nuclei vestibolari e nel cervelletto. Le informazioni ad esse relative vengono inviate al midollo spinale e al tronco cerebrale, andando incontro ad un importante processo di integrazione. In particolare, gli impulsi che scendono verso il midollo, interagiscono con altri impulsi sensoriali e motori per mantenere, aggiustare o modificare la postura, l’equilibrio e il movimento; gli impulsi che vengono trasmessi al tronco cerebrale e, da lì, salgono agli emisferi cerebrali vanno ad interagire con gli impulsi tattili, propriocettivi, visivi e uditivi per rendere chiara la percezione dello spazio e la posizione e l’orientamento del corpo al suo interno. Raramente, comunque, l’input vestibolare entra a far parte della consapevolezza cosciente (Ayres, 2012).
Una delle funzioni essenziali del sistema vestibolare è quella di mantenere il campo visivo in posizione stabile, cioè compensare con i muscoli dell’occhio e del collo ogni movimento della testa e del corpo, così che la realtà spaziale e oggettuale risulti ferma e non “ondeggiante”. Le reazioni dei muscoli oculari e del collo giocano un ruolo particolarmente importante nell’organizzazione del sistema vestibolare, costituendo una delle prime funzioni sensomotorie del neonato, che è alla base dello sviluppo sensomotorio del resto del corpo. Se vi è un malfunzionamento a questo livello il bambino inciampa spesso, fatica a mettere il proprio corpo in relazione agli oggetti e avrà difficoltà di apprendimento. Diviene, dunque, interessante andare ad indagare, in sede di colloquio con i genitori, se in epoca precoce sia stata rilevata nel bambino una fatica a mettere a fuoco o a seguire con lo sguardo un oggetto in movimento. L’eventuale presenza di questi segnalatori precoci può essere utile a confermare la presenza di un disturbo a livello vestibolare.
Il processamento dell’informazione vestibolare integrata alla propriocezione e alla visione, che avviene nella corteccia cerebrale, comunica al soggetto dove il suo corpo è collocato nello spazio e come in esso si stia movendo. In comunicazione con le regioni motorie della corteccia, rende possibile l’orientamento del corpo nel movimento e nella manipolazione degli oggetti. Anche il senso del tempo e le sue variazioni derivano dall’integrazione tra le informazioni vestibolari e cinestesiche (Cohen, 2020).
Oltre ad informare il corpo rispetto alla gravità, al movimento, allo spazio e al tempo, il sistema vestibolare ha la funzione essenziale di generare il tono muscolare: gli impulsi vestibolari mantengono i muscoli tonici e pronti a reagire. L’orecchio interno gioca, dunque, un ruolo fondamentale nel consolidarsi del tono posturale di base, che corrisponde alla reattività dei muscoli. Secondo Cohen, esso “riflette il modo in cui, attraverso la forza di gravità, ci mettiamo in relazione con la Terra” (Cohen, 2020, p. 12). La relazione con il campo gravitazionale terrestre è molto primitiva: è una delle relazioni più basilari per un essere umano. Ayres afferma che “la sicurezza gravitazionale è la base sulla quale costruiamo le nostre relazioni interpersonali” (Ayres, 2012, p. 94), tornando quindi a ribadire lo stretto legame tra il corpo, ciò che percepisce e le relazioni con gli altri. Aggiunge, inoltre, che un’attività vestibolare ben modulata è il presupposto indispensabile per mantenere uno stato calmo e vigile e perché il sistema limbico possa conservare un equilibrio emotivo. A riprova di quanto ci sia una forte interdipendenza tra i due, basta pensare ai movimenti oscillatori, quali il cullamento o il dondolamento, nei quali sia gli adulti che i bambini sperimentano una diminuzione dell’ansia e del turbamento emozionale.
Per completare il quadro relativo alle funzioni del meccanismo vestibolare, si aggiunge che le informazioni che il sistema recepisce ed elabora sono essenziali per il senso di equilibrio e per la coordinazione dei movimenti della testa con i movimenti oculari e posturali (Sherwood, 2012). Tale funzione è essenzialmente espletata dal tronco cerebrale, che contiene i centri nervosi che organizzano molte delle risposte posturali e di equilibrio. Queste ultime non sono altro che contrazioni muscolari automatiche che mantengono il corpo in equilibrio su due piedi, supportano le nostre braccia nello spingere e tirare le cose e regolano il corpo in modo da rendere i nostri movimenti armoniosi.
Ayres (2012) delinea tre tipi di risposte di postura e di equilibrio specifici che qualche volta sono difettose nei bambini che processano lo stimolo vestibolare in modo poco efficace: i movimenti posturali di fondo (cioè gli adattamenti automatici della posizione e del movimento di tutto il corpo a quelli delle singole parti che eseguono l’azione), la co-contrazione (cioè la contrazione simultanea di gruppi muscolari necessaria al fine di mantenere stabile la testa o l’intero corpo durante il movimento) e l’estensione protettiva (cioè la reazione automatica di protezione dalle cadute, quale risultato dell’organizzazione delle sensazioni del corpo e di quelle gravitazionali che avvertono il cervello che il corpo potrebbe farsi male quando sta per cadere).
Ecco perché, attenendoci a quanto emerso, possiamo considerare utili per l’osservazione della percezione che il bambino ha del proprio Sé corporeo, relativamente alle sensazioni vestibolari, i seguenti elementi:
- Aggiustamenti posturali in funzione alla gravità e all’azione. Per riprendere quanto riportato nel precedente paragrafo, un indice che dice quanto il sistema vestibolare del bambino funzioni adeguatamente, è la capacità di adattare in modo automatico la postura e la posizione delle singole parti del corpo, in modo tale che esse risultino funzionali allo scopo del movimento, sia in relazione allo spazio che in relazione all’oggetto. Perché esse lo siano, è doveroso in primo luogo che esse siano funzionali rispetto alla gravità.
- Modulazione tonica in funzione alla gravità e all’azione. Per le stesse ragioni citate poc’anzi e per la stretta connessione tra tono e postura, anche questo è un indice da tenere presente. È stato, inoltre, delineato che il sistema vestibolare genera il tono muscolare, in particolare nei muscoli che raddrizzano il corpo. Infatti, con il concetto “modulazione tonica” ci si avvicina a quella che Ayres chiama co-contrazione e la sua funzionalità si manifesta, quindi, con la stabilità della testa e del corpo durante il movimento e in funzione, appunto, della gravità e dello scopo dell’azione.
- La capacità di equilibrio. L’equilibrio va valutato sia in condizioni di statica che di dinamica.
- Organizzazione dei movimenti degli occhi. Tale competenza deriva dall’integrazione tra informazioni vestibolari e propriocettive, ma viene comunque qui inserita perché è compito del sistema vestibolare quello di mantenere il campo visivo in posizione stabile.
- Orientamento posturo-cinetico e vestibolare. Per la valenza del sistema vestibolare sul piano spazio-temporale, è bene porre attenzione alla presenza di eventuali asimmetrie nell’orientamento del corpo, sia in condizioni di statica che di dinamica. Può essere che il bambino esibisca una, più o meno rilevante, preferenza di orientamento dal punto di vista posturale, vestibolare e cinetico verso un emispazio rispetto all’altro. Questo si rileva in modo chiaro, per esempio, nei casi di emiparesi spastica, in cui vi è un’evidente preferenza di orientamento verso l’emispazio corrispondente all’emisoma non compromesso.
- Atteggiamento rispetto ad esperienze di tipo vestibolare. Ogni bambino può reagire in modo diverso ad esperienze di tipo vestibolare, quali i dondolii o i rotolamenti, nelle quali entrano in gioco dinamiche sensomotorie ma anche emotive. Se il bambino si dimostra ipo-reattivo o iper-reattivo di fronte ad input vestibolari, può essere dovuto ad un disturbo del sistema vestibolare. In particolare, nel secondo caso, il bambino può manifestare insicurezza gravitazionale, cioè paura eccessiva di fronte a sensazioni vestibolari non pericolose, o addirittura intolleranza al movimento, che vive come disagio o minaccia (Ayres, 2012).
- Consapevolezza del movimento nello spazio. Il senso del pericolo, la percezione spazio-temporale del corpo, l’organizzazione delle informazioni gravitazionali e del corpo che avvertono dell’imminente o possibile caduta sono tutti esiti di un buon funzionamento del sistema vestibolare.
I bambini con problemi vestibolari di solito hanno carenze nell’elaborazione dei processi propriocettivi e tattili. Hanno bisogno di attività che includono molte esperienze vestibolari, tattili e propriocettive insieme a risposte adattive che aiutano a organizzare queste sensazioni (Ayres, 2012).
Il senso visivo
Il recettore sensoriale della vista è la retina. La retina riceve gli input sensoriali visivi e li invia, attraverso il nervo ottico, al talamo e alle zone della corteccia cerebrale occipitale, adibite alla loro elaborazione. Nello specifico, esistono diverse zone specializzate nell’elaborazione di aspetti diversi dello stimolo visivo, quali la forma, il movimento, il colore e la profondità.
Tuttavia, per dare senso all’ambiente, è necessario che tutti i livelli del sistema nervoso centrale coinvolti nell’elaborazione degli stimoli sensoriali funzionino in modo appropriato e che gli input visivi si integrino con i molti tipi di sensazione, in particolare, come già è stato reso noto, con quelli relativi al sistema propriocettivo e vestibolare (Ayres, 2012).
Il sistema visivo rientra tra quelli rilevanti per la percezione del Sé corporeo perché, come sostiene Schilder, “è presente un’immagine visiva del corpo a cui la percezione viene collegata” (Schilder, 1992, p. 43). Più specificatamente, nel suo libro Immagine di sé e schema corporeo egli riprende più volte il ruolo della vista ponendolo in relazione agli altri sensi e all’interazione con le altre persone, all’interno della cornice di sviluppo del Sé corporeo. Per esempio, sostiene che esista un’immagine visiva del corpo indipendente dalle immagini tattili, ma nello stesso tempo teorizza che il fattore visivo nel modello posturale del corpo sia indispensabile per la localizzazione tattile. Egli considera anche la vista in relazione al sistema propriocettivo e vestibolare, sottolineando che per iniziare un movimento è necessario possedere l’immagine corporea e soprattutto le sue componenti visive. Infine, mette in evidenza l’importanza della componente visiva nel modello posturale del corpo, ricordando quanto la percezione del Sé corporeo abbia valenza relazionale e sia dunque condizionata dalla visione del corpo altrui.
Tale assunto conduce il pensiero ai neuroni specchio: neuroni visuo-motori che scaricano sia quando l’azione è svolta dal soggetto, sia quando è percepita. In altre parole, quando una persona, o in questo caso un bambino, osserva l’azione di un altro individuo, a livello cerebrale avviene l’attivazione della stessa rete neurale che egli utilizzerebbe per eseguire lo stesso movimento. Ne consegue che i movimenti dell’altro percepiti visivamente dal bambino danno un rimando immediato a livello neurale, che costituisce, assieme all’affordance dell’oggetto, il forte legame tra percezione del proprio corpo e percezione del Sé corporeo come possibilità di azioni (Gallese e Sinigaglia, 2010).
A sostegno del ruolo non indifferente che la vista riveste nella percezione del Sé corporeo, è interessante riportare quanto emerge da un recente studio sul processamento visivo del corpo. Secondo gli autori (Corradi-Dell’Acqua, Tessari, 2010) l’esperienza visiva condiziona la rappresentazione del corpo e la stessa elaborazione visiva degli stimoli legati al corpo è mediata proprio dalla rappresentazione del corpo. Esisterebbe, dunque, non solo una stretta inter-relazione tra la rappresentazione del corpo e del movimento elaborata dal sistema percettivo-motorio e quella elaborata dal sistema visivo, ma anche un’associazione tra la rappresentazione del proprio corpo e della propria motricità e l’elaborazione visiva del corpo e del movimento degli altri. Ne deriva che il movimento attivo e l’elaborazione visiva del movimento sono accoppiati e l’uno influenza l’altro, portando alla creazione della rappresentazione visiva delle azioni viste con maggiore frequenza.
La vista e la capacità di usare adeguatamente i movimenti oculari hanno un enorme potere: tra i vari “analizzatori” che nello stesso tempo processano l’esperienza che il bambino fa, la vista risulta essere quello privilegiato ed è essa a facilitare l’accettazione e il riconoscimento delle informazioni provenienti dagli altri canali sensoriali. L’associazione, il confronto e l’integrazione tra esse consentono di impregnare l’esperienza di significato, di costruire categorie e rappresentazioni (Sabbadini, 2005).
Il sistema visivo è un sistema sensoriale molto evoluto e complesso e, data la sua complessità, non è raro riscontrare deficit in qualche parte del suo funzionamento. Il deficit può essere più o meno importante, ma in alcuni casi, data la rilevanza che la componente visiva assume nei confronti della percezione del Sé corporeo del bambino, può essere davvero impattante.
I deficit visivi possono essere periferici o centrali. I primi sono dovuti ad un malfunzionamento dell’occhio o della via visiva primaria, come per esempio i vizi refrattivi o il glaucoma; i secondi sono dovuti ad un malfunzionamento delle vie visive retro-chiasmatiche e possono interessare la visione oculare e/o la percezione visiva e/o l’oculomozione e/o l’elaborazione cognitiva dello stimolo visivo. Deficit a una o più di queste aree possono esitare in condizioni cliniche specifiche quali difficoltà di stereopsi (percezione della profondità), negligenza spaziale (incapacità di percepire le informazioni visive provenienti da un emicampo visivo), difficoltà di organizzazione visuo-spaziale, la quale implica anche la difficoltà a collocare il proprio corpo rispetto all’oggetto, akinetopsia, cioè difficoltà a percepire il movimento o prosopoagnosia, cioè la difficoltà a riconoscere i volti. Riconoscere una problematica a livello visivo è importante e tenerne conto è fondamentale, perché indubbiamente questa non consente al bambino di ricevere quei rimandi visivi del proprio corpo e del corpo altrui indispensabili per una completa e matura costruzione del Sé corporeo. Sarà, dunque, un elemento centrale di cui tenere conto nel momento in cui vengono impostati gli obiettivi terapeutici.
Come risultato di ciò, rispettivamente al senso della vista, l’elemento che sarà oggetto di osservazione per la percezione del Sé corporeo del bambino è:
- Presenza di deficit visivi. Con “deficit visivo” si intende comprendere qualsiasi tipo di deficit che riguarda il sistema visivo, che sia esso periferico o centrale.
L’ORGANIZZAZIONE DEL SÉ CORPOREO
Mentre nel precedente sotto-capitolo il focus è stato posto su tutti quei processi che consentono al bambino di percepire il proprio corpo e di crearsi delle mappe del corpo a partire dalle informazioni sensoriali, in questo sotto capitolo il focus viene posto sull’utilizzo di tali mappe. Riprendendo nuovamente la teoria dell’integrazione multisensoriale di Ayres (2012), viene messo in luce che il possesso di mappe accurate del proprio corpo nel cervello è il prerequisito essenziale alla pianificazione dei movimenti, alle capacità di coordinazione, all’acquisizione di abilità motorie, alla specializzazione emisomica. Una condizione clinica esemplare nella quale la scarsa percezione corporea inficia la pianificazione ed esecuzione del movimento è la Disprassia dello sviluppo, causata da una disfunzione del cervello che impedisce l’organizzazione delle sensazioni tattili, vestibolari e propriocettive, ostacolando di conseguenza l’organizzazione del movimento.
Come è stato ripetutamente sottolineato, nella prima infanzia il corpo e il movimento sono gli strumenti di esplorazione, apprendimento, relazione e comunicazione del bambino; dunque, il fatto non solo di possedere ma anche di poter utilizzare in modo funzionale le mappe del corpo risulta davvero importante. Distinguere la categoria di “organizzazione del Sé corporeo” permette di andare ad indagare quali siano gli elementi che possono permettere di dedurre come il bambino riesca ad utilizzare le mappe del suo corpo nel movimento, che sarà dunque il principale oggetto di indagine nell’osservazione per questa sezione.
Vari autori (Schilder, Ayres, Wille e Ambrosini) concordano nell’affermare che l’immagine corporea gioca un ruolo importante in tutti i movimenti, nella loro programmazione e correzione. Schilder sostiene che “nel piano di un movimento la conoscenza del proprio corpo rappresenta una necessità imprescindibile” (Schilder, 1992, p. 81). La percezione del corpo che sia fatto e funzioni come unità meccanica è il presupposto per l’adeguatezza della pianificazione del movimento e consente anche la preparazione dell’intero corpo al movimento di una sua singola parte (Ayres, 2012). La coscienza del corpo e dell’effetto che ha nella relazione con l’altro e il mondo oggettuale è, in altri termini, la coscienza delle possibilità posturo-motorie del corpo (Wille e Ambrosini, 2010) ed è per questo motivo che “l’inizio di qualsiasi movimento dipende dal modello posturale del corpo” (Schilder, 1992, p. 82).
A supporto di ciò, recenti studi di neuroscienze mettono in luce quanto l’azione richieda che le rappresentazioni relative alla forma del corpo e alla postura siano integrate per generare una rappresentazione della dimensione del corpo e della sua configurazione e disposizione nello spazio (Medina e Branch Coslett, 2010) e confermano la presenza di un’intima relazione tra l’azione e la consapevolezza corporea. Gli autori degli studi, aggiungono, però, che tale rapporto non sarebbe confinato al controllo dell’azione e all’anticipazione delle sue conseguenze sensoriali, ma sarebbe riconducibile al possesso di un senso del corpo come potenzialità di azioni, in quanto “è a livello dell’intenzionalità motoria che il corpo fa esperienza di sé come Sé corporeo definito da un orizzonte di possibilità pratiche di azione” (Gallese e Sinigaglia, 2010, p. 749). Gli stessi ricercatori dimostrano che, in termini neurali, i meccanismi che sottostanno al senso dell’azione sono strettamente connessi e in parte sovrapposti a quelle reti neurali che contribuiscono al senso di Sé corporeo in azione. Più specificatamente, le connessioni a livello della corteccia parietale e premotoria, che sostengono la pianificazione e l’esecuzione dei movimenti finalizzati, risultano cruciali anche nell’evocare l’esperienza pre-riflessiva del corpo, con la quale viene inteso proprio il senso di Sé corporeo come potenzialità di azione (vedi cap. 1). Nella maturazione del Sé del bambino, “il senso del corpo, inteso come potenzialità di azioni, è il prerequisito sulla base del quale può essere costruito il senso di Sé agente” (Gallese e Sinigaglia, 2010, p. 750), cioè il percepirsi e viversi autori delle proprie azioni.
Di nuovo, ritornano l’importanza e la centralità del movimento nello sviluppo psicomotorio del bambino e, in questo caso, nello sviluppo del Sé del bambino, di cui il Sé corporeo. Secondo gli autori Wille e Ambrosini, gli indici di un buon sviluppo psicomotorio sarebbero proprio il corpo e il movimento, cioè i parametri di base da cui derivano poi i parametri motori, cognitivi, affettivi ed emotivi. La vita è movimento: “il bambino manifesta il proprio essere al mondo fin dal primo momento di vita attraverso il suo comportamento motorio” (Gison et al., 2012, p. 99). Alla nascita, il bambino ascolta, vede e percepisce il suo corpo ma non può organizzare queste sensazioni: facendone esperienza il suo cervello impara a farlo ed esse trovano significato (Ayres, 2012). Nel contempo egli diviene via via sempre più abile nell’organizzare il movimento perché, mentre da una parte si riduce l’attività riflessa, dall’altra si sviluppano progressivamente le capacità di adattamento del controllo posturale alla gravità e di modulazione tonica: di fondo a questi processi vi è la maturazione di tutto il sistema nervoso centrale. È interessante riportare come gli stessi autori definiscano l’organizzazione motoria “un modello di costruzione di un’unità corporea” (Gison et al., 2012, p. 99).
Il concetto di “unità corporea” rimanda a quello di “embodied cognition”, traducibile in italiano come “cognizione incarnata”. Si ritiene arricchente aprire una parentesi sulla teoria dell’embodied cognition perché essa riconosce e dà importanza alla stretta interconnessione tra sensazione, azione ed emozione. I concetti cardine di questo approccio fondano sull’idea che la cognizione nasce dall’esperienza, dalla percezione del mondo circostante e dall’azione su di esso, dunque sull’idea che dal corpo e dal movimento originano il pensiero e il sentimento e che l’apprendimento passa attraverso il corpo. Tale visione fortifica la teoria secondo la quale l’organizzazione del Sé corporeo dipende dal fatto di “avere un corpo capace in termini di funzioni percettive e motorie e dal tipo di esperienze che il corpo ha potuto vivere” (Sabbadini, 2005, p. 14), da cui deriva che lo sviluppo delle potenzialità di sé, in termini non solo motori ma anche emotivi e relazionali, deriva da fattori intrinseci, ma anche dalla relazione con l’ambiente e con l’altro. L’approccio dell’embodied cognition aiuta a tenere a mente la stretta relazione tra corpo e azione e quanto, quindi, il tipo di corpo che il bambino possiede e come esso si muove vadano a determinare i processi cognitivi, che, come verrà spiegato più avanti, risultano essenziali anche per l’organizzazione del Sé corporeo. Inoltre, tale approccio aiuta a riconoscere l’importanza degli aspetti evolutivi e relazionali dello sviluppo senso- psico-motorio nell’essere umano e di interagire con il bambino con un approccio olistico, supportandolo nella sua unicità e totalità di sensazione, azione, emozione e pensiero (Costa e Fanzaga, 2020).
In ambito psicomotorio, viene ampiamente riconosciuta questa globalità nel bambino, che si esprime proprio attraverso il movimento. Wille e Ambrosini affermano che “ogni costruzione motoria persegue sempre due obiettivi: la conquista dello spazio e la conquista di sé” (Wille e Ambrosini, 2010, p. 45). Nicolodi, similmente, sostiene che “tutto il movimento sensomotorio è un giocare sulle sensazioni che fondano e strutturano l’identità corporea personale: l’Io esistente. Il corpo nella relazione con gli oggetti diventa Io agente sul mondo esterno” (Nicolodi, 2015, p. 74). Calando questi concetti nel tema dell’organizzazione del Sé corporeo si può dedurre che l’esperienza di corpo e movimento sia, da un lato, espressione di tale organizzazione e, dall’altro, contributo all’organizzazione stessa.
Ayres sostiene che il gioco consiste in una serie di risposte adattive, cioè reazioni intenzionali e finalizzate ad uno scopo, che il bambino mette in atto con capacità sempre più mature nell’arco dello sviluppo. Fino ai sette anni però, tali risposte sarebbero più muscolari e motorie che mentali ed è proprio per questo motivo che fino a questa età si parla di “sviluppo sensomotorio”. In particolare, il periodo tra i tre e i sette anni è il periodo in cui il cervello è più ricettivo alle sensazioni e più abile nell’organizzarle. In questa fase di vita avviene un raffinamento delle capacità motorie: si osserva il miglioramento progressivo dell’equilibrio, della coordinazione occhio-mano e della programmazione della sequenza di movimenti (Ayres, 2012). Si potrebbe considerare l’organizzazione del Sé corporeo una determinante o proprio una componente dei processi sensomotori, ricordando che esiste una successione di acquisizioni nello sviluppo che avvengono a partire dall’integrazione sensoriale.
Ciò che si osserva nel gioco nell’arco dei primi sei anni di vita del bambino, è l’aumento della sicurezza nelle proprie capacità motorie e l’allenamento emozionale. Questo avviene soprattutto nei giochi sensomotori, dove ciò che è investito al massimo è il piacere del movimento, nella scoperta di tutte le possibilità motorie del proprio corpo in relazione con l’ambiente esterno. Il corpo, nella conquista dello spazio, fa esperienza di sapersi e potersi spostare, rimanendo in contatto con le proprie sensazioni, nel piacere e nella fiducia di sé e delle proprie capacità motorie (Nicolodi, 2015).
Il bambino è in costante movimento. L’essere umano è in costante movimento. Non c’è da stupirsi, dunque, se la maggior parte del cervello è coinvolta nella preparazione dei movimenti del corpo.
AREE E PROCESSI NEURALI COINVOLTI NELL’ORGANIZZAZIONE DEL SÉ CORPOREO
Le aree cerebrali coinvolte nell’organizzazione del Sé corporeo, come già accennato nei precedenti paragrafi, non sono solo quelle deputate alla pianificazione del movimento, ma anche quelle che contribuiscono al senso di Sé corporeo.
Entrando nel dettaglio, uno studio di neuroscienze condotto da Daprati e colleghi (2010) identifica nella corteccia parietale bilaterale l’area responsabile della rappresentazione dello spazio corporeo e dell’azione. In particolare, esiste una distinzione di ruoli tra lobo parietale destro e sinistro. Secondo i ricercatori, il lobo parietale destro fornisce la descrizione del corpo nello spazio traendola dall’elaborazione delle informazioni sensoriali in entrata. Affinché questo sia possibile, è necessario che l’individuo possieda la capacità di crearsi rappresentazioni interne di sé e sappia dirigere l’attenzione verso di sé. La rappresentazione dello spazio corporeo, delle parti del corpo e la loro localizzazione spaziale sono alla base delle azioni, in quanto questa organizzazione facilita l’anticipazione delle conseguenze sensomotorie dell’azione. Il lobo parietale sinistro, invece, è responsabile del riconoscimento dei propri movimenti e del monitoraggio del modello interno del movimento richiesto: questa consapevolezza delle informazioni relative al movimento è garantita dai processi di elaborazione delle informazioni afferenti ed efferenti relative al movimento. Alla luce di ciò, gli autori deducono che “i lobi parietali descrivono aspetti complementari della realtà, fornendo una rappresentazione del proprio corpo e del proprio corpo che agisce” (Daprati et al., 2010, p. 759), a cui ogni attività motoria va riferita. Tale consapevolezza può essere denominata “senso del corpo in azione” con il significato di consapevolezza dell’individuo di essere sia autore delle proprie azioni, sia possessore delle parti del corpo che le mettono in atto. Chiaramente, alla base di questa percezione cosciente del corpo vigono l’integrazione multisensoriale e la capacità di dirigere le proprie risorse attenzionali in maniera funzionale al movimento.
In una prospettiva cognitiva, infatti, i processi di integrazione sensoriale e di pianificazione, monitoraggio ed esecuzione degli atti motori, che costituiscono i processi primariamente coinvolti nell’interazione con l’ambiente, implicano sia un’immediata analisi elementare delle informazioni afferenti ed efferenti da parte del SNC, sia la possibilità dello stesso di rappresentare la realtà interna ed esterna, permettendo all’individuo di costruirsi modelli delle sensazioni, percezioni ed azioni (Daprati et al., 2010). Così, ogniqualvolta il soggetto mette in atto un movimento, esso è determinato dalla percezione e determina a sua volta una rappresentazione mentale del movimento e la percezione esplicita di essere la sorgente del movimento. Ecco perché l’abilità del cervello di rappresentare spazio e movimento è essenziale per l’esplorazione della realtà esterna ed interna e per la pianificazione del movimento.
Tali abilità di percezione e rappresentazione rientrano tra quelle che vengono denominate “funzioni corticali superiori”, con le quali si intendono le numerose funzioni neuropsicologiche e cognitive di ordine superiore, responsabili dell’apprendimento e di tutte le risposte adattive, di cui fa parte anche il movimento finalizzato. Esse maturano nell’arco dello sviluppo del bambino e la loro funzionalità presuppone il funzionamento nella norma del sistema cognitivo.
Per tornare all’utilizzo funzionale del corpo nell’interazione con l’ambiente, dunque, la consapevolezza del corpo in azione e la qualità delle azioni sarebbero il risultato dell’esperienza che il bambino fa del corpo nello spazio e nel movimento e dell’attività di rappresentazione mentale. Tutte le azioni volontarie che il bambino compie implicano l’interazione tra la sua intenzione e il piano motorio e, affinchè questo sia funzionale, il presupposto è che egli abbia sviluppato dei modelli predittivi dell’azione e la capacità di aggiornare ed eventualmente modificare il piano dell’azione (Daprati et al., 2010).
In sintesi, l’attività dei lobi parietali è essenziale per fornire una rappresentazione del corpo sulla base della quale verranno programmati i comandi motori e mappate le conseguenze sensoriali dell’azione. Infatti, le interazioni volontarie con il mondo esterno richiedono che l’attività motoria sia pianificata prima dell’esecuzione.
Il controllo dell’attività motoria coinvolge numerose aree cerebrali e non solo: regioni inferiori dell’encefalo e il midollo spinale monitorano e coordinano l’attività motoria volontaria indotta dalla corteccia motoria primaria; l’area motoria supplementare, la corteccia premotoria e la corteccia parietale posteriore (aree motorie corticali superiori) sono coinvolte nella fase di decisione volontaria iniziale del movimento; la corteccia motoria primaria esercita il controllo sui movimenti prodotti dai muscoli scheletrici; il cervelletto ha un ruolo essenziale nella pianificazione, nell’inizio e nella temporizzazione di alcuni movimenti. Le aree motorie supplementari e il cervelletto sviluppano il programma motorio e inviano impulsi nervosi al midollo spinale attraverso il tratto corticospinale ventrale e laterale (fasci piramidali) e indirettamente attraverso i sistemi motori del tronco dell’encefalo (fasci extrapiramidali). I nuclei della base e il talamo rinforzano e regolano l’impulso motorio. Iniziare ed eseguire movimenti volontari finalizzati, dunque, implica un complesso interscambio neuronale che deriva dall’integrazione delle informazioni sensoriali, ma anche dai sistemi motivazionali e dall’elaborazione del pensiero (Sherwood, 2012).
Il buon funzionamento dei muscoli effettori e delle giunzioni neuromuscolari, poi, determina il successo di un’azione volontaria e la sua correttezza. I muscoli ricevono ed inviano le informazioni dal e al sistema nervoso centrale attraverso fibre nervose afferenti ed efferenti (Sabbadini, 2005).
La qualità motoria deriva dalla capacità di usare i vari sistemi con flessibilità, coordinandoli e controllando le sequenze necessarie per esplicitare le funzioni adattive. L’organizzazione sequenziale del gesto è frutto delle strategie cognitive-adattive, derivanti dal lavoro delle aree cerebrali elencate, che governano i meccanismi a feed-back e feed-forward. Il primo è il meccanismo responsabile dell’elaborazione delle informazioni sensoriali conseguenti al movimento e dunque è responsabile della verifica del risultato. Il secondo, invece, è quello che consente la rappresentazione interna dell’azione: è il responsabile dell’anticipazione percettiva funzionale alla pianificazione e selezione del programma dell’azione. Un deficit ad uno o entrambi i meccanismi comporta deficit nella capacità di coordinazione, programmazione ed esecuzione dell’azione o della sequenza degli atti motori necessari per il conseguimento degli scopi dell’azione. Lo stretto legame tra la funzione motoria e quelle psichica e intellettuale è palese se si pensa all’attenzione di cui ha bisogno la pianificazione motoria: essa fa sì che il cervello possa filtrare ed elaborare le informazioni in entrata e programmare i messaggi e la sequenza con cui inviarli ai muscoli (Sabbadini, 2005).
In conclusione, a partire dalla percezione, fortemente connessa alle funzioni dell’attenzione e della memoria, l’individuo organizza l’azione per mezzo di processi di controllo che selezionano le strategie motorie economicamente più adeguate al raggiungimento dello scopo. Questi processi modulano la percezione e organizzano, pianificano e verificano l’azione. Nello sviluppo motorio del bambino, “l’intenzionalità svolge un ruolo determinante laddove il soggetto, con strumenti percettivi e motori adeguati, è posto in un ambiente costruttivo” (Sabbadini, 2005, p. 18).
L’organizzazione del Sé corporeo deriva da tutti questi processi e si traduce in numerosi elementi osservabili nell’assetto tonico-posturale e nel movimento del bambino, che ora verranno presi in esame.
INDICI OSSERVATIVI DELL’ORGANIZZAZIONE DEL SÉ CORPOREO
Come è stato delineato nei precedenti paragrafi, l’organizzazione del Sé corporeo è alla base delle possibilità e capacità del bambino di utilizzare il proprio corpo in modo funzionale, in relazione alla gravità, allo spazio, all’oggetto e agli altri e di mettere in atto movimenti funzionali agli scopi delle azioni. Affinché questo avvenga, numerose condizioni devono verificarsi, in modo più o meno integrato, in base alla difficoltà del compito o alla richiesta da parte dell’ambiente. Ciascuna di queste condizioni costituisce un elemento strettamente connesso all’organizzazione del Sé corporeo e, per questo motivo, osservarne la qualità e/o la quantità e/o l’evoluzione e le caratteristiche risulta estremamente utile al fine di definire il livello di maturazione dell’organizzazione del Sé corporeo del bambino e di individuare eventuali lacune o difficoltà nei processi coinvolti. Questo consente, in secondo luogo, di impostare gli obiettivi e le strategie terapeutici tenendo conto di quali siano i punti di forza e di debolezza del bambino relativamente a quest’area. A partire dallo studio degli aspetti teorici e dall’osservazione clinica, vengono estrapolati i seguenti elementi connessi all’organizzazione del Sé corporeo:
- Modulazione tonica in relazione agli oggetti, allo spazio e all’altro. Con “modulazione tonica” si intende la regolazione del tono muscolare, cioè il dosaggio della contrazione muscolare idoneo e funzionale al movimento. Essa costituisce un fenomeno molto complesso, che condiziona ed è condizionato da diverse funzioni psicomotorie. In particolare è stata evidenziata una chiara correlazione con il livello attentivo, emozionale e con l’equilibrio e l’organizzazione e realizzazione di atti motori. La modulazione tonica, infatti, è alla base dell’equilibrio statico, dell’equilibrio dinamico, della forza, della scioltezza del movimento e del controllo segmentario. Quest’ultimo è inteso come la capacità di mantenere il capo e gli arti in atteggiamenti anti-gravitari, determinati dalle caratteristiche toniche innate del bambino e dall’immagine corporea propriocettiva e visuo-spaziale che sviluppa (Wille e Ambrosini, 2010). I sopracitati legami tra tono e le altre funzioni psicomotorie “iniziano ad instaurarsi fin dai primi mesi di vita, per consolidarsi nell’arco dello sviluppo” (Massenz e Franzoi, 2015, p. 40). La capacità di modulazione tonica, dunque, è estremamente importante per la realizzazione di movimenti funzionali. Per questo, osservarla e definire se essa sia adeguata o meno diviene fondamentale. Inoltre, può essere utile annotare la presenza di asimmetrie o differenze tra segmenti corporei nel tono e nella sua modulazione e riportare i contesti nei quali il bambino fa più fatica a modulare il tono e quelli in cui invece è facilitato.
- Fluenza e dissociazione del movimento nei vari distretti corporei. Si può definire la fluenza come la scioltezza nel tono muscolare e la dissociazione come la possibilità di utilizzare solo i muscoli necessari per lo scopo del movimento, senza coinvolgerne altri. Esse sono i presupposti per un’economia dell’atto motorio. Secondo Wille e Ambrosini, la scioltezza e la dissociazione rientrano tra i quattro parametri che definiscono la qualità motoria. Gli altri due parametri sono l’equilibrio e la regolarità, cioè la successione del movimento secondo parametri temporali. I movimenti dissociati implicano una buona indipendenza tra i gruppi muscolari e una buona percezione dell’asse corporeo e delle parti del corpo. Essi si possono compiere tra emisoma destro e sinistro, parte superiore e inferiore del corpo, tra le parti assiali e quelle distali e con tutte le combinazioni possibili (Wille e Ambrosini, 2010). Per fare qualche esempio, i passaggi posturali, i movimenti che coinvolgono una specifica parte del corpo (movimenti settoriali isolati) e i movimenti combinati sono movimenti dissociati. La fluenza e la dissociazione maturano e si consolidano nell’arco dello sviluppo, per cui vanno sempre valutate tenendo conto dell’età e del livello di sviluppo neuropsicomotorio del bambino. In ogni caso, è opportuno annotare se esse siano adeguate o deficitarie.
- Assetto tonico-posturale in condizioni statiche e dinamiche. Nicolodi afferma che “il movimento è sempre in relazione da una parte con il tono e la postura, dall’altra con lo spazio e gli oggetti” (Nicolodi, 2015, p. 49): per mettere insieme questi aspetti viene utilizzato il concetto di “assetto tonico-posturale in condizioni statiche e dinamiche”. Il tono muscolare interviene in misura significativa nel processo di maturazione dell’assetto posturale; la postura, infatti, può essere intesa come la regolazione del tono a livello dei muscoli posturali. L’assetto tonico-posturale è molto soggettivo e può essere alto o basso. Si parla di assetto alto quando il tono muscolare è alto e di assetto basso quando il tono muscolare è basso. In entrambi i casi, la postura può assumere le connotazioni di spezzata o intera, equilibrata o disequilibrata (Berti et al., 1988). Inoltre, l’assetto può essere diverso in condizioni statiche e dinamiche. Ciò che è importante osservare è la sua funzionalità, rispetto all’interazione con l’ambiente e allo scopo delle azioni. Lo sviluppo posturo-cinetico è strettamente legato al tono muscolare assiale e costituisce la base dello sviluppo gestuale- prassico. Per questo è importante che la funzione tonico-posturale, che accompagna la crescita del bambino, sia funzionale alle sue azioni e ai suoi vissuti: solo attraverso questa condizione di buon adattamento, lo sviluppo avviene in modo realmente armonico (Massenz e Franzoi, 2015).
- Adeguamento tonico-posturale nel passaggio tra superfici diverse. Massenz e Franzoi (2015) spiegano che, una volta che il bambino acquisisce il controllo del tono relativo ai muscoli posturali, diviene in grado di variare la disposizione dei propri segmenti corporei e di adattarla ai propri atti motori e prassici. A conferma di questo assunto, Wille e Ambrosini (2010) sostengono che l’aggiustamento corporeo globale, che deriva da una precisa regolazione tonica, è alla base dell’organizzazione degli gli atti motori e prassici. L’adeguamento tonico- posturale può essere inteso come la capacità di cambiare posizione e muoversi da un luogo all’altro senza perdere l’equilibrio (Ayres, 2012). Una delle circostanze, all’interno del setting neuropsicomotorio, in cui è più facile discriminare e valutare qualitativamente le capacità di adeguamento tonico- posturale è il passaggio tra superfici di altezze e/o consistenze diverse, nel quale viene richiesto al bambino di anticipare percettivamente il movimento, di saperlo dunque programmare correttamente e di saperlo modulare e correggere sulla base delle informazioni sensoriali che derivano dallo stesso.
- Qualità dei movimenti controllati centralmente. Gli schemi di movimento programmati a livello di SNC sono il cammino carponi e il cammino in stazione eretta. Inizialmente questi schemi richiedono una pianificazione motoria, seppur ridotta, perché la loro conoscenza è innata. Una volta che il bambino apprende questo schema, lo esegue in automatico. Viene inserito questo indice perché, in casi di deficit neuropsicomotori, i movimenti controllati centralmente possono essere conservati o alterati. Per esempio, nella maggior parte dei bambini con disprassia dello sviluppo essi vengono acquisiti e messi in atto senza difficoltà, mentre nei bambini con paralisi cerebrale infantile (PCI) o altre gravi irregolarità nelle caratteristiche motorie del cervello è più frequente riscontrare un ritardo o un’alterazione di questi schemi di movimento (Ayres, 2012). Annotare le loro caratteristiche può essere utile per osservare la loro modificazione nel tempo.
- Pianificazione e realizzazione del movimento. La pianificazione e la realizzazione del movimento sono state discusse nel precedente paragrafo, nel quale è stato messo in luce come esse siano strettamente connesse alla percezione e rappresentazione mentale del corpo, alla percezione spaziale, alle funzioni attentive, motivazionali e cognitive, al buon funzionamento delle fibre afferenti ed efferenti, nonché delle giunzioni neuromuscolari e dei muscoli effettori. Osservare la pianificazione e la realizzazione del movimento in senso generale richiederebbe indici e strumenti valutativi specifici, data la vastità degli elementi che si possono andare ad indagare. Ciò che, in questa sede, preme osservare relativamente alla pianificazione e realizzazione del movimento sono le caratteristiche di determinate azioni in relazione allo spazio e agli oggetti, che possono essere più riconducibili all’organizzazione del Sé corporeo. Alcune di esse vengono richiamate proprio dal setting neuropsicomotorio: tuffarsi, saltare, arrampicarsi, salire e scendere dal piano inclinato, passare sotto e entrare dentro, spingere, impilare, lanciare e calciare. Relativamente ad esse, si vanno ad osservare, per esempio, l’utilizzo degli arti superiori, degli arti inferiori, del tronco e del capo e la relazione tra essi, il modo in cui il bambino organizza il proprio corpo nell’azione, la presenza di peculiarità proprie del bambino nell’approccio allo spazio e agli oggetti.
- Capacità di coordinazione (motoria, oculo-motoria, oculo-manuale, bimanuale). La capacità di coordinazione è la capacità di eseguire i movimenti del corpo in modo efficace. Essa si fonda sulla regolazione tonica e contrattile dei gruppi muscolari, sull’equilibrio e sull’integrazione delle informazioni sensoriali provenienti dall’ambiente (Gison et al., 2012). Di conseguenza, se i sistemi vestibolare, propriocettivo e tattile non lavorano bene, il bambino tende ad avere una scarsa coordinazione motoria, che si esplica con perdita dell’equilibrio e impaccio motorio (Ayres, 2012). Wille e Ambrosini (2010) propongono una suddivisione dei movimenti all’interno di categorie che chiamano proprio “coordinazioni cinetiche”, esprimendo implicitamente che ogni attività motoria richiede un certo grado di coordinazione. Secondo questa categorizzazione le attività motorie globali a corpo libero che non richiedono uno sforzo muscolare né un adattamento specifico allo spazio esterno costituiscono le “coordinazioni semplici”, quelle che richiedono un buon equilibrio dinamico e una certa forza muscolare le “coordinazioni complesse” (ad esempio il salto), le attività di spostamento che richiedono che il corpo si accomodi allo spazio esterno attraverso il costante controllo visivo caratterizzano le “coordinazioni oculo-motorie” (ad esempio passare sotto), i movimenti degli arti superiori integrati al continuo controllo visivo sullo spazio statico e dinamico le “coordinazioni oculo-manuali” e bimanuali. Al di là della distinzione terminologica, è importante, in fase di osservazione e valutazione, tenere conto dell’evoluzione nello sviluppo di tali competenze. Le coordinazioni semplici sono le prime a comparire, mentre quelle complesse si manifestano verso i tre anni di età e quelle oculomotorie si sviluppano tra i dodici mesi e i quattro anni. Le coordinazioni oculo-manuali compaiono verso i tre mesi, quando il bambino riesce ad integrare le sensazioni del corpo con ciò che vede e raggiunge la prensione dell’oggetto. Verso i quattro mesi il bambino inizia a coordinare i due lati del corpo portando entrambe le mani sulla linea mediana (Ayres, 2012). Per la valenza che assumono l’integrazione delle informazioni sensoriali ed esperienziali del corpo e le capacità di pianificazione del movimento da parte del bambino in questo ambito, la capacità di coordinazione è un indice osservativo molto importante per l’organizzazione del Sé corporeo.
- Organizzazione visuo-spaziale nella motricità globale e fine. L’organizzazione visuo-spaziale comprende le competenze spaziali e visive come la percezione della forma, l’inseguimento, la localizzazione di ciò che si trova nello spazio, sia “della cattura” che “dell’azione”. La capacità di organizzazione visuo-spaziale comprende, inoltre, la capacità di orientamento e direzione e dipende dall’organizzazione del Sé corporeo e dai rapporti che il corpo intesse con lo spazio. Essa si sviluppa proprio a partire dal corpo: il corpo è il principale sistema di riferimento spaziale e le sue proiezioni all’esterno determinano lo spazio personale, extrapersonale e lontano. Il presupposto alla base dell’organizzazione visuo-spaziale nella motricità è la capacità di assumere il proprio corpo come oggetto di riferimento, in primo luogo nella relazione con lo spazio anteriore. La stabilizzazione posturo-posizionale in attività che coinvolgono l’anteriorità spaziale corporea è indispensabile per la costruzione di relazioni spaziali ben più complesse. (Wille e Ambrosini, 2010). Lo sviluppo di tale competenza avviene a partire dai sei/otto mesi, quando il bambino inizia a muoversi autonomamente e a fare conoscenza dello spazio e della distanza tra sé e gli oggetti. Il cervello percepisce ed interiorizza la natura della distanza attraverso le informazioni ricavate dai movimenti del corpo (Ayres, 2012). A causa dell’impossibilità o limitazione a muoversi e quindi della mancanza di informazioni propriocettive e vestibolari legate al movimento, i bambini con PCI spesso sviluppano problematiche spaziali.
- Controllo fine del movimento. Il controllo fine del movimento, che si esplica in particolar modo nella motricità fine, è la capacità di pianificare il movimento in modo tale che i muscoli ricevano dal SNC un flusso regolare di ordini, che ne determini la contrazione regolare, funzionale e volontaria (Ayres, 2012). Se questo non avviene possono comparire movimenti parassiti, quali le sincinesie. Anche alla base del controllo fine del movimento risiede un buon assetto posturale. La presenza di movimenti parassiti può rivelare una difficoltà di organizzazione del Sé corporeo.
- Abilità motorie. Le abilità motorie sono competenze motorie apprese dal cervello, tali da non richiedere più una pianificazione motoria o attenzione cosciente per essere portate a compimento. Inizialmente esse vengono pianificate, ma poi imparate e integrate in tutte le altre operazioni del cervello così da emergere spontaneamente. Negli anni il bambino acquisisce numerose abilità motorie, sempre più complesse e raffinate ed esse sono indice di una buona organizzazione del Sé corporeo. Se il bambino, però, ha difficoltà nella pianificazione motoria, che costituisce il primo gradino per l’apprendimento di queste abilità, egli presenterà un repertorio di abilità motorie scarso e difficoltà nell’impararne di nuove e soprattutto nel generalizzarle a contesti poco familiari (Ayres, 2012).
- Integrazione tra i vari segmenti corporei. L’integrazione tra i vari segmenti corporei deriva dalla percezione e dall’organizzazione corporea e, nella pianificazione del movimento, è indispensabile per consentire al soggetto di utilizzare contemporaneamente e in maniera funzionale le varie parti del corpo. Per cui, per esempio, se il bambino non possiede una percezione corporea contenente informazioni chiare e precise sul rapporto tra il lato sinistro e quello destro del corpo, avrà problemi nel mettere in atto azioni che richiedano l’uso contemporaneo di entrambe le mani o entrambi i piedi (Ayres, 2012). Questo è ciò che accade in modo evidente nel caso del bambino con emiparesi spastica, in cui il condizionamento dato dai vincoli posturo-cinetici, dai problemi percettivi e sensoriali e dalla presenza di sequenze di movimento poco armoniche inficia la sua capacità di “stare nel mezzo” e quindi di integrare emisoma destro e sinistro (Giannoni e Zerbino, 2000). In generale, comunque qualsiasi asimmetria o differenza a livello neurofunzionale o anatomico inficia questo aspetto dell’organizzazione del Sé corporeo. Tuttavia, non è raro riscontrare difficoltà di integrazione tra segmenti corporei anche in bambini che non presentano evidenti disfunzioni neuromotorie e i segmenti più esclusi nella motricità spontanea possono essere uno o più di uno. Per esempio, il bambino può utilizzare più frequentemente le componenti assiali del corpo (tronco e capo) nell’interazione con gli oggetti grandi, oppure gli arti inferiori rispetto a quelli superiori. È bene, però, non confondere l’uso preferenziale di una mano e un piede rispetto all’altro, dopo i tre anni e soprattutto nei compiti che richiedono precisione, con la lateralità d’uso, che viene ora spiegata.
- Lateralità d’uso. La lateralità d’uso è l’utilizzo preferenziale di un lato corporeo rispetto all’altro, che si osserva a livello degli organi corporei dell’occhio, della mano e del piede. Questa specializzazione funzionale è l’esito di un processo che avviene nei primi anni dello sviluppo del bambino. Esso trova origine a livello neurologico, in quanto parti diverse del cervello sviluppano una maggiore rapidità nel processamento degli input sensoriali e nell’organizzazione delle diverse risposte adattive. Ma, prima che queste parti si possano specializzare, devono saper lavorare insieme e comunicare l’una con l’altra; infatti, la specializzazione è l’effetto finale dell’integrazione sensoriale nelle esperienze sensomotorie del bambino nei primi anni dello sviluppo. Se la specializzazione viene limitata o ostacolata, il bambino tenderà ad utilizzare indifferentemente una delle due mani e gli sarà difficile farle lavorare bene insieme (Ayres, 2012). Il raggiungimento della lateralità d’uso è indice di una buona organizzazione neurale e del Sé corporeo. Essa può essere omogenea (la preferenza è netta per occhio, mano e piede dello stello lato del corpo) o disomogenea. L’omogeneità è, però, la condizione ideale per lo sviluppo di un’efficace coordinazione motoria e per le capacità percettive e di apprendimento, perché numerosi compiti che la vita di tutti i giorni pone davanti richiedono un adattamento lateralizzato. Se il bambino cambia continuamente mano, piede o occhio, questo risulta essere invalidante per la coordinazione dei movimenti e per l’elaborazione cognitiva delle relazioni spaziali. In termini evolutivi, l’abbozzo di preferenza d’uso di una mano è osservabile a partire dai 15-18 mesi, mentre quella del piede verso i 18. Attorno ai due/tre anni normalmente il bambino dovrebbe mostrare una netta preferenza per l’utilizzo di una mano. La maggior parte della popolazione presenta una lateralità d’uso destra (Wille e Ambrosini, 2010).
- Senso del pericolo. “Negli anni il bambino diventa capace di rappresentarsi il corpo durante l’azione e creare rappresentazioni anticipatrici del corpo durante le azioni” (Wille e Ambrosini, 2010, p. 142) e questa forma di organizzazione del Sé corporeo è fondamentale per il senso del pericolo, che consente al bambino di mettersi in guardia da situazioni motorie in cui potrebbe farsi male. La sintesi percettiva di tutti i canali sensoriali porta il bambino ad una consapevolezza cosciente del pericolo: tale funzione è esplicata dalle immagini mentali che “svolgono il compito di simulare e anticipare in maniera flessibile e dinamica l’interazione tra corpo e ambiente, riproducendo le caratteristiche metriche e le forze dinamiche che agiscono nello spazio” (Sabbadini, 2005, p. 17).
- Uso del corpo nell’interazione sociale. Il corpo è il principale mezzo di comunicazione e di espressione: in ogni istante l’essere umano mette in atto azioni espressive anche attraverso gli schemi posturali, consapevoli ed inconsapevoli. “Le azioni espressive provengono dal nostro patrimonio mimico, che si plasma poi nelle relazioni precoci sfociando nella nostra espressività spontanea” (Wille e Ambrosini, 2010, p. 135). La loro acquisizione avviene attraverso veri e propri processi di apprendimento nelle dinamiche delle relazioni intra-famigliari nei primi anni di vita e delle influenze dei gruppi sociali in quelli a venire. Ne deriva che, nella vita quotidiana, ciascuna persona si appella ai propri schemi corporei espressivi che qualificano la sua vita di relazione. Il concetto stesso di “schema corporeo espressivo” fa pensare alla doverosa e imprescindibile presenza di una forma di organizzazione del Sé corporeo, strettamente connessa ai vissuti emotivi e relazionali, che plasma e modella i movimenti del corpo che compongono le azioni espressive. Dunque, la regolazione e il repertorio della mimica facciale e gestuale nella comunicazione e nell’espressione delle emozioni, la loro coerenza e le loro peculiarità sono tutti aspetti riconducibili all’organizzazione del Sé corporeo.
RAPPRESENTAZIONE DEL SÉ CORPOREO
Il concetto di rappresentazione del Sé corporeo è già emerso nei precedenti capitoli, relativamente alla percezione e organizzazione. A partire dall’integrazione multisensoriale degli stimoli percepiti il bambino crea le mappe neurali che costituiscono tale rappresentazione e che vengono consolidate, ampliate e modificate dall’azione. L’azione stessa prende forma sulla base dell’organizzazione del Sé corporeo che, a sua volta, dipende dalla rappresentazione che il bambino possiede del suo corpo.
Questo assunto trova conferma in uno studio di Borghi e Cimatti (2010), nel quale gli autori ripercorrono il processo di sviluppo del senso di Sé corporeo e affermano che esso emerge dall’interazione tra stimoli interni afferenti ed efferenti e matura in un senso di appartenenza del corpo, basato su rappresentazioni delle singole parti. Per mezzo dell’azione, poi, il bambino distingue il proprio corpo dagli oggetti esterni e costruisce la rappresentazione unitaria del corpo. Fino a questo punto si parla, comunque, di una rappresentazione del Sé corporeo non consapevole. Tuttavia, gli autori intendono sottolineare che il corpo può essere percepito come entità autonoma non solo quando mette in atto azioni volontarie sul mondo esterno, ma anche durante esperienze sensoriali passive. A tal proposito, dunque, essi propongono di integrare al processo di sviluppo del senso di Sé corporeo gli aspetti sociali, cioè i mezzi sociali che contribuiscono alla rappresentazione del Sé corporeo. I mezzi “esterni” a cui fanno riferimento sono il sistema dei neuroni specchio e il linguaggio. Il primo è responsabile del senso dell’azione prodotta dal corpo altrui e del senso del proprio corpo come possibilità dell’azione: studi di neuroimmagine e comportamentali mostrano che vedere il movimento delle parti del corpo dell’altro genera una risonanza motoria nel soggetto, senza che l’attivazione neurale che ne deriva diventi consapevole. L’esistenza del sistema dei neuroni specchio conduce all’idea che il nostro sistema motorio è di natura intrinsecamente sociale.
Il linguaggio, invece, ha un ruolo cruciale nello sviluppo del senso esplicito del proprio corpo come unitario. Secondo gli autori, ad un primo livello, il linguaggio interiore (non necessariamente articolato), può aiutare a sentire il corpo e a controllare il movimento: quando il bambino comincia ad utilizzare il linguaggio interno o egocentrico (parla con se stesso), se ne serve anche per dirigere le sue azioni. Ad un secondo livello, il linguaggio interiore aiuta a percepirsi come entità autonoma: con l’espressione verbale “Io”, il bambino manifesta la consapevolezza di essere Sé corporeo che persiste nello spazio e nel tempo e lo esplicita e rappresenta mediante il linguaggio. Dunque, l’ultima fase dello sviluppo del Sé corporeo sarebbe completamente sociale: il linguaggio interiore è l’ultima via di costruzione ed integrazione del Sé corporeo, perché quando il soggetto lo usa per parlare a se stesso si costituisce e riconosce come entità autonoma e, nel fare ciò, dimostra una progressiva consapevolezza del suo corpo e del suo Sé corporeo. Le parole, inoltre, “possono contribuire ad espandere il senso di Sé corporeo, perché costituiscono un ponte tra il corpo, il mondo esterno, noi stessi e l’ambiente” (Borghi e Cimatti, 2010, p. 772).
Data la complessità del processo di maturazione della rappresentazione del Sé corporeo, la numerosità dei processi in esso implicati e la dinamicità della stessa, è arduo trovare un’espressione che la definisca in modo univoco e risolutivo. In linea generale, si può affermare che essa non sia uno stato cognitivo o un pensiero esplicito, perché è dinamica e molto spesso inconsapevole e si costruisce momento per momento unificando informazioni afferenti ed efferenti. Per riprendere le nozioni espresse nel capitolo 1, la rappresentazione del Sé corporeo può essere ricondotta sia allo “schema corporeo”, inteso come costruzione lessicale e spaziale delle diverse parti del corpo (Wille e Ambrosini, 2010), sia come “immagine corporea”, che tiene conto dei vissuti legati al corpo. Aspetti percettivi, motori, cognitivi, emotivi, relazionali, sociali, linguistici si intrecciano per dare forma alla rappresentazione del Sé corporeo.
Se nei capitoli relativi alla percezione e all’organizzazione del Sé corporeo, la rappresentazione è stata rispettivamente considerata il punto di arrivo e il punto di partenza, in entrambi i casi essenzialmente implicito, inconscio ed inconsapevole, in questo capitolo ci si propone di andare a rintracciare quali elementi nel comportamento spontaneo e nelle abilità del bambino possano permettere di indagare come egli rappresenti il suo Sé corporeo. In questo senso, dunque, si terrà conto degli aspetti più statici di tale rappresentazione, quali la conoscenza lessicale e spaziale delle parti del corpo, e di quelli più dinamici, relativi alla modificazione delle mappe neurali percettivo- motorie e ai vissuti. Per riprendere le parole di Schilder, a tal proposito, la rappresentazione del Sé corporeo "non è statica ma cambia continuamente a seconda delle circostanze della vita: una volta che l’immagine corporea è stata creata secondo i nostri bisogni, esigenze e tendenze, essa non rimane invariata, ma fluisce continuamente in rapporto alla situazione emotiva dell’individuo” (Schilder, 1992, p. 281).
A partire dalla consapevolezza della natura e delle caratteristiche della rappresentazione del Sé corporeo appena descritti, si ritiene doveroso adottare, in fase di osservazione, una prospettiva olistica, che tenga conto dell’età del bambino, del suo sviluppo neuropsicomotorio, della sua storia e della sua unicità.
I PROCESSI DI SVILUPPO COINVOLTI NELLA RAPPRESENTAZIONE DEL SÉ CORPOREO
Allo scopo di delineare con maggiore chiarezza cosa si intenda con “rappresentazione del Sé corporeo” e di ricercarne gli indici osservativi nei fondamenti teorici, è utile considerare quali siano i processi di sviluppo primariamente coinvolti. Per conferire maggiore schematicità, si possono andare a considerare due macro-aree: quella cognitiva e quella emotivo-relazionale.
Nella sfera cognitiva rientrano tutte le funzioni corticali di ordine superiore imprescindibili per il conseguimento della rappresentazione del Sé corporeo. Nei precedenti paragrafi sono state citate l’attenzione, la percezione e la capacità di pianificazione del movimento. Le prime due, in particolare, risultano fondamentali nella costruzione della rappresentazione mentale del corpo, la quale presuppone che il bambino presti attenzione alle parti del corpo, alle loro posizioni e ai movimenti, sappia elaborare, localizzare e riconoscere gli stimoli provenienti dal corpo, sappia crearsi rappresentazioni astratte e costanze percettive (colore, luminosità, forma, grandezza e dimensione spaziale degli oggetti e del corpo stesso) a partire da esse. La percezione e l’attenzione sono le funzioni alla base dell’apprendimento, il quale nella prima infanzia avviene primariamente su base imitativa: l’imitazione è strettamente connessa alla rappresentazione del Sé corporeo.
Al definirsi di quest’ultima partecipano processi lessicali-semantici, visuo-spaziali e di riferimento corporeo derivanti dal movimento. Le abilità di rappresentazione e di memoria sono essenziali: la rappresentazione spaziale del corpo è la composizione del corpo che il bambino costruisce per via visuo-motoria, così “attraverso rappresentazioni (non verbali) grafiche o con oggetti, le parti del corpo si combinano, rispettando i rapporti spaziali che le legano” (Wille e Ambrosini, 2010, p. 145). Tale abilità consente al bambino, per esempio, di comporre puzzle della figura umana, di indicare le parti del corpo, di disegnare la figura umana e di riconoscere ed imitare posture e posizioni.
Il pensiero rappresentativo e la comparsa del linguaggio, che si riscontrano a partire dai 18 mesi circa, consentono al bambino di nominare le parti del corpo, di esprimere i riferimenti spaziali relativi al corpo (sopra/sotto, dentro/fuori, davanti/dietro, vicino/lontano, sinistra/destra), di comunicare sensazioni provenienti dal corpo (ad esempio il dolore localizzato in una sua parte), di consolidare la propria rappresentazione del Sé corporeo e, dopo i due anni, “la riflessione rappresentata su di sé gli consente di riconoscere progressivamente quasi tutte le parti del corpo” (Wille e Ambrosini, 2010, p. 143). Prima ancora, il bambino deve essere in grado di comprendere il linguaggio e anche la comprensione è resa possibile dallo sviluppo cognitivo. Non meno rilevante è la memoria, che fino ai due/tre anni di vita è essenzialmente muscolare e corporea, per poi diventare episodica e autobiografica. La memoria consente di tenere a mente le rappresentazioni del corpo, modificandole ed integrandole tra loro. La natura dinamica della rappresentazione mentale del corpo è essenziale perché, nel processo di sviluppo in età evolutiva, consente una costante ridefinizione delle caratteristiche del corpo, a fronte della crescita staturo-ponderale e dell’acquisizione delle tappe di sviluppo psicomotorio.
Qualsiasi rappresentazione elaborata, immagazzinata e modificata a livello mentale, è frutto del rapporto statico-dinamico triangolare tra Io, corpo e mondo esterno; dunque, come afferma Sabbadini, “non si riferisce semplicemente o soltanto alla struttura percettiva, ma anche a tutti quegli aspetti della realtà, non necessariamente percepiti, che il cervello ha costruito soggettivamente, per completare ciò che ha percepito e ciò che ha previsto come possibile” (Sabbadini, 2005, p. 17).
In sintesi, sono numerose le funzioni del sistema cognitivo che collaborano alla rappresentazione del Sé corporeo e ciascuna di esse è connessa in modo indissolubile alle altre. Alla luce di ciò, un deficit a livello cognitivo o neuropsicologico compromette in modo più o meno pesante la rappresentazione del Sé corporeo e questo si rivelerà in modo esplicito, per esempio, nel riconoscimento e nella denominazione delle parti del corpo, nel disegno della figura umana e nell’utilizzo del corpo e del linguaggio per l’espressione dei vissuti e delle emozioni.
Nella sfera emotivo-relazionale, invece, rientrano tutti gli aspetti relativi alla relazione precoce con le figure di riferimento primarie, all’influenza che l’immagine corporea altrui ha sul bambino, ai vissuti legati al corpo, all’espressività corporea e all’espressione dei vissuti relativi al corpo. Anche in questo caso sono molteplici gli aspetti da considerare, che devono essere sempre valutati calandoli sul bambino.
Nel capitolo 2 è stata discussa la valenza che la relazione, in particolare quella con la figura materna, riveste nel modo in cui il bambino percepisce, rappresenta e vive il proprio corpo. Riprendendo brevemente i concetti in termini di rappresentazione del Sé corporeo, è bene ricordare che quando il bambino osserva l’altro osserva i suoi movimenti; i movimenti sono connessi e sottostanno alle leggi relative all’immagine corporea, dunque il bambino percepisce l’immagine corporea dell’altro, che influenza inevitabilmente la sua (Schilder, 1992). La percezione del corpo e delle espressioni emotive altrui, inoltre, è la percezione di un corpo che esprime qualcosa o fa qualcosa, ma “un corpo è sempre il corpo di una personalità e la personalità ha emozioni, sentimenti, tendenze, movimenti e pensieri” (Schilder, 1992, p. 256). Ne deriva che i vissuti che legano la persona al proprio senso di Sé corporeo vengono inevitabilmente riflessi sul bambino e condizioneranno, a loro volta, i vissuti del bambino rispetto al suo senso di Sé corporeo.
Questi vissuti, inoltre, prendono forma e si modellano sulla base delle esperienze del corpo che il bambino vive, le quali sono di ordine essenzialmente sensomotorio, oltre che relazionale. La qualità della percezione del Sé corporeo nel movimento e nel gioco influisce sulla rappresentazione ed è alla base dell’individualità, perchè se le sensazioni provenienti dal corpo del bambino lo fanno sentire un individuo sicuro e capace, allora egli sarà facilitato nello sviluppo di una soddisfacente consapevolezza di sé, autostima e nella costruzione di relazioni positive (Ayres, 2012). Una condizione patologica che impedisce al bambino di fare esperienza del proprio corpo come entità fisica coesa, funzionale, responsiva condiziona negativamente la rappresentazione del Sé corporeo, talvolta comportando un attaccamento fragile all’identità fisica. Il bambino si sente schiavo del suo corpo, ha bisogno di rassicurazione e sarà labile dal punto di vista emozionale, spesso frustrato, insicuro e confuso. Il quadro delineato è tipicamente osservabile nelle condizioni cliniche della disprassia dello sviluppo e della paralisi cerebrale infantile. La variabilità nelle sequele a livello di rappresentazione del Sé corporeo è dettata dall’intreccio tra aspetti corporei, temperamentali, ambientali e psicologici.
I vissuti legati al corpo progressivamente si inscrivono nella storia del bambino e fanno da sfondo a tutte le sue esperienze corporee, perché determinano la rappresentazione del suo Sé corporeo. Essi non costituiscono, tuttavia, una costante, ma possono variare nel tempo e soprattutto possono rivelarsi in maniera più o meno manifesta. Ancora una volta, la loro espressione passa attraverso il corpo: la via corporea è la prima via di espressione della vita affettiva e lo sarà sempre, anche se poi verrà accompagnata e in parte sostituita dalla via simbolica, che si avvale del linguaggio, della scrittura, del disegno, della manipolazione del materiale plastico (Nicolodi, 2015). Quando il bambino acquisisce le abilità rappresentative e il linguaggio, è possibile indagare ulteriormente i vissuti relativi al corpo avvalendosi di questi mezzi, che nel contempo consentono di valutare anche altri aspetti della rappresentazione del Sé corporeo, quali la rappresentazione spaziale delle varie parti e la loro conoscenza semantica.
La stessa espressione delle emozioni rimanda alla rappresentazione del Sé corporeo. La mimica facciale e gestuale risulta dalla combinazione della contrazione dei muscoli facciali e di tutto il corpo, la quale a sua volta deriva dalla capacità del bambino di mettere in scena le sue emozioni. Anche in questo caso, la rappresentazione del corpo nelle sue parti, la consapevolezza di come sono disposte e come devono muoversi e la conoscenza del repertorio dell’espressività corporea intenzionale e non, sempre più ampio man mano che si procede con la crescita, divengono essenziali (Wille e Ambrosini, 2010). In linea evolutiva, è possibile osservare l’emergere di tali competenze all’età di due mesi: nella fase che Stern (1985) chiama “fase del Sé nucleare” e che colloca tra i due e i sette mesi di vita, il bambino utilizza in modo crescente le espressioni del volto e le funzioni vocali. A questi si aggiunge, a partire dalla “fase del Sé soggettivo”, quindi dai nove mesi di vita, l’uso degli schemi manuali. Le capacità espressive del bambino divengono sempre più raffinate ed intenzionali: a partire dai due anni l’espressività spontanea ed intenzionale degli stati interiori si manifesta con svariate sfumature corporee e viene ampliata dall’utilizzo del linguaggio.
Il mezzo attraverso il quale il bambino impara le espressioni del volto e i movimenti espressivi è l’imitazione: l’imitazione, che chiama in causa il sistema dei neuroni specchio ma anche l’intenzionalità del soggetto, presuppone che il bambino rivolga l’attenzione al comportamento manifesto dell’altro e induce l’apprendimento (Stern, 1985). Anche nel caso dell’imitazione, Schilder (1992) evidenzia che quando si imita un’azione o un’espressione di un’altra persona in realtà si imita proprio l’altra persona, perché le sue azioni ed espressioni non sono altro che il frutto della personalità che agisce. E di nuovo viene ribadito che la personalità dell’altro plasma quella del bambino e l’imitazione, che passa attraverso il corpo, è un mezzo essenziale in tale processo.
Il linguaggio verbale, infine, assieme a quello corporeo, è il mezzo attraverso il quale l’adulto fornisce al bambino, in modo più o meno consapevole, dei rimandi che possono modificare in maniera positiva o negativa la rappresentazione del Sé corporeo: si pensi, per esempio, alla verbalizzazione delle emozioni o dei vissuti (per esempio la fatica, la soddisfazione, la gioia), al rinforzo, all’incoraggiamento, alla condivisione della riuscita in un’attività, oppure al rimprovero, alla mancanza di fiducia, alla colpevolizzazione di un fallimento e così via.
INDICI OSSERVATIVI DELLA RAPPRESENTAZIONE DEL SÉ CORPOREO
Alla luce di quanto emerso nei precedenti paragrafi è possibile andare ad elencare e descrivere alcuni elementi osservabili nel contesto della terapia neuro e psicomotoria, che possano essere utili a rivelare come il bambino rappresenti il proprio Sé corporeo.
- Indicazione e denominazione delle parti del corpo. I presupposti di base a tale competenza sono la comprensione delle parole che nominano le parti del volto e del corpo, la capacità motoria di indicare, quella verbale e linguistica di pronunciare i termini ad essi relativi e la capacità di individuare le parti sul proprio corpo, su quello dell’altro e/o su un modello. La capacità di discriminare parti del corpo nominalmente definite appare verso i 12-13 mesi di vita ed è inizialmente relegata alle parti del viso, alle mani e ai piedi. Con la comparsa del pensiero rappresentativo e del linguaggio, il bambino diventa capace anche di nominare queste parti e amplia il suo vocabolario con i termini relativi alle altre zone corporee su cui la motricità convoglia maggiormente la sua attenzione. A 5/6 anni il bambino ha mappato tutte le zone corporee, fatta eccezione di alcune più complesse come il secondo, terzo e quarto dito della mano, ed è in grado di indicarle e denominarle. Il processo di mappatura si conclude verso i sei/sette anni, quando il bambino diviene abile nell’operare la distinzione tra destra e sinistra rispetto al proprio corpo, ai due emispazi e al corpo dell’altro (Russo, 2002). La descrizione della struttura del corpo dimostra la presenza di una mappa topologica delle localizzazioni, derivata primariamente dall’elaborazione degli input visivi che definiscono i confini corporei e le relazioni tra le parti del corpo. A livello neurale, la sede di questo processo di rappresentazione è la corteccia parietale sinistra (Defsari et al., 2019).
- Conoscenza dei riferimenti spaziali rispetto al corpo. La spazialità è legata sia al movimento che alle rappresentazioni. Nei primi due anni di vita il bambino percepisce lo spazio nelle tre dimensioni: destra/sinistra, alto/basso, vicino/lontano. Con il conseguimento delle rappresentazioni mentali e del linguaggio, verso i due anni, si assiste al passaggio dallo spazio percepito allo spazio rappresentato e quindi all’utilizzo anche verbale dei concetti spaziali, prima rispetto al proprio corpo e poi rispetto allo spazio extra-personale (Wille e Ambrosini, 2010).
- Ricomposizione della figura umana con materiale di vario genere. Il prerequisito alla base di questa capacità è che il bambino si sia creato, a livello di rappresentazione del Sé corporeo, la rappresentazione spaziale delle varie parti del corpo. Per valutare questa voce, si possono utilizzare puzzle di legno che raffigurano omini oppure, dopo i quattro anni, materiali o oggetti che figurativamente richiamano le parti del corpo. Anche il modellamento del pongo può essere utile a tale proposito.
- Imitazione di posture, posizioni e gesti. L’imitazione di posture, posizioni del corpo e gesti implica che il bambino rappresenti mentalmente, attraverso il pensiero, l’immagine che il corpo deve assumere; nell’immagine stessa sono comprese le varie parti del corpo, dunque il modo in cui il bambino imita disponendo le varie parti del suo corpo è strettamente legato al modo in cui le rappresenta mentalmente. È bene, comunque, tenere presente che, in questo caso, entrano fortemente in gioco anche le capacità di organizzazione del Sé corporeo e di pianificazione del movimento, motivo per cui questa voce va valutata anche sulla base delle capacità motorio-prassiche del bambino. Le capacità imitative contraddistinguono l’essere umano: gli umani possiedono una spiccata abilità nel rappresentare le configurazioni corporee e le traiettorie del movimento. Nello specifico, la rappresentazione della configurazione corporea è il risultato della connessione di sequenze di configurazioni posturali statiche, mentre la rappresentazione della traiettoria deriva dalla descrizione immediata delle informazioni spazio-temporali del movimento (Wong et al., 2019). Da queste capacità rappresentative scaturisce la capacità di imitare posture, posizioni e gesti. Affinché il bambino conosca ed impari a regolare la propria gestualità è necessario, in aggiunta, che egli abbia l’opportunità di utilizzare il fisico e di edificare una stabile e variegata immagine interiore del corpo (Bettini, 2017). Con “posture” si intendono le configurazioni corporee supina, prona, seduta, quadrupedica, eretta. Secondo gli autori Wille e Ambrosini (2010) tutte le posture vengono investite nelle attività ludiche e adattive fino ai nove anni di vita e la loro assunzione, il loro mantenimento e la loro consapevolezza sono elementi importanti nella rappresentazione del Sé corporeo; gli ultimi due in particolare possono essere obiettivi terapeutici utili ad aiutare il bambino ad avere maggiore consapevolezza del suo corpo a livello percettivo e rappresentativo. A partire dai tre anni si può ambire alla consapevolezza della postura e quindi all’imitazione consapevole della stessa. Le “posizioni”, invece, sono il modo in cui i diversi segmenti corporei si rapportano tra loro. Solo dopo i due anni il bambino comincia a prestare attenzione alle posizioni delle parti del suo corpo e tra i tre e i sette anni diventa capace di riflettere sulle posizioni dei segmenti corporei principali (arti, tronco e capo). Il riconoscimento delle posture e delle posizioni corporee richiede anche il riconoscimento nominale o iconografico delle stesse, per cui tale compito può essere richiesto a partire dai 3 o 4 anni di età (Wille e Ambrosini, 2010). Per quanto riguarda i gesti, prima dei due anni il bambino è abile nell’imitare espressioni facciali e gesti codificati, dopo i due anni anche nell’imitare gesti non codificati.
- Disegno della figura umana.Il disegno della figura umana è stato oggetto di numerosi studi nel corso degli anni. Schilder (1992), sostiene che il modo in cui il bambino disegna la figura umana riflette la sua esperienza sensoriale e la sua conoscenza dell’immagine corporea, o quantomeno esprime l’immagine mentale generica del corpo umano che egli si è creato. Ajuriaguerra, però, sottolinea che, se è pur vero che il disegno della figura umana può essere un buon indice di osservazione della rappresentazione del Sé corporeo, esso va considerato in modo relativo, perché non è totalmente permeabile e chiaro, anche se sicuramente riflette in una certa misura l’immagine mentale che il bambino ha del suo corpo (Berti et al., 2001). Ne deriva, che l’attribuzione di significato ai simboli della produzione grafica del bambino non può prescindere dall’integrazione dei dati relativi alle osservazioni cliniche globali, alle note anamnestiche e alle caratteristiche espressive del bambino (Gison et al., 2012) La figura umana è il primo oggetto della rappresentazione grafica del bambino: il bambino produce rappresentazioni del corpo “sia per esteriorizzare immagini interne, in una sorta di confronto tra idea e costruzione pratica, ma anche per arricchire, con l’uso degli oggetti, l’idea di sé” (Wille e Ambrosini, 2010, p. 145). Il numero di tratti impiegati per realizzare la figura umana è strettamente connesso all’età anagrafica del bambino (nello sviluppo normotipico) e subordinato a fattori evolutivi, relativi al processo di sviluppo del Sé corporeo, quindi alla relativa percezione e rappresentazione, al processo di sviluppo cognitivo, motorio ed emotivo. Nel disegno entrano in gioco la funzione motoria (per la prensione, l’equilibrio, il tono, la coordinazione oculo-manuale, la postura, il controllo motorio-prassico), la componente relativa al Sé corporeo (lateralità d’uso, rappresentazione spaziale del corpo) e la componente cognitiva e simbolico- rappresentativa (intenzionalità, pianificazione, traduzione in simbolo della rappresentazione mentale). Per questo motivo, l’espressività grafica procede per stadi, da un livello semplice disorganizzato ad uno più complesso e strutturato, in cui l’intenzione rappresentativa è evidente. La prima rappresentazione della figura umana è riscontrabile a partire dai tre/tre anni e mezzo di età circa ed è l’omino cefalopode: il disegno in cui dalla circonferenza del volto dipartono i quattro arti. Nell’evoluzione del disegno della figura umana, sempre più elementi vengono aggiunti e, nello specifico, vengono aggiunti quegli elementi del corpo verso i quali il bambino dirige maggiormente l’attenzione. A quattro anni e mezzo circa, nel disegno vengono tracciati la testa, il tronco, le gambe e le braccia; a sei anni vengono inseriti ulteriori dettagli e il bambino comincia a prestare attenzione alle proporzioni; fino ai sette anni il corpo rappresentato ha la caratteristica della staticità (Wille e Ambrosini, 2010). Al fine di indagare la rappresentazione del Sé corporeo, l’intento è quello di osservare non solo l’aspetto esecutivo (cioè quante parti del corpo vengono rappresentate, i loro rapporti e le proporzioni), ma anche gli aspetti affettivi ed emotivi. Questi ultimi possono rivelarsi sia nelle qualità della rappresentazione (colore, tratto, pressione), sia negli aspetti simbolici dei contenuti della stessa. Più specificatamente, la forza, l’intensità e la pressione del tratto sono indicativi dell’energia del soggetto; le dimensioni sono proporzionali all’importanza che la persona o la parte rappresentate rivestono per il bambino; il colore denota le tonalità affettive. A livello simbolico, invece, è possibile attribuire un significato a ciascuna parte del corpo: la testa rappresenta l’Io riflessivo, la sede del pensiero, della ragione, la vita intellettiva e sociale; il tronco racchiude invece le esperienze quotidiane nel rapporto con gli altri e si collega alla parte emotiva; il bacino e i piedi, infine, corrispondono alla parte emotiva, pulsionale ed istintiva. In sintesi, dunque, ci si propone di osservare cosa il bambino disegna, come, con quali qualità grafiche e di ragionare ipotesi in merito ai significati simbolici della sua rappresentazione: mettendo insieme i dati raccolti e i dati relativi al bambino e alla sua storia, si può giungere ad interessanti conclusioni in merito alla rappresentazione del Sé corporeo.
- Consapevolezza e verbalizzazione dei vissuti legati al corpo. Come è stato più volte ribadito, fino all’età di sette anni circa, il bambino vive nella globalità del suo essere ed esprime le emozioni in modo netto ed immediato attraverso il linguaggio tonico- posturale e cinetico. L’impronta corporea che contraddistingue l’espressività spontanea del bambino diventa negli anni sempre più ricca, ma anche sempre più diversificata e meno globale. Dopo i cinque anni, si osserva la capacità del bambino di investire le parti corporee in modi diversi e soprattutto emerge in lui la capacità di raccontare attraverso il linguaggio verbale le proprie emozioni e le conseguenti manifestazioni corporee. Tra i sei e gli otto anni si assiste ad un importante cambiamento nelle espressioni emotive, che divengono sempre più mediate dal linguaggio verbale e distanziate dal corpo e attraverso il corpo (Wille e Ambrosini, 2010). Si ritiene, dunque, che possa essere interessante indagare i vissuti legati al corpo e, di conseguenza, gli aspetti salienti della rappresentazione del Sé corporeo del bambino, osservando e approfondendo attraverso il linguaggio verbale la consapevolezza e il pensiero che il bambino ha degli stessi. Indipendentemente da ciò, si ritiene possa essere utile proporre al bambino di età pari o superiore ai cinque anni e, in ogni caso, calibrando la richiesta al suo livello di sviluppo intellettivo ed emotivo, di riflettere sui propri vissuti legati al corpo. In questo modo si ambisce all’acquisizione di maggiori competenze in termini di consapevolezza e verbalizzazione dei vissuti, che potranno consentire, in futuro, di indagare in maniera più approfondita questi aspetti. A tale scopo, in primo luogo è bene restituire al bambino, verbalizzandoli, i suoi vissuti, quando chiari e decodificabili: questa è una prerogativa che non dipende dall’età e il Terapista della Neuro e psicomotricità è tenuto a mettere in atto tale proposito ogniqualvolta lo ritenga opportuno. In aggiunta, però, può aiutare il bambino a diventare in prima persona consapevole dei propri vissuti legati al corpo, ma anche delle emozioni che in ogni momento generano percezioni nel corpo e pensieri nella mente, ad esprimerli dando loro un nome, attraverso riflessioni emotivo-corporee. Tali strategie possono essere strumenti molto significativi nella modificazione della rappresentazione del Sé corporeo. Il bambino che impara ad ascoltare il proprio corpo e a comprenderlo, è un bambino che può imparare ad accogliere maggiormente il suo corpo e ciò che gli comunica, ad ascoltarlo, a rispettarlo e ad accettarlo. La rappresentazione del Sé corporeo si modifica di conseguenza, assumendo connotazioni più positive nella mente del bambino. Un altro metodo utile, a tal proposito, può essere quello di allenare l’uso intenzionale del corpo nell’espressione delle emozioni, in quanto può facilitare il bambino nel porsi a distanza dalle proprie emozioni ed imparare a riconoscerle e gestirle, partendo proprio dal corpo (Wille e Ambrosini, 2010).
- 1 I riflessi arcaici o riflessi primitivi sono quei riflessi che appaiono prima o durante la nascita e si integrano in schemi di movimento più complessi a partire dai 4 mesi circa. I loro centri di controllo sono localizzati a livello di midollo spinale e midollo allungato (Cohen, 2020).
- 2 Le reazioni di raddrizzamento e di equilibrio rientrano nelle cosiddette “reazioni di balance”, con le quali si intendono tutte le risposte che consentono all’uomo di muoversi all’interno della gravità. Le prime avvengono ogniqualvolta il baricentro oscilla poco all’interno della base d’appoggio; le seconde quando il baricentro si sposta molto all’interno della base d’appoggio (Giannoni e Zerbino, 2000).
- 3 Gli enterocettori sono recettori situati negli organi interni, nelle ghiandole, nei vasi sanguigni e nei nervi, in grado di informarci sulla loro posizione e di comunicarci il loro stato di riposo o di attività.