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La Storia della Pratica Psicomotoria: fonte di esperienza per giungere alla concezione di una Terapia d’aiuto in gruppo

La Storia della Pratica Psicomotoria: fonte di esperienza per giungere alla concezione di una Terapia d’aiuto in gruppo

 

La Storia della Pratica Psicomotoria: fonte di esperienza per giungere alla concezione di una Terapia d’aiuto in gruppo

"Meravigliosa esperienza della terapia di gruppo"

Prima di stilare questa seconda parte della tesi, ho cominciato a riflettere sui motivi che hanno spinto autori, specialisti, pedagogisti della psicomotricità ad interessarsi delle dinamiche di gruppo. Risalendo alle origini di questa pratica ho notato che esiste un filo conduttore che parte dalla notte dei templi per sfociare ai giorni nostri.

Quindi mi sembra giusto che prima di esplicare la mia esperienza personale sul gruppo, si ponga un accento sulla storia della pratica psicomotoria, come contenitore d’esperienze positive e negative che sono state le basi per strutturare una terapia di gruppo per bambini. Non è facile individuare le origini della psicomotricità poiché è una disciplina che ha progressivamente costruito e definito il suo campo d’azione, dilatando e contraendo i suoi confini sotto l’influsso di pratiche terapeutiche, fenomeni culturali e approcci teorici diversi. Però sin dalle sue origini la pratica della psicomotricità con bambini si è svolta sia in ambito educativo-pedagogico che terapeutico-riabilitativo. Nel contesto pedagogico la psicomotricità ha fatto la sua prima apparizione nell’Italia settentrionale, verso la fine degli anni 60 presso alcune Scuole Speciali dei Comuni e Province, strutture che accoglievano bambini con ritardo mentale. La pedagogia specialista di quei tempi, non ancora slegata dal modello di scuola tradizionale, non era certamente consona alle possibilità e ai bisogni di bambini con gravi difficoltà d’apprendimento derivate dal ritardo intellettivo. Seduti a malapena ad un banco si richiedeva loro di punteruolare ripetutamente la sagoma di una I o di un’O tracciate sopra un cartoncino foderato di feltro; in buona fede si pensava che quest’esercizio “motorio” potesse aiutarli a “rappresentare” meglio le lettere dell’alfabeto, e introdurre così al futuro apprendimento della lettura, della scrittura e del calcolo. I sistemi didattici di cui la “punteruolomania” è solo un esempio, lasciava perplesso chi aveva uno sguardo diverso, non solo sul bambino ritardato, ma sul bambino tout court; non un adulto in miniatura, ma una persona i cui bisogni, interessi e capacità si trasformano nel corso del suo sviluppo. I problemi dei bambini con ritardo mentale di allora non si riducevano certamente a difficoltà di comprensione e d’apprendimento, ma limitavano anche l’autonomia nella vita pratica: lavarsi, andare in bagno, nutrirsi, spostarsi, ecc.

Non ultimo anche il problema delle relazioni sociali: negli anni’60 chi presentava handicap psichico era ancora tenuto nascosto dai genitori, per vergogna, senso di colpa, per paura di uno sguardo sociale certamente meno benevolo e quanto meno informato di quello odierno. In questo contesto socio-culturale ed educativo, l’idea psicomotoria fu accolta con molto interesse da parte di taluni pedagogisti particolarmente sensibili: la psicomotricità era un modo nuovo di osservare e interagire con il bambino. All’inizio degli anni’ 70 si avvertiva già la “minaccia” della chiusura delle Scuole Speciali per subnormali, che accadde nel 1977 con la legge n°517 che aboliva le classi differenziali per alunni disadattati, mentre stabiliva il diritto all’integrazione del disabile in una classe composta d’alunni normodotati con la presenza di un insegnante di appoggio. Tale legge fu motivata dai numerosi indubbi difetti di queste strutture: oltre ai loro superati sistemi didattici, le Scuole Speciali erano anche luoghi di emarginazione, “parcheggio” quasi, non solo per i bambini ritardati, ma anche per chi, normodotato intellettualmente, era solo svantaggiato culturalmente e socialmente ed erroneamente bollato come “subnormale”. La pratica psicomotoria era una delle risposte alternative alla “didattica speciale”.

Fino alla chiusura delle Scuole Speciali e oltre, la pratica psicomotoria ha contribuito ad arricchire le capacità di osservare e di intervento degli insegnanti. Nella scuola d’obbligo, vi ha trovato una sua collocazione originale. Proprio nell’ambito scolastico che la Pratica psicomotoria si è articolata, partendo da quelle che sono state le esperienze pedagogiche con bambini e adulti, che Aucouturier e Lapierre elaborano ed evolvono le loro teorie: avviene il passaggio dalla Rieducazione Specifica all’Educazione. Partendo dalla concezione psicomotoria delle “carenze”, concezione sviluppata dal Le Boulch e dal Vayer sì e giunti a considerare il bambino nella sua globalità, in ciò che c’è di positivo in lui, basandosi su ciò che sa fare e non su ciò che non sa fare. Partendo dalla constatazione di un certo numero di “deficit”, individuati ed indicati dai tests, Le Boulch e Vayer colmavano questi deficit con degli esercizi in rapporto al parametro considerato: coordinazione dinamica, coordinazione statica o oculomanuale, controllo posturale,controllo segmentarlo, organizzazione spazio-temporale ecc. In passato questi esercizi psicomotori apparivano come un apprendimento necessario e s’inseriva in una programmazione di cui il pedagogismo s’appropriava. Fu praticato a lungo questa forma di rieducazione finché gli specialisti non si resero conto che esistevano delle resistenze da parte dei bambini che bandivano il loro “sintomo” come una sfida. A voler eliminare il sintomo attraverso cui il bambino si esprime, non faceva altro che aumentare le tensioni interne. Si arrivava in tal modo ad rafforzo delle resistenze.

Aucouturier e Lapierre partendo da queste costatazioni e queste riflessioni hanno indotto a rifiutare ogni rieducazione detta “Strutturale”, che s’indirizzava specificamente al sintomo. Secondo la loro idea si doveva partire da ciò che il bambino sa fare e in questo modo la relazione pedagogica poteva estendersi, la situazione sdrammatizzarsi e il bambino poteva ritrovare fiducia e sicurezza. Centrare l’attenzione del bambino su un sintomo significa fissare e strutturare il sintomo; dimenticarlo è forse fare in modo che scompaia in quanto non presenta più alcun’utilità. A questo punto, di fatto, non esiste più rieducazione. Tutto diventa educazione… ossia sviluppo delle potenzialità proprie di ciascun bambino. Questo abbandono delle rieducazioni localizzate, specifiche, strumentali, a vantaggio di un approccio educativo ha allargato considerevolmente il campo d’intervento. Si poteva affrontare, con un gruppo di bambini, qualsiasi tema, seguendoli nella loro evoluzione e nella loro creatività. Da questo momento che la vita di gruppo è stata considerata una dimensione essenziale. Il bambino non vive da solo le sue difficoltà; egli le vive nel “gruppo classe” ed egli riceve l’immagine di sé non solo dal maestro, ma anche dai suoi compagni.

L’evoluzione del bambino dipende dal suo inserimento nel gruppo, dall’accettazione o dal rifiuto, dalle possibilità di comunicazione che egli può stabilire, ma anche dalla struttura, più o meno patogenea o equilibrante, del gruppo in cui vive e delle individualità che lo compongono. L’evoluzione nei gruppi non è lineare, essa comporta delle regressioni e delle progressioni, dei contrasti. Proprio da questi contrasti relazionali, successivamente vissuti in opposizione, nascono al tempo stesso la coscienza individuale e la coscienza collettiva.

L’importanza data alla dinamica stessa del gruppo come fattore evolutivo, ha condotto specialisti della psicomotricità ad orientare una gran parte del loro lavoro verso la ricerca della comunicazione, dell’accettazione dell’altro, dell’accordo, della relazione d’aiuto, della strutturazione di un gruppo cooperativo ed autogestito. Da ciò si può dedurre che la Terapia Psicomotoria di gruppo non è nata così per caso, ma ha avuto una lunga gestazione, fermentazione per giungere ad essere così come oggi è praticata.

 

Il gruppo terapeutico in Pratica Psicomotoria.

La storia produce delle idee, delle riflessioni che portano alla formulazione di teorie. Si deduce che la Terapia Psicomotoria di gruppo è una terapia che si è costruita sulla base d’esperienze pratiche ma anche dall’elaborazione d’alcune scuole di pensiero che hanno contribuito a chiarire e confermare la posizione attuale della pratica d’aiuto.

La terapia psicomotoria, in generale, ha lo scopo di far nascere la possibilità di cambiamento, rimettere cioè in moto l’evoluzione del bambino bloccata o regredita per vari disturbi. All’interno di questa terapia, l’approccio individuale è quello che più spesso viene usato ed è l’unico possibile con molti bambini. Infatti, il bambino psicotico, nevrotico grave o gravemente disagiato, ha bisogno d’una relazione duale esclusiva, bisognod’avere l’adulto, il corpo dell’adulto per lui solo, di trovare, accanto al terapeuta, una disponibilità totale, senza interferenza. In tutti gli altri casi, invece, il setting di gruppo è più idoneo, con tutta la ricchezza di situazioni che esso genera e che il terapista può sfruttare: nuovi sviluppi della creatività mediante imitazione differita, aggressività, per il possesso degli oggetti… e dell’adulto, rifugio nel gruppo o rifiuto dal gruppo, scelta o rifiuto del o dei partners, iniziativa della relazione o attesa dell’invito, aggressività di distruzione contro le strutture create dagli altri o cooperazione, accettazione o rifiuto del leader, possibilità d’attività autonome, di ritiri dal gruppo.

Quando si fa riferimento alla teoria e alla pratica dei gruppi gli stessi autori o specialisti che se ne occupano, assumendo questo modello, ammettono la scarsa attenzione al suo impiego con bambini e adolescenti, pur dichiarando che la terapia di gruppo è il trattamento elettivo con gli adolescenti e che, con le opportune modifiche, proprio perché l’interazione sociale è un aspetto chiave del processo di sviluppo infantile, essa produce risultati eccellenti anche con i bambini. Tra i bambini, infatti, è universale la necessità di piacere, di trovare conferma alle proprie idee, di sviluppare abilità sociali e di diventare membri rispettati di un gruppo. Dando per scontato il valore e l’utilità dell’intervento in gruppo, l’elemento che lo rende terapeutico è la domanda “d’aiuto”. Una domanda e non un bisogno: possiamo anche rilevare un bisogno, ma in assenza di una domanda “d’aiuto” (domanda formulata dai genitori per il bambino) non è possibili installare una terapia. Con il termine relazione “d’aiuto” si intende una relazione in cui almeno uno dei protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità e il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato nell’altro. L’altro, in questo senso, può essere un individuo o un gruppo. Quindi quando parliamo di relazione “d’aiuto” possiamo riferirci anche all’interazione tra il leader di un gruppo e il suo gruppo. Le ragioni che hanno spinto gli psicomotricisti ad utilizzare il gruppo com’esperienza terapeutica sono:

  • Ragioni evolutive: il gruppo è il principale “ luogo” d’azione, confronto, crescita.
  • Ragioni esterne o di quadro:
    • economiche
    • sociali e organizzative.
  • Ragioni cliniche o interne:
    • attenuazione nel gruppo di una parte dei fenomeni di dipendenza dal terapeuta
    • una scarica emotiva (tonico-emozionale) più intensa a causa dei fenomeni di risonanza affettiva tra i partecipanti
    • benefici narcisistici derivanti dalla scoperta che anche altre persone hanno disturbi simili.

 

Criteri diagnostici per strutturazione di un gruppo in Pratica Psicomotoria

Il gruppo è un importante risorsa terapeutica offerta a bambini segnalati per difficoltà nell’apprendimento sociale perché, in questo contesto, viene favorita la possibilità d’agire verificando le risposte relazionali al proprio agito e viene facilitata l’accettazione delle proprie difficoltà. La terapia di gruppo permette, infatti, al bambino, attraverso scambi corporei ed emozionali, relazioni più ricche e rende possibile l’espressione davanti agli altri in un ambiente “ non pericoloso”.

Per fortuna sembra sempre di più abbandonata la diatriba su cosa sia più efficace tra il trattamento individuale e quello di gruppo, soprattutto in ambito terapeutico, ma diventa sempre più importante individuare dei criteri diagnostici per la scelta dell’uno o dell’altro approccio. E’ proprio alla luce di queste premesse che la sezione Triveneto Anupi ha promosso, nell’ambito del primo aggiornamento regionale per gli psicomotricisti associati, una giornata di studio sul tema: “il gruppo: tra educazione e terapia psicomotoria”. L’aggiornamentoha focalizzato vari punti e in particolare le modalità e i criteri per formare un gruppo. Più che a quadri clinici veri e propri si è pensato d’inserire nei gruppi, bambini isolati con difficoltà nel rapporto con i coetanei, con scarsa fiducia in sé e insuccessi scolastici ripetuti. Bambini con problemi d’attenzione e scarsa motivazione ad apprendere, molto inibiti e scarsamente separati dalla figura parentale di riferimento. Nel gruppo è possibile costruire storie, scenari, giocarsi dei ruoli, cambiarli, ascoltare altri punti di vista, ed è necessario allora capire se un bambino ha bisogno di questi spazi terapeutici per aprirsi o per cercare un contenimento.

Gli elementi fondamentali della terapia di gruppo sono:

  • Dimensione del gruppo
  • Composizione del gruppo eterogeneo
  • Obiettivi
  • La struttura della seduta e le metodologie

VEDI INDICE DI QUESTO ARGOMENTO

 

Dimensione del gruppo

Criteri diagnostici per strutturazione di un gruppo in Pratica Psicomotoria.

Plurime sono le forme o strutture dei gruppi. In generale possiamo affermare che occorrono almeno tre individui per comporre un gruppo e, quindi, attivare i conseguenti fenomeni di coalizione, rifiuto, maggioranza, minoranza; ne occorrono almeno quattro perché i fenomeni di gruppo si manifestino pienamente, in quanto il numero delle possibili relazioni due a due supera il numero dei componenti il gruppo stesso: fra tre persone esistono tre relazioni due a due possibili, fra quattro persone ne esistono sei, fra cinque ne esistono nove, e così via.

 

Composizione del gruppo eterogeneo

Criteri diagnostici per strutturazione di un gruppo in Pratica Psicomotoria.

Il gruppo eterogeneo fornisce un’atmosfera aperta nella quale i bambini sono liberi di esprimersi e fare esperienza di convivenza. E’ importante cercare uno spazio nel quale ogni bambino cerchi di soddisfare le proprie necessità senza vincolare i diritti degli altri.

I criteri per la definizione e composizione sono:

  1. gruppo omogeneo per età
  2. eterogeneo per stile relazionale dei singoli membri del gruppo.
  3. età mentale omogenea
  4. sufficiente costituzione del Sé corporeo che garantisca una base sufficientemente solida di senso d’identità e differenziazione dall’ambiente
  5. capacità di contenere la propria aggressività senza ricorrere indiscriminatamente al passaggio all’atto
  6. capacità di articolare una narrazione secondo un tema
  7. capacità di gioco simbolico.

Criteri d’esclusione:

  1. patologie organiche o di personalità gravi (P.C.I. e psicosi)
  2. disturbi puri della condotta dove prevale troppo l’agito
  3. gravi inibizioni

 

Obiettivi

Criteri diagnostici per strutturazione di un gruppo in Pratica Psicomotoria.

Gli obiettivi sono:

  • offrire al bambino un tempo per esplorare i suoi modi di esprimersi in un gruppo di pari
  • offrire al bambino uno spazio dove mettere in gioco le sue capacità, scoprendo con gli altri bambini le molteplici forme dell’azione con tutte le sue sfumature
  • offrire al bambino la possibilità di condividere le emozioni anche attraverso la mediazione degli adulti
  • offrire un contesto sociale per sentire riconosciute le proprie capacità, proprio quando alcune funzioni sono limitate e nella scuola o a casa risulta difficile uscire da una logica di risultati-successi
  • offrire una gamma di possibilità espressive dal movimento alla rappresentazione simbolica

 

La struttura della seduta e le metodologie

Criteri diagnostici per strutturazione di un gruppo in Pratica Psicomotoria.

Primo momento: Si entra nella stanza e si crea un primo spazio comune di comunicazione dove ogni bambino può mettere il gruppo al corrente di qualche novità della sua vita avvenuta nella settimana precedente, e progettare insieme il gioco.

Secondo momento: Definito anche momento d’azione, in questa fase è importante il ruolo del Terapista che osserva senza intralciare i processi d’interazione.

Terzo momento: Riguardano la rielaborazione del vissuto senso-motorio attraverso attività simboliche come: Drammatizzazione, disegno, pittura, manipolazione con plastilina, racconti e lettura d’immagini, giochi in scatola. Una parte importante della metodologia riguardano gli incontri con i genitori, che restano i protagonisti della storia del bambino. Nei periodici incontri con i genitori, si analizzano i cambiamenti avvenuti nel bambino in Terapia, nell’ambiente familiare ed in quello scolastico.
Grazie anche ai vari contributi portati da Lewin , (che definisce il gruppo sulla base di una duplice interdipendenza tra i membri e tra le variabili del campo), da Cattel, (che lo definisce in base alla soddisfazione che offre ai bisogni dei suoi membri), o Moreno, (che lo definisce in base alle affinità tra i membri stessi) si è giunti a considerare il gruppo ,in Pratica Psicomotoria,come un contenitore forte, in cui i contenuti “Scottanti” d’ogni singolo soggetto possono emergere ed essere trasformati dall’interazione del gruppo. Questa trasformazione avviene in quanto il gruppo non rispecchia simmetricamente il contenuto che trapela dal soggetto, ma lo fa rimbalzare al suo interno, ridimensionandolo, sdrammatizzandolo e facendo un oggetto del gruppo che l’autore può guardare e trattare con più distacco. Le esperienze di terapia di gruppo in pratica psicomotoria prendono due orientamenti principali:

  • Una si orienta al fine dell’adattamento e in questa direzione il gruppo diviene luogo di realtà
  • L’altra fa del gruppo un luogo di regressione, dove vengono suscitate angosce e si attivano difese.

In ambito psicomotorio il gruppo rappresenta qualche cosa di assai simile alla zona intermedia d’esperienza elaborata da Winnicott, zona che sta a metà tra il mondo materno e la realtà. In esso i bambini possono vivere i loro fantasmi acquisendo la capacità di distanziarsene e contenerli. L’elemento fondamentale dell’educazione psicomotoria è facilitare lo sviluppo del mondo fantasmatico del bambino, attraverso situazioni che gli permettono di sperimentare il proprio mondo interiore, di sdrammatizzare le proprie paure davanti allo sguardo dell’adulto che si pone nell’aria di gioco come presenza rassicurante, il gruppo d’aiuto è invece una forma d’intervento terapeutico che agisce sugli arresti dello sviluppo fantasmatico nei bambini che non riescono a giocare il loro desiderio. Tale intervento consiste nel render possibile al bambino agire modalità di soddisfacimento legate a stadi evolutivi più arcaici, all’interno di un rapporto terapeutico che gli consente anche di rielaborare modalità relazionali che costituiscono un migliore compromesso tra desiderio e senso di realtà. Nell’accettazione psicanalitica, il fantasma è la messa in scena, più o meno costruita ed elaborata, di un desiderio inconscio, e questa scena si organizza attorno ad un’azione. Secondo la definizione data nel Laplanche-Pontalis nello scenario fantasmatico come “Raffigurazione dell’appagamento di un desiderio inconscio, più o meno deformato dai processi difensivi”, sono presenti insieme il soggetto e l’oggetto del desiderio, reciprocamente legati e significati dall’azione. In questo senso l’osservazione dell’azione e delle produzioni del bambino permette di ricostruire e comprendere lo scenario fantasmatico che ad esse fa da sfondo. Il bambino è soggetto ad impulsi primitivi, e perciò scarsamente in grado di sopportare la frustrazione. Poiché i suoi impulsi non sono ancora regolati, è esposto ad esplosioni di collera. E’ animato da una forte tensione verso la libertà di movimento, gioco, azione, di cui ha un bisogno pressante. E’ ricco di fantasia e, a determinati livelli d’età, realtà e immaginazione sono per lui confluenti e reversibili. Questo stato fluido deriva dai cambiamenti organici e dalla evoluzione psichica, oltre che da reazioni e risentimenti emotivi alle contingenze esterne.

Secondo Aucouturier e Lapierre il fantasma si struttura in relazione ad un vissuto e può esprimersi attraverso la dimensione simbolica. Aucouturier per esprimere questo concetto risale alla nascita che viene vista come un passaggio: il neonato deve adattarsi immediatamente a nuove condizioni di vita. In realtà l’unità corporea, il vissuto di piacere abbozzato durante la fase pre-natale è messa a dura prova fin dalla nascita: adattamento alla pesantezza, ai movimenti bruschi non controllati, alla secchezza della pelle, alla luce,al freddo, agli odori, ai rumori, e soprattutto alla sete fanno vivere al bambino un terremoto sensoriale.

Il corpo del bambino si compone dunque di zone di piacere e di dispiacere,che hanno troppo sofferto e che non possono integrarsi nella totalità del corpo. Queste zone sono scotomizzate; la sofferenza è tale che le emozioni e le immagini sono rimosse nell’inconscio. Le scotomizzate hanno la particolarità di non esser mai dell’ordine della rappresentazione e del linguaggio a meno che sopravvenga uno sblocco; esse non si integrano nella totalità del corpo. Si tratta dunque di una totalità relativa che non è mai totale. Queste zone assenti, formano una mancanza al corpo che è all’origine di un vuoto, di un’angoscia di perdita del corpo, di fantasmi d’incompletezza. Queste angosce originarie sono strettamente correlate le une con le altre e sono normalmente compensate simbolicamente dal piacere dell’espressività somatica: ma nel caso di una cattiva relazione madre-bambino, alimentata dalle pulsioni aggressive se non addirittura dalle pulsioni morbose e sadiche che inducono comportamenti di rifiuto e/o di possesso.
Queste angosce sono alla base di una patologia dell’espressività somatica.

Angoscia di liquefazione
E’ una reazione dolorosa che è all’origine dell’angoscia di perdersi nel corpo dell’altro, di liquefarsi, quando subentra la separazione della madre dal bambino.
Questa angoscia si manifesta con la paura del vuoto, paura dell’infinito, è la sorgente della confusione dei mezzi di comunicazione come la dislessia, disgrazia o certi disturbi del linguaggio.
Angoscia di scorticamento
L’intensità delle relazioni a corpo a corpo, senza differenziazione, quando interviene la separazione dei contatti pelle sulla pelle, quando c’è la vestizione e si fanno manipolazioni aggressive sulla pelle fragile del bebè, sono all’origine dell’angoscia dello strappo dall’involucro del corpo.
Tale angoscia si manifesta con la paura di essere toccato, si avrà sempre bisogno di coprirsi.
Si andrà alla ricerca di un’altra pelle ,di un altro sé.
Angoscia della pesantezza e della caduta
Le manipolazioni del bebè nello spazio possono essere stressanti, la pesantezza traumatizzante.
Strappato dalla culla, posato senza precauzioni nello spazio generano l’angoscia della pesantezza e della caduta.
Queste manipolazioni stimolano con i loro eccessi l’apparato labirintico e possono creare reazioni ipertoniche dolorose nella muscolatura d’equilibrio, a livello dei muscoli più profondi.

Quando incontriamo un intoppo nella evoluzione del bambino e del gruppo, il gioco non si modifica e la comunicazione non si instaura, può accadere che ci sia stata una riattivazione d’angosce che riguardano la rappresentazione di sé, angosce che non possono essere messe in immagine, cui l’adulto deve fornire sensazioni e strumenti perché possono essere ancorate al corpo in una dinamica di piacere. Le sensazioni riattivate possono essere ricondotte alle prime azioni-rappresentazioni del corpo, all’assorbimento- espulsione, all’interno spezzettato, al prima del verbale e dell’individuazione. Il bambino non può giocarsi queste sensazioni da solo perché non può rappresentarsele compitamente, da solo non può che fermarsi. La verbalizzazione non è che un veicolo minimo per l’espressione di sentimenti dei sentimenti dei bambini piccoli,che se disturbati, hanno l’esigenza immediata di dare sblocco attivo ai loro sentimenti, secondo il livello di sviluppo e la personalità di base. Le tensioni, le ansie, le paure li costringono a scegliere fra “la lotta o la fuga”, e nel maggior numero di casi essi optano per la prima. Ovviamente, a differenza degli adulti, i bambini non sono in grado di mettersi tranquillamente a sedere e riflettere sui propri sintomi emotivi e rapporti rispetto alle esperienze di vita.

Il processo di comunicazione e la scarica dei sentimenti avvengono, prevalentemente attraverso il gioco, la fantasia e l’attività motoria, che, oltre a liberare tensioni emotive, danno anche sentimenti di potere e adeguatezza. Proprio attraverso la liberazione delle emozioni investite, che possono successivamente venire elaborate sul piano cognitivo, vengono rese possibili le alterazioni della personalità.

Aucouturier quando parla di fantasmi sensomotori originari, in quanto al di là del sottolineare l’origine del fantasma a partire dalle sensazioni corporee essa propone e traccia delle possibilità metodologiche ed operative che ripropongono il movimento e l’azione all’interno della relazione tonico-emozionale con l’adulto come possibilità dinamica dell’evoluzione del bambino.

L’aspetto più originale della pratica psicomotoria è la possibilità di un intervento che a partire dal contenuto manifesto ed emergente delle immagini portate dai bambini punti ad un azione sulle sensazioni del corpo come origine della vita fantasmatica e mentale, inserita in un contesto tonico emozionale e di relazione di piacere. Per permettere al bambino l’evoluzione, è necessario tornare indietro nel tempo, a sensazioni e giochi corporei, sensomotori, di equilibrio, dare al bambino la possibilità di aggrapparsi, di essere cullato, sostenuto, di lasciarsi modificare e di essere modificato, di disperdere e di ritrovarsi. In questa ottica l’attività psicomotoria di gruppo, si propone come risorsa terapeutica che permette un maggior sviluppo delle capacità simboliche bloccate sia per difficoltà d’adattamento sia per problemi d’attenzione, in relazione a quel tipo di disturbo d’apprendimento n cui il processo di simbolizzazione risulta scarsamente strutturato.

 

"Io e il gruppo…"

Per dare vita a tutto ciò che ho scritto, ho pensato di trattare e riportare le mie esperienze in gruppo vissute sia in ambito di terapia psicomotoria, che in educazione. Ultimamente ho avuto la possibilità di confrontarmi e osservare alcune dinamiche di gruppo: le varie reti di comunicazione, l’interazione che i membri stabiliscono secondo un’affinità o similarità, i litigi e i sotto gruppi che si compongono e i continui aggiustamenti e resistenze annullate attraverso l’altro.

Tra i vari tirocini effettuati in questi anni di corso, ho scelto di trattare per questo contesto i seguenti vissuti: “Infanzia in gioco” e “Terapia d’aiuto nei gruppi”. Dal febbraio a giugno del 2001 ho partecipato com’educatrice al progetto “infanzia in gioco”, iniziativa progettata dall’Assessorato dell’Educazione del Comune di Napoli e realizzata dall’associazione “Casa dei giochi”. Il progetto promuoveva l’attivazione sul territorio di spazi significativi destinati alla prima infanzia. Era caratterizzato da uno stile pedagogico che valorizzava i diversi modi d’apprendimento e di crescita, permettendo ai bambini di vivere un’esperienza di gioco finalizzata alla conoscenza, nell’interdipendenza tra aspetti cognitivi, affettivi e corporei. L’esigenza di promuovere servizi per la prima infanzia nasce dall’analisi dell’attuale situazione in Italia e nello specifico della città di Napoli, per quanto riguarda “il pianeta infanzia 0/3 anni”. Il progetto si articolava:

  • Obiettivi: permettere al bambino di fruire di un’esperienza di gioco finalizzata alla conoscenza, favorendo un’evoluzione sana e armonica.
  • Metodologia: il lavoro si fonda sulle attuali teorizzazioni sulla globalità psicomotoria in cui gioco spontaneo e laboratori permettono al bambino lo sviluppo delle proprie capacità individuali fruendo delle relazioni del gruppo
  • Strumenti: strutturazione degli spazi attraverso materiale adeguato, organizzazione del tempo, modalità di relazione con una particolare attenzione alla sicurezza affettiva di base, all’ascolto delle risonanze tonico-emozionale, all’accoglienza.

Quest’esperienza formativa mi ha insegnato che il gruppo può essere vissuto come contenitore dove i membri possono mettere in scena le loro abilità e i loro limiti, i propri sentimenti, idee, modi di pensare. In quest’interazione di scambio, in situazione di verifica e discoperta, i soggetti scoprono anche “l’altro”, com’elemento essenziale per la propria formazione.

Per conoscere, invece, i vantaggi che può offrire una terapia di gruppo a dei bambini in difficoltà, ho chiesto di poter effettuare un tirocinio terapeutico presso la “Casa dei giochi”, dove partecipo da quattro mesi, sia come osservatrice che coordinatrice, sotto la guida del professore Bonifacio.

 

"Gabriel e il gruppo"

Nel gruppo “Barra 1” sono giunti molti bambini, che con il loro modo unico e irripetibile d’essere, dipingevano ogni giorno con colori diversi lo scenario costruito da noi per loro. I bambini hanno vissuto, secondo me, una graduale evoluzione: da una posizione di puro egocentrismo ad una prima forma d’aggregazione. Nel nuovo contesto i piccoli dovevano affrontare l’angoscia di separarsi dalla figura parentale, per condividere con gli altri spazi e tempi comuni. Accolto dalle operatrici, il bambino si trovava a dover modificare tutto il suo comportamento per riuscire ad alleviare le sue tensioni interne provocate dalla separazione. Questo passaggio è stato facilitato dal gioco spontaneo, dove la presenza di spazi strutturati con oggetti aiutava i piccoli a trovare una giusta appagazione del proprio desiderio. Si formavano così gruppi occasionali, dove i bambini s’incontravano per giocare con i pentolini, camion, peluche. Solo dopo, la ripetizione rassicurante e continua di queste esperienze a provocato nei bambini uno sviluppo: cerco “l’altro” perché con lui posso vivere di nuovo una situazione di piacere. Penso che tutti i bambini siano speciali, ma ci sono alcuni che per il loro modo di fare o di non fare suscitano delle emozioni e sensazioni profonde che ti riportano indietro nella memoria. Gabriel è uno di questi bambini, piccolo “cerbiatto” con occhi neri come la pece pronto in ogni occasione a fuggire nei prati, velocissimo, apparentemente senza alcuna direzione e con lo sguardo perso. Grazie alle varie supervisioni effettuate nel corso del progetto, abbiamo potuto aiutare in piccola parte Gabriel nel superare alcune difficoltà attraverso il gruppo.

Illustrerò il percorso che noi operatori, insieme all’equipe, abbiamo compiuto per giungere alla formulazione d’ipotesi e di strategie.

  • Relazione svolto sui primi dieci minuti della giornata sull’interazione tra: Gabriel, il gruppo e le operatrici.

 

Relazione svolta sui primi dieci minuti della giornata sull'interazione tra: Gabriel, il gruppo e le operatrici

"Gabriel e il gruppo"

Gabriel (28 mesi)

La giornata è appena iniziata, bussano alla porta e vado ad accogliere Gabriel e suo zio, che mi fa entrare nel loro mondo magico..., infatti, per arrivare a scuola lo zio ha raccontato a suo nipote una favola dove c’erano delle dame e dei cavalieri. Subito lo zio Gianni mi presenta il cavalier Gabriel, che sceso dalla sua carrozzina, mi accompagna da perfetto gentiluomo nel castello fatato...Gabriel sembra molto preso dal ciò che narra lo zio e così entra nella stanza senza nessun problema, si guarda intorno, osserva Lorenza e Monia (operatrice) che giocano sui grandi materassi e come saluto di un Buon Giorno dice “NO”...

Prendiamo i calzini e ci sediamo sul tappeto, Gabriel si guarda ancora in giro, alla sua destra ci sono le osservatrici del comune, alla sua sinistra ci sono i camion e di fronte a lui ci sono i bimbi che giocano. Chiedo se vuole togliersi le scarpe ma lui mi risponde di “NO” aspetto ancora un po’ e poi m’infilo il suo calzino nella mano e comincio ad utilizzarlo come una marionetta. Il bambino guarda il calzino che scoglie i lacci delle scarpe e sembra molto divertito,i piedini sono finalmente nudi e comincia così l’esplorazione tattile di Gabriel su i suoi ditini; lì tocca ma non li guarda perché il suo sguardo è rivolto a suoi compagni che giocano, così io rinforzo verbalmente ciò che sta facendo. Terminata questa grand’esplorazione gli chiedo se è pronto per raggiungere gli altri bimbi e Gabriel con grande entusiasmo si alza e corre verso i cuscini e si tuffa nel puffo. Mi avvicino e lui con occhietti vispi aspetta che io gli assicuri che è stato bravo, così con un po’ di fatica sale sul gran materasso e comincia a saltare sul posto, stanco del gran movimento si abbandona sul cuscino. Bussano di nuovo alla porta e così chiedo a Gabriel di aspettarmi perché devo allontanarmi per andare ad accogliere un suo compagno, il bambino non sembra turbato anzi ricomincia a saltare richiamando però l’attenzione di un’altra operatrice. Rientro nella stanza e Gabriel mi chiama facendomi vedere che lui e Lorenza stanno giocando a nascondino con Monia (operatrice), così entro anch’io nel gioco che dura un bel po’ ma all’improvviso qualcosa cambia nel espressione e nei movimenti di Gabriel,mi guardo in giro e vedo che è arrivato anche Gaetano e Angelo. Gaetano si avvicina e Gabriel si allontana con gran fretta, sembra che volesse fuggire da una situazione di pericolo. Raggiunge Mauro e Angelo che si trovano alla parte opposta della stanza si rifugia dietro le spalle dell’operatore che sta cercando di calmare Angelo che piange per la separazione. Rimane poco con loro perché si avvicina ad un altro bambino che sta costruendo una torre e senza un motivo comincia ad usare le mani, colpisce con “delicatezza “Alessandro che si ribella.

Barbara (operatrice) interviene spiegando che ciò che sta facendo può farlo sul cuscino Gabriel ascolta, sembra convinto dalle parole dell’operatore ma a questo punto non e d’accordo Alessandro che avendo ricevuto le botte reagisce colpendo Gabriel con un cuscino.

Barbara (operatrice) si trova tra i due, alla sua destra c’era Gabriel che si aggrappa al suo braccio come ancora di salvezza e con l’altra mano cercava di colpire di nuovo Alessandro che dopo un grande urlo si calma. Gabriel continua la sua danza d’attacco, sale sui cuscini e trova Lorenza che si diverte a saltare dal cuscino grande al puffo così si avvicina e aspetta il momento giusto per colpire...Lorenza ride per il grande salto e all’improvviso come un fulmine al ciel sereno Gabriel gli da uno schiaffo e poi si nasconde dietro di me. Lorenza mi guarda, il suo sguardo esprime meraviglia e dolore, non si rende conto del perché abbia ricevuto lo schiaffo, cerca una risposta da me, cerco di tranquillizzarla e ritorna a giocare ...mi giro verso Gabriel e gli affermo che se vuole fare questo gioco può farlo solo con me... Gabriel dice subito di sì e mi colpisce sul petto, lo prendo e cadiamo sui cuscini, lui aspetta una mia mossa e io comincio a mangiargli il pancino e lui divora la mia bocca. Rimaniamo sdraiati per un bel po’ e dopo aver divorato e ricomposto la bocca e il pancino ci siamo seduti. Sono distratta da un rumore ma Gabriel mi richiama colpendomi alle spalle così io mi stendo sul cuscino in posizione supina. Gabriel si accovaccia accanto a me e comincia a colpirmi leggermente alternando uno schiaffo e un bacio e scrutando il mio volto. Colpisce la mia testa con la sua mano ma subito dopo mi da un bacio sui capelli, e così fa anche per le altre parti del mio corpo, le sue botte non sono violente ma assomigliano a delle carezze fatte di proposito per misurare la sua potenza, desidera, infatti, sperimentare la sua forza, dimostrare che anche lui è in grado di colpire e non solo ricevere com’è avvenuto in passato. Continua a guardare il mio volto, lo scruta con curiosità e poi stanco di questo gioco si avvicina alla mia guancia e mi dona un bacio. .e subito dopo riprende a giocare con Lorenza e Gaetano che nascosti nella tana aspettano il lupo.

Non entra nella tana ma rimane fuori a guardare,i bambini decidono di fare una tana più grande e chiedono l’aiuto del operatrice,che costruisce una casa molto grande e finalmente entra anche Gabriel.

Questo gioco è interrotto molto velocemente da Alessandro che distrugge la casa e per prendersi un cuscino che aveva in mano Gabriel gli da un piccolo morso...

NOTE:

Figlio non riconosciuto dal padre, nella sua vita è molto presente Io zio con cui non riesce a separarsi facilmente. Ultimamente ha cambiato anche la sua baby-sitter e sembra che ciò lo abbia turbato molto infatti continua a affermare che lui oltre ad essere di sua madre e anche di Antonella.

Supervisione

Dopo aver letto la relazione, discusso e riflettuto in equipe con la presenza di un supervisore si sono formulate delle note composte di ipotesi e percorsi di sviluppo e la metodologia da utilizzare

NOTE -GABRIEL 28 MESI

Gabriel attraverso i suoi comportamenti fa intendere la presenza di alcune tematiche: insicurezza, paura, poca fiducia dei suoi coetanei -Elemento biografico:la madre desiderava il riconoscimento del padre del nascituro, ella ha vissuto durante la gravidanza la tematica dell’insicurezza, della paura scaturita dalla non garanzia della figura maschile

  • Gabriel ha degli atteggiamenti di paura rispetto agli altri bambini: cerca di colpirli o meglio toccarli stando sempre alle spalle dell’operatore ritraendo subito la mano
  • L operatore ossia l’adulto è considerato dal bambino come garante ha fiducia in lui, gli da molto credito e questo è rappresentato dal suo annuire a tutto ciò che egli gli propone.
  • Gabriel ha molto piacere e interesse sia dei tratti del suo corpo che di quelli dell’operatore. Questa corporeità rappresenta un elemento di difesa rispetto alla paura e all’insicurezza.
    In base all’osservazione fatta dai comportamenti di Gabriel, tutti questi indizi danno la sensazione che il bambino abbia bisogno di sentire la consapevolezza che lui può fare ed è capace di fare;cerca di scoprire il piacere dei suoi gesti e soprattutto cerca l’appoggio e l’approvazione dell’adulto

IPOTETICI PERCORSI DI SVILUPPO

Tramite noi operatori (adulto considerato garante) dobbiamo cercare di far interagire Gabriel con i suoi coetanei ma soprattutto di fargli avere fiducia degli altri bambini.

METODO:

Gabriel ha bisogno di giochi di ampio gesto: “giochi di rassicurazione profonda” che lo mettono in sintonia con un’altro bambino e lo pongono in una situazione da farlo sentire, a livello corporale, coinvolto con il corpo dell’altro, di conseguenza avere fiducia del corpo del bambino che gioca con lui. Suggerire alla mamma di cercare di far istaurare, Gàbriel un rapporto con un bambino o bambina che abbia dei gesti delicati quanto i suoi e non che possano spaventarlo.

Il significato del gruppo per Gabriel

Il gruppo in questo caso è stato vissuto come contenitore rassicurante finalizzato nel mettere Gabriel in una situazione di apprendimento, non scolastico, dove ha imparato personalmente a reagire alle situazioni, a ragionare ed a porre in relazione gli elementi e le esperienze di cui prendeva conoscenza e coscienza nell’interazione della comunicazione e della relazione con i compagni. Vedere i continui aggiustamenti di Gabriel, i volti degli altri bambini che aspettavano con pazienza che il loro compagno, per condividere con lui un esperienza, mi ha lasciato sbalordita. Ogni bambino, in questa fascia d’età, ha una gran voglia di sperimentare, conoscere, giocare, cadere rotolarsi, stendersi al suolo per poi correre velocemente… in questo percorso anche se sente alcune volte il bisogno di stare solo dopo poco ritorna alla ricerca degli altri, non tanto per un esigenza ma per un semplice e puro desiderio.

Posso affermare, quindi, che nel gruppo il soggetto scopre se stesso e gli altri, si rende conto di avere un modo di agire, vedere, capire, comportarsi, diverso o simile a quello dell’altro.

 

"Terapia d'aiuto nei gruppi"

Il gruppo che sto prendendo in considerazione, composto da tre bambine: Germana, Patrizia, Jessica s’incontra da circa tre mesi, una volta la settimana per un’ora regolamentare. Germana ha già percorso negli anni precedenti un “iter” individuali di terapia psicomotoria, mentre l’anno scorso ha lavorato in un trattamento congiunto con Jessica.

Quest’anno la nuova arrivata è: Patrizia.

Relazione di una seduta di Terapia di gruppo

Quinta osservazione avvenuta presso “la casa dei giochi” il 15/10/02

Entrano nella stanza solo Jessica e Patrizia, perché Germana ancora deve arrivare. Sedute sul loro sgabello cominciano a comunicare verbalmente con il Terapista. Jessica narra d’alcuni avvenimenti accaduti fuori dalla stanza, riportando una tematica già espressa dalla bambina: il mangiare. Mentre racconta senza un vero filo conduttore quello che ha vissuto, cerca con difficoltà di togliersi le scarpe. Patrizia più abile sfila le sue e comincia a giocare sullo sgabello, lo tocca con i piedi, lo unisce con gli altri cubetti di legno, e poi incuriosita da una corda comincia a manipolarla finché si alza iniziando un gioco d’equilibrio con essa. Il terapista ancora seduto nello spazio d’accoglienza, ricordo che il tempo d’inizio ancora deve partire poiché Germana non è ancora giunta. All’improvviso si ode il suono del campanello, al di fuori della stanza, Jessica si arresta, pensa un attimo e poi dice: “E’ Germana!”. Jessica contenta aspetta alla finestra Germana, mentre Patrizia continua a giocare sui cuscini. Germana giunge nella stanza dove è accolta da Jessica che gli dona un bacio. Comincia l’esplorazione dello spazio ad opera delle bambine. Patrizia che già aveva in mente un progetto comincia a buttar giù i cuscini, Germana vaga nello spazio alla ricerca di qualcosa e Jessica dopo essersi abbandonata con fatica sul tappeto, ritorna in una posizione eretta .Chiamata dal terapista, entro in gioco anch’io, mi avvicino a Patrizia che arroccata sui cuscini, rimane a guardare lo spazio circostante. Giunge anche, Jessica con cui comincio un dialogo, mi racconta dei suoi ricordi elaborati dalla seduta precedente. Patrizia, mi chiede di aiutarla a scendere dalla montagna di cuscini, e subito dopo si reca alla spalliera. Mi avvicino a Germana che, tutta presa, comincia a tirar fuori da un secchio dei cubi di stoffa, dove sono raffigurati dei vestiti stesi. La bambina cerca, così, un cordino da unire a quello già presente sulla spalliera per rappresentare realmente ciò che ha visto mentre va alla ricerca dell’oggetto, la sua attenzione è colpita da dei cerchi colorati… nasce il giardino Magico. Per realizzare il progetto Germana è aiutata da Patrizia, Jessica in tutta questa situazione rimane passiva, guarda le compagne, compiendo poche azioni sotto stimolazione. Jessica cerca di possedere un rapporto privilegiato con me. Io, in difficoltà, rimango un po’ più ai margini mentre Patrizia e Germana dopo aver creato il giardino saltano nei cerchi. Rimango seduta ma anche Jessica si accomoda accanto, mi guarda, la sorrido ma continuo a guardare le compagne mentre compiono un gioco con la corda. Mi allontano, forse per ritrovarmi e subito dopo Jessica si avvicina, è proprio dietro di me. Dopo vari minuti mi giro e gli comunico che ero contenta di vederla e gli propongo di andare a giocare. Ella rifiuta l’invito. Nel frattempo Germana prende un telo e chiede d’indossarlo, colgo quest’occasione per introdurmi nel gioco. Germana vuole trasformarsi in Cenerentola e vorrebbe che le sue amiche si trasformassero in sorellastre. La prima a continuare quest’idea è Patrizia, poi io… sì da il via alla favola. Cenerentola lava e stira, Patrizia si traveste in una sposa chiamata Anastasia e Jessica si trasforma in Biancaneve. Per andare la ballo, le principesse prendono un tappeto volante, giunte alla festa ballano, ogni bambina propone una danza. E’ un momento emozionante e una situazione di forte aggregazione. Come ogni ricevimento, è giunto il momento di rifocillarsi, Germana e Patrizia danno vita a due strutture dove bandiscono la tavola per il pranzo. Patrizia costruisce un tavolo piccolo solo per lei, tanto che non vuole Jessica, mentre Germana prepara un tavolo per tutti i partecipanti. Jessica si accomoda sulla struttura creata da Germana, che da a suoi ospiti bevande e cibo.

Patrizia rimane sola nel suo tavolo. Dopo aver mangiato, il terapista si allontana, attirando l’attenzione. Tutti ci sediamo in cerchio e nasce la narrazione. Mentre Germana e Jessica rimangono immobili ad ascoltare, Patrizia costruisce una struttura su cui appoggiarsi che però trasforma in continuazione.Il terapista narra la storia di tre bambine: Tic, Tac, Tuc

  • Tic= Patrizia, abita in un posto magico ricoperto da un giardino con fiori colorati
  • Tac= Germana, abita su una montagna in una torre imprigionata
  • Tuc= Jessica, abita in una casa accanto ad un fiume

Finita la narrazione, giunge il momento delle scarpe, Jessica ristabilisce un contatto verbale con l’adulto, Patrizia mette da sola le scarpe e Germana rimane passiva all’azione che l’adulto fa nel mettergli le scarpe.

Il valore del gruppo

Ogni volta che mi accingevo a vivere una nuova seduta di Pratica Psicomotoria insieme alle bambine, provavo una certa emozione che era il prodotto di vari sentimenti contrastanti; sentivo il desiderio e la voglia di continuare con loro il percorso iniziato precedentemente ma allo stesso tempo avevo paura di commettere con i miei gesti, posture, parole degli errori che potessero provocare nel gruppo disagio o ansia.
Jessica, Germana e Patrizia, sono delle bambine che mi hanno fatto “sognare”, dico sognare perché mi hanno permesso di riflettere ad occhi aperti. Vederle muoversi nello spazio, osservare i continui cambiamenti che i loro corpi effettuavano in relazione all’oggetto, all’adulto, ai coetanei, imparare a conoscere le loro modalità d’interagire, i loro limiti ma anche le loro gioie; mi ha permesso di elaborare e mettere a fuoco alcune mie idee sull’importanza del gruppo, sui benefici che ogni bambino può trarre dal suo inserimento in questo “Contenitore” in cui può buttare rabbia e grosse paure “abbandoniche” mai svelate fino allora. Con il susseguirsi degli incontri, ho cercato di comprendere quale valore potesse avere il gruppo per le singole bambine e ho immaginato quali potessero essere i futuri miglioramenti. Secondo me, ognuno di loro è un petalo colorato di una stessa rosa, che con il suo profumo rende speciale ogni seduta. Nel “loro stare insieme”, manifestano anche le loro esigenze individuali:

Germana, bellissima bambina con gli occhi coperti dalla sua chioma di capelli, ha la tendenza nel gruppo a mostrarsi come leader, un leader un po’ speciale, non imponente e temerario ma silenzioso e diretto. Sembra apparentemente privarsi degli altri per rimanere nel suo mondo, dove tutto scorre lentamente, ma la presenza del gruppo gli permette di ampliare questa sua visione. Infatti, nell’elaborare i suoi giochi include anche le sue compagne, che però fanno parte ancora di una cornice costruita per appagare il suo desiderio.

Patrizia, bimba esplosiva con dei grandi occhi grandi che sorridono sempre, è ancora molto centrata su di sé, tutto ruota intorno alle sue idee, struttura la casa o i giochi secondo la sua visione; sembra non essere ancora predisposta ad accogliere nel suo spazio le altre bambine. Si tratta di una bambina che non riesce, nello spazio della sala e della seduta, ad incontrare l’altro; oggetti e persone sono soltanto occasione di scarica della pulsionalità. La bambina non riesce a percepire l’altro come limite che gli pone una richiesta, non vuole porsi come oggetto della soddisfazione dell’altro per poter ritrovare l’oggetto della propria soddisfazione.

Jessica, bimba timida e insicura, sembra essere l’ombra di Germana, ha paura di investire lo spazio, gli oggetti, di entrare in relazione e cerca conferma dallo sguardo dell’adulto. Nelle varie situazioni, preferisce rimanere ai margini, seduta o ferma nello spazio osserva le sue compagne giocare con timore e desiderio Bloccata da un corpo che soffre di non potersi dire, è paralizzata di fronte alla possibilità di investire e reinventere giochi che sono legati al movimento. Sembra un’ancora desiderosa d’approdare su un isola che gli dia sicurezza, calore e sostegno. E’ strano, ma proprio lei, che ha più difficoltà, è secondo me quella, che può aiutare il gruppo a crescere. Il suo modo di porsi, la sua incertezza ma anche la sua voglia di appoggiarsi agli altri, la rende più aperta emotivamente ad accogliere il gruppo. In conclusione possono affermare che l’esperienza di terapia di gruppo: è una dimensione terapeutica che stimola nel bambino e nell’adulto, la vivacità della comunicazione e degli scambi.

 

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