Le implicazioni psicologiche nell’utilizzo di ausili in riabilitazione infantile: sensibilizzare le famiglie alla comprensione del significato funzionale per favorirne l’accettazione

  1. PARTE PRIMA: metodologia della ricerca
    1. Selezione delle banche dati
    2. Definizione della stringa di ricerca
    3. Risultati della ricerca in ciascuna delle Banche Dati - Pubmed, CINAHL complete, PsycInfo
    4. Materiale rilevante prodotto dalla ricerca
  2. PARTE SECONDA: Il ruolo delle acquisizioni motorie e dello spostamento autonomo nello sviluppo cognitivo
  3. PARTE TERZA: Il processo di attaccamento e di separazione nell’ambito della disabilità ed i possibili benefici dell’introduzione di un ausilio
  4. PARTE QUARTA: l’interiorizzazione e l’integrazione dell’ausilio nello schema corporeo
    1. Ausili e ortesi
    2. Lo schema corporeo
    3. Schema corporeo, ausili e disabilità.
  5. PARTE QUINTA Significato funzionale dell’ausilio e qualità di vita
    1. Strutture e funzioni corporee
    2. Attività personali e partecipazione sociale
    3. Fattori ambientali
  6. PARTE SESTA: la Family-Centered Care ed il vissuto dei genitori nei confronti dell’introduzione di un ausilio
    1. La Family-Centered Care
    2. L’introduzione di un ausilio: opinioni e vissuto dei caregivers - Questionario 1, Questionario 2 (MPOC-20)

INDICE PRINCIPALE

INDICE

PARTE PRIMA: metodologia della ricerca

L’obiettivo della ricerca prevede l’analisi delle implicazioni psicologiche dell’utilizzo precoce degli ausili durante lo sviluppo e la sensibilizzazione delle famiglie su tali aspetti mediante la realizzazione di due opuscoli al fine di favorirne l’accettazione. Gli opuscoli realizzati fanno riferimento a due categorie di ausili differenti:

  • Ausili dinamici, forniscono maggiori possibilità di movimento autonomo;
  • Ausili statici, facilitano il mantenimento delle posizioni.

Per la ricerca bibliografica sono state utilizzate le maggiori Banche Dati in ambito medico e scientifico a carattere internazionale; in aggiunta è stato utilizzato materiale fornito da alcuni docenti universitari e tutor di tirocinio.

Selezione delle banche dati

Al fine di perseguire l’obiettivo della ricerca sono state utilizzate tre tra le maggiori Banche Dati in ambito medico e scientifico:

  • PubMed: motore di ricerca gratuito che supporta la ricerca e il recupero della letteratura in ambito biomedico e delle scienze della vita con l’obiettivo di migliorare la salute, sia a livello globale che personale.
  • PsycInfo: banca dati bibliografica nell’ambito delle scienze comportamentali e della salute mentale edita dall’American Psychological Association (APA); rilevante anche per le discipline correlate, quali neuroscienze, business, infermieristica, diritto e formazione.
  • CINAHL complete: Banca Dati con indicizzazione ed abstract relativa alla letteratura infermieristica e delle professioni sanitarie.

L’identificazione delle Banche Dati utili è stata eseguita mediante supporto della Biblioteca Federata di Medicina (BFM) dell’Università degli Studi di Torino.

Definizione della stringa di ricerca

Al fine di perseguire l’obiettivo della ricerca sono state identificate tre differenti stringhe di ricerca, ciascuna destinata ad una delle differenti Banche Dati. L’identificazione e la definizione delle stringhe di ricerca è stata eseguita mediante l’affiancamento e l’aiuto della Biblioteca Federata di Medicina (BFM) dell’Università degli Studi di Torino.

A causa della specificità del quesito di ricerca, all’interno delle stringhe sono stati inclusi differenti tipologie di ausili, in parte non specificamente considerate nella trattazione. Stringhe di ricerca utilizzate all’interno della Banca Dati Pubmed:

  • ((((((("Wearable Electronic Devices"[Majr] OR Wearable-Device*[tiab] OR Wearable-Electronic-Device*[tiab] OR Wearable-Technolog*[tiab])) OR (("Posture"[Majr] OR "Postural Balance"[Majr] OR postural[tiab] OR posture*[tiab] OR Equilibrium*[tiab]) AND (device*[tiab] OR technolog*[tiab]))) OR (Assistive-technolog*[tiab] OR ats[tiab] OR assistive- devic*[tiab] OR ict-based-AT[tiab] OR hoist[tiab] OR "Self-Help Devices"[Majr] OR Self-Help-Device*[tiab] OR Wheelchair*[tiab] OR "electric powered indoor outdoor wheelchair"[tiab] OR epioc[tiab])) OR ((Lift*[tiab] OR Transfer*[tiab]) AND Equipment[tiab])) OR (pushchair*[tiab] OR bugg*[tiab] OR Mobility-Aid*[tiab])) OR ((bed[tiab] OR beds[tiab]) AND accessor*[tiab])) AND ((independence*[tiab] OR participation*[tiab] OR accept*[tiab] OR reject*[tiab] OR separation-individuation-theor*[tiab] OR identification*[tiab] OR self-concept[tiab] OR Self-Image*[tiab] OR "Quality of Life"[Majr] OR "quality of life"[tiab] OR Life-Quality[tiab] OR wellbeing[tiab] OR "well being"[tiab] OR "Emotions"[Majr] OR emotion*[tiab] OR "Child Development"[Majr] OR child-development[tiab] OR "Mirror Neurons"[Majr] OR mirror-neuron*[tiab] OR Internalization*[tiab]) AND ("Infant"[Majr] OR infant*[tiab] OR "Child"[Majr] OR child*[tiab] OR preschool*[tiab]))”.
  • movement AND cognitive development AND (child OR children OR infant)”

Stringa di ricerca utilizzata all’interno della Banca dati CINAHL complete:

( ( ( ( ( (MH "Electrical Equipment and Supplies+") ) OR TI ( electrical AND (equipment OR suppl*) ) OR AB ( electrical AND (equipment OR suppl*) ) ) OR ( TI ( "Wearable Device" OR "Wearable Electronic Device" OR "Wearable Technology" ) OR AB ( "Wearable Device" OR "Wearable Electronic Device" OR "Wearable Technology" ) ) OR ( ( ( (MH "Posture+") OR (MH "Balance, Postural") ) OR TI ( postural OR posture* OR Equilibrium* ) OR AB ( postural OR posture* OR Equilibrium* ) ) AND ( TI ( device* OR technolog* ) OR AB ( device* OR technolog* ) ) ) OR ( (MH "Assistive Technology Devices+") OR TI ( "Assistive Technology Devices" OR "assistive device" OR technology-based Assistive Technology OR hoist OR "Self-Help Device" OR Wheelchair* OR "electric powered indoor outdoor wheelchair" OR epioc ) OR AB ( "Assistive Technology Devices" OR "assistive device" OR technology-based Assistive Technology OR hoist OR "Self-Help Device" OR OR Wheelchair* OR "electric powered indoor outdoor wheelchair" OR epioc ) ) ) OR ( TI ( (Lift* OR Transfer*) AND Equipment ) OR AB ( (Lift* OR Transfer*) AND Equipment ) ) OR ( TI ( pushchair* OR bugg* OR Mobility-Aid* ) OR AB ( pushchair* OR bugg* OR Mobility-Aid* ) ) OR ( TI ( (bed OR beds) AND accessor* ) OR AB ( (bed OR beds) AND accessor* ) ) ) AND ( ( TI ( independence* OR participation* OR accept* OR reject* OR "separation individuation theory" OR identification* OR self-concept OR Self-Image ) OR AB ( independence* OR participation* OR accept* OR reject* OR "separation individuation theory" OR identification* OR self-concept OR Self-Image ) ) OR ( (MH "Quality of Life+") OR TI ( "quality of life" OR "Life Quality" OR wellbeing OR "well being" ) OR AB ( "quality of life" OR "Life Quality" OR wellbeing OR "well being" ) ) OR ( (MH "Emotions+") OR TI emotion* OR AB emotion* ) OR ( (MH "Child Development") OR TI "child development" OR AB "child development" ) OR ( TI ( "Mirror Neurons" OR Internalization ) OR AB ( "Mirror Neurons" OR Internalization ) ) ) ) AND ( ( (MH "Infant+") OR TI infant* OR AB infant* ) OR ( (MH "Child+") OR TI ( child* OR preschool* ) OR AB ( child* OR preschool* ) ) )”.

Stringa di ricerca utilizzata all’interno della Banca Dati PsycInfo:

( TI ( electrical AND (equipment OR suppl*) ) OR AB ( electrical AND (equipment OR suppl*) ) ) OR ( TI ( "Wearable Device" OR "Wearable Electronic Device" OR "Wearable Technology" ) OR AB ( "Wearable Device" OR "Wearable Electronic Device" OR "Wearable Technology" ) ) ) OR DE "Posture" OR ( ( TI ( postural OR posture* OR Equilibrium* ) OR AB ( postural OR posture* OR Equilibrium* ) ) AND ( TI ( device* OR technolog* ) OR AB ( device* OR technolog* ) ) ) OR ( TI ( "Assistive Technology Devices" OR "assistive device" OR technology-based Assistive Technology OR ict-based- AT OR hoist OR "Self-Help Device" OR Wheelchair* OR "electric powered indoor outdoor wheelchair" OR epioc ) OR AB ( "Assistive Technology Devices" OR "assistive device" OR technology-based Assistive Technology OR ict-based-AT OR hoist OR "Self- Help Device" OR OR Wheelchair* OR "electric powered indoor outdoor wheelchair" OR epioc ) ) ) OR ( TI ( (Lift* OR Transfer*) AND Equipment ) OR AB ( (Lift* OR Transfer*) AND Equipment ) ) OR ( TI ( pushchair* OR bugg* OR Mobility-Aid* ) OR AB ( pushchair* OR bugg* OR Mobility-Aid* ) ) OR ( TI ( (bed OR beds) AND accessor* ) OR AB ( (bed OR beds) AND accessor* ) ) ) AND ( ( TI ( independence* OR participation* OR accept* OR reject* OR "separation individuation theory" OR identification* OR self-concept OR Self-Image ) OR AB ( independence* OR participation* OR accept* OR reject* OR "separation individuation theory" OR identification* OR self-concept OR Self-Image ) ) ) OR ( TI ( "quality of life" OR "Life Quality" OR wellbeing OR "well being" ) OR AB ( "quality of life" OR "Life Quality" OR wellbeing OR "well being" ) ) ) OR ( DE "Emotions" OR TI emotion* OR AB emotion* ) OR ( (MH "Child Development") OR TI "child development" OR AB "child development") OR ( TI ( "Mirror Neurons" OR Internalization ) OR AB ( "Mirror Neurons" OR Internalization ) ) ) ).

Vista la grande quantità di risultati ottenuti, sono state utilizzate le funzioni “Best Match” e “Major Heading” per ordinarli.

Risultati della ricerca in ciascuna delle Banche Dati

Ciascuna delle stringhe precedentemente presentate sono state inserite all’interno delle relative Banche Dati. Di seguito verranno analizzati i risultati ottenuti.

Pubmed

Inserendo la prima stringa nella barra di ricerca si ottengono 1034 risultati. Sono stati successivamente applicati i filtri “Results by year 2000-2021”, che permette di selezionare esclusivamente gli articoli inerenti pubblicati a partire dall’anno 2000, e “birth-18 years old”, che include esclusivamente i risultati relativi ad una popolazione entro i 18 anni di età, ottenendo 710 risultati. Si osserva la presenza di numerosi articoli non rilevanti, soprattutto riguardanti tipologie di ausili non incluse all’interno di tale trattazione, come le protesi acustiche utilizzate dai soggetti con deficit uditivo.

A partire dai 710 risultati ottenuti, sono stati selezionati 69 articoli. Successivamente, di questi 69 articoli, 21 sono stati ulteriormente selezionati ed utilizzati all’interno della trattazione.

La seconda stringa inserita su PubMed produce inizialmente 2095 risultati. Sono stati successivamente utilizzati i filtri “Results by year 2000-2021”, che permette di selezionare esclusivamente gli articoli inerenti pubblicati a partire dall’anno 2000, e “birth-18 years old”, che include esclusivamente i risultati relativi ad una popolazione entro i 18 anni di età, “Free full text”, che include gli articoli di cui è disponibile il testo completo gratuito, ottenendo 655 risultati. Visto l’elevato numero di risultati sono stati aggiunti i filtri “Review”, che seleziona le sole revisioni di letteratura, “Systematic Review”, che seleziona le sole revisioni sistematiche di letteratura, e “Clinical trial”, che include gli studi clinici, ottenendo 137 risultati.

A partire dai 137 risultati ottenuti, sono stati selezionati 31 articoli, di cui 10 sono stati utilizzati all’interno della trattazione.

CINAHL complete

Inserendo la stringa di ricerca all’interno della Banca Dati si ottengono 1366 risultati. Sono stati successivamente applicati i filtri “Pubblication Date from 2000 to 2021”, che permette di selezionare esclusivamente gli articoli inerenti pubblicati a partire dall’anno 2000, “all child”, che include esclusivamente i risultati relativi ad una popolazione entro i 18 anni di età, e “full text” che include gli articoli di cui è disponibile il testo completo, ottenendo 440 risultati.

Nonostante la grande quantità di risultati, gli articoli emersi si sono dimostrati non inerenti all’argomento trattato oppure sovrapponibili ai risultati già trovati all’interno della banca dati PubMed. Di conseguenza nessun articolo è stato utilizzato.

PsycInfo

Inserendo la stringa di ricerca all’interno della Banca Dati si ottengono 1603 risultati. Sono stati successivamente utilizzati i filtri “Pubblication Date from 2000 to 2021”, che permette di selezionare esclusivamente gli articoli inerenti pubblicati a partire dall’anno 2000, e “childhood (birth-12 yrs)”, che include esclusivamente i risultati relativi ad una popolazione entro i 12 anni di età, ottenendo 148 risultati. Sono stati, poi, ulteriormente selezionati 21 articoli di cui 3 sono stati utilizzati all’interno della trattazione.

Materiale rilevante prodotto dalla ricerca

All’interno della trattazione sono stati utilizzati 24 articoli selezionati all’interno delle Banche Dati sopracitate. Altri 3 sono stati selezionati all’interno delle fonti bibliografiche degli articoli letti.

In aggiunta, è stato utilizzato materiale fornito da docenti universitari o tutori di tirocinio; più precisamente:

  • Libri e materiale utilizzati e consultati durante i tre anni del corso di laurea;
  • Materiale proveniente da convegni e corsi fornito da tutor di tirocinio;
  • Materiale proveniente da un corso organizzato dall’associazione Anupi TNPEE a cui ha preso parte la sottoscritta;

È stato inoltre consultato il portale SIVA della Fondazione Don Carlo Gnocchi, il Portale Italiano di informazione, guida e orientamento sugli ausili tecnici per l'autonomia, la qualità di vita e la partecipazione delle persone con disabilità, che fornisce una panoramica sistematica e aggiornata delle tecnologie assistive disponibili in Italia e in Europa.

INDICE

PARTE SECONDA: Il ruolo delle acquisizioni motorie e dello spostamento autonomo nello sviluppo cognitivo

A partire dalla nascita, e nei primi anni di vita, il bambino inizia il proprio percorso di crescita, creando le basi dello sviluppo che procederà all’incirca fino ai 18-20 anni. Tale sviluppo può essere categorizzato e suddiviso in 3 aree principali:

  • Sviluppo fisico, all’interno del quale rientrano la crescita ponderale, le acquisizioni motorie, la salute fisica
  • Sviluppo cognitivo, all’interno del quale rientrano le funzioni esecutive, il vocabolario e lo sviluppo del linguaggio
  • Sviluppo socio-emotivo, all’interno del quale rientrano l’intelligenza emotiva e la capacità di costruire relazioni e legami

Tali aree risultano fortemente interconnesse le une con le altre. (1)

Lo sviluppo motorio è caratterizzato da alcune fasi, ovvero appuntamenti funzionali (come vengono definiti da Milani-Comparetti) contraddistinti da caratteristiche di variabilità e grande elasticità delle tempistiche. Le principali fasi dello sviluppo neuropsicomotorio a cui facciamo riferimento sono:

  • Fase 0-3 mesi
    • Stabilizzazione posturo-motoria
    • Controllo assiale del capo
  • Fare 3-6 mesi
    • Maturazione del controllo posturale antigravitario capo-tronco in preparazione alla posizione seduta
    • Primi spostamenti orizzontali come rotolone e pivotting da prono
  • Fase 6-9 mesi
    • Posizione seduta autonoma;
    • Maturazione delle reazioni paracadute e di equilibrio;
    • Maturazione dei passaggi posturali da supino a prono, da supino a seduto ed infine dalla posizione seduta alla quadrupedica;
    • Maturazione degli spostamenti orizzontali quali pivotting da prono e da seduto, rotolone, strisciamento, shuffling, gattonamento;
  • Fase 9-12 mesi
    • Consolidamento degli spostamenti orizzontali autonomi quali gattonamento, shuffling, spostamento in plantigrada;
    • Perfezionamento dei passaggi di posizione;
    • Raggiungimento della posizione in statica eretta
    • preparazione alla navigazione costiera e alla deambulazione autonoma
  • Fase 12-18 mesi
    • Perfezionamento del passaggio di posizione alla statica eretta
    • Consolidamento della deambulazione autonoma

Un animale dotato di un corpo che gli consente pochi movimenti avrà un sistema nervoso semplice, necessario e sufficiente a gestire questa piccola quantità di movimenti che può produrre. La specie umana ha la possibilità di riprodurre numerosi e differenti tipologie di movimenti e può scegliere tra una grande varietà di stimoli sensoriali diversi. Un animale che ha così tante possibilità di movimento ha la necessità di scegliere quale mettere in atto e, per poter scegliere, deve avere la capacità di prevedere l’esito di ciascuna singola scelta. Il nostro cervello è plasmato dall’evoluzione, nel corso del tempo, perché possa funzionare come “previsore” dei risultati delle nostre azioni e dell’incontro con l’ambiente esterno.

Secondo tale concezione, viene a cadere sia la distinzione corpo-mente, sia la distinzione movimento-sensazione, grazie anche alla scoperta dell’esistenza di neuroni che sono sia sensoriali che motori (neuroni specchio1) e che rappresentano il luogo di connessione dell’intero funzionamento mentale.

La mente è intrinsecamente un sistema motorio; il pensiero, la memoria, la conoscenza, la percezione, la coscienza, la motivazione, il significato e tutte le funzioni mentali nel loro complesso affondano le loro radici in abilità motorie costruttive specie specifiche. Il movimento corporeo ha dunque un ruolo fondamentale e basilare nello sviluppo della cognizione e della conoscenza.

Un cervello privo di funzioni motorie non potrebbe pensare; se fossimo degli esseri completamente immobili, non avremmo motivo di sviluppare le nostre funzioni cognitive. (2)

Tra i principali autori che ipotizzarono la stretta connessione ed interdipendenza tra sviluppo motorio e sviluppo cognitivo vi fu Jean Piaget (1896-1980). All’interno della propria teoria sullo sviluppo cognitivo e sull’epistemologia genetica, J. Piaget teorizzò la suddivisione dello sviluppo in 4 stadi:

  1. Stadio sensomotorio (0-2 anni)
  2. Stadio preoperatorio (2-7 anni)
  3. Stadio operatorio-concreto (7-12 anni)
  4. Stadio operatorio-formale (dai 12 anni in poi)

Ciascun stadio è caratterizzato da importanti modificazioni strutturali dell’organizzazione neuropsicologica, le quali non vengono perse nel passaggio da uno stadio all’altro, ma integrate in modo gerarchico.

Di particolare rilevanza, rispetto alla connessione tra sviluppo motorio e sviluppo cognitivo, vi è lo stadio sensomotorio che caratterizza i primi due anni di età; secondo J. Piaget, durante tale periodo il bambino esercita la propria motricità sull’ambiente che lo circonda in assenza di alcuna attività mentale, di pensiero o di riflessione. Inizialmente la motricità del bambino è caratterizzata dall’esclusiva esercitazione dei comportamenti riflessi; successivamente si osserva un continuo adattamento ambientale ed una trasformazione del comportamento motorio in base all’esperienza (si parla di reazioni circolari primarie, secondarie e terziarie).

L’aspetto motorio rappresenta, quindi, secondo J. Piaget, il requisito fondamentale per porre le basi dello sviluppo cognitivo.

I primi anni di vita del bambino, caratterizzati da una importante quantità di cambiamenti ed evoluzioni in tutti i domini dello sviluppo, sono fondamentali nel determinare l’evoluzione del soggetto. Infatti, durante tale periodo, all’interno del sistema nervoso centrale si assiste ad un incremento delle connettività e delle sinapsi tra le cellule nervose; inoltre, contemporaneamente, si verifica l’evoluzione e il consolidamento delle abilità grosso-motorie, partendo dai comportamenti riflessi e dalle reazioni primitive, procedendo fino alla conquista delle prime e rudimentali acquisizioni motorie e raggiungendo le abilità grosso-motorie e fino-motorie propriamente dette: spostamenti orizzontali e la deambulazione, la manipolazione, il salto, la corsa, il calciare e la manipolazione).

Lo sviluppo e l’acquisizione delle competenze grosso-motorie rappresentano una della prime modalità di adattamento e d’interazione del bambino con l’ambiente circostante; mediante i differenti appuntamenti funzionali2 evolutivi e motori, il bambino si sposta ed agisce direttamente sull’ambiente aumentando le proprie possibilità di esplorazione, di apprendimento e di interazione sociale. (3)

Mediante gli studi della neurobiologia, effettuati principalmente attraverso strumenti di neuroimaging per la mappatura delle strutture cerebrali o delle funzioni cerebrali, è stato evidenziato che lo sviluppo motorio può fornire numerose informazioni sui meccanismi dello sviluppo cognitivo poiché nel processo di apprendimento motorio sono implicate numerose e differenti funzioni cognitive, quali le funzioni percettive e la pianificazione dell’azione.

È stato evidenziato che le regioni cerebrali attivate durante la messa in atto di funzioni motorie, quali il cervelletto e la corteccia prefrontale dorsolaterale, sono ugualmente implicate durante attività con necessità di controllo cognitivo; inoltre, è stata osservata una correlazione tra una precoce sperimentazione motoria e i successivi outcome cognitivi, inclusi gli ambiti delle funzioni esecutive e delle performance scolastiche/accademiche. (3)

Durante il corso dello sviluppo, il dominio fisico-motorio e il dominio cognitivo procedono nei primi anni di vita con tempistiche affini e rappresentano gli ambiti che, in tale fascia di età, presentano l’evoluzione più rapida. (4)

Uno studio condotto nel 2011 sui bambini in età prescolare ha mostrato una associazione tra specifiche competenze motorie ed alcune funzioni esecutive; più precisamente tale studio ha evidenziato la connessione tra:

  • Agilità (evitamento di ostacoli), equilibrio dinamico e memoria di lavoro spaziale;
  • Agilità (evitamento di ostacoli) e attenzione; (5)

Un secondo studio condotto nel 2017 su bambini in età prescolare ha evidenziato l’associazione tra:

  • Destrezza manuale, abilità con l’utilizzo della palla, equilibrio dinamico e la funzione esecutiva di shifting;
  • Tutte le funzioni motorie ad eccezione dell’equilibrio e la capacità di inibizione;
  • Equilibrio dinamico e inibizione motoria;(6)

Alcuni autori hanno affermato che le strutture e le funzioni cerebrali evolvono al fine di perseguire un crescente controllo motorio dell’azione, e non specificatamente per lo sviluppo del dominio cognitivo. Secondo tale concezione, lo sviluppo cognitivo progredisce come conseguenza ed in funzione del dominio motorio.

È possibile affermare che le azioni, i movimenti e i comportamenti finalizzati al raggiungimento di un obiettivo contribuiscono in modo non indifferente alla costruzione e alla definizione del dominio cognitivo e delle funzioni esecutive. Secondo alcuni autori, senza il movimento e la possibilità di eseguire azioni mediante investimento del corpo, non c’è esigenza di pensiero. Il pensiero e l’aspetto cognitivo nascono e progrediscono a partire dal sistema motorio e dalle possibilità di movimento con l’obiettivo di facilitare lo sviluppo della programmazione motoria e il controllo dell’azione (7). L’essere umano è nato per muoversi e la formulazione di pensieri di crescente complessità nel corso dello sviluppo è strettamente connessa all’acquisizione di competenze motorie sempre più composite.

Il sistema delle funzioni esecutive è considerato una estensione del sistema di controllo motorio, e quindi del sistema motorio stesso. Di conseguenza, il movimento durante lo sviluppo di un bambino fisiologico non dovrebbe mai essere interpretato come “casuale”, ma sempre propositivo e finalizzato al conseguimento di un obiettivo. Secondo tale concezione, lo sviluppo motorio e il sistema delle funzioni esecutive sono fortemente connessi; la presenza di anormalità e deviazioni rispetto al normale sviluppo motorio rappresenta una precoce problematica della capacità di controllo motorio, la quale rappresenta una forma precedente di funzione esecutiva. Una alterazione dello sviluppo del sistema motorio ha un forte impatto sulla possibilità di sviluppo del controllo cognitivo sul sistema motorio e rappresenta un fattore premonitore di un disturbo dello sviluppo. (7)

Nel 2018 è stato condotto uno studio su una popolazione di bambini affetti da Sindrome di Down (o Trisomia 21, patologia genetica che, tra altri segni, prevede una diminuzione delle competenze motorie o una dilatazione delle tempistiche rispetto allo sviluppo fisiologico e un ritardo cognitivo) in cui è stata ipotizzata e studiata la possibile correlazione tra l’acquisizione della deambulazione autonoma ed un incremento dal punto di vista cognitivo e di produzione linguistica. In questo studio è stato riscontrato che nel passaggio da una modalità di spostamento orizzontale al cammino autonomo, le

possibilità di esplorazione dell’ambiente e degli oggetti circostanti era fortemente aumentato; infatti, l’acquisizione del cammino fornisce la possibilità di esplorare maggiormente i diversi ambienti di vita ( allarga il raggio d’azione sia in senso orizzontale che in senso verticale fornendo la possibilità al bambino di raggiungere oggetti e materiali sopraelevati) il quale porta ad un incremento della quantità e della variabilità di stimoli a cui il bambino è esposto, facilitando lo sviluppo cognitivo e sociale. Inoltre, l’acquisizione di alcune abilità motorie precede lo sviluppo di abilità in altre aree, come la percezione tattile e la profondità. (8)

In uno studio condotto nel 2015 su una popolazione di bambini nati pretermine, è stata dimostrata una forte correlazione tra la funzione cammino e le capacità cognitive; più precisamente, il rischio di problematiche dal punto di vista cognitivo era maggiore in bambini nati pretermine e che avevano acquisito il cammino in tempi più dilatati (Late Walkers). (9)

In uno studio del 2008 realizzato su una popolazione di pazienti affetti da Spina Bifida (patologia congenita caratterizzata da un difetto di chiusura del tubo neurale durante lo sviluppo embrionale), è stata mostrata la correlazione tra la riduzione delle possibilità di movimento autonomo all’interno dello spazio dovuto alla patologia e un indebolimento delle competenze cognitive spaziali. (10)

INDICE

PARTE TERZA: Il processo di attaccamento e di separazione nell’ambito della disabilità ed i possibili benefici dell’introduzione di un ausilio

Come è stato analizzato precedentemente, il movimento presenta differenti significati all’interno dello sviluppo globale del bambino; fin dalle epoche più precoci il movimento e le variazioni del tono rappresentano la principale modalità di espressione dell’identità, della personalità, dei desideri e delle emozioni. Attraverso tali funzioni il soggetto soddisfa i propri desideri, esprime il piacere e il dispiacere derivante da una eventuale situazione di disagio agitandosi e modificando le posizioni assunte dal proprio corpo. Inoltre, il movimento permette al bambino di saggiare e conoscere la vicinanza e la lontananza rispetto al caregiver adulto di riferimento, elemento alla base del processo di separazione. (11)

Per trattare le possibili problematiche che si possono verificare durante il percorso di separazione dall’adulto in un bambino con disabilità motoria, è necessario definire cosa si intende per “attaccamento” e per “processo di separazione-individuazione”.

La Teoria dell’Attaccamento, ideata dallo psicanalista inglese John Bowlby (1907-1990), prevede che nei primi mesi di vita si crei un forte e specifico legame affettivo tra il bambino ed un caregiver di riferimento, rappresentato più frequentemente dalla mamma; tale legame presenta componenti sia esperienziali che istintuali e permette alla madre di rispondere prontamente e coerentemente ai bisogni del bambino. Il legame di attaccamento è costituito da una serie di comportamenti e modalità comunicative messe in atto, quali il pianto, i vocalizzi, lo scambio di sguardi e di sorrisi, i tentativi di inseguimento del caregiver mediante varie modalità di spostamento, i contatti corpo- corpo. Si parla di Attaccamento esclusivamente quando tali comportamenti sono rivolti specificatamente ad una o due figure di riferimento e non quando vengono messe in atto in modo indiscriminato. Possiamo suddividere il processo di Attaccamento in 4 principali fasi:

  1. Tra le 9 e le 11 settimane di età il bambino distingue la figura materna tra altri soggetti e manifesta il proprio disagio mediante pianto e vocalizzi;
  2. Tra le 12 settimane e i 6 mesi di età il bambino risponde in modo differenziato quando la mamma lascia la stanza o è distante e tenta di richiamare la sua attenzione;
  3. Dai 6 mesi ai 2 anni di età l’attaccamento è compiuto ed il bambino manifesta disagio e malessere quando la figura materna si allontana, cessando di piangere non appena questa faccia ritorno. Intorno all’8° mese compare, inoltre, quella che viene definita “paura dell’estraneo”;
  4. Dopo i 2 anni di età il legame tra madre e bambino diventa più complesso e il bambino manifesta una maggiore indipendenza;

La presenza della figura con cui si instaura il legame di attaccamento e la vicinanza ad essa rappresentano un bisogno essenziale del bambino, al pari di altri bisogni fisiologici quali nutrirsi e dormire. Alcuni studi (Sagerman) hanno sostenuto l’esistenza di un periodo critico che favorisce e permette la creazione del legame di attaccamento; tuttavia, nonostante possa esistere un periodo critico in cui il bambino è maggiormente predisposto alla formazione di questo legame, non vuol dire che non possa formarsi in tempi successivi. (12)

Il Processo di Separazione ed Individuazione, teorizzato dalla psicanalista e psicoterapeuta ungherese Margaret Mahler (1897-1985), descrive il passaggio del bambino dallo stato di dipendenza dalla figura di riferimento (Teoria dell’Attaccamento) ad una maggiore indipendenza e separazione emotiva.

  • A partenza da quello che M. Mahler definisce stato di simbiosi tra madre e bambino, correlabile al legame di attaccamento durante il quale si osserva una condizione di completa dipendenza, il bambino inizia a separarsi e differenziarsi dalla figura materna abbandonando progressivamente il legame simbiotico. Tale processo si verifica parallelamente all’incremento delle competenze e delle abilità motorie del bambino ed è facilitato da un atteggiamento materno che favorisca la separazione e la libera sperimentazione; la separazione ed il superamento della fase di simbiosi avviene più lentamente e gradualmente dal punto di vista emotivo rispetto a quello fisico-motorio. (12)
  • Tra i 4 e i 5 mesi di età ha inizio la fase di differenziazione durante la quale il bambino rivolge la propria attenzione non solo verso la figura materna, ma verso stimoli provenienti dal mondo esterno. Durante tale periodo si osservano tentativi da parte del bambino di sfuggire dalla madre ed opporsi fisicamente spingendo con gli arti superiori ed inferiori contro il corpo materno. È questa la fase in cui si osserva la comparsa dell’oggetto transizionale (D. Winnicott). (12)
  • Tra i 10 e i 18 mesi circa segue, al periodo di differenziazione, la fase di sperimentazione, durante la quale il bambino acquisisce la possibilità di spostarsi autonomamente nello spazio, inizialmente mediante modalità orizzontali quali rotolone, strisciamento, pivotting, shuffling, deambulazione quadrupede, e successivamente mediante l’acquisizione del cammino autonomo. Il bambino esplora lo spazio a distanze crescenti dalla figura materna, tuttavia sempre ricercandone la presenza mediante lo sguardo e ritornando dal lei per un “rifornimento emotivo”. (12)
  • Tra i 16 e i 25 mesi si assiste ad una fase definita da M. Mahler “riavvicinamento”, durante la quale il bambino mette in atto comportamenti attivi di ricerca della figura materna e avvicinamento ad essa; tali tipologie di comportamento sono conseguenza dell’incontro con i possibili pericoli del mondo esterno durante la fase di esplorazione e sperimentazione motoria (ad esempio si assiste alla comparsa della paura di cadere). La tendenza dei caregivers di riferimento a favorire l’esplorazione autonoma e la socialità durante tale fase contribuirà al completamento del processo di separazione-individuazione e favorirà la creazione del “Sé” indipendente. (12)

I bambini affetti da varie tipologie di disabilità possono facilmente riscontrare problematiche non solo nel percorso di separazione dall’adulto, ma anche nella costruzione del legame di Attaccamento. Alla base di tale difficoltà vi è la ridotta disponibilità di comportamenti favorenti l’attaccamento; ad esempio soggetti con alterazione del tono muscolare (ipertonia o, ipotonia, tono fluttuante), non riescono ad instaurare il dialogo tonico-corporeo con la figura materna, a rilassarsi a contatto con il corpo materno e ad “accoccolarsi” (concetto di “Cuddliness“ di Brazelton). I bambini affetti da disabilità motorie possono non essere in grado di eseguire quelli che vengono definiti da Sutton-Smiths i “giochi di attaccamento”, quali far fuoriuscire la lingua dalla bocca o mordere il dito del caregiver, e possono non avere la possibilità di separarsi fisicamente dal corpo materno in modo autonomo; generalmente, anche se questi bambini presentano minime capacità di spostamento autonomo, necessitano di rimanere più vicini alla figura materna rispetto ai bambini normodotati poiché, in caso di allontanamento eccessivo, impiegherebbero un tempo smodato per ritornare. (12)

Anche se il legame di attaccamento si costituisce, i bambini con disabilità possono riscontrare numerose difficoltà nel percorrere alcuni passaggi fondamentali durante il processo di separazione-individuazione a causa delle proprie limitazioni fisiche che impediscono l’allontanamento e l’incremento dell’indipendenza; inoltre, in associazione alle difficoltà del bambino, si aggiunge la modalità con cui la disabilità presente viene vissuta dai caregiver, ad esempio mediante atteggiamenti di negazione o rifiuto. (12)

Tali elementi sono fondamentali per comprendere perché i bambini affetti da diverse tipologie di disabilità presentano un rischio più elevato di compromissione dello sviluppo globale, manifestazione di immaturità emotiva e insorgenza di patologie psichiatriche. (12)

Daniel Norman Stern (1934-2012), psicanalista statunitense che si occupò dello sviluppo psicologico infantile, suddivise il percorso di sviluppo del Sé del bambino in 3 fasi:

  • Sé emergente, durante la quale emerge un primo abbozzo di organizzazione che riguarda principalmente il corpo e gli scambi effettuati con la figura materna (Attaccamento).
  • Sé nucleare, durante la quale il bambino acquisisce una maggiore consapevolezza delle proprie azioni, agisce intenzionalmente e prevede le conseguenze, sperimentando il feedback propriocettivo proveniente dal mondo esterno.
  • Sé soggettivo, durante la quale il bambino mette in atto comportamenti imitativi e viene dato spazio all’intersoggettività, ovvero la condivisione di stati emotivi con altri soggetti, e alla sintonizzazione degli affetti.

Il Sé, quindi, nasce dalla relazione fra il bambino, la madre e il mondo circostante. (11)

I bambini affetti da Paralisi Cerebrale Infantile3, presentano frequentemente limitazioni del sistema visivo e del sistema motorio, le quali rappresentano due tra le principali modalità di contatto sociale e distanziamento. Tali elementi possono far facilmente comprendere quanto tali limitazioni percettive e motorie possano interferire con lo sviluppo del Sé, dell’identità e dello sviluppo mentale globale del bambino; il bambino affetto da PCI dovrà integrare complesse esperienze e risposte percettive provenienti dal corpo (11).

È possibile riscontrare delle corrispondenze tra la forma clinica di PCI e alcune caratteristiche mentali dei bambini. Innanzi tutto è necessario sottolineare che i bambini i quali presentano un danno pre-, peri- o postnatale che comporti alterazioni tonico-posturali e/o motorie, subiscono un’estensione della normale fase di simbiosi con numerose problematiche durante la fase di attaccamento e durante il percorso di separazione ed individuazione; oltre alle difficoltà proprie del bambino, è necessario tuttavia considerare anche le possibili problematiche insorte in corrispondenza della nascita che determinano la necessità di terapia intensiva, con conseguenze importanti sulla possibilità di accudimento materno; tali situazioni sono infatti possibili condizioni di depressione e delusioni narcisistiche che compromettono l’attaccamento. (11)

È possibile definire due principali tipologie di alterazioni nel processo di separazione- individuazione:

1) Indifferenziazione Sé/mondo esterno fondata su difficoltà di differenziazione primaria

Tale tipologia di difficoltà è definita senso-percettiva poiché il bambino non riesce a distinguere una sensazione prodotta da un elemento esterno che è separato da lui. L’indifferenziazione primaria può essere suddivisa in due sottocategorie:

  • Indifferenziazione totale: il bambino è incapace di mentalizzare alcuna tipologia di esperienza corporea ed è privo di conoscenza in merito all’appartenenza del corpo alla sua mente;
  • Indifferenziazione parziale: il bambino presenta la possibilità di mentalizzare solo alcune esperienze relative a determinate parti del corpo, ad esempio il tronco.

Poiché l’oggetto non viene riconosciuto come elemento esterno e separato, questi bambini sono timorosi nei confronti del movimento ed è necessaria spesso una grande prudenza nell’approccio a nuovi materiali e nell’apprendimento di nuovi schemi motori. Taluni bambini, caratterizzati spesso da una struttura mentale povera, sviluppano quadri di Ritardo Mentale o Disturbo Generalizzato dello Sviluppo.

2) Indifferenziazione Sé/mondo esterno fondata su difficoltà di separazione mentale

Rientrano sotto tale categoria bambini che presentano la capacità di mentalizzare oggetti del mondo esterno, sono in grado di compiere prestazioni motorie e cognitive, ma, nonostante ciò, presentano un forte tratto di dipendenza dall’adulto di riferimento ed incapacità di autonomia. I bambini affetti da PCI spesso non hanno la possibilità sperimentare la lontananza, la separatezza e le ansie correlate, mediante il movimento. Di conseguenza, inconsciamente, si illudono di non essere separati dalla figura adulta al fine di non dover sperimentare e affrontare le ansie da separazione. Si crea un forte legame con le figure adulte circostanti, quali genitori insegnanti, fratelli, i quali compensano le limitazioni motorie di questi bambini, che si illudono di non avere vincoli di movimento. Tali soggetti possono presentare una struttura mentale disarmonica con aspetti nevrotici e psicotici. (11)

In riferimento alle Paralisi Cerebrali Infantili, a seconda della gravità del quadro clinico le problematiche relative al processo di separazione ed individuazione saranno di entità differente.

I bambini affetti da grave tetraplegia spastica o discinetica, caratterizzati da importanti alterazioni degli aspetti senso-percettivi oltre che motori, possono permanere in uno stato di completa indifferenziazione e dipendenza; in tutti gli ambienti di vita di questi bambini, i comportamenti di partecipazione attiva sono ridotti. La frequente assenza di sviluppo del linguaggio, il quale rappresenta un importante mezzo di differenziazione, rappresenta un ulteriore aggravante che può portare ad un prolungamento dell’indifferenziazione, la quale può diventare talvolta permanente. Il percorso di rieducazione e di riabilitazione deve avere l’obiettivo di favorire l’integrazione delle esperienze senso-motorie e la loro rappresentazione mentale; i tentativi di instaurazione della separazione possono provocare forti angosce, alterazioni del ritmo del sonno e paura di rimanere soli, di conseguenza è fondamentale che le esperienze conducano ad un benessere fisico, elemento essenziale per favorire la rappresentazione mentale.

In alcuni casi l’aspetto dell’indifferenziazione è limitato ad alcuni contesti e condizioni di vita, ad esempio presentano tratti di maggiore dipendenza a casa, oppure a determinati distretti corporei o aree funzionali, ad esempio il controllo sfinterico.

Nei bambini con discinesia, i movimenti distonici possono talvolta rappresentare l’unica modalità di comunicazione oppure un mezzo di difesa; il feed-back rapido tra acquisizione percettiva e motoria, caratteristica tipica della distonia, altera l’esperienza stessa in modo improvviso impedendo, la rappresentazione mentale e la costruzione mentale di un sé corporeo ed interferendo, di conseguenza, con il processo di differenziazione. (11)

I bambini affetti da forme meno gravi di Paralisi Cerebrale Infantile, quali emiplegie o diplegie, presentano generalmente angosce ed ansie da separazione, con difficoltà di separazione e differenziazione mentale. Tali soggetti presentano maggiori capacità motorie e la compromissione degli aspetti senso-percettivi risulta localizzata ai distretti corporei coinvolti con particolari condizionamenti nella costruzione del sé corporeo.

La problematica che più di frequente si verifica è quella definita Disarmonia evolutiva; il soggetto riconosce le limitazioni funzionali e strutturali delle sedi corporee colpite, le quali vengono vissute con un senso di inadeguatezza, e di conseguenza investe eccessivamente su altre funzioni, ad esempio la funzione verbale, mettendo in atto ciò che viene definito “misconoscimento” o “compenso narcisistico”.

Una volta acquisita una determinata competenza motoria, ad esempio la statica eretta o una modalità di spostamento orizzontale, alla prima caduta o momento di insicurezza, questi bambini tendono ad abbandonare l’acquisizione; il motivo di tale comportamento è probabilmente legato all’immagine corporea di sé e all’assenza di un sufficiente appoggio narcisistico. (11)

Analizzate le caratteristiche ed i requisiti del processo di separazione dall’adulto, è importante sottolineare il ruolo chiave della separazione corporea e della possibilità di sperimentare la lontananza e la vicinanza. In tale ottica, l’inserimento all’interno della vita quotidiana di uno strumento che compensi alcune limitazioni fisiche e motorie del bambino, incrementandone l’indipendenza, può rappresentare un elemento chiave all’interno di un più corretto processo di separazione. Nei bambini con grave disabilità motoria, ad esempio in quadri di tetraplegia spastica, l’utilizzo di un ausilio per il mantenimento della statica eretta (Standing) può favorire il distacco fisico dal corpo materno e la possibilità per il bambino di seguire il caregiver nei propri spostamenti, ovviamente in relazione alle difficoltà visive presentate dal soggetto.

Nei bambini con limitazioni nella possibilità di spostamento autonomo, l’utilizzo precoce di un deambulatore o una carrozzina possono favorire l’esplorazione autonoma dell’ambiente e la sperimentazione della lontananza dal caregiver; di conseguenza il bambino può avere la possibilità di fare esperienza delle angosce da separazione tipiche del processo, tuttavia con la possibilità di riavvicinarsi al caregiver in tempi minori rispetto a quelli che impiegherebbe in assenza dell’ausilio.

INDICE

PARTE QUARTA: l’interiorizzazione e l’integrazione dell’ausilio nello schema corporeo

Ausili e ortesi

Con il termine Ausilio o Tecnologia assistiva si intende l’insieme di strumenti che permettono l’adattamento individuale della persona all’ambiente; sono compresi in questo gruppo strumenti che permettono il superamento delle barriere che ostacolano l’accessibilità a determinate tipologie di ambienti e strumenti atti a compensare determinati deficit e limitazioni funzionali del soggetto nella propria vita quotidiana. (13)

Secondo lo Standard ISO 9999, condiviso a livello internazionale, è possibile suddividere gli ausili in dodici classi:

  1. 04 ausili per terapia
  2. 05 ausili per addestramento di abilità
  3. 06 ortesi e protesi
  4. 09 ausili per la cura e la protezione personale
  5. 12 ausili per la mobilità personale
  6. 15 ausili per la cura della casa
  7. 18 mobilia e adattamenti per la casa o altri edifici
  8. 22 ausili per comunicazione e informazione
  9. 24 ausili per manovrare oggetti o dispositivi
  10. 27 adattamenti dell’ambiente, utensili e macchine
  11. 28 ausili per il lavoro e la formazione professionale
  12. 30 ausili per le attività di tempo libero

Tale prima classificazione subisce ulteriori suddivisioni in sottoclassi ed ogni sottoclasse viene ripartita in divisioni. Il criterio utilizzato per realizzare tale classificazione è quello funzionale, ovvero sulla base della tipologia di assistenza che lo strumento svolge nella vita quotidiana del soggetto.(13)

È, tuttavia, possibile classificare gli ausili secondo criteri di differente natura, ad esempio secondo un’ottica funzionale ponendo l’accento sui differenti ruoli degli attori coinvolti:

  1. Ausili protesici e ortesici: utilizzati al fine di compensare limitazioni funzionali. Vengono definite protesi l’insieme di ausili che sostituiscono una funzione o un’area anatomica assente; vengono definite ortesi l’insieme di ausili che compensano una funzione presente ma compromessa applicandosi direttamente al corpo del paziente (ad esempio un tutore gamba-piede)
  2. Ausili adattivi: utilizzati al fine di compensare limitazioni nell’attività e permettendone lo svolgimento (ad esempio una carrozzina elettronica)
  3. Ausili ambientali: utilizzati al fine di rimuovere barriere dell’ambiente (ad esempio un montascale)
  4. Ausili assistenziali: utilizzati al fine di rendere più sicuro e meno gravoso il compito della persona che assiste, non pensato per il soggetto caratterizzato da limitazioni (ad esempio un sollevatore)
  5. Ausili terapeutici: utilizzati per sostenere le funzioni vitali o a prevenire l’insorgenza di complicanze secondarie (ad esempio un ventilatore polmonare portatile o un materasso antidecubito)
  6. Ausili cognitivi: utilizzati per facilitare l’autonomia in caso di disturbi della memoria, dell’attenzione o dell’apprendimento (es. agende portatili)

Alcuni autori inseriscono anche la categoria delle tecnologie riabilitative o educative, ovvero strumenti tecnologici utilizzati in seduta di riabilitazione o in ambito scolastico per favorire l’apprendimento. Essendo, tuttavia, strumenti utilizzati dagli operatori, e non dall’utente, non rientrano propriamente nella categoria degli ausili. (13)

Le categorie di ausili di maggiore interesse per l’argomento qui trattato sono:

  • Ausili per la mobilità personale, ortesi e protesi secondo lo Standard ISO 9999;
  • Ausili prostesici e ortesici e ausili adattivi secondo la classificazione precedentemente presentata;
  • È possibile suddividere gli ausili di maggiore pertinenza in due categorie principali:
  • Ausili dinamici: insieme di strumenti che permettono al soggetto di spostarsi autonomamente nello spazio, quali deambulatori, tricicli o carrozzine sia manuali che elettroniche.
  • Ausili statici, insieme di strumenti che permettono al bambino il mantenimento di una posizione non altrimenti possibile (ad esempio la statica eretta o la posizione seduta), quali Standing, sistemi di postura per il mantenimento della posizione seduta o la tutina Flexa.

Lo schema corporeo

Lo schema corporeo è la rappresentazione mentale presente a livello corticale del nostro corpo; più precisamente può essere definito come sistema neurale in cui l’analisi e la codifica spaziale per l’azione si basa su informazioni multisensoriali costantemente aggiornate sul corpo. (14) Lo sviluppo di tale rappresentazione è collegata all’organizzazione delle informazioni propriocettive, tattili e visive, le quali vengono organizzate e fuse in un’unica e coerente rappresentazione.

È fondamentale sottolineare la differenza che intercorre tra i concetti di immagine corporea, la quale si basa sull’individuazione del corpo, e schema corporeo, il quale si basa sulla localizzazione del corpo; secondo alcuni autori, le informazioni propriocettive4 sono fondamentali per la costruzione ed il continuo aggiornamento dello schema corporeo, mentre le informazioni esterocettive5, in particolare quelle visive, contribuiscono alla costruzione dell’immagine corporea. (15)

Jean Le Boulch (1924-2001), medico francese, professore di educazione fisica e fondatore della psicocinetica, sosteneva che lo schema corporeo si costruisse seguendo tappe di sviluppo atte al raggiungimento, ad ogni livello di organizzazione della personalità, di un’unità provvisoria che deve ricostruirsi ad ogni tappa. Ad ognuna di queste unità provvisorie corrisponde un concetto differente di schema corporeo; è possibile, quindi, suddividere tale sviluppo in 4 tappe:

  • Corpo subito (dalla nascita ai primi 3 mesi di vita): il bambino si manifesta motoriamente attraverso un corpo che sente tramite le stimolazioni provenienti dall’ambiente con una motricità principalmente riflessa.
  • Corpo vissuto (da 3 mesi a 3 anni di vita): attraverso l’esplorazione del proprio corpo e quello della mamma, inizia il processo di differenziazione tra sé e l’altro. A partire dal gioco del lancio degli oggetti, all’utilizzo dell’adulto come tramite per il loro raggiungimento, fino all’acquisizione della deambulazione il bambino forma la coscienza del proprio corpo come strumento di esplorazione e conoscenza. Si parla di corpo vissuto perché la costruzione dell’io corporeo, dell’io psichico, della differenziazione tra sé e l’altro si costruisce attraverso la possibilità che il bambino ha di muoversi ed esplorare attraverso l’azione. La percezione del corpo è quindi legata all’azione. In questa fase il bambino ha una conoscenza del corpo legato alle parti elementari basate sull’esperienza e sulla relazione con l’altro (testa, occhi, naso, bocca, orecchie, pancia, gambe, etc.).
  • Corpo percepito (dai 4 ai 6 anni di età): il corpo viene percepito come unità; il bambino, a partire dalla frammentazione appartenente alle tappe precedenti, si costruisce l’io corporeo percependosi nella propria interezza. Mentre il periodo precedente era rivolto principalmente al mondo esterno, in questo periodo l’attenzione rivolta al corpo stesso. Il bambino è in grado, raggiunta l’unità, di pensare al corpo come oggetto e quindi riuscire ad avere metapensieri legati al proprio corpo. Il bambino è in grado di portare l’attenzione alle singole parti del corpo oltre che alla totalità, diventando più cosciente delle proprie azioni, movimenti, pensieri e quindi anche del suo corpo. L’attività motoria si arricchisce, sia dal punto di vista del controllo posturale-tonico, ma anche dal punto di vista manipolatorio-prassico. In questo periodo il bambino acquisisce la conoscenza delle parti più complesse del corpo (articolazioni, organi interni etc.) ed è in grado di organizzare meglio l’esperienza di orientamento del corpo nello spazio, grazie anche all’affermazione della dominanza ed al riconoscimento di alcuni concetti spaziali, quali destra e sinistra su di sé.
  • Corpo rappresentato (dai 7 ai 12 anni di età): tale fase è caratterizzata dalla percezione delle tridimensionalità del corpo, della successione dei suoi gesti e dei movimenti. Il corpo diventa un punto di riferimento per l’orientamento e la strutturazione spaziale. Il bambino raggiunge una rappresentazione di tipo dinamico; grazie ad una maggiore percezione e memorizzazione dei dati temporali e spaziali è maggiormente consapevole della successione dei gesti, dei movimenti e degli spostamenti. È proprio la consapevolezza di questa percezione che permette la rappresentazione mentale del corpo in movimento. Il bambino interiorizza questa immagine, i movimenti diventano coordinati e fini, man mano è in grado di staccarsi dall’azione concreta e di rappresentarla. In questo periodo il bambino giunge ad individuare la destra e la sinistra sull’altro, cioè a proiettare i rapporti di destra e sinistra rispetto agli oggetti e all’orientamento spaziale: si parla di processo di lateralizzazione. (16)

Lo schema corporeo rappresenta l’elemento chiave per un’adeguata sperimentazione dell’attività motoria nello spazio, per l’organizzazione, la definizione, l’interpretazione e la comprensione del mondo, permette al soggetto la distinzione tra il Sé e il non-Sè ed è il primo nucleo del processo di costituzione dell’identità personale. (17)

La rappresentazione mentale del corpo, lo schema corporeo, non è innata, ma si costruisce a partire dalla nascita ed evolve nei primi 8-10 anni di vita del bambino. I modelli e le rappresentazioni interne si modificano continuamente in base ai movimenti, alle azioni ed alle esperienze vissute dal bambino. Durante lo sviluppo le possibilità di movimento ed azione sull’ambiente circostante evolvono, di conseguenza le rappresentazioni ed il meccanismo di previsione delle azioni, risultante dalla relazione tra i movimenti eseguiti e gli effetti provocati, deve anch’esso evolversi ed aggiornarsi.

Alla base della costruzione dello schema corporeo vi è la relazione madre-bambino ed il processo di attaccamento; l’interazione ed il dialogo tonico tra il corpo del bambino e quello materno rappresentano la prima tipologia di esperienza corporea sperimentata oltre che la principale modalità di comunicazione affettiva ed emotiva nelle prime epoche della vita con fortissime ripercussioni sul sistema motorio, tonico e muscolare.

L’aspetto propriocettivo, il quale fornisce informazioni sulla posizione del corpo e sul movimento dei segmenti corporei, è uno dei principali elementi che contribuisce alla costruzione dello schema corporeo.

Problematiche relative alla funzione propriocettiva conducono ad una alterazione della rappresentazione mentale del corpo e, conseguentemente, a difficoltà nella pianificazione, esecuzione e nel controllo della motricità globale e fine che richiede una accurata competenza nel definire i rapporti spaziali tra i propri segmenti corporei e l’ambiente circostante. (18)

Lo schema corporeo rappresenta una entità fortemente dinamica e a carattere multisensoriale; esso non è, tuttavia concepibile esclusivamente in un’ottica senso- motoria e di controllo posturale, ma è anche correlata alla pianificazione dell’azione e del movimento in relazione ad uno scopo all’interno di uno spazio extracorporeo. Di conseguenza, le esperienze del corpo rappresentano un tassello fondamentale nella costruzione del sé.

Sono state individuate alcune regioni cerebrali che sono coinvolte nella costruzione dei modelli interni delle azioni; tra queste si rilevano la corteccia prefrontale, le cortecce

motoria primaria e premotoria, l’area motoria supplementare, la corteccia parietale, i gangli basali e il cervelletto. Tutte queste aree cerebrali evolvono e maturano durante lo sviluppo presentando importanti modificazioni della materia grigia e della materia bianca. Numerosi studi affermano che le modificazioni dello schema corporeo e dei modelli interni non avvengono esclusivamente in conseguenza al movimento ed alle azioni eseguite nell’ambiente, ma anche dalle informazioni sensoriali che derivano dall’esecuzione di tali azioni.

È possibile affermare che finché un organo o un distretto corporeo non riveste un ruolo funzionale all’interno dell’azione, non è ancora completamente integrato al corpo di cui fa parte e conserva una parte di individualità e di esteriorità. (17)

In conclusione, quindi, è presente a livello cerebrale la rappresentazione mentale del corpo, definibile schema corporeo; tale entità si costruisce durante il corso dello sviluppo mediante le innumerevoli esperienze motorie, l’integrazione delle informazioni sensoriali la pianificazione dell’azione in relazione ad uno scopo e si modifica durante l’intera durata della vita.

Schema corporeo, ausili e disabilità.

Innanzi tutto, è necessario comprendere l’entità della differenza delle esperienze vissute da un bambino normodotato ed un bambino con disabilità, a seconda delle proprie limitazioni. Per fare ciò possiamo considerare l’esempio di due organismi con due differenti corpi: il primo potrebbe possedere un corpo di dimensione doppia rispetto al secondo, oppure potrebbe deambulare verticalmente mentre il secondo potrebbe farlo orizzontalmente; in alternativa, il primo potrebbe essere dotato di organi sensoriali rivolti in un’unica direzione, mentre il secondo potrebbe avere una possibilità di visione di 270°; il primo potrebbe essere dotato della capacità di percepire in parte le onde elettromagnetiche, mentre il secondo no.

In conseguenza a tali caratteristiche ipotizzate, al movimento eseguito dalla prima tipologia di corpo considerato corrisponderanno una quantità ed una tipologia di informazioni percettive non accessibili al secondo organismo, anche considerando l’ipotesi che i due corpi si spostino dai medesimi punti di partenza ai medesimi punti di arrivo. Allo stesso modo il secondo organismo percepirà porzioni del mondo esplorato che rimarranno nascoste al primo organismo.

Definite le differenze tra le tipologie di esperienze percettive, anche le scelte di azione e le modalità di movimento messe in atto dai due organismi differiranno, conducendo a differenti esperienze percettive e di azioni, e così via. (19)

Allo stesso modo, è possibile affermare che soggetti affetti da differenti tipologie di disabilità motoria, sensoriale e cognitiva sperimentano il proprio corpo ed il mondo circostante in modalità spesso molto differente rispetto ad un individuo normodotato.

In questi soggetti è possibile introdurre, all’interno della vita quotidiana, alcuni strumenti che possano compensare le limitazioni, favorire l’autonomia e facilitare le esperienze motorie e l’esplorazione.

Nella vita quotidiana di ciascun individuo normodotato è previsto l’utilizzo di differenti tipologie di strumenti per il raggiungimento di una varietà di obiettivi (pensiamo ad esempio all’utilizzo della forchetta durante i pasti); l’esito di tale utilizzo è rappresentato dal raggiungimento dello scopo e dalla modificazione dell’oggetto su cui si agisce. Quando parliamo di strumento intendiamo un mezzo mediante il quale il soggetto raggiunge una determinata finalità; possiamo quindi affermare che nel concetto di strumento sono implicitamente comprese una o più finalità ed un “funzionamento” attraverso cui lo strumento stesso, inteso quindi come mezzo, lo concretizza. Spesso il confine tra il soggetto e l’oggetto diventa vago, indefinito e labile, al punto da farci identificare con lo strumento stesso. Il fatto che l’azione e l’oggetto possano essere rappresentati in un unico formato corporeo rappresenta la capacità della mente umana di estensione ed incorporazione di un oggetto e coglie la relazione che si può instaurare che viene definita Embodiment 6.

Tra gli esperimenti più importanti nello studio dell’incorporazione di un elemento esterno al corpo, vi è la Rubber Hand Illusion (RHI) (Botvinic e Cohen 1998). In questo esperimento i partecipanti vengono fatti sedere con le mani appoggiate su un tavolo; tra le due mani viene posizionato un separatore, in modo che il soggetto non veda la propria mano sinistra, ed una mano di gomma nella zona visibile di fattezze identiche a quella nascosta. Le mani sono state stimolate contemporaneamente in modo coordinato con l’utilizzo di due pennelli; continuando la stimolazione, il soggetto avrà l’illusione che la mano fittizia sia la sua vera mano su cui vengono proiettate le sensazioni tattili fornite dal pennello. Inoltre, oltre all’esperienza di attribuzione d’identità, si assiste anche ad una modificazione della localizzazione della posizione della mano reale, percepita più vicina all’arto finto. Tale modificazione viene definita drift ed indica quanto la percezione di un corpo esterno possa essere incluso nel proprio. Affinché l’arto sia percepito come proprio, non è necessario che questo sia identico all’arto biologico, ma è fondamentale che la stimolazione sia sincrona e coerente nella direzione, che la mano si trovi allineata ad una distanza inferiore a 30 cm da quella biologica, che abbia la forma e la dimensione di una mano e che sia dello stesso lato della mano biologica. (Figura 1) (20)

Figura 1. Rubber Hand Illusion (Metzinger, 2009)

Figura 1. Rubber Hand Illusion (Metzinger, 2009)

Dall’esperimento RHI si deduce che la rappresentazione del corpo è modificabile; possedere un corpo non è sufficiente per descriverne e localizzarne le parti, ma è fondamentale possedere una rappresentazione corticale malleabile che varia al variare delle sensazioni e delle percezioni provenienti dal corpo. (20)

Tale esperimento ha condotto a numerose riflessioni, tuttavia non è equiparabile all’Embodiment di uno strumento poiché il movimento o qualsiasi azione dell’arto ne determinano il fallimento. Sono stati, dunque, eseguiti ulteriori esperimenti: ai volontari sono stati forniti e fatti utilizzare alcuni strumenti che estendono il braccio (ad esempio un rastrello); successivamente è stato chiesto ai partecipanti di segnalare i punti dove venivano eseguite stimolazioni tattili su dito medio, polso e gomito prima e dopo l’uso di tali strumenti. Confrontando le risposte, è stato osservato un errore sistematico di valutazione della localizzazione della stimolazione immediatamente dopo l’uso dello strumento, ovvero i partecipanti tendevano a sovrastimare la lunghezza del braccio.

La riflessione che ne scaturisce è che l’utilizzo e l’integrazione di uno strumento nella rappresentazione del corpo durante l’esecuzione di un movimento comporti anche una modificazione dell’immagine corporea più stabile.

Di conseguenza, De Vignemont e Farnè (2010) hanno ipotizzato l’esistenza di due processi di Embodiment:

  1. Percettivo, con particolare riferimento all’esperimento della Rubber Hand Illusion e al concetto di immagine corporea non legato al movimento
  2. Motorio, con riferimento al concetto di schema corporeo che regola il movimento. Nell’ambito di tale tipologia di Embodiment, l’esperienza e la frequenza di utilizzo dello strumento rappresenta un elemento cruciale, oltre alle caratteristiche fisiche dello strumento stesso. (20)

In un esperimento eseguito nel 1996 (Iriki, Tanaka e Iwamura) sono state registrate le attività di singoli neuroni visuo-tattili parietali in primati non umani in situazioni di utilizzo (dopo due settimane di addestramento) e non-utilizzo di uno strumento per il raggiungimento di una ricompensa (Figura 2)

I neuroni analizzati sono situati in corrispondenza della corteccia centrale intraparietale, vengono definiti “neuroni bimodali” e sono suddivisi in neuroni distali e prossimali. I neuroni distali (che corrispondono alla zona distale dell’arto superiore, ovvero alla mano) si attivano solo per eventi strettamente legati alla mano, mentre quelli prossimali (che corrispondono alla zona prossimale dell’arto superiore, ovvero al tronco) si attivano solo per attività all’interno del raggio d’azione del braccio; inoltre è stato evidenziato che, dopo aver utilizzato il rastrello, il campo recettivo dei neuroni di tipo distale si estende e risponde a tutto il rastrello e a tutto il raggio d’azione disponibile mediante l’utilizzo di tale strumento.

Di conseguenza, è possibile affermare che esista una stretta relazione tra l’utilizzo di strumenti con effetti dinamici su specifiche strutture neurali e lo spazio corporeo. È importante sottolineare che a livello neurale l’espansione del raggio d’azione si verifica esclusivamente durante l’utilizzo attivo ed intenzionale dell’oggetto e non con la semplice prensione. (14)

Figura 2. Utilizzo degli strumenti in primati non umani (14)

Figura 2. Utilizzo degli strumenti in primati non umani (14)

Successivamente, sono stati eseguiti ulteriori esperimenti affini che hanno evidenziato come il medesimo fenomeno avvenga anche per movimenti distali più fini come quello di prensione; più precisamente, è stata registrata l’attività neurale durante l’afferramento di un oggetto mediante l’uso della mano e di una pinza dopo un adeguato periodo di addestramento; è possibile osservare come la pinza diventi parte stessa della mano e la punta dello strumento assumano il ruolo delle dita. Tale integrazione avviene con pinze con qualsiasi modalità di funzionamento, dimostrando così che, oltre all’incorporazione nello schema corporeo lo strumento venga codificato nei sistemi motori come se fosse una mano artificiale in grado di interagire con l’ambiente. (20)

Mentre nei macachi è necessario un periodo di addestramento, l’utilizzo intelligente di strumenti anche complessi sembra essere una capacità peculiare della specie umana, probabilmente in conseguenza dell’organizzazione cerebrale e la specializzazione nelle abilità prassiche e linguistiche.

È possibile, dunque, ipotizzare che l’utilizzo per tempi prolungati di uno strumento nello svolgimento di un’azione o nel raggiungimento di un obiettivo possa portare a fenomeni di plasticità profondi e duraturi, in relazione alla flessibilità e alla specificità dello strumento stesso. Ausili, ortesi e differenti tipologie di strumenti utilizzati dai soggetti con disabilità possono fornire autonomia ed indipendenza attraverso una nuova forma del corpo che include lo strumento utilizzato, il quale è in grado di permettere il movimento o estenderlo.(20)

Quando parliamo di utilizzo ed interiorizzazione di uno strumento, è necessario definire due concetti fondamentali:

  1. Trasparency: caratteristica dell’esperienza di utilizzo funzionale ed efficace di uno strumento che permette di essere “più vicini” con l’obiettivo dell’azione piuttosto che con lo strumento utilizzato, come se lo strumento diventasse “trasparente”
  2. Affordance: definita come l’insieme delle potenzialità dell’oggetto così come percepite dal soggetto.

Entrambi gli elementi devono essere presenti all’interno di un corretto ed efficace processo di Embodiment.

In uno studio condotto su soggetti affetti da lesione spinale che utilizzano una carrozzina nella propria vita quotidiana, è stato osservato che la propria carrozzina personale, ma non una estranea o appartenente ad un altro soggetto, è inglobata nella propria rappresentazione corporea e considerata come parte del proprio corpo. Nel caso in cui l’interiorizzazione dello strumento utilizzato fosse mancante, è possibile che il soggetto metta in atto un vero e proprio ripudio delle parti del corpo affette da limitazione e coinvolte nell’utilizzo dello strumento.

In secondo luogo, le modificazioni della rappresentazione corporea sono associate ad importanti cambiamenti anche della rappresentazione dello spazio extracorporeo. Più precisamente, solo quando il soggetto è seduto sulla propria sedia a rotelle è in grado di rappresentare mentalmente il movimento all’interno dello spazio peripersonale. Inoltre, quando la sedia a rotelle utilizzata non è interiorizzata all’interno dello schema corporeo, per questi soggetti la pianificazione dell’azione diventa impossibile e vengono utilizzate esclusivamente strategie visive per stimare ed interpretare lo spazio circostante.

Nei soggetti che utilizzano un ausilio o, più in generale, uno strumento, quale ad esempio una sedia a rotelle per lo spostamento, il confine dell’ausilio stesso viene inglobato all’interno di un’immagine corporea allargata. Tale caratteristica è riscontrabile in soggetti affetti da varie tipologie di patologie e limitazioni, quali paraplegia e tetraplegia. Alcuni soggetti riportano sensazioni di perdita o mancanza di parte del proprio corpo quando non sono seduti sulla propria sedia a rotelle, mentre, al contrario, affermano di provare una sensazione di integrità corporea quando posizionati sull’ausilio. (21)

È importante sottolineare che un basso livello di inclusione o una mancanza di autostima e fiducia in se stessi sembrano condurre con maggiore facilità alla non-accettazione di un ausilio e potrebbero influenzare le capacità di utilizzo da parte del soggetto.

La prescrizione dell’ausilio giusto per ciascun individuo dipende da multipli fattori:

  • Le caratteristiche fisiche dello strumento in termini di comfort, disponibilità, funzionalità e durevolezza;
  • Le caratteristiche del soggetto utilizzatore, quali età, entità delle limitazioni fisiche e cognitive, obiettivi perseguiti tramite l’utilizzo dello strumento
  • Caratteristiche dello strumento e del soggetto in termini di tempistiche della patologia e dell’adattamento dello strumento, abilità e competenze sociali.

Come già sottolineato precedentemente, il processo di Embodiment, definito come la forte connessione che si instaura tra uno strumento e la percezione del proprio corpo, riveste un ruolo cruciale nell’utilizzo di un ausilio. L’assenza di Embodiment ed interiorizzazione contrasta un utilizzo efficiente dello strumento e contribuisce al suo rifiuto. L’inclusione di un elemento esterno, tuttavia necessario, per permettere, ad esempio, lo spostamento autonomo nello spazio, può essere vissuto dall’individuo come estraneo ed alieno e portare, di conseguenza, ad una opposizione nei confronti dello strumento stesso. Il sistema-corpo è in grado di riconoscere un oggetto come esteriore e potrebbe considerare uno strumento o un ausilio interamente separato da se stesso, impedendone l’inclusione e l’auto-identificazione corporea. (21)

Inoltre, nonostante l’ausilio rappresenti la possibilità di eseguire spostamenti autonomi e contribuisca al re-inserimento sociale del soggetto, esso può porre maggiormente l’attenzione sulla disabilità dell’individuo rendendo necessario tenere in considerazione gli aspetti emotivi dell’esperienza di interiorizzazione-incorporazione. (21)

Gli strumenti utilizzati devono dunque essere inglobati all’interno delle funzioni cognitive dell’individuo e devono essere percepitivi come mezzi attraverso i quali è possibile esplorare il mondo esterno a partenza dal proprio mondo interno. Inoltre, è fondamentale che lo strumento si integri nell’immagine di sé, costituita anche dalle limitazioni fornite dalla disabilità, andando a compensare le limitazioni, favorendo l’esplorazione autonoma e modificando il sé.

INDICE

PARTE QUINTA Significato funzionale dell’ausilio e qualità di vita

La prescrizione di un ausilio o un’ortesi ha il fine ultimo di compensare o vicariare una limitazione più o meno importante che caratterizza il soggetto. Durante tale processo, è fondamentale scegliere la tipologia di strumento da adottare andando a considerare le caratteristiche fisiche e motorie del soggetto, il possibile beneficio funzionale, gli ambienti di vita in cui tale ausilio verrà utilizzato e le barriere architettoniche presenti, la motivazione all’utilizzo, la facilità di gestione da parte del paziente e dei caregiver.

Nell’indagare i riscontri funzionali e gli effetti sulla qualità di vita derivanti dalla prescrizione e dall’utilizzo di un ausilio o un’ortesi faremo riferimento all’International Classification of Function, Disability and Health Children and Youth Version (ICF-CY), classificazione derivante dall’ International Classification of Function, Disability and Health (ICF; WHO, 2001), progettata per rilevare le caratteristiche dello sviluppo del bambino e l’influenza dell’ambiente che lo circonda. Tale classificazione utilizza un linguaggio comune al fine di riscontrare specifiche problematiche riguardanti strutture e funzioni corporee, limitazioni dell’attività e della partecipazione manifestate durante l’infanzia e l’adolescenza in relazione a innumerevoli fattori ambientali.

Di seguito verranno trattate le implicazioni funzionali dell’utilizzo di un ausilio e il relativo impatto sulla qualità di vita secondo la suddivisione presente all’interno dell’ICF- CY:

  • Funzionamento e disabilità
    • Strutture e funzioni corporee
    • Attività e partecipazione
  • Fattori contestuali
    • Fattori ambientali
    • Fattori personali

Strutture e funzioni corporee

All’interno della sezione riguardante le strutture e le funzioni corporee7, l’ausilio e l’ortesi verranno considerati secondo un punto di vista strettamente fisico-anatomico-fisiologico.

L’inserimento di uno strumento come un ausilio o un’ortesi conduce a delle modificazioni di pattern all’interno di una funzione acquisita o può fornire la possibilità di svolgere funzioni precedentemente impossibili al soggetto. Ad esempio, l’inserimento di una specifica ortesi in un soggetto caratterizzato da un pattern d’appoggio del piede viziato durante la deambulazione consente una maggiore funzionalità dello spostamento, il contrasto delle deformità, un possibile aumento della velocità di cammino e la riduzione della fatigue e del dolore se presenti. Oppure, l’inserimento di un deambulatore posteriore fornisce la possibilità di acquisire la funzione cammino al fine di permettere al bambino uno spostamento il più possibile funzionale e autonomo.

In una revisione sistematica condotta su pazienti affetti da Spina Bifida8, è stato osservato che l’utilizzo di tutori AFOs (Ankle-Foot Orthosis) in associazione a stampelle canadesi ha effetti positivi su numerosi aspetti cinematici e cinetici del cammino, sulle caratteristiche del passo e sul consumo di ossigeno durante la deambulazione.

L’utilizzo di ortesi per gli arti inferiori, scarpe ortopediche o ausili per il cammino nei bambini con tale patologia persegue l’obiettivo di prevenire le deformità articolari, proteggere i piedi caratterizzati da una compromissione della sensorialità, distribuire il carico, migliorare il pattern del cammino e ridurre il costo energetico di tale spostamento. (22)

Alcuni studi all’interno di questa revisione hanno misurato la velocità di cammino attraverso la gait analysis 3D, la quale risulta aumentata. Da un punto di vista clinico, l’incremento nella velocità di deambulazione corrisponde ad un miglioramento del pattern di cammino ed è considerato significativo.

La riduzione del consumo di ossigeno che viene riportata viene considerata come segnale di una maggiore efficienza del cammino, una diminuzione della fatigue ed un aumento dei livelli di attività fisica svolti quotidianamente.

È fondamentale, al fine di favorirne l’efficacia, che l’ortesi adottata venga personalizzata sul soggetto.

In uno studio condotto su bambini affetti da Paralisi Cerebrale Infantile che utilizzano ausili per il mantenimento della posizione in statica eretta (Standing), sono stati identificati alcuni benefici:

  • La possibilità di cambiare posizione: i bambini con PCI sono spesso costretti a mantenere la posizione seduta per gran parte della giornata; l’utilizzo di uno Standing permette il mantenimento di una posizione differente con i conseguenti benefici non solo dal punto di vista fisico, ma anche dal punto di vista delle interazioni sociali e della possibilità di osservare l’ambiente circostante ad un differente livello.
  • Il miglioramento nel controllo del capo: secondo alcuni fisioterapisti, tale elemento contribuisce all’incremento della partecipazione nella vita quotidiana, ad esempio durante le lezioni scolastiche.
  • La possibilità di effettuare lo stretching dei muscoli successivamente al mantenimento della posizione seduta, talvolta anche per 10 ore consecutive, con la conseguente riduzione del rischio di contratture e retrazioni, soprattutto in corrispondenza della zona poplitea.
  • Il miglioramento delle funzioni vescicale e intestinale: il mantenimento della posizione antigravitaria verticale mediante l’utilizzo di uno Standing incoraggia i movimenti intestinali; tale elemento rappresenta uno dei principali motivi per l’utilizzo di uno Standing.
  • La riduzione del rischio di contratture e del dolore ad esse correlato; inoltre, è stato anche ipotizzato l’aumento della densità minerale ossea.
  • La possibilità di mantenere e garantire il movimento e la mobilità delle articolazioni, soprattutto al fine di prevenire eventuali complicanze a causa dell’ignoto che caratterizza la crescita di questi bambini. Anche in questo caso, il dolore rappresenta un elemento fondamentale.
  • L’agevolazione della funzione respiratoria e la prevenzione della scoliosi; alcuni fisioterapisti sostengono, infatti, che l’allineamento del tronco e del cingolo pelvico, garantito dalla posizione in statica eretta, sia cruciale per queste due tipologie di benefici.
  • La prevenzione ed il ritardo di eventuali interventi chirurgici, soprattutto in bambini caratterizzati dal livello V secondo la classificazione GMFCS9
  • La riduzione del rischio di piaghe da decubito e lesioni da pressione legate al mantenimento della posizione seduta.
  • La possibilità per il bambino di rilassarsi maggiormente, infatti l’ausilio Standing fornisce un supporto maggiore rispetto alla sedia a rotelle.
  • La riduzione degli spasmi (23)

In una revisione condotta sugli effetti e le conseguenze derivanti dall’utilizzo di ausili e ortesi per l’equilibrio e la mobilità personale, sono stati identificati alcuni benefici e vantaggi derivanti dall’impiego di tali strumenti; più precisamente in tale studio sono stati considerati le stampelle canadesi e i deambulatori.

In primo luogo, canadesi e deambulatori vengono prescritti per incrementare l’autonomia di spostamento del soggetto e l’equilibrio; tali strumenti aiutano anche nell’alleviare il dolore derivante da particolari condizioni patologiche. Generalmente le stampelle canadesi vengono prescritte a soggetti con un livello moderato di limitazione, mentre il deambulatore è prescritto a soggetti caratterizzati da debolezza generalizzata, incapacità degli arti inferiori a sopportare il peso corporeo, scarso controllo dell’equilibrio. (24)

I benefici fisici e fisiologici derivanti dall’utilizzo di tali strumenti sono:

Stabilizzazione biomeccanica; con il termine equilibrio si intende il controllo delle posture e del movimento del centro di massa corporea (COM) nel rispetto dei limiti imposti dalla larghezza della base di appoggio (BOS). Per garantire l’equilibrio, COM deve essere posizionato sopra la BOS.

L’utilizzo di un deambulatore o delle stampelle canadesi aumenta la Base di Appoggio e contemporaneamente permette la tolleranza di una maggiore escursione del Centro di Massa Corporea senza la perdita di stabilità.

Figura 3. Base di appoggio senza l’utilizzo di ausili per la mobilità.(24)

Figura 3. Base di appoggio senza l’utilizzo di ausili per la mobilità.(24)

Figura 4. Base di appoggio con l’utilizzo di ausili per la mobilità.(24) - 1Figura 4. Base di appoggio con l’utilizzo di ausili per la mobilità.(24) - 2

Figura 4. Base di appoggio con l’utilizzo di ausili per la mobilità.(24)

Un altro elemento che contribuisce alla stabilizzazione biomeccanica del soggetto è la possibilità, mediante l’utilizzo di ausili per la mobilità, di generare una forza di reazione con funzione stabilizzante a livello degli arti superiori. Tale possibilità aiuta i soggetti a mantenere una maggiore stabilità e a recuperarla in caso di perdite dell’equilibrio. Ad esempio, durante il cammino di un soggetto affetto da emiparesi, la forza generata a livello degli arti superiori può ridurre l’instabilità laterale facilitando lo spostamento del Centro di Massa verso l’arto sano. Numerosi studi dimostrano il ruolo degli ausili per la mobilità nella stabilizzazione biomeccanica; Ashton-Miller et al. dimostrarono che in 8 pazienti affetti da neuropatia periferica, l’utilizzo di una stampella canadese incrementava la loro capacità di mantenere l’equilibrio durante il passaggio dall’appoggio bipodalico all’appoggio monopoladico su una superficie instabile. È stato inoltre osservato che l’utilizzo di una stampella canadese permetteva l’aumento della lunghezza del passo e la riduzione della base d’appoggio.

Il deambulatore rappresenta una tipologia di ausilio di maggiori dimensioni, ma che fornisce un livello di stabilità superiore; tale ausilio permette di allargare maggiormente la base di appoggio, elimina la difficoltà di mantenere l’equilibrio monopodalico, può essere avanzato durante la fase più stabile di equilibrio bipodalico e l’allargamento della base di appoggio permette all’arto in fase di oscillazione di essere avanzato senza destabilizzare il centro di massa corporea e rispettando i limiti imposti dalla BOS. Inoltre, un deambulatore permette di utilizzare entrambi gli arti superiori per generare la forza di reazione e garantire maggiore stabilità. (24)

Riduzione del carico agli arti inferiori; tale beneficio risulta particolarmente importante in pazienti caratterizzati da ipostenia, dolore articolare o differenti patologie con compromissione degli arti inferiori. Un ausilio per la mobilità permette, infatti, di ridurre il livello di reazione verticale al terreno esercitata dagli arti inferiori, necessaria per mantenere la posizione in statica eretta. Tale elemento

si osserva durante l’utilizzo sia di un deambulatore che di una o due stampelle canadesi. Non è, tuttavia, ancora chiaro se la riduzione del carico a livello degli arti inferiori sia esclusivamente dovuta dalla presenza di un appoggio per gli arti superiori o se contribuiscano altri elementi, quali la riduzione della velocità di deambulazione o l’adozione di un differente pattern di cammino. (24)

Maggiore controllo della propulsione, della velocità e dell’arresto del cammino; l’utilizzo di un ausilio per la mobilità contribuisce a generare la forza di propulsione orizzontale al suolo e facilita l’avvio e l’arresto del cammino. Tale elemento è di particolare importanza i quei soggetti con particolari difficoltà del dare inizio o nel terminare un movimento a causa di condizioni di dolore, ipostenia o compromissione nel controllo motorio degli arti inferiori; inoltre, può aiutare il paziente a perseguire un movimento maggiormente fluido ed efficiente.(24)

Aumento delle informazioni somatosensoriali; per il mantenimento di una determinata posizione, il sistema nervoso centrale necessita di riceve continue informazioni sulla posizione e il movimento dei differenti segmenti corporei rispetto all’orientamento nello spazio. Le informazioni tattili provenienti dalle zone distali degli arti superiori contribuiscono alla stabilizzazione posturale del corpo; di conseguenza, gli ausili per la mobilità personale possono fornire nuove informazioni di orientamento spaziale al fine di contribuire al controllo dell’equilibrio da parte del Sistema Nervoso Centrale.

In conclusione, ciascuna tipologia di ausilio, a seconda della propria natura, fornisce la possibilità di far fronte e bypassare una o più limitazioni che caratterizzano il soggetto, permette l’acquisizione di capacità e funzioni non possibili al soggetto o favorisce un miglioramento del globale funzionamento.

Attività personali e partecipazione sociale

L’inserimento di un ausilio all’interno della vita quotidiana permette l’acquisizione di nuove funzioni ed abilità, con il conseguente ampliamento delle possibilità di azione sull’ambiente da parte dell’individuo.

Se si considerano i soggetti in età pediatrica, la principale attività che caratterizza la loro vita quotidiana, che risulta fondamentale per un corretto sviluppo su più versanti (cognitivo, emotivo, sociale, etc.), è il gioco. A seconda della fase di sviluppo del bambino, si possono osservare differenti modalità di gioco; soprattutto nelle prime fasi dell’infanzia, l’ausilio può risultare un’importante risorsa per favorire attività di gioco in linea con le esigenze di sviluppo del bambino.

Come affermato da Chandler già nel 1997, il gioco rappresenta “la più importante attività, il focus centrale e la principale occupazione dell’infanzia”. Una delle prime e fondamentali tipologie di gioco è il gioco di esplorazione, come definito da Knox, il quale permette al bambino di effettuare nuove scoperte, apprendere nuove informazioni sul mondo circostante e maturare maggiore consapevolezza di sé, del proprio corpo e delle proprie possibilità. Il gioco di esplorazione stimola la curiosità ed incoraggia i bambini ad apprendere continuamente; aiuta nello sviluppo delle abilità personali poiché, durante l’esplorazione, essi mettono in pratica ed allenano capacità apprese precedentemente; motiva il bambino ad apprendere nuove competenze poiché, durante l’esplorazione, essi scoprono nuove attività e capacità che ancora non possiedono.

I bambini affetti da significative disabilità fisiche, che impediscono o limitano fortemente lo spostamento autonomo, sperimentano spesso il gioco di esplorazione in modo ristretto e tendono a fare affidamento su soggetti terzi per il raggiungimento di oggetti di interesse o per facilitarsi nell’attività di gioco.

Tutti questi elementi possono far entrare il soggetto con limitazioni nello spostamento in un circolo di deprivazione, il quale influenza negativamente sia la motivazione intrinseca che sullo sviluppo generale.(25)

All’interno del quadro fin qui presentato, si inseriscono gli ausili per lo spostamento, quali deambulatori, carrozzine, carrozzine elettroniche. Mediante l’utilizzo di tali strumenti, i quali sono direttamente gestiti dal soggetto che ne usufruisce, il bambino acquisisce il pieno controllo del proprio mondo. È stato, infatti, osservato che questi bambini sono meno inclini ad utilizzare comandi verbali verso gli adulti per interagire con l’ambiente circostante e prendono decisioni autonome sull’utilizzo delle proprie abilità motorie per partecipare alla vita quotidiana e nel gruppo dei pari. Grazie agli ausili per la mobilità personale, i bambini risultano maggiormente attivi, autonomi e protagonisti della propria vita quotidiana, dimostrando che è essenziale consentire a questi pazienti di sperimentare al massimo una mobilità indipendente il più precoce possibile.

In alcuni studi che esplorano l’utilizzo di ausili elettrici per lo spostamento è stato osservato che l’abilità di manovrare autonomamente la propria carrozzina elettronica sopraggiunge molto precocemente, ovvero dopo appena 6 settimane dalla consegna dell’ausilio; inoltre, in uno studio condotto su otto bambini affetti da disabilità motoria, osservati durante l’utilizzo dell’ausilio all’interno del gruppo dei pari e in situazioni di gioco, è stato evidenziato come l’ausilio non venisse percepito come limitazione e che i bambini in oggetto considerassero se stessi come equivalenti ai soggetti normodotati. (25)

Focalizzandosi sugli ausili elettrici, caratterizzati da una maggiore facilità nell’essere manovrati e una maggiore velocità di spostamento, sono stati identificati alcuni benefici che caratterizzano la vita quotidiana dei soggetti che ne fanno utilizzo sotto differenti punti di vista:

  • Nuove opportunità di gioco a disposizione e la possibilità di esplorare autonomamente l’ambiente circostante senza restrizioni. La tipologia di gioco messa in atto prima dell’utilizzo di una carrozzina elettronica, viene definita “stazionaria”, limitata spazialmente all’interno della casa e focalizzata quasi esclusivamente su attività che possano essere svolte al di sopra di un supporto statico. Gli ausili elettrici, così come altri ausili per la mobilità personale, forniscono al bambino la possibilità di mettere in atto una tipologia di gioco più attiva, partecipando maggiormente alle attività nel gruppo dei pari.
  • La promozione della scelta autonoma e dell’auto-direttività nelle scelte di gioco anche maggiormente “rischiose” ed “audaci”, e della capacità di perseguire la novità, progredire rispetto ad attività svolte in precedenza. L’utilizzo di un ausilio per la mobilità consente di superare i confini e favorire la crescita della motivazione, perseguire la fiducia nelle proprie abilità e la realizzazione personale. La libertà fornita da questa tipologia di strumenti permette a questi bambini di passare da una situazione di dipendenza dalla figura adulta ad una crescente indipendenza.
  • La promozione del gioco con i genitori e i fratelli, i quali assumono il ruolo di compagni di gioco e non assistenti necessari per aiutare il bambino nel movimento.(25)

Tali elementi favoriscono un generale incremento della partecipazione del soggetto all’interno del proprio contesto di vita.

In una revisione condotta sull’utilizzo della sedia a rotelle da parte di bambini affetti da disabilità di varia natura, sono stati evidenziati i seguenti benefici:

  • Ambito delle competenze sociali e di gioco: sono stati osservati effetti positivi nei comportamenti adattivi e sociali e miglioramento nell’interazione con la famiglia; inoltre, si evidenzia inoltre un incremento delle attività di gioco dinamico all’interno di un ambiente protetto e un potenziamento della qualità del gioco con maggiore sviluppo del gioco di tipo simbolico.
  • Ambito dello sviluppo: sono stati osservati benefici negli ambiti cognitivo, personale-sociale e della comunicazione; l’utilizzo di tali ausili può giovare allo svolgimento delle attività della vita quotidiana, andando a compensare le limitazioni funzionali, e al generale sviluppo del soggetto.
  • Ambito della qualità di vita: l’utilizzo di una sedia a rotelle fornisce una nuova modalità di vita sia per i bambini che per i caregivers; tali strumenti favoriscono la partecipazione alle attività appropriate per l’età del soggetto, la conseguente libertà e le responsabilità correlate. Inoltre, dopo l’utilizzo dell’ausilio i bambini presentano migliori competenze sociali, risultano maggiormente integrati nell’ambiente scolastico e nella comunità e meno bisognosi dell’aiuto di soggetti terzi. (26)

In uno studio condotto sull’utilizzo dell’ausilio Standing per il mantenimento della posizione in statica eretta, già precedentemente considerato dal punto di vista di “Strutture e funzioni”, sono stati evidenziati alcuni benefici dal punto di vista della partecipazione sociale del soggetto all’interno della comunità di appartenenza:

  • Supporta le interazioni sociali permettendo al bambino di osservare l’ambiente circostante da una prospettiva differente e rapportarsi con il gruppo dei pari e gli adulti ad un differente livello di altezza. Sotto un altro punto di vista, tuttavia, è stato riportato che tale ausilio può fornire un effetto di isolamento se all’interno di un ambiente tutti i bambini sono impegnati in attività di tipo dinamico, quale correre, e il soggetto con disabilità è costretto nel mantenimento della statica eretta. Tale elemento può essere spunto di riflessione sulla necessità di adattare l’utilizzo dell’ausilio alle differenti situazioni della giornata al fine di ottenere i migliori benefici non solo da un punto di vista fisico, ma anche psicologico, emotivo e sociale, sempre in rapporto al livello di compromissione del soggetto.
  • Alcuni soggetti riferiscono un incremento nel controllo del capo durante l’utilizzo dello Standing, il quale favorisce una maggiore partecipazione del soggetto a scuola e negli altri ambienti di vita.

Sono state effettuate, inoltre, alcune considerazioni a proposito degli Standing definiti “non-statici” o elettrici; tali ausili presentano le medesime caratteristiche degli Standing tradizionali, permettendo al bambino di mantenere la posizione in statica eretta con tutti i benefici precedentemente menzionati, e sono dotati di ruote o di elettrificazione per permettere al bambino di essere spostato o di spostarsi autonomamente nello spazio, pur mantenendo la posizione desiderata. Tale tipologia di Standing presenta i seguenti benefici:

  • È maggiormente tollerata dai bambini poiché permette al bambino di distrarsi rispetto alla posizione che tale ausilio lo obbliga a mantenere e consente il coinvolgimento e la partecipazione ad una maggiore varietà di attività.
  • Incrementa il livello di partecipazione del bambino, permettendo lo spostamento e il coinvolgimento in attività maggiormente dinamiche con i pari
  • Contribuisce a migliorare la qualità di vita del bambino dal punto di vista emotivo, di soddisfazione e gratificazione personale.
  • Fornisce un maggiore senso di libertà (23)

Fattori ambientali

Tra gli elementi che possono facilitare od ostacolare l’utilizzo di un ausilio vi sono fattori provenienti dal mondo esterno che circonda il bambino e non direttamente dipendenti dalle caratteristiche del paziente stesso; tali elementi vengono nominati “fattori ambientali”.

All’interno di tale categoria sono presenti le “barriere architettoniche”, definibili come qualunque impedimento costruttivo che limita o rende impossibile la fruizione di spazi, edifici e strutture, soprattutto in riferimento a soggetti con difficoltà motorie, sensoriali o psichiche o affetti da altre tipologie di disabilità e che necessitano dell’utilizzo di un ausilio; tali barriere possono essere presenti in tutti gli ambienti di vita del soggetto, a partire dalla scuola, i parchi giochi, la casa, i trasporti etc.

La presenza di tali barriere può ostacolare il livello di partecipazione del bambino nella vita quotidiana, soprattutto in ambito sociale.

In uno studio condotto sulla relazione tra barriere architettoniche e il livello di partecipazione in ambito scolastico è stato osservato che gli studenti con disabilità presentavano un livello di partecipazione minore alle attività extra-scolastiche e le attività sportive della scuola rispetto ai pari normodotati; inoltre, i genitori di soggetti affetti da disabilità identificano più frequentemente i fattori ambientali come responsabili delle difficoltà di partecipazione rispetto ai genitori di soggetti non disabili.(27)

In uno studio condotto sull’utilizzo della sedia a rotelle da parte di bambini affetti da disabilità motoria, è stato osservato che tali soggetti beneficiano maggiormente dell’utilizzo dell’ausilio quando si tiene conto, al momento della prescrizione, delle caratteristiche degli ambienti in cui lo strumento verrà utilizzato. Ad oggi le sedie a rotelle dovrebbero poter essere utilizzate in tutti gli ambienti, tuttavia spazi pubblici mal progettati tuttavia riducono fortemente le possibilità del bambino di prendere parte attivamente alla vita sociale, soprattutto nel gruppo dei pari. (26)

In uno studio condotto sulla modalità di progettazione e costruzione dei parchi giochi per i bambini, è stato affermato che la realizzazione di aree attrezzate caratterizzate da spazi ampi e giochi inclusivi facilita la partecipazione grazie alla riduzione delle barriere. È stato osservato che spazi angusti hanno un maggiore impatto e maggiori conseguenze negative sui bambini con bisogni speciali rispetto i bambini normodotati, mentre spazi più ampi permettono ai bambini con disabilità di muoversi con più facilità anche mediante l’utilizzo di ausili (quali deambulatori o carrozzine), riducono la possibilità di scontri e conflitti e permettono la continuazione dell’attività di gioco per tempi più prolungati. La progettazione di giochi inclusivi accessibili anche mediante l’utilizzo di un ausilio da soggetti con differenti tipologie di limitazioni può favorire una maggiore inclusione sociale all’interno del gruppo dei pari, ostacolare l’isolamento ed ampliare le possibilità fornite dall’ausilio stesso in termini di movimento ed attività, favorendone così un maggiore utilizzo ed accettazione da parte del soggetto stesso. (28)

INDICE

PARTE SESTA: la Family-Centered Care ed il vissuto dei genitori nei confronti dell’introduzione di un ausilio

La Family-Centered Care

Durante la presa in carico riabilitativa di un soggetto in età pediatrica, affetto da differenti tipologie di disabilità e difficoltà, risulta fondamentale ed imprescindibile accogliere non solo il paziente, ma anche la famiglia di appartenenza o, più in generale, il/i caregiver/s a cui il bambino è affidato. Tale tipologia di presa in carico prende il nome di “Family- centered Care”, la quale prevede che la famiglia / i caregivers del soggetto vengano posizionati insieme al bambino al centro dell’intero percorso riabilitativo e di cura.

Il concetto di “Family Centered” deriva da quello più antico di “client-centered”, coniato nel 1940 da Carl Rogers10, psicologo statunitense; con tale termine, Rogers identificava un approccio centrato sulla persona, partendo dal presupposto che ogni individuo possieda la capacità di autodeterminarsi, comprendersi e migliorarsi. Successivamente, nel 1960 l’associazione “Association for the Care of Children in Hospital”, fondata negli Stati Uniti, promosse un approccio nella cura dei bambini ospedalizzati maggiormente olistico, soprattutto considerando l’ambito psicosociale e il coinvolgimento della famiglia.

Più recentemente, il concetto di “Family-centered” è stato utilizzato nell’ambito della riabilitazione pediatrica. Si è verificata una crescente sensibilizzazione e comprensione del ruolo della famiglia/caregivers all’interno della vita del bambino e l’importanza della modalità di visione delle capacità e dei limiti del bambino da parte dei genitori.

Ad oggi, la definizione di “Family Centered Care” prevede tre concetti fondamentali:

  1. I genitori conoscono e desiderano ciò che è meglio per il proprio bambino;
  2. Ciascuna famiglia è unica e differente dalle altre;
  3. I migliori risultati dal punto di vista del funzionamento del bambino vengono raggiunti quando è presente il supporto della famiglia e del contesto comunitario (scuola, gruppo dei pari, ulteriori ambienti di vita);

Di conseguenza, l’approccio incentrato sulla famiglia prevede l’attivo coinvolgimento dei genitori/caregivers nelle decisioni, la condivisione del progetto riabilitativo e degli obiettivi, la collaborazione ed il lavoro di squadra, il rispetto e la fiducia reciproca, l’accettazione da parte degli operatori delle scelte della famiglia, il supporto, il focus sui punti di forza dell’individuo, il trattamento personalizzato, individualizzato e flessibile, la condivisione di informazioni e opinioni, la responsabilizzazione. (29)

All’interno di tale approccio, è necessario che gli operatori sanitari comprendano e adottino specifici comportamenti nei confronti del paziente e dei genitori.

Un percorso di cura orientato sulla famiglia e sul paziente conduce ad un cambiamento nella considerazione stessa del paziente, il quale passa da essere il centro passivo dell’intervento secondo la medicina orientata alla patologia, e diventa parte costituente ed attiva del processo di cura all’interno della medicina orientata al paziente. Di conseguenza tale approccio prevede un rapporto caratterizzato dalla condivisione reciproca e dalla collaborazione ed è orientato alla persona nella sua globalità, comprendendo, quindi, anche il contesto ed il nucleo familiare di appartenenza.

L’ approccio “Patient- and Family-Centered” include 4 principali criteri:

  1. Il coinvolgimento del paziente nel proprio percorso di cura;
  2. L’informazione del paziente da parte del personale sanitario sul proprio stato di salute e le cure necessarie;
  3. La comunicazione tra sanitari e pazienti;
  4. L’accrescimento della consapevolezza di sé;

In uno studio effettuato mediante revisione della letteratura sull’incremento della qualità di vita attraverso la messa in atto di percorsi di cura incentrati sulla famiglia e sul paziente, sono state individuate 5 tipologie di interventi orientate ai membri familiari o ai caregivers:

  • Il sostegno della famiglia, perseguito e realizzato tramite l’offerta di sedute educative per i membri della famiglia al fine di incrementare le conoscenze e le competenze personali nella partecipazione al processo di cura del paziente.
  • Il coinvolgimento dei caregivers e di tutti i componenti del nucleo familiare, fornendo la possibilità di partecipare alle attività di cura.
  • La condivisione delle informazioni con la famiglia, compreso lo stato clinico del paziente, i progressi ed i regressi effettuati e la prognosi;
  • La condivisione delle scelte e del processo di decisione, dove le opinioni dei membri della famiglia sono rispettati e quest’ultimi sono considerati come principali sostenitori e difensori del paziente;
  • L’organizzazione di programmi di supporto ai caregivers e alle famiglie al fine di riconoscere alcune questioni maggiormente problematiche, ad esempio quelle linguistiche e culturali che possono complicare ulteriormente la situazione, ed aiutare i soggetti nell’affrontarle. (30)

È dimostrato che l’approccio incentrato sulla famiglia e sul paziente influenza fortemente il percorso di cura e gli outcome del paziente indipendentemente dalla tipologia di patologia, dall’età del soggetto e dal sesso di appartenenza. Sono stati indicati alcuni specifici effetti sui pazienti con i quali viene adottato tale tipologia di approccio, come l’incremento della conoscenza e della consapevolezza a proposito del proprio stato di salute, l’accrescimento delle abilità nel gestire la patologia e nel mettere in atto comportamenti volti alla tutela dello stato di salute, il miglioramento della soddisfazione sia del paziente e della famiglia che degli operatori, l’incremento della qualità di vita fisica e psicologica, la riduzione del numero e della durata dei ricoveri.

Inoltre, è stato evidenziato anche un importante impatto sui membri stessi della famiglia di appartenenza dei pazienti; interventi “Family-centered” sembrerebbero condurre ad una riduzione del livello di stress, ansia e depressione, all’incremento del senso di soddisfazione e ad un globale miglioramento della relazione con gli operatori sanitari, a favore di una più forte alleanza terapeutica11. (30)

Risulta fondamentale, quindi, accogliere l’intero nucleo familiare all’interno del progetto di cura ed informare sia il paziente che la famiglia su tutto ciò che riguarda il progetto riabilitativo, le scelte terapeutiche e l’adozione di determinati strumenti. È stato dimostrato che fornire un alto numero di informazioni sul percorso di cura, sul livello reale di disabilità del bambino e sulla prognosi, costruendo un rapporto terapeuta-genitore basato sulla trasparenza e la reciproca fiducia, favorisce un minore livello di stress materno/genitoriale. (29) Inoltre, i caregivers maggiormente informati risultano essere coloro che più frequentemente e correttamente eseguono il trattamento riabilitativo a casa (ad esempio utilizzando gli ausili prescritti secondo il tempo prestabilito dagli operatori sanitari o seguendo determinate pratiche/esercizi durante il corso della giornata); il motivo di tale caratteristica è data dal fatto che tali soggetti, essendo maggiormente informati sullo stato di salute del proprio bambino e sulle terapie riabilitative in atto, comprendono in modo più completo l’importanza dell’utilizzo di determinati strumenti o l’attuazione di determinate terapie a domicilio al fine di garantire la migliore qualità di vita possibile.

In alcuni studi condotti sulla relazione tra professionisti e caregivers, è stato evidenziato che i rapporti considerati costruttivi (ovvero che prevedono il coinvolgimento, l’acquisizione di nuove conoscenze, l’apprendimento di nuove abilità ed il prendere decisioni) sono associati con il rafforzamento da parte dei genitori del senso di autoefficacia12 e della possibilità di poter controllare, almeno in parte, le circostanze e le situazioni.

L’approccio “Family-centered” riconosce la diversità e l’unicità, culturale, sociale, economica, educativa etc.) di ciascun nucleo famigliare, accogliendone le caratteristiche e utilizzando differenti tipologie di prospettive al fine di dar vita ad un progetto di cura personalizzato e incentrato sul paziente e sui propri caregivers.

Ad oggi è noto che i migliori outcome in termini di funzionamento globale del bambino si ottengono quando è presente una famiglia supportante in un contesto forte.

L’introduzione di un ausilio: opinioni e vissuto dei caregivers

L’introduzione di un ausilio rappresenta un importante cambiamento all’interno della vita quotidiana sia del bambino, sia della famiglia di appartenenza.

In uno studio condotto nel 2012, sono stati fatti compilare due questionari anonimi ai genitori di bambini affetti da grave disabilità motoria che utilizzano almeno una tipologia di ausilio:

  1. Questionario somministrato con l’obiettivo di conoscere le sensazioni e le emozioni provate al momento della prescrizione del primo ausilio;
  2. Questionario MPOC 2013, il quale valuta l’esperienza dei genitori i cui figli sono affetti da disabilità; più precisamente indaga le percezioni riguardo alla qualità di assistenza ricevuta nell’ultimo anno dagli operatori del Servizio Territoriale di appartenenza che si occupa di fornire assistenza al bambino.

Alla base della scelta di somministrare tali questionari vi è il concetto, basato sull’approccio “Family-centered” che la relazione, il dialogo, il confronto e l’interazione tra i genitori dei bambini affetti da disabilità motoria e gli operatori sanitari, i quali sono i “responsabili” dell’introduzione e della scelta della tipologia di tale ausilio, può contribuire al benessere globale dei genitori, del nucleo famigliare e del paziente, sia in senso positivo che in senso negativo.

I bambini dei caregivers a cui sono stati somministrati i due questionari sono affetti dalle seguenti patologie:

  • 10 bambini affetti da PCI
  • 1 bambino affetto da Spina Bifida
  • 1 bambino affetto la lesione midollare
  • 3 bambini affetti da cerebropatia
  • 3 bambini di cui non è stata comunicata la patologia

L’età media dei pazienti è 2 anni; il bambino di età inferiore ha 8 mesi, il bambino di età superiore ha 6 anni.

Le tipologie di ausili o ortesi utilizzati da tali soggetti sono:

  • 8 seggioloni
  • 2 Standing
  • 6 tutori per gli arti inferiori
  • 2 passeggini
  • Numero non specificato di deambulatori, biciclette e carrozzine
  • Numero non specificato di busti

Questionario 1

All’interno del primo questionario somministrato i genitori hanno dovuto indicare le seguenti informazioni:

  • “Età al primo ausilio
  • Tipo di ausilio
  • Chi lo ha prescritto
  • La diagnosi di suo figlio era già chiara quando è stato prescritto?
  • Le è stato spiegato l’ausilio e la sua utilità?
  • Avete fatto prove?
  • Come si è sentita vedendo l’ausilio per la prima volta?
  • Secondo lei chi le parlava dell’ausilio cercava anche di capire se lei in quel momento stava soffrendo?
  • Ha cercato di parlarle anche di questo aspetto?
  • Qual è l’ausilio che più ha apprezzato tra quelli prescritti a suo figlio?Perché?
  • Qual è l’ausilio che più ha odiato? Perché?
  • Secondo lei come si dovrebbe presentare il primo ausilio a una mamma con un bambino come il suo?
  • Le pesa la parte burocratica?
  • Ha avuto aiuto dalla sanitaria nell’adempimento della prima pratica?
  • Ha un tecnico ortopedico di fiducia?
  • Può essere importante parlare con altre mamme che hanno già avuto questa esperienza?
  • Apprezza la collaborazione tra medico-fisiatra e tecnico ortopedico?”

Dalla raccolta delle risposte fornite all’interno del primo questionario somministrato, sono stati ottenuti ed analizzati i seguenti dati: il 94% dei genitori afferma che è stata fornita un’esaustiva spiegazione sulle caratteristiche e l’utilità dell’ausilio e l’83% degli intervistati afferma che la diagnosi del proprio figlio era già chiara al momento della prescrizione ed adozione dell’ausilio e che sono state prima effettuate delle prove dello strumento con gli operatori sanitari addetti.

Nell’indagine eseguita sulle sensazioni ed i vissuti dei genitori alla prima vista dell’ausilio, è stato osservato che il 27% degli intervistati ha provato un sentimento di forte tristezza alla vista dello strumento, tuttavia il 22% dei genitori si è sentito sollevato dall’esistenza di tali strumenti che forniscono la possibilità di vicariare/compensare le limitazioni caratterizzanti la disabilità ed ha pensato che l’ausilio fosse utile; il 7 % ha pensato che l’ausilio potesse fornire la possibilità di guarire dalla patologia, mentre un ulteriore 7% ha immaginato che lo strumento avrebbe evidenziato maggiormente le limitazioni e la disabilità del proprio figlio. (Figura 5)

Figura 5. Grafico sulle risposte dei genitori alla domanda “come si è sentita vedendo l’ausilio per la prima volta?” (31)

Figura 5. Grafico sulle risposte dei genitori alla domanda “come si è sentita vedendo l’ausilio per la prima volta?” (31)

Il 59% dei soggetti ha affermato che l’operatore sanitario con cui si interfacciava nell’approccio al primo ausilio ha cercato di comprendere le proprie emozioni e l’eventuale sofferenza, ma solo il 17% afferma che tale aspetto sia stato accolto ed affrontato. Inoltre, il 69% afferma di avere un tecnico ortopedico di fiducia a cui fa riferimento.

Tra tutte le tipologie di ausilio utilizzate dai figli dei caregivers intervistati, quelli maggiormente apprezzati e di cui viene più riconosciuta l’utilità sono i deambulatori, i quali permettono la funzione cammino autonoma altrimenti impossibile o fortemente limitata per questi bambini, e i tutori, considerati utili nel contrastare le deformazioni e nel garantire un pattern migliore negli spostamenti. Anche la carrozzina viene generalmente apprezzata poiché fornisce una maggiore possibilità di indipendenza, mentre non viene ben accettato il busto, utilizzato per contrastare le deformazioni della colonna vertebrale.

Figura 6. Grafico sulle risposte dei genitori alla domanda “ qual è l’ausilio che più ha apprezzato tra quelli prescritti a suo figlio?”(31)

Figura 6. Grafico sulle risposte dei genitori alla domanda “ qual è l’ausilio che più ha apprezzato tra quelli prescritti a suo figlio?”(31)

La tipologia di ausilio più difficilmente apprezzata dai genitori sono gli Standing e alcune tipologie di tutori e splint per gli arti; la motivazione per cui tali tipologie di strumenti sono percepiti negativamente da alcuni genitori è perché i bambini risultano eccessivamente legati e costretti quando ne fanno uso.

È possibile quindi affermare che l’introduzione di un ausilio viene percepita positivamente dai caregivers quando questo amplia le possibilità di movimento del bambino, permette di bypassare alcune limitazioni e garantisce una maggiore autonomia di spostamento all’interno della vita quotidiana; gli ausili Standing e alcune tipologie di ortesi possono essere percepite dai genitori come strumenti che forniscono ulteriori limitazioni costringendo i bambini al mantenimento di posizioni statiche per tempi prolungati, impossibilitati ad abbandonare lo strumento senza l’intervento di un adulto.

Dallo studio effettuato è stata inoltre evidenziata l’esigenza per alcuni genitori di ricevere aiuto e sostegno psicologico nell’affrontare l’introduzione di un ausilio, al fine di favorire una maggiore accettazione ed il benessere del nucleo familiare.

Questionario 2 (MPOC-20)

All’interno di tale questionario sono state somministrate alcune domande; di seguito vengono riportate le più significative:

  • “Vi hanno fatto sentire un genitore competente?
  • Vi hanno fornito informazioni scritte su ciò che il vostro bambino sta facendo in terapia
  • Hanno creato un’atmosfera di autentico interesse piuttosto che fornirvi solo informazioni?
  • Vi hanno consentito di scegliere quando ricevere le informazioni e il tipo di informazioni che desideravate?
  • Sono state attente ai bisogni “globali” del vostro bambino (ad esempio, a soddisfare le esigenze mentali, emotive e sociali), anziché solo alle necessità di tipo fisico?
  • Hanno fatto in modo che almeno una persona che presta l’assistenza lavorassecon voi e la vostra famiglia per un lungo periodo di tempi?
  • Vi hanno pienamente spiegato le scelte terapeutiche?
  • Vi hanno dato opportunità di prendere decisioni relative alla terapia?
  • Vi hanno dedicato il tempo necessario per parlare in modo da non farvi sentire sotto pressione?
  • Vi hanno trattato da pari a pari piuttosto che come il genitore di un paziente (per esempio, non riferendosi a voi come “mamma” o “papà”)?
  • Vi hanno dato informazioni coerenti sul vostro bambino, che non variano da persona a persona?
  • Vi hanno trattato come una persona piuttosto che come il “tipico” genitore di unbambino con disabilità?
  • Vi hanno dato informazioni scritte in merito ai progressi del vostro bambino?
  • Ha messo a disposizione informazioni sulla disabilità del bambino (ad esempio le sue cause, come evolve, le prospettive future)?
  • Ha messo a disposizione informazioni in varie forme, come un libretto, kit, video, etc.?
  • Ha fornito consigli su come ottenere informazioni o come contattare altri genitori(ad esempio, una lista delle associazioni di genitori)?”

A ciascuna domanda viene fornito un punteggio da 0 (Non applicabile) a 7 (In misura molto grande).

Dall’analisi delle risposte fornite dai genitori alle precedenti domande, è stato possibile concludere che la maggioranza dei soggetti si è sentito un genitore competente nel rapporto con gli operatori sanitari e questi ultimi hanno saputo creare un’atmosfera personalizzata in cui i genitori hanno potuto percepire autentico interesse nei confronti della propria specifica esperienza con la disabilità e con l’introduzione di un ausilio.

Buona parte dei soggetti riferisce un atteggiamento di attenzione da parte dei genitori alle esigenze mentali, emotive e sociali dei bambini, oltre a quelle fisiche; inoltre, le scelte terapeutiche sono state generalmente spiegate in modalità e misura adeguata.

Un gruppo ampio di genitori ha riferito che è stato dedicato da parte degli operatori il tempo necessario per parlare delle scelte terapeutiche e del proprio bambino senza farli sentire sotto pressione; tuttavia un gruppo di minore grandezza, ma consistente, ha tuttavia riportato un’esperienza contraria.

La maggioranza dei genitori riferisce di aver ottenuto informazioni sulla natura della patologia e sul livello di disabilità del proprio bambino (cause, evoluzione, prognosi e prospettive, etc.).

La maggioranza dei genitori riporta di aver ricevuto un trattamento personalizzato, di essere stato considerato ed accolto non solo come genitore di un soggetto affetto da disabilità, ma come soggetto ed individuo a sé.

È possibile affermare che in generale gli operatori sanitari tendono a non utilizzare modalità scritte o altre forme (libretto, kit, video, etc.) per spiegare e mostrare ai caregivers le scelte terapeutiche adottate. Generalmente non sono state fornite informazioni su come contattare altri genitori di bambini affetti da disabilità motoria (es. associazioni di genitori).

Da tale studio si evince, dunque, che l’ausilio è percepito generalmente positivamente dalle famiglie soprattutto quando questo fornisce nuove possibilità di autonomia ed indipendenza, vicariando e bypassando le limitazioni che caratterizzano il bambino. Risulta esserci ancora poca attenzione psicologica nei confronti del vissuto emotivo della famiglia derivante dall’impatto con l’introduzione del primo ausilio.(31)

In uno studio condotto nel 2018 sul punto di vista dei genitori e dei terapisti riguardo all’esperienza di apprendimento nell’utilizzo di ausili elettronici (powered mobilty), sono state raccolte alcune testimonianze rispetto all’impatto emotivo che l’introduzione di tali strumenti ha portato nei caregivers. Alcuni genitori hanno espresso gioia ed entusiasmo alla vista del proprio figlio che utilizza un ausilio elettronico; altri hanno espresso emozioni varie e talvolta discordanti.

Uno dei genitori che ha partecipato allo studio ha descritto il giorno in cui il proprio bambino ha utilizzato la carrozzina elettronica per la prima volta come il migliore ed il peggiore della propria vita: il giorno migliore poiché ha potuto osservare la gioia sul viso del figlio, il quale per la prima volta aveva la possibilità di decidere e scegliere dove andare e che cosa fare all’interno dell’ambiente; il peggiore poiché ha dovuto ammettere che il bambino non era, e non sarebbe mai stato, in grado di camminare, motivo per cui necessitava di una carrozzina elettronica.

Alcuni genitori hanno riportato di essere stati preoccupati che i propri bambini non potessero utilizzare la carrozzina elettronica in casa a causa degli spazi ridotti o non adatti. Spesso risulta necessario modificare gli spazi di vita frequentati dal bambino mediante costruzione di rampe, ampliamento delle porte e talvolta la struttura architettonica della casa. Molti genitori risultano angosciati dai costi non solo dell’ausilio elettronico, ma anche dell’attrezzatura e le modificazioni relative all’utilizzo dello strumento da parte del bambino. Uno dei genitori che ha partecipato allo studio ha affermato: “durante la gravidanza, tutte le persone ci dicevano che avremmo dovuto iniziare a mettere da parte i soldi per il college, ma nessuno ci disse di iniziare a risparmiare per pagare il costo di una rampa”.

Il caregiver di un bambino di 7 anni affetto da Paralisi Cerebrale Infantile che ha iniziato ad utilizzare la carrozzina elettronica all’età di 4 anni, ha espresso emozioni contrastanti a proposito dell’utilizzo di un ausilio elettronico, in quanto veniva percepito come elemento che sottolineava la disabilità e la continua perdita di indipendenza del proprio bambino. Il genitore di un ragazzo di 13 anni affetto da distrofia muscolare di Duchenne, sottolinea che utilizzare e manovrare un ausilio elettronico diventerà sempre più arduo per il proprio figlio, poiché essa rappresenta un’abilità degenerativa che sarà caratterizzata da un numero di ostacoli crescente.

Da tale studio si evince, dunque, che al momento del primo impatto con l’ausilio i genitori sperimentano un sentimento di perdita di speranza poiché tale strumento viene percepito come l’ultima tappa nel percorso di sviluppo del bambino, in quanto tale ausilio è necessario esclusivamente poiché questi bambini non sono in grado di spostarsi autonomamente. Tuttavia, con il procedere del tempo e osservando l’utilizzo dell’ausilio nella vita quotidiana, la percezione dei genitori può connotarsi positivamente, in quanto essi spostano il proprio focus dalle limitazioni del bambino alle nuove abilità e la maggiore possibilità di partecipazione. (32)

Inizialmente, tutti i genitori possono presentare emozioni e sentimenti contrastanti nei confronti dell’ausilio, elettronico o non; tuttavia, una volta che il bambino ha fatto pratica e preso confidenza con lo strumento, la maggior parte riporta sentimenti positivi conseguenti alla possibilità del bambino di sperimentare indipendenza e controllo dello spostamento(33).

Si osserva inoltre un aumento delle aspettative da parte dei genitori con l’aumentare delle abilità e delle competenze del bambino mediante l’utilizzo dell’ausilio. (34)

Fornire la possibilità di accedere precocemente all’utilizzo degli ausili, permette a queste famiglie di offrire nuove e maggiori opportunità ai propri bambini, osservare e rilevare abilità e comportamenti, affrontare e risolvere, insieme al proprio bambino, i problemi che sopraggiungono; è il bambino stesso che può fornire la possibilità ai caregivers di apprendere nuove conoscenze sulle abilità del bambino e adattare la loro genitorialità, al fine di costruire un ambiente di sostegno allo lo sviluppo. (34)


  • 1 I neuroni specchio sono stati scoperti nel 1995 da Giacomo Rizzolati, Giovanni Pavesi, Leonardo Fogassi, Luciano Fadiga.
  • 2 Termine coniato da Milani-Comparetti che si oppone alla concezione dello sviluppo secondo tappe evolutive rigide e che definisce delle fasi durante le quali si verifica un appuntamento tra l’esigenza del bambino che entra in relazione con l’ambiente e la funzione emergente.
  • 3 Turba persistente ma non immutabile della postura e del movimento, dovuta ad una alterazione organica e non progressiva della funzione cerebrale dovuta a cause pre-, peri- o postnatali prima che si completi la crescita e lo sviluppo del Sistema Nervoso Centrale del bambino (Bax, 1964).
  • 4 Propriocezione: insieme di sensazioni riferite allo stato del nostro corpo, piuttosto che alle sue relazioni con l’ambiente esterno. Tali sensazioni sono dovute a recettori situati nei muscoli, tendini, capsule articolari e, parzialmente, nella cute intorno alle articolazioni. Forniscono informazioni sulla posizione relativa dei nostri segmenti corporei e su direzione, forza e velocità dei loro movimenti. (15)
  • 5 Esterocezione: insieme di sensazioni che originano dall’azione di stimoli provenienti dall’ambiente esterno sulla cute e che possono essere distinte in tre modalità: 1) sensibilità tattile, attraverso la quale vengono percepiti tutti gli stimoli meccanici non dolorosi che colpiscono la cute; 2) termocezione, composta dalle sensazioni del freddo e del caldo; 3) nocicezione, indotta da stimoli meccanici, termici o chimici atti a produrre un danno reale o potenziale dei tessuti e che danno origine ad una sensazione di dolore. (15)
  • 6 Embodiment: mente incarnata, concetto che definisce lo stretto legame tra mente e corpo. Tale teoria è sostenuta da recenti studi della neurofisiologia a partire dalla scoperta dei Neuroni Specchio (Rizzolati), classe di neuroni motori che si attivano durante l’esecuzione di un movimento e durante l’osservazione del medesimo movimento eseguito da un altro soggetto.
  • 7 Strutture corporee: parti anatomiche del corpo come organi, arti e le loro componenti. Funzioni corporee: funzioni fisiologiche del sistema corporeo, incluse le funzioni psicologiche.
  • 8 Spina Bifida: mielomeningocele; patologia caratterizzata da un difetto di chiusura del tubo neurale
  • 9 GMFCS: Gross Motor Function Classification System, Sistema di classificazione nata specificatamente per le PCI a partire dalla GMFM 66 che definisce 5 livelli a seconda delle limitazioni funzionali, della necessità di ausili per la mobilità verticale, o di una carrozzina, e in misura minore sulla qualità di movimento nella vita quotidiana del paziente. All’interno del livello GMFCS V rientrano bambini che sono spostati su una carrozzina manuale da soggetti terzi in tutti gli ambienti di vita, sono fortemente
  • 10 Carl Ramsom Rogers: psicologo statunitense fondatore della metodologia d’aiuto non direttiva ed il primo a parlare di approccio centrato sul cliente o sulla persona.
  • 11 Alleanza Terapeutica: reciproco accordo che s’instaura tra paziente e terapeuta riguardo agli obiettivi del cambiamento terapeutico, ai compiti necessari per raggiungere tali obiettivi ed allo stabilirsi di un legame volto a mantenere una collaborazione attiva tra paziente e terapeuta, basata sulla fiducia e l’accettazione reciproca (Bordin, 1979).
  • 12 Autoefficacia: consapevolezza di essere capace di dominare specifiche attività, situazioni o aspetti del proprio funzionamento psicologico o sociale (Bandura).
  • 13 MPOC 20: Measure Of Process Of Care. Inizialmente nato per esaminare le modalità di erogazione delle cure e l’impatto che queste hanno sul benessere del bambino e della famiglia.

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