Le FUNZIONI ESECUTIVE: Definizione, Localizzazione anatomo-funzionale, Sviluppo, Deficit
Simin Vincenzi
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- Definizione del costrutto
- Tentativi di localizzazione anatomo-funzionale
- Lo sviluppo delle funzioni esecutive
- Deficit delle funzioni esecutive
- Conclusioni
Definizione del costrutto
Facendo un’analisi approfondita della letteratura presente sull’argomento, risulta evidente fin da subito che la definizione di questo costrutto è stata, fin dall’inizio, complicata e di non facile applicabilità. Molti autori, i cui nomi e i cui modelli di riferimento verranno riportati di seguito, hanno cercato di dare una definizione il quanto più possibile esplicativa e univoca, dando però vita a teorizzazioni differenti e talvolta contrastanti sulle singole funzioni esecutive, cosa che ha certamente influenzato l’approccio allo studio delle stesse.
Murel Lezak (1983) le definisce, capacità cognitive che rendono un individuo in grado di eseguire un comportamento indipendente, finalizzato e adattivo.
In linea è la descrizione che ne danno Stuss e Knight (2002) come processi necessari per mettere in atto comportamenti orientati verso un obiettivo.
Baddeley (1986;1990) invece si sofferma su un altro aspetto di queste facoltà mentali, definendole un complesso di meccanismi che consente di ottimizzare la prestazione in situazioni che richiedono la simultanea attivazione di processi cognitivi differenti.
Proprio in virtù di questi processi cognitivi differenti definire tale concetto non è semplice, in quanto non si riferisce ad una singola entità, bensì ad un insieme di diversi processi interconnessi, necessari per svolgere un determinato compito. Pertanto, va ricordato che la loro suddivisione teorica, che analizzeremo in seguito, è atta ad indagare le singole abilità nello specifico, le quali però lavorano in modo sinergico e interdipendente.
Nonostante le notevoli divergenze sulla definizione del costrutto, vi è una generale condivisione circa il fatto che le funzioni esecutive siano funzioni corticali superiori deputate al controllo e alla pianificazione del comportamento, ovvero quelle abilità che permettono ad un individuo di anticipare, progettare, stabilire obiettivi, attuare progetti finalizzati ad uno scopo, monitorare e, se necessario, modificare il proprio comportamento per adeguarlo a nuove situazioni contestuali.
Un’attenzione particolare va riportata alla capacità di utilizzo di queste abilità in situazioni nuove: Owen (1997) li definisce infatti “processi responsabili di schemi cognitivo-comportamentali adattivi, elaborati in risposta a condizioni ambientali nuove o impegnative”.
Appare evidente come il loro corretto utilizzo sia indispensabile non solo in compiti neuropsicologici complessi, ma anche in comuni azioni della vita quotidiana, la cui esecuzione avviene attraverso una serie di passaggi fondamentali (Rabbitt, 1997; Sannio Fancello, Cianchetti, 2003; Cantagallo et al. 2010):
- L’analisi del compito da svolgere
- La strutturazione dei tempi (sequenziamento)
- La pianificazione strategica e flessibile delle sequenze comportamentali da mettere in atto
- Il monitoraggio dell’esecuzione attraverso processi di modificazione e di adattamento continui (shifting);
- Il riaggiornamento dei dati e delle informazioni (updating) attraverso feedback sia di tipo intrapersonale, sia di tipo ambientale;
- La rappresentazione mentale del compito che include sia le informazioni rilevanti codificate nella memoria sia gli obiettivi futuri da raggiungere
Sono proprio le Executive Function, con la loro azione sinergica e integrata, a rendere possibile queste fasi di svolgimento dei compiti, più o meno complessi.
Sebbene la natura molteplice o unitaria di questo costrutto sia ancora discussa, come vedremo andando ad analizzare i modelli neuropsicologici elaborati dai principali autori, tramite un’analisi della letteratura si sono potute individuare delle abilità di base specifiche, condivise dai teorici e indagabili singolarmente nella pratica clinica.
Fanno quindi parte delle funzioni esecutive:
- L’Inibizione – capacità di focalizzare l’attenzione sui dati rilevanti ignorando i distrattori ed inibendo le risposte motorie ed emotive non inerenti al compito
- La Flessibilità – capacità di passare flessibilmente da uno stimolo ad un altro in base alle informazioni provenienti dal contesto
- La Pianificazione – capacità che consente di formulare una sequenza di azioni al fine di raggiungere una meta
- La Memoria di lavoro – capacità di attivare, mantenere ed elaborare informazioni riguardanti il piano e l’area di lavoro
- L’Attenzione (sostenuta, divisa e selettiva) – capacità di centrare la consapevolezza su aspetti rilevanti dell’ambiente esterno
- La Fluenza – capacità di pensiero divergente e abilità di generare soluzioni nuove e diverse rispetto ad un problema
Come già sottolineato, questa suddivisione non va intesta come un insieme di abilità a compartimenti stagni, non interagenti tra loro, ma bensì come singole abilità interconnesse che si manifestano in contemporanea nei processi mentali attuati in base allo scopo da raggiungere.
È ovviamente possibile indagarle singolarmente, in quanto possono esserci aree deficitarie e maggiormente carenti, ma va tenuto a mente che non è possibile isolare i vari costrutti, piuttosto si può valutare l’insieme dei processi interagenti in cui un’abilità è prevalente sulle altre.
Ecco che le FE possono essere definite come l’insieme dei processi cognitivi sottostanti la selezione di azioni specifiche in un determinato contesto.
Il dominio esecutivo non si esaurisce nelle elaborazioni puramente cognitive sopra elencate, ma chiama in causa meccanismi che hanno parte nella regolazione delle emozioni, del comportamento e della motivazione, motivo che ha portato negli ultimi anni alla formulazione di una distinzione dicotomica che vede da una parte le Funzioni esecutive Hot e dall’altra le Funzioni Esecutive Cool (Zelazo et al., 2004)[1].
Infatti, non può esistere un’operazione cognitiva pura: l’influenza dei sistemi sottocorticali e dei nuclei del sistema emozionale è continua. In qualsiasi compito cognitivo svolto sotto osservazione, può emergere un’ansia da prestazione non sempre controllabile. Deve esserci quindi un equilibrio implicito tra il sistema emotivo motivazionale e quello cognitivo di controllo, in funzione dell’adattamento e dello scopo del momento[2].
Questo aspetto va sempre tenuto in considerazione nel momento in cui si effettua una valutazione o un training sulle funzioni esecutive, in quanto parte integrante ed indissolubile di tali processi.
Fino a pochi decenni fa, si considerava che le FE fossero funzionalmente immature fino alla tarda adolescenza, a causa dello sviluppo tardivo del sistema anatomo-funzionale che si ritiene correlato ad esse, ciò ha portato a una generale disattenzione nel loro studio per quanto concerne l’età evolutiva, favorendo l’attenzione verso la popolazione adulta. Un’ulteriore difficoltà, era data dal fatto che i test standardizzati disponibili erano troppo complessi per essere somministrati ai bambini.
Fortunatamente, la situazione è notevolmente cambiata, in primo luogo per l’interesse verso la neuropsicologia cognitiva dello sviluppo e per l’evidenza che le compromissioni nelle FE rivestono un ruolo importante in numerosi disturbi dell’età evolutiva[3].
Seguendo la rapida crescita nel campo della ricerca clinica delle FE, si è sviluppato anche l’interesse per lo sviluppo tipico, normativo delle FE durante tutto l’arco di vita[4], con la proposta di nuovi strumenti di misura adatti per le varie fasce di età; da segnalare il recente sviluppo dell’interesse per lo sviluppo tipico e atipico delle FE in età prescolare[5].
Tentativi di localizzazione anatomo-funzionale
Il costrutto delle FE è storicamente legato alla nozione di metafora frontale[6].
Già nel 1848 i diari del medico Harlow descrivevano i sintomi da lesione frontale del minatore P. Gage (Damasio, 1994).
Il fisiologo Bianchi all’inizio del Novecento, dopo diversi studi, elenca le funzioni frontali che vengono a mancare in caso di lesione: incapacità di guidare il comportamento in base all’esperienza passata, difficoltà nel riconoscimento di oggetti noti, mancanza di iniziativa, incoerenza comportamentale, perdita delle emozioni secondarie.
Le FE sono state, infatti, associate tradizionalmente alla corteccia prefrontale o corteccia associativa frontale, a partire dall’osservazione dei disturbi specifici nei pazienti adulti con danno localizzato ai lobi frontali.
Tale area cerebrale, dal punto di vista anatomo-funzionale, può essere suddivisa in tre unità operative principali, ciascuna con le sue caratteristiche:
- Corteccia dorso-laterale, con funzioni di memoria di lavoro necessarie alla selezione e al mantenimento in memoria degli obiettivi e del comportamento da attuare
- Corteccia ventro-mediale, deputata all’integrazione degli aspetti emotivi e motivazionali necessari al proseguimento dell’azione
- Corteccia orbitofrontale, con funzione prevalentemente inibitoria sia sul comportamento che sulle spinte istintuali
Infine, sebbene non faccia parte della corteccia prefrontale, essendo situata in circuiti sottocorticali profondi, anche la corteccia cingolata anteriore ha il suo ruolo nei processi cognitivi, nell’identificazione degli errori effettuati dopo l’attuazione di un determinato comportamento, insieme al giro frontale superiore, implicato nella selezione e flessibilità di un compito da eseguire[7].
L’analisi della sintomatologia a seguito di una lesione prefrontale specifica, ci aiuta a capire meglio il suo coinvolgimento nei processi cognitivi ad essa deputati. Andiamo quindi ad analizzarla nel dettaglio, in base all’area coinvolta.
Lesioni della corteccia prefrontale dorsolaterale hanno le seguenti manifestazioni:
- Facile distraibilità
- Tenenza ad orientare l’attenzione verso stimoli non rilevanti rispetto al contesto
- Ridotta capacità di giudizio e valutazione critica delle circostanze
- Scarsa flessibilità cognitiva, rigidità comportamentale e risposte ripetitive
- Difficoltà ad affrontare situazioni complesse
- Deficit della memoria di lavoro
Il comportamento risulta nell’insieme disorganizzato e caotico, non appropriato al contesto e al fine da raggiungere.
Lesioni della corteccia orbitofrontale hanno invece queste manifestazioni[8]:
- Alterazione dei processi decisionali
- Alterazione dei processi di risoluzione dei problemi
- Alterata regolazione dei comportamenti socialmente adattivi
Lesioni della corteccia cingolata anteriore si presentano così:
- Mutismo acinetico con marcata apatia, mancanza di iniziativa e di attività spontanea
- Alterazione dell’inibizione comportamentale
- Difficoltà a controllare l’interferenza agli stimoli distraenti
Spesso questi pazienti hanno prestazioni normali ai test neuropsicologici, che non riescono a riprodurre l’estrema complessità delle situazioni di vita quotidiana, dove si manifestano più o meno gravi alterazioni del comportamento data l’incapacità di perseguire azioni dirette ad uno scopo e di inibire gli impulsi.
Da quanto descritto si può facilmente concludere il ruolo cruciale di queste aree cerebrali nella regolazione delle funzioni esecutive, la cui lesione non da però luogo a un danno specifico, bensì ha effetto su tutte le FE e quindi sulla regolazione e sull’uso di tutte le aree della cognizione, comprese attenzione, memoria, problem solving, abilità motorie e autoregolazione emotiva.
Il fatto che un danno cerebrale specifico non dia luogo a un deficit altrettanto specifico, ma coinvolga più domini, ha portato gli studiosi a ipotizzare che non ci sia una corrispondenza lineare e biunivoca tra singole abilità cognitive e aree corticali corrispondenti. La suddivisione anatomica e funzionale sopra descritta non ha quindi margini così netti e sono presenti ampie aree di sovrapposizione, a causa della complessità anatomica e dell’eterogeneità delle aree a cui ci riferiamo.
Queste ipotesi sono supportate dall’evidenza di numerose connessioni della corteccia prefrontale con altre aree cerebrali, in particolare:
- La corteccia parietale posteriore, che sembra coinvolta nella riconfigurazione delle risposte e nelle modificazioni comportamentali
- I gangli della base, fondamentali nei meccanismi di rinforzo e ricompensa, nella memoria di lavoro e nell’apprendimento per astrazione
- Il cervelletto, implicato nel problem-solving
Inoltre, sembra fondamentale la connessione tra sistemi corticali e sistemi sottocorticali, che rappresentano i nuclei del sistema emozionale.
Lewis e Todd (2007) sottolineano che alcune forme di regolazione sono attuate da processi esecutivi soggetti a controllo volontario, mentre altre sono attuate da processi automatici, molto più primitivi. Entrambi gli insiemi di processi sono in costante interazione e ciò da origine a un flusso di attività sia cognitiva che emotiva, in quanto è impossibile assegnare un’unica funzione a una struttura particolare.
Lo stesso Luria (1962) che, sulla base di numerose osservazioni cliniche, teorizzò per primo l'esistenza di un sistema di controllo centrale per alcune funzioni di ordine superiore, come la pianificazione, il monitoraggio, l'autoregolazione, prevedeva il coinvolgimento di più aree corticali e sottocorticali interconnesse (corteccia prefrontale, cervelletto, alcuni nuclei sottocorticali).
Risulta necessario tenere presente che queste ipotesi di frazionamento funzionale delle aree cerebrali sono derivate da modelli statistici, mentre il nostro cervello, è costituito da neuroni capaci di adattarsi a diverse aree in modo flessibile (Duncan, 2000):
...the brain is not a standard, mechanical system. It’s a highly complex network of components that interact reciprocally, multiply, and recursively. Moreover, it’s a biological system, and that usually means that the interaction of the components changes their structure. The brain is also fundamentally a self-organizing system. It shifts from states of lower organization to states of higher organization by itself. This happens both in real time (e.g., 500 ms) and in development (e.g., from infancy to school age)
(Lewis & Todd, ib.)
Con l’approfondimento delle conoscenze anatomiche e funzionali della mente umana e le avanzate tecniche di neuroimaging, che hanno permesso la comprensione della profonda complessità della mente umana, si passa così dal termine funzioni frontali, proposto da Luria, a quello di funzioni esecutive, quindi da un significato meno neuroanatomico e più mentale, soprattutto dopo la dimostrazione che le aree cerebrali che sostengono tali funzioni si estendono oltre i lobi frontali.
Recentemente si è iniziato ad analizzare anche una possibile relazione tra geni e funzioni esecutive (Goldberg e Weinberger, 2004) e sono stati descritti diversi polimorfismi dei geni associati alla dopamina, che gioca un ruolo fondamentale nei diversi sotto-processi frontali descritti.
Modelli neuropsicologici di riferimento
Aver riportato un quadro chiaro di quella che è la possibile localizzazione anatomica e funzionale delle funzioni esecutive, ci aiuta non solo a capire meglio la natura dei meccanismi coinvolti (sarà utile comprendere questo tipo di processi soprattutto in fase di maturazione neurobiologica in età evolutiva), ma fa luce sulla molteplicità di modelli teorici creati dagli autori per definire e tentare di analizzare la struttura di queste importanti abilità di modulazione delle facoltà cognitive umane.
Infatti, la difficoltà delle neuroscienze, attraverso neuroimmagini funzionali e metodiche altrettanto avanzate, di definire un’organizzazione gerarchica specifica che permetta di spiegare in modo esaustivo i processi mentali attivati dalle funzioni esecutive, ha dato modo ai teorici di postulare diversi modelli neuropsicologici per spiegare il funzionamento delle stesse, cercando di rispondere agli interrogativi lasciati dalle neuroscienze.
Come affermato nei paragrafi precedenti, sebbene ci sia concordanza su quella che è la definizione generale di FE, c’è meno accordo su quali siano le funzioni principali e preponderanti, su quali siano i meccanismi tramite cui esse interagiscono e soprattutto sulla presenza o meno di abilità separabili e indagabili singolarmente.
È proprio su quest’ultimo punto che si sono divise le teorizzazioni degli autori più affermati, infatti, nel corso del tempo sono stati proposti vari modelli interpretativi, a seconda che le FE fossero da considerare come un costrutto unitario e inseparabile oppure da suddividere in sottodomini indipendenti.
È quindi bene conoscere le principali teorizzazioni presenti in letteratura per avere un quadro più chiaro di un costrutto che di per sè è di difficile interpretazione.
Modelli unitari
Risalgono agli anni Ottanta del secolo scorso i primi modelli cognitivi delle FE a ipotesi unitaria, che prevedono la presenza di un sistema supervisore e che cercano, così, di mantenere in equilibrio la sostanziale unitarietà esperienziale della realtà con i dati che evidenziano una differenziazione dei quadri cognitivi e comportamentali, riscontrati negli studi sperimentali sulle lesioni cerebrali.
Tra i modelli più conosciuti e ritenuti ancora validi per la loro valenza interpretativa, presenteremo il Central Executive Model di Baddeley e il Supervisory Attentional System di Norman e Shallice (entrambi hanno subito dei successivi aggiornamenti, verso versioni multi-componenziali).
L’esecutivo centrale è una componente cardine del modello di Working Memory proposto da Baddeley e Hitch nel 1974[9], tuttavia è rimasto per molto tempo incompreso a causa della sua complessità e della difficoltà iniziale dei ricercatori nel produrre esperimenti capaci di sondarlo a pieno bloccando le altre componenti.
Questo sistema è il punto cardine di collegamento con altri 3 servosistemi:
- Il Loop Fonologico-articolatorio, magazzino specifico per le informazioni fonologiche a capacità limitata
- Il Taccuino visuo-spaziale, magazzino che manipola informazioni visive e spaziali
A questi due sistemi, negli anni 2000 viene aggiunto il Buffer episodico, che permette la conservazione e la manipolazione di breve durata di informazioni multimodali provenienti da codici e sottosistemi diversi. Questo magazzino permetterebbe un recupero cosciente di scene ed episodi, codificati tramite informazioni multidimensionali in modo da creare un complesso cognitivo coerente.
Date le varie sottocomponenti del modello di Baddeley, lo scopo dell’esecutivo centrale sarebbe quello di coordinare l’azione di questi sistemi e al contempo integrarli nella memoria a lungo termine, attraverso lo svolgimento di alcuni compiti fondamentali (Baddeley, 1986):
- Indirizzare risorse attentive su un compito e le conseguenti informazioni rilevanti utili alla sua risoluzione, mantenendo attive nel tempo del processo tali informazioni (attenzione focalizzata e sostenuta)
- Avviare processi utili ai compiti che richiedono flessibilità, riaggiornamenti e manipolazioni dei contenuti della memoria di lavoro
- Inibire le risposte prepotenti ed irrilevanti che interferiscono con lo scopo del compito in atto
Può essere concepito come un sistema supervisore, che controlla i processi cognitivi ed interviene quando essi da soli non sono sufficienti.
In virtù della presenza del Central Executive i processi esecutivi sembrano essere coinvolti ogni qualvolta le informazioni depositate all’interno dei magazzini devono essere manipolate, questo sistema possiederebbe quindi le capacità attentive che consentono la selezione e l’attivazione dei processi di controllo. Infatti, Secondo Baddeley (1990; 1996), esso va considerato più come un sistema attentivo che come un magazzino di memoria.
Possiamo dunque ipotizzare, che la componente esecutiva della Working Memory possa essere inserita nel modello di controllo attentivo del comportamento proposto da Norman e Shallice, del quale discuteremo di seguito.
Infatti, parlando di Sistema attentivo supervisore, o SAS, ci troviamo di fronte ad un concetto molto simile a quello di Esecutivo centrale proposto da Baddeley, in quanto è presente un coordinatore generale di sottosistemi specifici, anche se nell’insieme risulta essere meno complesso e strutturato di quello teorizzato da Baddeley.
Nonostante questo, il Sistema attentivo supervisore, o SAS, proposto da Norman e Shallice nel 1986, fornisce una spiegazione ulteriore che si presta a chiarire alcuni dubbi sui sistemi di coordinamento delle Funzioni Esecutive.
Compito del SAS, sarebbe quello di attuare un controllo volontario e consapevole sui meccanismi cognitivi di base. Esso opera ad un livello superiore, senza controllare direttamente il comportamento, ma modulando i livelli inferiori del sistema, chiamati Sistemi di Selezione Competitiva, allocando le risorse attentive, con lo scopo di attivare e inibire schemi routinari familiari quale può essere ad esempio il guidare la propria macchina.
Il SAS sarebbe coinvolto nella genesi delle azioni volontarie e il suo intervento è richiesto in tutte quelle situazioni in cui la selezione delle routine di base da parte del Sistema di Selezione Competitiva è insufficiente, come nel caso di situazioni nuove per il soggetto, nel prendere delle decisioni o nelle situazioni di pericolo.
L’attivazione di specifiche operazioni da parte del Sistema di Selezione Competitiva avviene infatti in maniera automatica e non richiede l’uso dell’attenzione: il SAS interviene nel processo di selezione, esercitando un effetto di inibizione su tutte quelle azioni che richiedono un controllo attentivo maggiore e che non richiedono risposte automatiche.
In base ad alcuni dati lo stesso Baddeley concordava come il SAS entrasse in azione durante compiti in cui il sistema che controlla attività di routine fallisse o necessitasse di pianificazione ulteriore, notando che quest’ultimo coincideva con le stesse osservazioni su pazienti con lesioni al lobo frontale[10].
Gli autori ipotizzano l'attivazione di questo sistema in situazioni complesse: decisioni, pianificazione, correzioni di errori, nuovi apprendimenti, cambio di risposte abituali, evitamento di pericoli, selezione tra risposte competitive, controllo dell’interferenza.
Un'estensione del modello a cura dello stesso Shallice e di Burgess (1991) prevede la presenza di ulteriori sottosistemi interagenti con quello superiore e fornisce un'esemplificazione del suo funzionamento:
- Una prima attivazione di strategie e schemi di azione di tipo problem solving che permetterebbe di esaminare la situazione, definire gli obiettivi, individuare alternative, scegliere.
- Una implementazione della strategia o dello schema di azione scelto, mediante l'intervento significativo della memoria di lavoro
- Un controllo, monitoraggio ed eventuali modifiche degli schemi attivati.
Aggiornamenti del modello SAS più recenti (Stuss e Alexander, 2000, 2007) si muovono con l'intento di specificare il frazionamento dell'esecutivo centrale, mediante l'identificazione di sotto processi di controllo, tali processi permetterebbero di:
- Iniziare e sostenere l'attivazione di uno schema per le varie risposte possibili, inibendo schemi inadeguati;
- Prestare attenzione costante allo stimolo e alla risposta, soprattutto in compiti nuovi o in situazioni ad alto carico cognitivo;
- Monitorare nel tempo la risposta al compito, utilizzando processi del tipo 'se... allora', al fine di modificare, mantenere o sospendere i processi attivati.
Secondo gli autori, il fatto che ad ognuno di questi processi sia collegato un deficit specifico in caso di lesioni frontali e che i risultati di studi diversi convergano, permetterebbe di identificare la presenza di processi a dominio generale, indipendenti, ma interrelati.
Un ulteriore modello unitario delle Funzioni Esecutive che vale la pena ricordare brevemente è quello di Moscovich e Umiltà (1990) i quali ipotizzano una gerarchia di moduli, dai più semplici come le abilità percettive, ai più complessi come il linguaggio o le abilità di lettura, regolata dal funzionamento di un processore centrale che controlla le operazioni cognitive.
Questo concetto è contenuto all’interno della Teoria Modulare, che teorizza sul tipo di moduli e apprendimenti che si formano nel corso della vita; sono di 3 diversi tipi:
- Moduli di I tipo, non assemblati e con una specificità funzionale, come la percezione dei colori, delle frequenze acustiche, della localizzazione del suono e la percezione visiva.
- Moduli di II tipo, derivati dall’assemblamento di moduli di primo tipo, attraverso l’intervento implicito di un processore centrale che dedica risorse al modulo. Sono moduli di secondo tipo il linguaggio e la percezione visiva.
- Moduli di III tipo, derivano a loro volta dall’assemblamento di due moduli di secondo tipo grazie all’intervento esplicito, quindi volontario e consapevole del processore centrale. Sono moduli di terzo tipo la lettura e l’apprendimento motorio complesso.
Più recentemente Benso (2007) ha proposto un perfezionamento di queste posizioni teoriche, proponendo la presenza di un continuum tra il processore centrale e i diversi moduli, sottolineando come tale connessione sia attivata/disattivata adattivamente da aspetti emotivi e motivazionali.
Modelli frazionali
È doveroso sottolineare che esiste un ulteriore approccio all’analisi delle Funzioni esecutive, il modello frazionale, secondo cui le FE sarebbero abilità specifiche e distinte della mente umana, pur ammettendo un loro grado di interdipendenza.
Passiamo brevemente in rassegna i principali modelli teorici, in quanto forniscono maggiori informazioni circa l’evoluzione del concetto di Funzioni Esecutive:
- Lezak (1995) propone un modello a quattro domini comportamentali distinti, ciascuno con componenti specifiche:
- La decisione intenzionale, ovvero la decisione consapevole di mettere in atto un’azione
- La pianificazione, ovvero la sequenza di azioni da mettere in atto per risolvere un problema
- L’intenzionalità di azione, che permette di cambiare strategia a seconda delle circostanze, mediante i processi di flessibilità e attenzione sostenuta
- L’azione con il relativo monitoraggio, mediante processi di autoregolazione È doveroso far notare che in questo modello, in particolare, la memoria di lavoro non viene presa in considerazione.
- Il Modello fattoriale di Welsh individua tre sottocomponenti costitutive del sistema esecutivo:
- La rapidità di risposta, cioè la capacità di rappresentazione mentale del compito mediante la ricerca di informazioni rilevanti in virtù dell’obiettivo da raggiungere
- L’inibizione o il controllo della risposta impulsiva
- La pianificazione strategica delle azioni da svolgere attraverso la definizione di una sequenza di passaggi
- Il Modello di Diamond (2006) più recentemente proposto, si sofferma soprattutto sulla divisione in sottocomponenti del controllo inibitorio, che è sostanzialmente articolato in:
- Inibizione della risposta, intesa come autocontrollo, disciplina
- Controllo dell'interferenza, a sua volta articolato in inibizione cognitiva (di pensieri, memorie, rappresentazioni mentali) e attenzione selettiva/focalizzata
L’articolazione in differenti componenti del controllo inibitorio sembra essere supportata dalle evidenze scientifiche degli ultimi anni, sebbene esse condividano basi neuronali simili.
Oltre l’individuazione di una divisione in sottocomponenti dell’inibizione, l’autrice sostiene la presenza di traiettorie evolutive diverse anche tra quest’ultima e la memoria di lavoro: sono infatti considerati due domini indipendenti, che agiscono e si supportano sinergicamente, ma ognuno con le proprie caratteristiche e i propri tempi di maturazione.
Verso la definizione di un costrutto dinamico
La controversia circa la natura unitaria o frazionaria delle funzioni esecutive è stata la più accesa su questo costrutto: la risoluzione di essa è fondamentale per capire se una misurazione psicometrica o un’attività specifica siano in grado di coinvolgere una FE isolatamente o se il risultato di queste misurazioni sia “disturbato” dall’intervento di altri processi cognitivi.
Come abbiamo visto, esse sono state a lungo considerate come un’entità unitaria, i primissimi modelli proposti da Baddeley e Shallice, infatti, non ipotizzano alcune sotto-componenti al loro interno.
Queste ipotesi sono state confermate da teorizzazioni circa l’esistenza di una base comune o, comunque, di un meccanismo unificante che caratterizza la natura dei deficit nei pazienti con lesioni al lobo frontale (Duncan et al., 1997; Engle et al., 1999a).
Tuttavia, le moderne evidenze hanno dimostrato come i modelli unitari formulati siano troppo semplicistici per spiegare i processi esecutivi, e che pongano serie difficoltà per la loro misurazione in ambito clinico, terapeutico e di ricerca.
Proprio per questo, sta acquistando sempre maggior consenso l’ipotesi di una natura non unitaria delle funzioni esecutive, viste come un insieme di processi di controllo volontario indipendenti e al tempo stesso interattivi tra loro[11], anche se tutt’ora non siamo in grado di individuare un modello cognitivo a cui far riferimento, in quanto numerose evidenze[12] mettono in luce la scarsa efficacia degli studi di analisi fattoriale o correlazionale utili alla formulazione di teorie e modelli.
È proprio in questo contesto che Miyake et al. (2000) hanno sottolineato la necessità di un nuovo approccio allo studio di questi importanti processi cognitivi, proponendo un modello che evidenzia un costrutto unitario ma costituito da componenti dissociabili, latenti ma moderatamente correlate tra loro. Si può quindi affermare che tale modello faccia da ponte, proponendo un’integrazione tra le teorie unitarie e frazionarie.
Tramite un’analisi sistematica della letteratura esistente, gli autori evidenziano la presenza di 3 funzioni esecutive ricorrenti che, seppure interrelate, poiché ad esse sottostanno processi condivisi, risultano chiaramente operazionalizzabili, quindi, valutabili in modo attendibile:
- Lo shifting tra i compiti o set mentali
- L’updating, ovvero la capacità di riaggiornare e rielaborare il materiale di memoria di lavoro
- L’inhibition, di risposte predominanti o inappropriate
Le ragioni per cui Miyake et al. (2000) si sono focalizzati su queste tre funzioni esecutive sono molteplici:
- Esse sono relativamente circoscritte, quindi definibili più precisamente dal punto di vista operazionale;
- Sono funzioni ad un livello gerarchico più basso rispetto ad altre (ad es. la pianificazione)
- Sono disponibili numerosi test ritenuti misure affidabili di queste funzioni
- Si pensa che queste funzioni target siano richieste nelle performance di compiti esecutivi più complessi[13]
La comprensione di queste tre funzioni di base è indispensabile ai fini di una corretta specificazione di cosa realmente i tradizionali test esecutivi misurino, è utile quindi fermarsi a descriverle brevemente:
- Lo Shifting tra i compiti o set mentali. Questa funzione è definibile come la capacità di adattarsi velocemente e flessibilmente a una nuova situazione misurando le reazioni a stimoli che cambiano in modo costante. Tale abilità, secondo i modelli di controllo attentivo, rappresenta un importante aspetto del controllo esecutivo (Norman & Shallice, 1986).
È fondamentale per poter spiegare le difficoltà che incontrano sia i pazienti con danno frontale che i partecipanti ai test in laboratorio nei compiti che richiedono di passare da un compito ad un altro (Monsell, 1996). Si potrebbe interpretare il processo di shifting come lo spostamento dell’attenzione da un particolare set ad un altro.
- L’Updating. Questa funzione target è strettamente legata alla nozione di Memoria di Lavoro, in quanto l’updating richiede sia il monitoraggio e la codifica delle informazioni in entrata, per poter stabilire la rilevanza per il compito in svolgimento, sia la rielaborazione di informazioni presenti nella Mdl (Morris & Jones, 1990). Questo processo di aggiornamento permette non solo il mantenimento delle informazioni in memoria, ma anche di manipolarle dinamicamente.
- L’inhibition, di risposte predominanti o inappropriate. Riguarda l’abilità di inibire deliberatamente risposte predominante e automatiche quando queste sono inappropriate rispetto al compito da svolgere.
Il motivo per cui questo modello risulta così interessante dal punto di vista sia teorico che pratico, è il fatto che i risultati dello studio di Miyake et al. (2000) mostrano che tali funzioni esecutive sono chiaramente distinguibili, pur rimanendo, come abbiamo detto, sostanzialmente interdipendenti, evidenziando la natura sia unitaria che frazionaria delle FE e aiutando a risolvere la dicotomia tra unitarietà e frazionarietà, che da sola non può bastare a descrivere un costrutto così complesso, che nella realtà comprende entrambi gli aspetti.
Il modello di equazioni strutturali a 3 fattori individuato da Miyake et al. (2000)
Gli autori hanno tentato di interpretare quale sia la natura dell’unitarietà sottostante le funzioni esecutive proponendo due spiegazioni possibili:
- I compiti impiegati nello studio, nonostante indaghino specifiche funzioni, potrebbero condividere alcune comuni richieste del compito, quali il mantenimento degli obiettivi e delle informazioni sul contesto all’interno della MdL. Di conseguenza, l’abilità di mantenere attivamente nella MdL le informazioni riguardanti gli obiettivi assieme ad altre informazioni rilevanti per il compito, durante i processi di elaborazione attiva, sarebbe alla base dell’unitarietà osservata tra le tre funzioni esecutive.
- Tutte e tre le funzioni esecutive, per poter operare in modo adeguato, coinvolgono una qualche forma di processo inibitorio. Ad esempio, la funzione di updating richiederebbe di ignorare le informazioni irrilevanti in entrata oltre che di sopprimere quelle non più rilevanti; allo stesso modo, la funzione di shifting, per poter passare ad un nuovo set mentale, necessiterebbe di sopprimere o disattivare il set mentale precedente. In aggiunta, questo tipo di inibizione, che consisterebbe nella soppressione di informazioni o set mentali irrilevanti o non più necessari, potrebbe essere correlato con il processo deliberato e controllato di inibizione di risposte predominanti, ovvero la funzione di inhibition.
Un altro importante risultato che emerge dallo studio, dimostra che i test esecutivi complessi non sono completamente omogenei, in quanto le diverse FE operano differentemente durante l’esecuzione di tali compiti[14].
Proprio per questo, gli autori fanno alcune precisazioni: le tre analizzate nella loro ricerca non sono assolutamente le uniche funzioni esecutive di base. Permangono, quindi, ancora numerosi interrogativi riguardo alle altre importanti funzioni di base e sulla relazione esistente tra queste e le funzioni esecutive più complesse, come ad esempio la pianificazione.
Nonostante attualmente non esista una tassonomia definitiva, il modello di Mitake et al. (2000) è uno dei più accreditati per l’approccio allo studio e alla comprensione di questi importanti processi cognitivi, se non altro perché mette in luce la presenza di abilità standardizzabili e indagabili nello specifico, senza perdere di vista le aree di sovrapposizione e di influenza reciproca esistenti.
A tal proposito va ricordato che, nonostante gli autori abbiano cercato di individuare delle abilità distinte, è sicuramente azzardato sostenere che una prova psicometrica o una determinata attività coinvolgano una singola competenza, isolatamente dalle altre: esse sono costrutti parzialmente correlati (Danielsson H. et al., 2010).
Questo ovviamente non esclude a priori l’utilità di usare test per il loro studio e la loro individuazione che, come vedremo in seguito, sono uno strumento indispensabile per indirizzare la pratica riabilitativa e in ambito di ricerca, ma pone la necessità di riflettere sul fatto che tali prove indaghino un insieme di processi interagenti, piuttosto che un costrutto singolo[15].
Prima infanzia e tarda adolescenza: lo sviluppo delle funzioni esecutive
Le traiettorie evolutive delle FE sono state oggetto di numerose indagini e studi. La loro maturazione si ritiene direttamente collegata allo sviluppo delle strutture corticali e sottocorticali che fungono da substrato neurale di queste abilità, proprio per questo per lungo tempo la loro indagine si è concentrata principalmente su soggetti adulti, in quanto la maturazione neurobiologica della corteccia prefrontale risulta completa solamente in età tardive. Esiste inoltre una selettività e specificità di sviluppo anche all’interno della corteccia frontale: la regione prefrontale orbitale maturerebbe prima di quella dorso-laterale e i correlati comportamentali di tale ipotesi maturativa fanno ipotizzare una progressione ontogenetica delle diverse funzioni esecutive collegate alle differenti porzioni della corteccia prefrontale.
Fortunatamente, negli ultimi decenni l’attenzione si è spostata maggiormente verso l’età evolutiva, soprattutto per l’evidenza che le compromissioni delle FE hanno un ruolo importante in numerosi disturbi del neurosviluppo, come vedremo successivamente.
Alla loro corretta evoluzione, non concorrono solo variabili relative alla maturazione anatomico-funzionale, ma anche l’influenza degli stimoli ambientali, come il contesto familiare, l’esperienza e la pratica, che possono favorire o ostacolarne la maturazione. In particolare, questi ultimi favorirebbero lo sviluppo di alcune FE nell’ambito di differenze individuali riferibili a influenze genetiche[16]
Il recente interesse per la neuropsicologia dell’età evolutiva ha portato i ricercatori a condurre studi in soggetti a sviluppo tipico, prendendo in considerazione anche il periodo prescolare, epoca precoce in cui sono stati individuati importanti precursori del controllo esecutivo.
Quando parliamo di traiettoria di sviluppo, dobbiamo però ricordare che non tutte le componenti esecutive seguono la stessa linea evolutiva, in quanto alcuni domini cognitivi sembrano comparire prima rispetto ad altri: mentre la funzione inibitoria, sembra raggiungere il suo completamento intorno ai 10 anni (van den Wildenberg e van der Molen, 2004, Brocki e Bohlin, 2004), capacità di shifting e di memoria, presentano stadi di maturazione e completamento diversi: per alcuni autori, a circa 10-11 anni (Huizinga e van der Molen, 2007), ma, per altri autori più recenti, non prima dei 17-20 anni (Zhan et al., 2011); inoltre, processi più complessi, relativi a compiti di pianificazione non sembrano maturi prima dei 17 anni, continuando a migliorare ancora fino ai 20-21 anni (Albert e Steinberg , 2011) e probabilmente anche oltre, nell'età giovanile-adulta.
Notiamo quindi che tale sviluppo non procede in modo lineare e i ricercatori non hanno ancora trovato un accordo circa i tempi di maturazione delle varie FE. Alcuni autori (van der Sanne et al., 2013), ipotizzano che le scelte delle prove e dei metodi di valutazione potrebbero incidere negli esiti rilevati.
Una convergenza maggiore la troviamo tra gli studi che indicano che una completa maturazione del controllo esecutivo non avvenga prima dei 9-12 anni: soggetti inferiori ai 12-15 anni hanno, generalmente, prestazioni inferiori nel dominio esecutivo, rispetto al periodo giovanile e adulto del ciclo di vita. Altri studi, compiuti mediante test classici per le FE, confermano questi risultati evidenziando la loro completa maturazione a circa 12 anni di età (Huizinga et al., 2006).
Studi di De Luca e collaboratori (2003), di Zelazo e collaboratori (2004), rilevano le performance migliori e all'apice del loro sviluppo in questo dominio tra i 20 e i 29 anni.
Gli autori italiani Marzocchi e Valagussa[17], evidenziano problematicità negli studi effettuati in età evolutiva: per quanto concerne il primo aspetto, la maggior parte delle ricerche ha preso in considerazione range di età limitati, perdendo una visione d’insieme dello sviluppo; in particolare molti lavori hanno considerato come target i bambini in età scolare, data la rapidità e la consistenza dei cambiamenti a carico del dominio esecutivo che avvengono in questo periodo, non considerando il fatto che i primi rudimenti esecutivi avvengono in età prescolare.
Successivamente, gli autori mettono in risalto l’impurità dei test e il generale disaccordo sui modelli teorici di riferimento, di cui abbiamo parlato precedentemente.
Pur essendo presenti nel panorama scientifico evidenze maggiormente consolidate, purtroppo non si sono ancora raggiunti degli accordi comuni negli studi su questo settore.
Andrò adesso ad esporre le conoscenze scientifiche più accreditate sullo sviluppo neuropsicologico delle FE dall’epoca neonatale alla prima adolescenza, periodo che si è dimostrato essere il più significativo nella crescita dell’individuo. Va tenuto presente che, se negli adulti sono rilevabili alcune evidenze in riferimento al frazionamento delle FE, queste sono meno presenti in età evolutiva, specialmente nella fascia prescolare, in quanto ci troviamo di fronte a un costrutto unitario.
Le FE nel periodo neonatale
Durante questo periodo non emergono abilità strettamente riconducibili al dominio delle FE, va invece osservata la capacità del bambino di adattarsi, esplorare e attuare strategie nei confronti dell’ambiente circostante, e le emergenti competenze linguistiche e motorie.
Benso (2012) ipotizza la formazione graduale delle diverse funzioni esecutive a partire dai primi mesi di vita, in cui il bambino orienta l’attenzione, prima guidata dagli stimoli e dal sistema di allerta e poi strategicamente volontaria quando il bambino, in attesa di uno stimolo esterno, inizia ad anticiparlo con lo sguardo. Questa prima tappa evolutiva potrebbe indicare la base che precorre lo sviluppo del mantenimento di un goal, di una necessaria memoria sia per la ricerca visiva che per l’evento che si presenterà. Dall’orientamento e dalla successiva focalizzazione dell’attenzione si passa alla selezione dello stimolo immerso tra i distrattori: ciò potrebbe anticipare lo sviluppo del sistema di controllo e di una memoria di lavoro. Hartman e Michael (1997) indicano l’orientamento dell’attenzione come primario sistema di controllo che si svilupperà in modo osservabile verso i 18-24 mesi.
L’adattamento delle prove alle competenze del bambino nella primissima infanzia ha messo in evidenza la presenza di uno sviluppo estremamente precoce delle abilità cognitive, sia per quanto riguarda le FE cool, che le Fe hot (Smith et al., 2004; Zelazo et al., 2004).
Per quanto riguarda le FE cool è stato osservato come il bambino è in grado di conservare il ricordo della struttura dell’obiettivo di un evento di cui è stato protagonista per riutilizzarlo in situazioni analoghe, già a partire dalle 12 settimane di vita.
Inoltre, dai 7/8 mesi iniziano a manifestarsi i primi segni di memoria di lavoro e di controllo inibitorio.
Per quanto riguarda le FE hot, alcune osservazioni sembrano suggerire delle difficoltà nel controllo di questo dominio esecutivo nei primi due anni di vita, sebbene i processi di sviluppo corticale sembrino interessare le regioni prefrontali ventro-mediali, substrato di queste FE, prima di quelle dorsolaterali, tradizionalmente collegate alle FE cool.
Il bambino ha difficoltà specifiche nel regolare le emozioni, posticipare la gratificazione e presenterebbe una modalità di rapportarsi al mondo centrata su di sè.
Le FE nel periodo prescolare
Negli ultimi anni i ricercatori si sono interessati sempre di più all’indagine delle FE in questa importante fascia d’età, in cui risultano incrementi significativi di tutte le competenze del bambino, comprese le abilità cognitive. Marzocchi e Valagussa, dopo un’attenta review della letteratura, sintetizzano le abilità riscontrate in questa fascia d’età, nella quale in particolare osserviamo:
- Una significativa evoluzione del controllo inibitorio e della gestione delle interferenze.
- Lo sviluppo della capacità di generare concetti tra i 3 ei 4 anni (Jacques e Zelazo, 2001)
- Un aumento delle competenze inibitorie tra i 3 e i 5 anni, con un picco intorno ai 4 anni (Diamond e Tylor, 1996; Diamond et al 2002; Brocki et al, 2007)
- La comparsa del controllo attentivo tra i 4 e i 5 anni (Espy et. al, 1999)
- Un miglioramento della flessibilità cognitiva e della capacità di formulare strategie tra i 4 e i 5 anni (Luciana e Nelson, 1998; Smidt et al, 2004).
- La capacità di trattenere un’informazione nella propria mente in un compito tipo span tra i 3 e i 5 anni
- Un incremento dell’abilità di memoria di lavoro a partire dai 5 anni, con la possibilità di conservare e manipolare attivamente le informazioni.
- Comportamenti finalizzati agli obiettivi da raggiungere e lo sviluppo delle capacità di pianificazione.
- Un miglioramento della capacità di prendere decisioni in situazioni in cui entrano in gioco punizioni e gratificazioni (Smidt et. al, 2004)
- Significative modifiche a carico della Teoria della mente tra i 3 e i 5 anni, come la capacità di formulare ipotesi in merito alle credenze altrui e di gestire le false credenze, che emerge intorno ai 5 anni.
Una specifica va fatta sulla flessibilità cognitiva, FE che ha uno sviluppo più tardivo e fino ai 6 anni è fortemente associata alla memoria di lavoro o all’inibizione, tanto da non costituire una dimensione indipendente dalle altre. I compiti di flessibilità cognitiva richiedono, infatti, da un lato di mantenere attive più rappresentazioni contemporaneamente, esercitando un carico sulla memoria di lavoro, dall’altro lato, nel passare da una rappresentazione ad un’altra, richiedono di sopprimere di volta in volta una delle due rappresentazioni.
Possiamo in generale affermare che, durante i primi 6 anni di vita, le FE vengono svolte in modo esterno: i bambini parlano spesso ad alta voce, mentre richiamano alla mente i compiti che devono svolgere. Queste attività permettono loro di sviluppare gradualmente la memoria di lavoro e di passare da una memoria verbale a una non-verbale.
Successivamente, dopo i 6 anni e con l’ingresso alla scuola elementare, i domini cognitivi vengono interiorizzati e i bambini riescono a tenere per sè i propri pensieri (interiorizzazione del discorso auto-diretto).
L’interiorizzazione delle FE si riflette anche sulla loro capacità di autoregolazione: imparano a riflettere su sé stessi, a seguire le regole e ad auto-interrogarsi.
Le FE nel periodo scolare
L’intensità con la quale i cambiamenti a carico dei domini esecutivi avvengono, aumenta significativamente durante il periodo scolare: alcune abilità raggiungono la maturità e risultano sovrapponibili a quelle degli adulti. In particolare, si osservano le seguenti capacità:
- La flessibilità cognitiva raggiunge livelli adulti tra gli 8 e i10 anni (Luciana e Nelson, 2002)
- Tra gli 8 e gli 11 anni, migliorano il controllo inibitorio, la vigilanza e l’attenzione sostenuta. In particolare, si assiste ad un miglioramento della prestazione in prove che coniugano competenze inibitorie e di memoria di lavoro (Carlson, 2005; Gerstadt et al 1994).
- Tra i 7 e gli 8 anni e i 9 e i 12 anni, si evidenzia un incremento della sensibilità ai feedback, del problem-solving e della formulazione di concetti (Levin et al., 1991)
- Incremento della memoria di lavoro in termini di capacità ed efficienza, trai 9 e i 12 anni, insieme ad una maggiore capacità di resistere alle interferenze esterne e interne (Brockie Bohlin, 2004).
- Tra i 9 e i 12 anni e i 13 e i 15 anni, si riscontra un incremento delle strategie di memoria, dell’efficienza nella memoria, della pianificazione, del problem solving e nella formulazione di ipotesi. (Levin et al., 1991)
- Un aumento delle capacità di pianificazione dopo i 12 anni (Luciana e Nelson, 2002)
- Un miglioramento dell’esecuzione di comportamenti finalizzati al raggiungimento di un obiettivo, sulla base delle informazioni esterne (Andersonet al.,2001)
- Si osserva un miglioramento nella capacità di comprendere le emozioni, credenze e intenzioni altrui. È stato riportato un miglioramento in alcune componenti della teoria della mente quali la capacità di comprendere gli inganni sociali e di decifrare le metafore. (Ackerman, 1981; Happè, 1994)
In questa fase di vita i bambini imparano a porsi degli obiettivi, a regolare i propri processi attentivi e le proprie motivazioni, grazie ad uno sviluppo maggiore delle proprie capacità di autoregolazione emotiva.
Con l’acquisizione di queste capacità, sono in grado di utilizzare il proprio bagaglio di esperienze in situazioni nuove, grazie alla possibilità di interiorizzazione dell’esperienza, abilità che gli permette di organizzare i propri comportamenti per raggiungere uno scopo.
Le FE nell’adolescenza
I cambiamenti di questo periodo, sia sul versante cognitivo che esecutivo, permettono alla persona di far fronte alle nuove e crescenti richieste che l’ambiente fisico e sociale gli pongono, sperimentando un senso di indipendenza, responsabilità e consapevolezza sociale.
Tra i 13 e i 15 anni si assiste ad un aumento delle strategie di memoria, dell’efficienza di essa, della pianificazione del tempo, del problem-solving e della ricerca di ipotesi.
A 12 anni maturano inoltre la fluenza verbale e la capacità di pianificare sequenze motorie complesse.
A 15 anni vi è un notevole aumento del controllo attentivo e della velocità di processamento (Anderson et al., 2001) e si ha il raggiungimento di livelli maturi nel controllo inibitorio (Luna et al., 2004).
Trai 16 e i 19 anni, si ha un ulteriore sviluppo della memoria di lavoro (Luna et. Al., 2004), della pianificazione strategica e nel problem-solving (De Luca et al., 2003).
Sul versante dell’autoregolazione emotiva si riscontrano miglioramenti nella presa di decisioni in presenza di ricompense e perdite (Hooper et al.,2004).
Deficit delle funzioni esecutive e disturbi del neurosviluppo
Aver compreso l’importanza che riveste il corretto sviluppo di tutti i domini esecutivi nella maturazione dell’individuo, ci aiuta a comprendere meglio le problematiche a cui possono andare incontro i soggetti che mostrano delle difficoltà in questo delicato processo.
Sebbene il DSM-V citi i deficit delle funzioni esecutive sia nei disturbi globali che specifici, essi non rappresentano una categoria diagnostica a sé, in quanto si manifestano in modo variegato in soggetti con danni neurologici e molte patologie del neurosviluppo, ai quali generalmente ci si riferisce parlando di deficit di regolazione cognitiva e del comportamento.
Proprio il grande ruolo che le FE rivestono in numerose psicopatologie, ha portato la letteratura scientifica a indagare in che modo esse siano implicate nel loro sviluppo, ma quest’ultimo proposito è ostacolato dalla difficoltà di misurarle e studiarle come costrutti singoli, in quanto indissolubilmente legate al compito e al dominio in cui viene esercitata l’attività.
La loro natura trasversale e il loro lento processo evolutivo spiegano perché molteplici disturbi in età evolutiva mostrino una sintomatologia con diversi gradi di severità, segni e sintomi clinici spesso sfumati, aspecifici e di non immediato inquadramento diagnostico. Tutto questo è reso più difficile dal fatto che ad esse si associano non solo difficoltà cognitive ma anche emotive, comportamentali e relazionali.
In generale, in bambini e adolescenti con problemi a carico di uno o più domini esecutivi è possibile osservare i seguenti comportamenti:
- Incapacità ad imparare dall’esperienza
- Distraibilità e sbadataggine
- Difficoltà ad eseguire più compiti contemporaneamente
- Noncuranza e disorganizzazione
- Difficoltà a controllare le risposte automatiche
- Marcata altalenanza nelle prestazioni accademiche
- Scarsa consapevolezza dei sentimenti altrui e delle convenzioni sociali
- Instancabilità e loquacità o, viceversa, ipoattivazione
- Difficoltà nella regolazione delle emozioni
- Impazienza o scarsa tolleranza della frustrazione
- Difficoltà a passare da un’attività all’altra, nello stabilire priorità e rispettare i tempi
- Perdita di cognizione del tempo
- Lentezza cronica
- Procrastinazione o difficoltà ad intraprendere compiti nuovi o impegnativi
Trattandosi di una sintomatologia rilevante, il costrutto delle FE risulta importante sia per motivi diagnostici che terapeutici, in quanto attraverso di esse possono essere meglio comprese le caratteristiche cognitive dei pazienti.
È importante inoltre osservare se esse si differenziano e assumono caratteristiche diverse in base alle singole patologie: è presente una crescente evidenza che diversi disturbi neurologici, neuropsicologici e psicopatologici in età evolutiva, presentino patterns tipici e specifici di compromissione delle FE; poiché il costrutto è articolato in sottodomini è importante stabilire quali siano coinvolti nello specifico.
Numerosi studi mostrano una compromissione pervasiva dei diversi domini esecutivi nell’autismo e nei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo, che risultano essere gravi e persistenti nel tempo[18], seppure con cadute maggiori in abilità quali la pianificazione, la memoria di lavoro e la flessibilità cognitiva.
Altri disturbi dello sviluppo sembrano mostrare un profilo più specifico, con la compromissione prevalente di alcuni sottodomini: l’ADHD, con il deficit di inibizione e attenzione, rappresenta uno dei casi più studiati[19].
Sono presenti numerose atipie anche nei Disturbi specifici dell’apprendimento, soprattutto per quanto riguarda la memoria di lavoro (Gathercole et al, 2004; Swanson, 2003; Swanson e Sachse-Lee, 2001), mentre deficit a carico della fluenza e della flessibilità cognitiva sono stati riscontrati in bambini e adolescenti nati pretermine.
Anche se non si è in grado di individuarne la specificità, in quanto i risultati delle ricerche sono meno univoci, e talvolta contrastanti, sono molte altre le patologie in cui si riscontrano deficit a carico dei domini esecutivi. Li riporto di seguito:
- Disturbi specifici del linguaggio
- Disprassia
- Disturbo oppositivo-provocatorio e della condotta
- Disabilità intellettiva
L’esistenza di profili delle FE caratteristici del disturbo è correlata con il concetto di validità discriminativa[20]. Il problema della validità discriminativa risiederebbe ad un livello di analisi cognitiva attraverso dati relativi a differenze nei livelli e nei profili delle misure delle funzioni esecutive dei diversi disturbi di sviluppo.
Proprio per questo motivo, è importante verificare e indagare l’esistenza di compromissioni specifiche in ambito clinico e non solo di ricerca, con il fine di ricavare un profilo neuropsicologico con la valutazione anche delle FE.
Questo potrebbe rivestire un’utilità al momento della diagnosi, un maggior rigore nella prassi clinica con una potenziale ricaduta positiva sulle scelte terapeutiche; consentirebbe inoltre di individuare sottotipi, anche all’interno di una stessa categoria diagnostica, caratterizzati da indicatori cognitivi e neuropsicologici specifici.
Conclusioni
In questo capitolo introduttivo, ho cercato di definire in modo sintetico ma sufficientemente esaustivo, il costrutto delle FE e l’excursus storico che ha portato alla loro definizione, fondamentale per comprendere meglio con che difficoltà bisogna confrontarsi ancora oggi in ambito di ricerca, in quanto i risultati degli studi scientifici risentono inevitabilmente del modello teorico al quale si riferiscono.
Per quanto riguarda l’ambito clinico, lo svantaggio del non avere un chiaro modello di riferimento, pone il problema dell’operazionalizzazione delle FE, indispensabile sia per individuare eventuali problematiche cliniche sia per indagare l’efficacia di un intervento terapeutico; proprio per questo, l’analisi del comportamento quotidiano al di fuori dei contesti clinici di valutazione costituisce un approccio complementare e di estrema utilità nella valutazione delle funzioni esecutive, come vedremo nel capitolo successivo.
Mi sono anche ampiamente soffermata sulla maturazione dei domini esecutivi in età evolutiva e sulla forte concordanza tra essi e psicopatologia dello sviluppo, con lo scopo di sottolineare l’importanza dello studio di questi costrutti nei processi patogenetici.
Infatti, ritengo che lo studio delle FE nei principali disturbi del neurosviluppo, sia essenziale per comprendere non solo la complessità dei processi che portano al manifestarsi di una determinata patologia, ma anche per delineare un profilo di funzionamento specifico il più completo possibile, che ha come conseguenza quella di indirizzare al meglio l’intervento riabilitativo-terapeutico.
Dimostrare l’interrelazione tra i deficit esecutivi e una sintomatologia specifica, da la possibilità al clinico di agire su più fronti e ciò può avere implicazioni significative sulla qualità di vita del bambino.
- [1] Funzioni esecutive HOT: processi puramente cognitivi che si attivano quando il soggetto è impegnato in problemi astratti e decontestualizzati. (Lewis e Todd, 2007). Funzioni esecutive COOL: aspetti emotivi del funzionamento esecutivo, richiesti in situazioni significative e coinvolti nella regolazione dell’emotività e della motivazione. (Lewis e Todd, 2007)
- [2] Letizia Sabbadini. Disturbi specifici del linguaggio, disprassie e funzioni esecutive Con una raccolta di casi clinici ed esempi di terapia. Springer, 16 maggio 2013.
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- [7] Valeria Flori, Il terapista della Neuropsicomotricità e gli interventi specifici. La riabilitazione neuropsicologica e un protocollo di lavoro sulle Funzioni Esecutive.
- [8] Neil R. Carlson. Fisiologia del comportamento. Piccin-Nuova Libraria, Aprile 2014
- [9] A.D. Baddeley e G.J.L Hitch, Working Memory, in Q J Exp Psychol, vol. 18, n. 4, 1974, pp. 302–9
- [10] A.Baddeley, La memoria umana. p.155, Il Mulino, 1992
- [11] Lo stesso Baddeley (1996), in una successiva riformulazione del suo modello, ha suggerito che la componente esecutiva della WM possa essere frazionabile in più sottocomponenti.
- [12] Duncan et al., 1997; Lehto, 1996; Levin, Fletcher, Kufera, Harward, Lilly, Mendelsohn, Bruce, & Eisenberg, 1996; Lowe & Rabbitt, 199
- [13] Diamond (2013), partendo dal core delle FE costituito dalle tre componenti individuate da Myake e colleghi (2000) e afferma che tali componenti (inibizione, flessibilità cognitiva e memoria di lavoro) basiche permettono la strutturazione, in modo sovraordinato, di capacità di ragionamento, pianificazione e problem solving.
- [14] Ad esempio, gli autori hanno riscontrato che lo shifting gioca un ruolo importante nel Wisconsin Card Sorting Test, e l‟inhibition nella prova della Tower of Hanoi; invece, le prestazioni nel Tower of Hanoi Task dipendono sia dall‟inhibition che dall‟updating.
- [15] Si sottolinea che i test e le prove che verranno illustrate successivamente, ma in generale tutti i test valutativi delle FE, sono impuri in quanto valutano anche i processi in ingresso e in uscita percettivi, motori e linguistici, non esecutivi e che potrebbero interferire con la misurazione. Inoltre, bisogna considerare l’influenza del sistema emotivo-motivazionale.
- [16] Diamond A, Briand L, Fossella J, Gehlbach L. Genetic and neurochimical modulation of Prefrontal cognitive functions in children. Am J Psychiat 2004;161:125-32. Holmboe K, Johnson MK. Educating executive attention. Proc Natl Acad Sci USA 2005;102:14479-80
- [17] Gian Marco Marzocchi , Stefania Valagussa. Le funzioni esecutive in età evolutiva. Modelli neuropsicologici, strumenti diagnostici, interventi riabilitativi, FrancoAngeli, 2011.
- [18] Russell J. Autism as an executive disorder. Oxford: Oxford University Press 1997 Griffith EM, Pennington BF, Wehner EA, Rogers SJ. Executive functions in young children with autism. Child Dev 1999;70:817-32. Happé F, Booth R, Charlton R, Hughes C. Executive function deficits in autism spectrum disorders and attention deficit/hyperactivity disorder: examining profiles across domains and ages. Brain Cogn 2006;61:25-39. Hill EL. Executive dysfunction in autism. Trends Cognit Sci 2004;8:26-32.
- [19] Barkley RA. Behavioural inhibition, sustained attention, and executive functions: Constructing a unifying theory of AD/HD. Psychol Bull 1997;121:65-94. Cornoldi C, Marzocchi GM, Belotti M, et al. Working memory inteference control deficit in children refered by teachers for ADHD symptoms. Child Neuropsychol 2001;7:230-40. Geurts HM, Verté S, Oosterlaan J, Roeyers H, Sergeant JA. How specific are executive functioning deficits in attention deficit hyperactivity disorder and autism? J Child Psychol Psychiat 2004;45:836-54. Sergeant JA, Geurts H, Oosterlaan J. How specific is a deficit of executive functioning for attentiondeficit/hyperactivity disorder? Behav Brain Res 2002;130:3-28.
- [20] G. VALERI, P. STIEVANO Neuropsicologia dello sviluppo e funzioni esecutive Developmental neuropsychology and executive functions. Gior Neuropsich Età Evol 2007;27:195-204