Funzioni Esecutive e introduzione ai modelli

CAPITOLO 1: FUNZIONI ESECUTIVE: INTRODUZIONE AI MODELLI

CAPITOLO 2: LE FUNZIONI ESECUTIVE 

INDICE PRINCIPALE

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CAPITOLO 1. FUNZIONI ESECUTIVE: INTRODUZIONE AI MODELLI

I primi studi che hanno portato a teorizzare il sistema esecutivo di controllo e le funzioni esecutive nascono dall’individuazione delle funzioni frontali (Luria, 1976). Già nel 1848 i diari del medico Harlow descrivevano i sintomi da lesione frontale del minatore P. Gage (Damasio, 1994). Il fisiologo Bianchi all’inizio del Novecento, dopo diversi studi, elenca le funzioni frontali che vengono a mancare in caso di lesione:

  • Incapacità di guidare il comportamento in base all'esperienza passata
  • Difficoltà nel riconoscimento di oggetti noti
  • Mancanza di iniziativa
  • Incoerenza comportamentale
  • Perdita delle emozioni secondarie

Tali osservazioni rimangono valide anche ai nostri giorni; si ampliano invece le regioni cerebrali coinvolte. Il termine funzioni frontali verrà sostituito successivamente con quello di funzioni esecutive, con un significato meno connesso al substrato neuroanatomico e più funzionale, anche per il fatto che le aree cerebrali che sostengono tali funzioni si estendono oltre i lobi frontali. Vari autori hanno utilizzato differenti denominazioni per i propri modelli:

  • Baddeley (1986) definisce il suo modello “Sistema esecutivo Centrale”
  • Shallice (1998) “Sistema Attentivo Supervisore” (SAS)
  • Moscovitch e Umiltà (1990) “Elaboratore Centrale”
  • McCabe et al (2010) “Esecutive Attention”

Le diverse denominazioni del sistema rappresentano sostanzialmente concetti sovrapponibili, che si differenziano per il diverso tentativo di sistematizzazione teorica e di organizzazione ed interrelazioni reciproche   tra le diverse funzioni. Quali e quante siano le funzioni esecutive non è possibile definirlo nemmeno basandosi sulla letteratura. Storicamente ci si riferisce primariamente ai:

  • Concetti di distraibilità e di perseverazione derivati dagli studi sui pazienti frontali (si veda ad esempio Shallice, 1988)
  • Tali concetti vengono in seguito rinominati con i termini controllo e flessibilità (ad esempio in Baddeley, 1989, Shallice, (1988)
  • Miyake e colleghi (2000) prendono in considerazione nel loro studio: inhibition, shifting e updating

Comunque, oltre al controllo e alla flessibilità, sono frequentemente considerati l’avvio, il sostenere l’attenzione nel tempo e il riaggiornamento nella memoria di lavoro (Baddeley,1996).

Altri autori arriveranno ad isolare il problem solving come la funzione esecutiva ideale (Zelazo e Muller, 2002). Altri ancora, come McCloskey, Perkins e Van Diviner (2008), elencheranno ben 23 funzioni esecutive solo inerenti all’autoregolazione. In effetti, non esiste la possibilità di trovare una prova psicometrica che rappresenti appieno una singola funzione esecutiva, in quanto, ogni prova sembra contenere in diverse percentuali almeno le tre funzioni esecutive di base (inhibition/controllo, updating/ riaggiornamento in memoria di lavoro e shifting/capacità di passare da un compito a un altro). Probabilmente, ciò che differenzia i diversi test è una percentuale maggiore di una funzione rispetto alle altre [1].

Lo stesso Luria (1964) [2] che, sulla base di numerose osservazioni cliniche, teorizzò per primo l'esistenza di un sistema di controllo centrale per alcune funzioni di ordine superiore, come la pianificazione, il monitoraggio, l'autoregolazione, prevedeva il coinvolgimento di più aree corticali e sottocorticali interconnesse: corteccia prefrontale, cervelletto, alcuni nuclei sottocorticali.

Gli studi su pazienti adulti con lesioni in aree diverse delle corteccia prefrontale evidenziano, infatti, quadri neuropsicologici parzialmente diversi:

  • lesioni nella parte anteriore orbitale, in genere, causano modificazioni della personalità e disinibizione
  • lesioni nella parte orbito frontale, vicina all'amigdala, all'ippocampo e all'ipotalamo, aree che mediano tra stati interni e stimoli ambientali, presentano generalmente comportamenti disattentivi, impulsivi, difficoltà nel problem solving e nella presa di decisioni, gravi condotte antisociali
  • lesioni nella parte mediale, includente il giro del cingolo anteriore, causano scarso controllo motorio e difficoltà nel mantenere un' attenzione focalizzata
  • lesioni laterali della corteccia prefrontale, causano disturbi di pianificazione delle azioni, soprattutto legate alla gestione delle rappresentazioni mentali utili per raggiungere uno scopo e vengono comprese le difficoltà collegate al linguaggio scritto e parlato.

È bene ricordare che tali funzioni necessitano di un’adeguata quantità di risorse attentive per alimentare i diversi sistemi, compresi quelli di memorizzazione (sui quali si sostengono costantemente).

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APPROCCIO NEUROPSICOLOGICO ALLA BASE DELLA TEORIZZAZIONE DI BENSO

La neuropsicologia è un'autorevole branca di quelle che vengono definite Neuroscienze. Essa si pone principalmente due obbiettivi:

  • Comprendere il funzionamento normale del cervello, elevando a livello di spiegazione le semplici descrizioni comportamentali e neurofisiologiche
  • Offrire dei modelli di riferimento, le architetture funzionali, che inquadrino le osservazioni ricavate nei soggetti "normali" e patologici (nell'ambito clinico) La neuropsicologia è una branca delle neuroscienze che si interessa di costruire modelli mentali (architetture funzionali) delle principali funzioni del cervello.

Gli assunti più condivisi in neuropsicologia sono 3:

  • Modularità: l'architettura del sistema cognitivo e modulare: vi possono essere diversi sistemi che hanno una propria specificità (motricità, linguaggio...) e possono funzionare senza essere influenzati da altri processi
  • Corrispondenza: Esso sostiene che esiste una qualche corrispondenza (non biunivoca) tra l'organizzazione funzionale della mente e l'organizzazione neurologica del cervello. Bisogna chiarire che non esistono aree cerebrali delimitabili del linguaggio, della memoria ma substrati neuronali localizzabili in varie aree del cervello
  • Costanza: afferma che è teoricamente possibile sottrarre una funzione lesionata senza che l'intero sistema venga riconfigurato [1].

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MODULI E MODULARIZZAZIONE

Per i neuropsicologi, un modulo è qualsiasi sistema automatizzabile, anche se complesso, che abbia una sua relativa indipendenza computazionale. Pertanto quando da un imput esce un prodotto finito con un processamento continuo e ininterrotto si può ritenere l'intero sistema come modulare. I neuropsicologi hanno inoltre intuito la sottile ingerenza che c'è da parte del processore centrale che controlla l'efficienza del processo contro il principio di incapsulamento rigido teorizzato da Fodor. A differenza di quanto afferma quest'ultimo, occorre un periodo di tempo per migliorare l'assemblamento di queste macchine e ottimizzare la catena di montaggio: viene introdotto il concetto di "modularizzazione" di Karmiloff-Smith, che comporta l'idea di una fase di sviluppo per i moduli guidata e sollecitata dall'ambiente. I singoli moduli costituiscono insieme un intera catena che può rappresentare moduli complessi come la lettura o l'apprendimento motorio.

Un particolare insieme di funzioni esecutive che sostengono uno specifico modulo, se deboli, possono creare problemi al processo di modularizzazione; viceversa un modulo che ha qualche anomalia al suo interno può generare  squilibrio nello sviluppo delle funzioni esecutive che lo alimentano. Perciò quando un aspetto modulare (linguaggio, lettura, calcolo) non funziona bene, riscontreremo sempre una caduta in qualche prova che misura risorse e funzioni esecutive.

Moscovitch e Umiltà: smentiscono soprattutto il principio fodoriano di "non assemblabilità", introducendo una gerarchia chiarificatrice tra moduli che vengono distinti fondamentalmente in tre tipi:

  • Moduli di primo tipo sono definiti come non assemblati e con una loro specificità funzionale. Appartengono a questa categoria gli atti motori elementari e semplici come i riflessi, i sottosistemi della percezione (colore, forma, captazione della profondità, frequenze acustiche, localizzazione dei suoni)
  • Moduli di secondo tipo: sarebbero moduli di primo tipo assemblati tra loro su base innata da un elaboratore centrale. Tale processore, lavorando implicitamente, fornisce le risorse richieste dal processo di modularizzazione, attraverso spinte predeterminate geneticamente. Sono moduli di secondo tipo il riconoscimento degli oggetti e le abilità linguistiche. Ad esempio, assemblando le caratteristiche della forma, del colore e dell'inclinazione possiamo ottenere il riconoscimento di un oggetto. Questa abilità si sviluppa nel tempo (modularizzazione) ma poi si automatizza e siamo in grado di percepire e definire immediatamente una intera figura che appare nel nostro campo visivo. In questa fase dello sviluppo l'intervento dei sistemi centrali e quindi dell'attenzione, non è dettato dalla volontà del soggetto ma avviene attraversi la dislocazione di risorse a livello implicito e quindi inconsapevole. Moscovitch e Umiltà definiscono “processore dedicato” quella parte di processore centrale che si occupa, in modo implicito della modularizzazione dei sistemi specifici di secondo tipo.
  • Moduli di terzo tipo: l'assemblamento consapevole e voluto di due moduli di secondo tipo porta ai moduli di “terzo tipo”. La lettura e le capacità motorie complesse sono esempi di sistemi specifici di terzo tipo; in questo caso il processore è fortemente implicato attraverso un atto consapevole, cosciente e volitivo. Nel senso che il bambino che apprende a leggere deve volontariamente mantenersi sul compito a differenza del bambino che impara a parlare [1].

Figura 1: ricostruzione della teoria modulare di Moscovitch e Umiltà

Figura 1: ricostruzione della teoria modulare di Moscovitch e Umiltà

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MODELLO DEL CONTINUUM IMPLICITO DI BENSO

Dalla teoria modulare di Moscovitch e Umiltà si origina il modello del continuum (Benso, 2007) [1].

Tale modello viene definito del “continuum implicito” perchè teorizza un collegamento inconsapevole e sempre attivo (continuativo nel tempo) tra modulo e sistemi centrali (linee tratteggiate in figura). I moduli, specialmente i più complessi, non sono mai completamente incapsulati dai processi top down. In particolari momenti possono apparire indipendenti, ma in altre situazioni, spesso bloccati dall'emotività, anche i moduli molto automatizzati come il “camminare” vengono controllati.

È importante chiarire che in neuropsicologia modulo e automaticità non sono termini interscambiabili.

Un modulo (non inteso come vorrebbe Fodor) tende ad automatizzarsi, ma se è complesso non sarà mai completamente automatizzato. La classificazione di Moscovitch e Umiltà aiuta a comprendere come i gradi di automatismo raggiungibili dai moduli siano diversi.Un riflesso di ammiccamento (modulo di primo tipo) è a un livello di automatismo superiore di un gesto motorio complesso (modulo di terzo tipo). Il fatto stesso che vi sia una fase di modularizzazione (alla “Karmiloff-Smith) molto lunga per i moduli di terzo tipo, fa comprendere che il perfezionamento non finirà mai. Questo lo sanno bene i professionisti di qualsiasi arte e sport che hanno raggiunto i livelli massimi nella loro disciplina.

Per questo tipo di moduli più complessi è stato teorizzato (Benso, 2007) una sorta di processore “dedicato” (così definito da Moscovitch e Umiltà per i moduli di secondo tipo) che è stato chiamato “condensatore”. Esso è deputato a fornire energie autonome (senza richiamarle dal processore centrale, quando il modulo funziona “parzialmente incapsulato” dai sistemi top down). Guidare la macchina è un modulo complesso che utilizziamo spesso compiendo altri compiti leciti, come parlare con la persona vicino a noi. A volte, non ci si ricorda nemmeno del percorso appena fatto, tuttavia una sorta di attenzione certamente c'è stato se non abbiamo avuto incidenti o disguidi.

Il condensatore si carica e poi scarica nel tempo e se non viene ricaricato non può più gestire quello per cui è stato programmato. La ricarica del nostro “condensatore” (a livello mentale) avviene attraverso l'allenamento.

Sono ancora in corso studi di protocolli critici per la valutazione di queste logiche applicate ai servosistemi.

Osservando la Figura 2, dove viene ricostruito graficamente il modello, è possibile analizzare le parti che lo compongono.

Le frecce tratteggiate indicano lo scambio energetico (implicito) che discende dal sistema centrale al modulo e risale dal modulo ai sistemi centrali, in un circuito di rinforzo reciproco. In generale, un sistema esecutivo debole influirà negativamente sullo sviluppo del modulo (processo di modularizzazione) dall'altra, un modello ipo- sviluppato influirà negativamente sulle funzioni esecutive a lui dedicate.

I tasti T1 e T2, in realtà, riassumono funzioni più complesse di quanto emerge in figura 2:

Figura-2:-Ricostruzione-del-modello-del-continuum-di Benso

Figura 2: Ricostruzione del modello del continuum di Benso

  • T1 alzato rappresenta lo stato di “stand-by” del processore centrale, quando il modulo lavora in condizione di automatismo. In generale, l'automatismo si verifica quando svolgiamo un'azione routinaria che non richiede un controllo esplicito del sistema esecutivo, come avviene durante la guida
  • T1 abbassato collega i sistemi centrali con il modulo; ciò accade quando il sistema è sollecitato da maggior impegno cognitivo o da spinte emotive che attivano anche il sistema di controllo
  • T2 abbassato rappresenta il collegamento del modulo (l'output superficiale) ai sistemi centrali nella situazione di “normalità”
  • T2 alzato suggerisce, invece, un'interruzione del collegamento, spiegabile da almeno tre ragioni:
    • l'output può essere degradato e di conseguenza,   non riesce ad interfacciarsi con i sistemi centrali integri
    • possono esserci altri output in concorrenza e un SAS troppo debole non è in grado di selezionare in maniera efficiente il materiale ininfluente da quello saliente (come avviene nei bambini che leggono fluentemente e con accuratezza, ma falliscono nella comprensione del testo scritto)
    • l'output superficiale può essersi formato correttamente, ma i sistemi centrali non possono interpretarlo perchè essi stessi sono deteriorati.

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SISTEMA ATTENTIVO SUPERVISORE

"Un pianista sta suonando una celebre aria che ha imparato da anni a memoria; un neuropsicologo direbbe che ha automatizzato o modularizzato (resa automatica nel tempo) questa abilità. Può accadere, però, che si ritrovino dei manoscritti del compositore, fino allora sconosciuti, che propongono una diteggiatura inedita e inusuale. Il pianista, per quanto bravo, incontrerà grosse difficoltà a sostituire quanto ha già automatizzato con i nuovi gesti proposti. A questo punto, dovrà rallentare l'atto motorio, analizzarlo attentamente, controllarlo per inibire la vecchia diteggiatura che tenderà a emergere. Il tutto potrà realizzarsi se il pianista avrà in dotazione le risorse attentive per resistere all'interferenza, per rimanere concentrato a lungo sul compito"[1].

Lo stesso esempio vale per un tennista che voglia cambiare il tipo di rovescio e così per ogni abilità motoria.

È stato descritto un modulo e quindi uno schema automatizzato (colpo di rovescio a tennis) e l'intervento di un Sistema Attentivo Supervisore (SAS) elencando alcune delle sue funzioni (definite funzioni esecutive).

In questo caso sono emersi il controllo, la flessibilità, la capacità di sostenere l'attenzione e le risorse da applicare. Emerge che, quando un automatismo non è più adatto, c'è un sistema appropriato che interviene per correggere, far riapprendere o sostenere, se necessario. L'automatismo si esprime in velocità invece l'intervento del SAS, che deve passare per la coscienza, rallenta qualsiasi azione. Se si passeggia, si può farlo utilizzando un modulo appreso nell'arco degli anni, uno schema, secondo il modello del SAS di Norman Shallice (1986); tuttavia se si cammina lungo una stretta passerella per salire in barca, sia la complessità del compito sia l'emozione che emerge (paura di cadere in acqua) indirizzano il SAS a controllare un atto motorio anche se iperappreso. Questo significa che un modulo non sarà mai lasciato completamente a se stesso, anche se all'apparenza sembra indipendente. I diversi apprendimenti automatizzabili, anche "scolastici", si formeranno grazie alle energie del SAS [1].

Il SAS è deputato a fornire risorse attentive durante lo svolgimento dei compiti e delle incombenze  della vita quotidiana. Le "energie attentive" sono a capacita limitata, ciò significa che non è possibile svolgere contemporaneamente ed efficientemente due compiti non automatizzati, perché uno toglierebbe risorse all'altro.

Possiamo portare ad esempio quel che accade quando si guida la macchina in zone conosciute e con poco traffico, discutendo con un'altra persona: la guida è per molti un processo automatizzato che richiede pochissime risorse attentive per espletarsi e permette di svolgere contemporaneamente un'altra attività, come quella del conversare. Se ci si trova in una città sconosciuta, di solito si smette di conversare per dedicare l'attenzione interamente alla ricerca: parlare e prestare attenzione alla strada da percorrere rappresentano un " doppio compito" che non è possibile svolgere nello stesso momento a cause delle risorse limitate del nostro sistema attentivo (che variano da persona a persona). Tali risorse sono allenabili con adeguati training cognitivi tarati sul singolo.

Altro aspetto da considerare è quando un soggetto lavora al limite delle sue risorse: il soggetto non è tranquillo, a rischio di errore, e può diventare perciò particolarmente irritabile. Per approfondire questo aspetto si pensi al fastidio che ognuno di noi può provare quando è intento a guardare un programma interessante alla televisione e, proprio nel momento topico, entra qualcuno che inizia a parlare porgendo domande e ci crea un doppio compito non voluto. La stessa irritabilità è provata in molte situazioni della vita quotidiana dai ragazzini con difficoltà attentive, sottoposti quasi constantemente a doppi compiti ai quali non riescono a far fronte, proprio alla luce delle scarse risorse attentive applicabili. Per i ragazzini che vivono questi disagi risulta pertanto fondamentale impostare un trattamento cognitivo che miri gradualmente a potenziare il sistema.

Alcune abilità che dipendono dal SAS:

  • Avvio: l'avvio di un'azione richiede risorse. Non a caso, soggetti poco autoregolati debbono essere esortati più volte a iniziare compiti poco motivanti. Anche questa azione si sviluppa nel tempo e ogni individuo esprimerà questa abilità lungo un continuum, che andrà dalla buona capacità (per l'età) di gestire la frustrazione dell'avvio fino all'altro estremo, dove sarà difficile poter far svolgere anche minime incombenze programmate nell'ambito familiare, scolastico e ludico sportivo
  • Attenzione sostenuta: il SAS è adibito a sostenere l'attenzione protraendo nel tempo la concentrazione di risorse su un compito. Ad esempio, quando gli insegnanti segnalano che un bambino dopo dieci minuti non riesce più a stare attento e inizia a guardarsi attorno, disturbando i compagni o manipolando tutto ciò che trova davanti a se, si riferiscono alla caduta dell'attenzione sostenuta. Tale abilita potrà essere allenata direttamente (aumentando l'esposizione agli stressor) o indirettamente lavorando su tempi brevi di concentrazione dell'attenzione, come quando dopo un pronti si attende il via
  • Flessibilità: quando uno schema comportamentale continua a prevalere, nonostante non sia più conveniente, a causa del cambiamento delle situazioni ambientali, si parla di perseverazione, che è da intendere anche come mancanza di flessibilità. Il sapersi staccare da comportamenti o schemi non più adeguati richiede energie attentive, cosi come passare velocemente e, a tempo debito, da un compito all'altro (switch)
  • Controllo dell'interferenza e rielaborazione in memoria di lavoro: il sistema esecutivo è responsabile della capacità di gestire l'interferenza dei distrattori e di mantenere la concentrazione su uno scopo, aspetto ormai noto (in letteratura e in clinica) come un abilità necessaria per riuscire a comprendere il testo scritto e per la risoluzione dei problemi
  • Organizzazione e pianificazione: le funzioni di organizzazione e di pianificazione sono sotto il controllo del sistema esecutivo; esse sono necessarie, insieme alle abilità sopraccitate, per il problem-solving. La base essenziale per la risoluzione dei problemi nasce dalla capacità di pianificare il procedimento, di organizzare il materiale e ciò impegna il raggiungimento della memoria di lavoro. Nel momento dell'esecuzione del piano programmato è necessario un controllo dei sottobbiettivi per non perdere lo scopo finale (mantenuto probabilmente in memoria prospettica). È necessario pertanto sostenere l'attenzione nelle varie fasi che portano verso la soluzione, variando e combinando il materiale,  a tempo opportuno, in memoria di lavoro, resistendo anche all'interferenza dei distrattori. È intuibile quanto tali abilità siano indispensabili  nella vita scolastica e quotidiana dei nostri bambini, che presentano spesso difficoltà a preparare lo zaino e a organizzare il diario. In questi casi, risulta necessario l'appoggio di figure adulte per sostenere i processi organizzativi e la pianificazione. L'adulto deve diventare un modello di pianificazione per trasmettere l'organizzazione che può essere trasferita più facilmente attraverso un processo di identificazione (del bambino verso l'adulto), piuttosto tramite liste di comportamenti da osservare che scivolano dalla memoria. Il bambino potrà nel tempo identificarsi con modelli efficienti e imparare a interagire facendo piccoli passi alla volta
  • Autoregolazione: controllo delle emozioni: Controllare pensiero, azione ed emozione rappresenta un'altra caratteristica del sistema attentivo supervisore. In questo caso “controllare” ha anche il significato di mantenere uno scopo e, di conseguenza, pianificare azioni e comportamenti, vincendo l'interferenza dei distrattori e contenendo, altresì, i picchi di emotività. Emozione e cognizione trovano un punto di interazione e contatto nel giro del cingolo, la stessa area cerebrale che abbiamo visto attivarsi durante la lettura per fornire energie attentive. Il sistema emotivo può infatti favorire o inibire il sitema di controllo esecutivo sin dalla prima infanzia. Posner, Rothbart e Rueda (2003) hanno trovato nei bambini molto emozionabili e facilmente catturabili dall'affettività negativa, una caduta nei compiti cognitivi di gestione del conflitto tra stimoli [1].

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CAPITOLO 2: LE FUNZIONI ESECUTIVE

Le funzioni esecutive sono un complesso sistema di sottoprocessi  distinti non correlati ma sottilmente interagenti che avviano, regolano, controllano, coordinano, monitorizzano, programmano pensieri e azioni. Esse vengono anche definite come le abilità necessarie per programmare, mettere in atto e portare a termine con successo un comportamento finalizzato a uno scopo.

Il sistema esecutivo ha il compito di supervisionare il flusso delle operazioni automatizzate. Tali automatismi ci permettono di attuare la soluzione e lo schema più appropriato al contesto del momento.

Quando tali operazioni non si regolano da sole interviene il SAS a risolvere l'indecisione. Tali operazioni isolate sono alla base del costrutto di quelle che vengono definite “funzioni esecutive”.

Il sistema esecutivo si colloca come substrato anatomico prevalentemente nei lobi frontali, nei gangli della base e nel cervelletto, come riprodotto in Figura 3 [1].

Figura 3: Substrato anatomico delle funzioni esecutive

Figura 3: Substrato anatomico delle funzioni esecutive

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SUBSTRATO NEUROANATOMICO DELLE FUNZIONI ESECUTIVE

Storicamente,nella letteratura neuropsicologica, le capacità esecutive sono state strettamente associate con la corteccia prefrontale, così che il termine FE è diventato in molti casi sinonimo di “funzioni frontali”. Come nota Anderson (2002) [3] in una sua revisione, le regioni anteriori del cervello sono state identificate come responsabili del funzionamento esecutivo innanzitutto in base all’osservazione del comportamento di pazienti con lesioni frontali, i quali mostrano evidenti deficit in queste abilità. Studi con neuroimmagini funzionali, inoltre, hanno confermato quest’ipotesi evidenziando una significativa attivazione della corteccia prefrontale in soggetti che svolgono compiti esecutivi. Ad una analisi più approfondita, tuttavia, le basi neurali delle FE appaiono numerose e complesse, essendo la corteccia prefrontale collegata attraverso connessioni afferenti ed efferenti a molte altre regioni del cervello: di conseguenza una disfunzione esecutiva non sempre deriva direttamente da una patologia prefrontale, ma può essere legata a una disconnessione all’interno questa rete. L’integrità della corteccia prefrontale va quindi considerata una condizione necessaria ma non sufficiente per un’adeguata prestazione esecutiva. Stuss e Alexander (2000) [4] evidenziano anche il fatto che, sebbene i lobi frontali giochino un ruolo determinante soprattutto per le FE, non va dimenticata l’influenza che essi hanno anche su vari aspetti della personalità, sulla consapevolezza di sé e sulle risposte emozionali.

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SVILUPPO DELLE FUNZIONI ESECUTIVE

Studi neuroanatomici e studi di psicologia dello sviluppo evidenziano come alcune attivazioni prefrontali, riconducibili  ai domini delle FE, siano rilevabili precocemente; prendendo particolarmente in considerazione la fascia scolare e prescolare, sembra evidenziarsi uno sviluppo critico delle FE.

Nel periodo prescolare (3-6 anni), si rileva prevalentemente un significativo aumento:

  • della capacità inibitoria e del controllo attentivo (Davidson et al, 2006 [5]; Brocki et al., 2007 [6]; Espy et al. 1997 [7])
  • della generazione di concetti e di strategie, della flessibilità cognitiva (Jacques e Zelazo, 2001 [8]; Smidt et al., 2004 [9], Dibbets e Jolle, 2006 [10])
  • della memoria di lavoro, quindi, il primo emergere di alcuni comportamenti pianificatori finalizzati ad obiettivi (Brocki et al, 2007) [6].

Durante il periodo scolare (6-14 anni), matura progressivamente:

  • La flessibilità cognitiva, che, secondo alcuni studi (Luciana e Nelson, 2002 [11]; De Luca et al., 2003 [12]), raggiunge livelli simili a quelli misurati negli adulti, intorno ai 10 anni;
  • Il controllo inibitorio e attentivo, anche con il correlato incremento della Memoria di Lavoro (Brocki e Boholin, 2004 [13]; Carlson, 2005 [14]), che presenta un picco critico di miglioramento tra gli 8 e gli 11 anni
  • Secondo la review di Anderson e colleghi (2002) [3], anche la capacità inibitoria-attentiva, nelle sue componenti motorie e istintive, è già presente dai 3 anni, tuttavia migliora progressivamente nella fascia di età seguente, con un picco di miglioramento intorno ai 6-7 anni di età, rendendo i bambini sempre più capaci di autoregolare le loro azioni
  • Sempre secondo questi autori (ib.) nel periodo corrispondente alla Scuola Primaria (7-10 anni), si registrano progressi rilevanti nell'elaborazione di concetti, nella pianificazione e nella capacità organizzativa. Il progresso in questi domini prosegue gradualmente nell'adolescenza
  • Secondo alcuni studi (Welsh et al, 1991) [15] verso i 6 anni, alcune strategie di organizzazione e di pianificazione semplice sono già raggiunte, così come in alcuni compiti di switch attentivo.

Si può, dunque, ipotizzare che interventi formativi effettuati con attività e compiti rilevanti e afferenti a queste funzioni, svolti nel periodo critico per la loro strutturazione, potrebbero migliorare l'attivazione delle zone cerebrali interessate e costituire un effetto domino per lo sviluppo.

Le FE in età prescolare, dai 3 ai 5 anni (Carlson , 2005 [14]; Garon et al. , 2008 [16]), subiscono un rapido e forte incremento in questo, relativamente breve, periodo, soprattutto riguardo ad abilità importanti quali l'inibizione, la memoria di lavoro, abilità in grado di facilitare sia l'apprendimento, che l'autoregolazione emotiva e comportamentale

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FUNZIONI ESECUTIVE HOT E COLD

Alla luce delle diverse tipologie di deficit cognitivi e comportamentali emersi da lesioni alle diverse aree della corteccia prefrontale (vedi Goldberg, 2001; Stuss e Levine, 2002), Metcalfe e Mischel (1999) distinguono tra aspetti esecutivi affettivi, “caldi”, (in quanto riguardanti un’elaborazione emotiva), associati all’attività della corteccia prefrontale ventromediale (VMPFC), e aspetti esecutivi cognitivi, “freddi” (in quanto non riguardanti un’elaborazione emotiva), associati all’attività della corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC).

Tale distinzione tra processi caldi e processi freddi è in linea con altre distinzioni presenti in letteratura tra processi cognitivi/controllati  vs. processi affettivi/automatici.

Secondo Metcalfe e Mischel (1999) le funzioni “calde” sono legate ad un’elaborazione automatica ed emozionale degli stimoli. Tale elaborazione avviene rapidamente, è relativamente semplice e diventa preponderante nelle situazioni di stress, durante le quali sovrasta le funzioni più “fredde”. Queste ultime sono, invece, basate su una elaborazione complessa, cognitiva, controllata, e quindi più lenta.

I problemi situati all’interno di un contesto sociale, quali predire il comportamento e le emozioni di altri individui, o decidere come e quando intervenire in una determinata situazione, sono probabilmente quelli che più facilmente chiamano in causa processi esecutivi più caldi.

Inoltre i contesti sociali attivano la nostra elaborazione emotivo/motivazionale, in quanto le risposte degli altri individui hanno un grande valore affettivo per l’uomo. Non a caso lesioni alla corteccia ventromediale spesso portano a disturbi del comportamento interpersonale, con condotte sociali inappropriate (Damasio, 1994; Goldberg, 2001). Per quanto riguarda i compiti formali usati nell’assessment, i processi esecutivi “freddi” sono più probabilmente chiamati in causa da problemi astratti, decontestualizzati quale, per esempio l’individuazione dei criteri in compiti come il Winsconsin Card Sorting Test (WCST; Grant e Berg, 1948). I processi esecutivi caldi sono più probabilmente chiamati in causa da problemi nei quali si deve attribuire un valore positivo o negativo ad uno stimolo, come, per esempio nella scelta del mazzo di carte da cui pescare nello Iowa Gambling Task (IGT; Bechara et al., 1994).

È bene ricordare però che una distinzione netta dei processi esecutivi tra “caldi” e “freddi” è possibile solo da un punto di vista neuroanatomico, sottolineandone i diversi correlati neurali. Quando si passa, invece, ad un livello fenomenico, sia che si tratti di test di laboratorio o della risoluzione di problemi reali in contesti sociali, si può solo parlare di una prevalenza di una tipologia di processi rispetto ad un’altra, mai della presenza degli uni e dell’assenza  degli altri (Galotti, 2007; Manes, Sahakian, Clark.Rogers, Antoun, Aitken, 2002; Zelazo e Muller, 2002) [18].

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L'IMPORTANZA DELLE FUNZIONI ESECUTIVE A SCUOLA

Con l’ingresso a scuola e l’acquisizione delle nuove competenze di lettura, scrittura e calcolo, il carico cognitivo richiesto, e quindi il peso delle Funzioni Esecutive, incrementa in maniera considerevole.

I bambini devono infatti utilizzare maggiori  risorse di memoria  di lavoro per svolgere mentalmente operazioni con un numero crescente di dati, vedere nuove connessioni tra gli elementi, essere disposti ed elastici nell’apprezzare prospettive diverse e mettere in atto strategie di autocontrollo [17].

Pertanto scarse funzioni esecutive predicono spesso difficoltà negli apprendimenti: se da un lato alte performance di Funzioni Esecutive aumentano la probabilità di buoni risultati scolastici, dall’altro un’alterazione delle Funzioni Esecutive si riscontra con molta frequenza in tante condizioni anche molto diverse tra loro [18].

L’influenza delle Funzioni Esecutive sul rendimento scolastico inoltre sembra essere indipendente dal quoziente intellettivo pertanto è opportuno ribadire come in alcune circostanze si tenda a banalizzare il problema limitando la valutazione al mero risultato del quoziente intellettivo fine a sé stesso, omettendo la valutazione delle stesse Funzioni Esecutive, mettendo in secondo piano la loro importanza e la possibilità di trattarle.

Bambini con sviluppo tipico e con Funzioni Esecutive più evolute raggiungono quindi migliori livelli di apprendimento [19].

Cosa accade invece ai bambini che manifestano difficoltà nelle Funzioni Esecutive?

Si riscontra una notevole associazione fra i disturbi specifici dell’apprendimento e difficoltà nelle Funzioni Esecutive: problemi nelle abilità attentive possono compromettere o aggravare le difficoltà di apprendimento di bambini con DSA, mentre a parità di disturbo, bambini senza difficoltà attentive possono compensare meglio le loro difficoltà ed ottenere comunque dei buoni risultati scolastici [20].

Visto quindi il ruolo delle Funzioni Esecutive nell’incrementare gli apprendimenti e nell’influenzare il risultato scolastico, la buona pratica clinica dovrebbe non solo prevedere la loro valutazione sistematica ma anche un intervento specifico in questo ambito, soprattutto nei bambini a rischio di fallimento scolastico [21].

Sono stati messi in atto protocolli che puntano al potenziamento delle Funzioni Esecutive ed è emerso come alcuni bambini in cui si potenziano Le Funzioni Esecutive mostrino miglioramenti nell’area del calcolo e della comprensione del testo. È bene sottolineare che tali interventi sono attivabili già a partire dall’età prescolare [22].

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LINGUAGGIO E FUNZIONI ESECUTIVE

Fin dalla prima infanzia, le funzione esecutive sono coinvolte nella nascita e nello sviluppo delle prime forme di linguaggio. Come possiamo spiegare questo progressivo avvicinamento del linguaggio infantile alle forme frasali grammaticalmente adeguate al linguaggio adulto? Secondo un approccio funzionalista, le grammatiche rappresentano l’insieme di soluzioni possibili al problema di dover far corrispondere ad un ricco insieme di significati uno strumento comunicativo – le lingue umane – largamente condizionato da vincoli posti da processi cognitivi quali la memoria, la percezione e la programmazione motoria. Dalle ricerche più recenti, emerge che tra i processi cognitivi implicati nell’elaborazione linguistica, un ruolo centrale è svolto dalle funzioni esecutive.

Da questo punto di vista, ispirato dagli studi fondativi di Piaget (1923), le funzioni esecutive precedono evolutivamente, determinano e/o vincolano lo sviluppo linguistico.

Da questi studi emerge che tra i due anni e i due anni e mezzo, il controllo inibitorio risulta avere il ruolo più rilevante : è infatti associato sia all’intellegibilità e all’accuratezza  fonologica della produzione linguistica infantile, che con alcuni aspetti delle abilità morfosintattiche (flessione di nomi, verbi e aggettivi e repertorio di strutture frasali).

Un’altra funzione che risulta associata al linguaggio dei bambini della fascia di età considerata è la flessibilità cognitiva, che correla significativamente con le abilità morfosintattiche, in particolare con il repertorio della morfologia legata piuttosto che di quella libera [23].

I bambini con Disturbo del Linguaggio presentano difficoltà diverse nella comprensione, produzione e uso del linguaggio, in uno o in più domini linguistici (fonologia, semantica, sintassi e pragmatica) con un’evoluzione nel tempo che varia in rapporto alla severità e alla persistenza del disturbo linguistico. All’interno di questa popolazione, tuttavia, l’eterogeneità dei profili è molto elevata.

Sebbene il Disturbo di Linguaggio per propria natura sia caratterizzato prevalentemente dal deficit linguistico, deficit cognitivi di natura extraverbale e socio-cognitiva sono spesso riportati (Bishop, 1992 [24]; Lum et al., 2010 [25];). Le ipotesi a sostegno della sola natura linguistica del disturbo non sembrano sufficienti a spiegare l’ampio range di deficit individuati. Ipotesi alternative a quelle esclusivamente linguistiche si propongono così di verificare nei disturbi di linguaggio la presenza di deficit cognitivi più generali nelle abilità di processing che renderebbero conto delle varie difficoltà incontrate, in particolare in quelle che sono definite Funzioni Esecutive. Recenti studi hanno, infatti, evidenziato un ruolo significativo di deficit della memoria di lavoro fonologica e visuo-spaziale, di alterazioni della flessibilità cognitiva, di impairment della pianificazione verbale e non e di deficit della risposta inibitoria (Bavin et al., 2005 [26]; Marton 2007 [27]; Montgomery et al.[28], 2010; Lum, J. A., Conti-Ramsden, 2014 [29]). La presenza di queste alterazioni, che a volte si configurano come veri e propri deficit, non può non essere considerata nella programmazione del trattamento dei Disturbi di Linguaggio. Quindi, ai fini di una migliore comprensione della natura del disturbo e di un intervento davvero efficace, in aggiunta alla tradizionale valutazione fonologico- linguistica, appare necessario uno specifico assessment delle principali funzioni esecutive.

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