L’importanza della collaborazione tra Scuola, Famiglia e Terapisti

Family centered care

Numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato come qualsiasi ambiente di vita di un bambino con disabilità, più o meno grave, possa essere fondamentale nella riabilitazione e nello sviluppo di diverse funzioni e abilità. In primo luogo, è stato osservato come la famiglia sia la principale fonte di benessere e di aiuto per un bambino. Con il termine famiglia si intendono due o più persone che presentino tra di loro un vincolo, di tipo biologico, legale od emozionale. Essa riveste un ruolo speciale per alcune specifiche categorie tra cui i bambini. Alla famiglia spetta la responsabilità di accompagnare con successo il bambino verso l’età adulta all’interno della cornice dei propri valori e ideali, promuovendone una significativa partecipazione nella vita della comunità, di cui la famiglia stessa costituisce l’unità base.

Oggi si parla di "Family Centered care", una modalità di pratica assistenziale che riconosce la centralità della famiglia nella vita del bambino con problemi di salute e l'inclusione del contributo e del coinvolgimento della famiglia nel piano assistenziale.

Alcuni principi fondamentali della FCC sottolineano come la Famiglia debba essere coinvolta fin da subito nella presa in carico del bambino e come ci debba essere una stretta e reciproca collaborazione fra le diverse figure professionali e non che fanno parte della vita del paziente. Queste affermazioni sono:

  • La famiglia è la costante della vita del bambino, è la principale sorgente di risorse e sostegno alle cure del bambino
  • Le strutture sanitarie devono promuovere la collaborazione tra famiglia e personale sanitario ad ogni livello dell'assistenza ospedaliera, territoriale e domiciliare: nella cura del singolo bambino come nella formazione delle scelte di politica sanitaria;
  • Lo scambio di informazioni tra famiglia e personale sanitario deve essere bidirezionale, senza distorsioni e omissioni, ad ogni momento;
  • Gli operatori si impegnano nel riconoscimento e nel rispetto dei punti di forza e delle caratteristiche specifiche di ciascuna famiglia (aspetti culturali, etnici, spirituali, economici...);

Sulla base di tali considerazioni, il primo e il più critico passo per fornire una reale e propria cura alla famiglia e al suo bambino, è quello di prestare ascolto e di non basarmi su stereotipi o sulla propria limitata esperienza. Si devono quindi abbandonare schemi mentali precostituiti per porsi in modo sempre nuovo e adattato e per riconoscere l’unicità di ogni famiglia. Essa deve essere capita all’interno della propria storia, del proprio passato e di quello che immagina come futuro. È all’interno di tale storia, nella misura in cui essa intende condividerla e in cui l’operatore è disposto ad ascoltarla realmente, che si può davvero avviare la costruzione di una collaborazione.

La comunicazione rappresenta il filo conduttore che guida la collaborazione con la famiglia e la costruzione dell’alleanza terapeutica. Essa deve essere però deve strutturarsi in modo bidirezionale, secondo un’idea di collaborazione in virtù di competenze ed informazioni diverse e integrabili. La famiglia così si sente parte attiva del processo e può costruire una relazione basata sul rispetto e sulla fiducia con i terapisti che si occupano del percorso di crescita del proprio bambino.

Saper comunicare significa prima di tutto essere in grado di ascoltare empaticamente l’altro, cogliendo tanto i segnali verbali quanto il complesso insieme di segnali non verbali. L’ascolto dell’operatore deve essere attivo, mantenendo un atteggiamento in ogni caso mai giudicante, con rimando di quanto si è colto per offrire uno specchio alla famiglia che è così supportata nel guardare emozioni, difficoltà, punti di forza etc. Se gli operatori hanno il compito di osservare e stabilire quali sono i punti di forza e debolezza del bambino per creare un progetto terapeutico-abilitativo, la famiglia deve poter avere uno spazio dove poter esprimere le difficoltà, le emozioni le perplessità. Lo scopo comune sarà quello di generalizzare le competenze acquisite dal bambino e migliorare la sua qualità di vita.

 

La scuola

L’ingresso alla Scuola primaria rappresenta un momento molto importante nella vita di ciascun individuo. È un nuovo inizio, un passaggio che permetterà a ciascun bambino di crescere, di diventare più responsabile e di creare nuovi rapporti di amicizia con altri bambini e con le maestre. Rappresenta un periodo in cui si impara ad apprendere, a capire e a rispettare maggiormente le regole sociali. Per questo, tutti i bambini con sviluppo tipico o con disabilità, nella fascia di età prescolare, dovrebbero aver sviluppato e automatizzato tutte quelle abilità fondamentali all’apprendimento di lettura, scrittura e calcolo unite alle capacità di ragionamento e concentrazione. Oggi, le scuole sono diverse rispetto a qualche decennio fa, perché stanno cercando di promuovere una didattica che viene definita ‘’inclusiva’’, partendo dall'integrazione fino ad arrivare ad una reale inclusione degli alunni, in un contesto partecipativo e collaborativo. L’obiettivo è quello di creare le condizioni di apprendimento ottimali ad appianare la difficoltà e le differenze, con la finalità di mettere ogni alunno nelle condizioni di scoprire, valorizzare ed esprimere al massimo il proprio potenziale. Per raggiungere ciò, sono state studiate diverse tecniche e strategie volte a modificare gli schemi e gli standard delle classiche metodologie di insegnamento.

I quattro pilasti o elementi irrinunciabili di una didattica inclusiva che connota e declina principi i nella scuola sono:

  • Collaborazione: il principio dell’inclusione a scuola si concretizza solo in presenza di una forte collaborazione e co-partecipazione di tutti i soggetti coinvolti nel raggiungimento di questo ambizioso traguardo. Un principio destinato al fallimento se resta solo il frutto di qualche insegnante particolarmente volenteroso impegnato a creare piccole “isole felici”, dentro una scuola che alimenta altre priorità. La scuola inclusiva è, al contrario, una comunità dove tutti, dirigenti, insegnanti, allievi, personale scolastico, famiglie, enti locali, servizi, diventano potenziali agenti di reali cambiamenti culturali, metodologici, didattici, organizzativi e strutturali. La collaborazione tra tutte queste figure e tra i differenti sistemi si gioca proprio sulla loro capacità sinergica di saper accogliere e valorizzare le differenze individuali, così come di eliminare ogni ostacolo fisico, metodologico, curricolare, sociale ed emotivo alla partecipazione sociale e all’apprendimento, senza lasciare nessuno indietro.
  • Progettazione: una didattica inclusiva è una didattica pensata, progettata e pianificata, sin da principio, sulla base delle variabilità individuali, capace di essere accessibile per tutti gli allievi e non solo per alcuni che appartengono a specifiche categorie (vedi allievi con disabilità, bisogni educativi speciali). Progettare in modo inclusivo significa pensare, qualsiasi sia la disciplina scolastica o il contenuto da veicolare, a forme di insegnamento personalizzato, multimodale e multilivello, perché ogni allievo affronta l’apprendimento a livelli e modi differenti, evitando così “emergenze di percorso” che costringono, a posteriori, a modificare quanto progettato per una “classe ideale”, evitando così inutili sprechi di tempo e perdite di efficacia dell’azione didattica stessa. Una didattica mal progettata e mal condotta può correre il rischio di creare essa stessa ostacoli all’apprendimento e bisogni educativi speciali. La didattica inclusiva si prefigura, dunque, come uno “stile” di insegnamento innovativo e flessibile che facilita la partecipazione, la valorizzazione e il successo formativo di tutti gli allievi.
  • Efficacia: una didattica inclusiva sfida gli insegnanti a sviluppare un vasto repertorio di strategie didattiche considerate efficaci, non solo per allievi con bisogni speciali, ma per tutti. Si tratta di strategie che si sono dimostrate, in situazione di ricerca controllata, efficaci nel condurre ai risultati desiderati in una determinata popolazione di studenti. Ciò significa che ogni insegnante può migliorare la sua efficacia, prima di tutto conoscendo e poi utilizzando, monitorando e valutando la migliore evidenza disponibile, in modo da aiutare gli allievi a diventare anch’essi studenti più efficaci. Numerose sono le ricerche che mostrano quanto le strategie metacognitive, cooperative, il rafforzamento delle competenze sociali ed emotive, nonché la creazione di un positivo clima di classe, siano essenziali ad una didattica di tipo inclusivo. Sviluppare un ampio repertorio di strategie efficaci è indispensabile a patto che queste riflettano la conoscenza delle caratteristiche, delle necessità degli studenti e delle circostanze ambientali, nonché le conoscenze e abilità professionali e personali degli insegnanti.
  • Relazioni ed emozioni: Oltre alla dimensione dell’efficacia rispetto a scelte e azioni metodologico-didattiche da compiere, un insegnante inclusivo non può dimenticare la parte delle sue competenze relazionali ed emotive. Numerose ricerche mostrano quanto l’atteggiamento mentale appropriato degli insegnanti, l’“esserci”, la vicinanza emotiva e la capacità di dare feedback appropriati e positivi agli studenti, siano elementi decisivi per il loro successo scolastico e la creazione di un buon clima di classe. Non passa giorno senza il quale agli insegnanti non sia chiesto di esercitare capacità di tipo relazionale (con allievi, colleghi, famiglie, etc.) ed emotivo (attenzione alla propria sfera emotiva, quella degli allievi, gestione di momenti di rabbia, etc.). La formazione degli insegnanti rispetto alle loro abilità sociali ed emotive, in un contesto di scuola inclusiva, non può essere certamente sottovalutata. La qualità del clima della classe fatto proprio di relazioni e vissuti emotivi, è determinante per la riuscita degli studenti, che imparano meglio quando si trovano in un ambiente emotivamente sicuro e prevedibile, che li motiva e li stimola verso obiettivi positivi ed inclusivi.

In quest’ottica risulta di fondamentale importanza anche l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Essa costituisce un punto di forza della scuola italiana, che vuole essere una comunità accogliente nella quale tutti gli alunni, a prescindere dalle loro diversità funzionali, possano realizzare esperienze di crescita individuale e sociale. La piena inclusione degli alunni con disabilità è un obiettivo che la scuola dell’autonomia persegue attraverso una intensa e articolata progettualità, valorizzando le professionalità interne e le risorse offerte dal territorio. Il MIUR ha messo in atto varie misure di accompagnamento per favorire l’integrazione: docenti di sostegno, finanziamento di progetti e attività per l’integrazione, iniziative di formazione del personale docente di sostegno e curriculare nonché del personale amministrativo, tecnico e ausiliare. Esistono inoltre diversi strumenti che sostengono lo sviluppo scolastico, personale e sociale degli alunni con disabilità e che sono utili per garantire una collaborazione efficace tra terapisti, insegnanti e familiari. Uno fra questi è il ‘’ quaderno di comunicazione’’. Esso non è altro che un semplice quaderno dove sia i terapisti che le insegnanti possono scrivere tutto ciò che viene svolto in riabilitazione o a scuola in modo tale che ci sia una condivisione diretta sia delle attività sia dei problemi riscontrati dall’alunno. Tutto ciò potrà diventare utili per prefissare nuovi obiettivi, per scambiare opinioni, dubbi, richieste fra collaboratori e i genitori.

 

Le leggi 104 e 170

La legge n. 104 del 5 febbraio 1992, più nota come legge 104/92, è il riferimento legislativo "per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate". Principali destinatari della Legge 104 sono dunque i disabili, ma non mancano riferimenti anche a chi vive con loro. Il presupposto è infatti che l'autonomia e l'integrazione sociale si raggiungono garantendo alla persona handicappata e alla famiglia adeguato sostegno. E questo supporto può essere sotto forma di servizi di aiuto personale o familiare, ma si può anche intendere come aiuto psicologico, psicopedagogico, tecnico.

Per definizione la Legge 104 si applica dunque alle persone handicappate. È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.

La persona handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative.

Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici.

Nel testo della norma compaiono anche indicazioni rivolte ai famigliari delle persone handicappate. Alcuni esempi:

  • Si prevede il loro coinvolgimento nei programmi di cura e riabilitazione della persona con handicap, in un percorso integrato di prestazioni sanitarie e sociali (Art. 7 comma 1).
  • Al nucleo familiare della persona handicappata, poi, vengono destinati interventi di carattere socio-psicopedagogico, di assistenza sociale e sanitaria a domicilio, di aiuto domestico e di tipo economico (Art. 8, comma 1 a).
  • Fornire alla famiglia supporto anche sotto forma di adeguate informazioni per comprendere la situazione di handicap.
  • Coinvolgere la famiglia, come pure la comunità e la persona con handicap, nella scelta e nell'attuazione degli interventi sociosanitari.

La legge 170/2010 è la legge di riferimento per i Disturbi Specifici dell’Apprendimento in ambito scolastico. Questa legge “riconosce la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia quali disturbi specifici di apprendimento”. Obiettivo della legge è tutelare gli alunni e gli studenti con disturbi specifici dell’apprendimento e il loro diritto all’istruzione e favorirne il successo scolastico: in questo senso, studiare al pari degli altri studenti significa che gli studenti hanno il diritto ad accedere a “misure didattiche di supporto” che gli consentano di esprimere le loro potenzialità.

Come previsto dall’articolo 7 della legge 170, il 12 luglio 2011 il Ministero della Pubblica Istruzione ha emanato il decreto con annesse le linee guida per indicare in maniera dettagliata e puntuale come attuare le azioni di supporto agli studenti e alunni con DSA, a partire dalla necessità di individuare precocemente i segnali di un disturbo dell’apprendimento.

Se viene diagnosticato uno di questi disturbi, deve essere presente una presa in carico precoce e tempestiva in cui l’intervento diagnostico e terapeutico deve essere svolto dalle figure professionali come il logopedista, neuropsicomotricista, neuropsichiatra in collaborazione con la famiglia del paziente e in sinergia con il personale della Scuola di appartenenza.

In particolare, secondo Le linee guida allegate al decreto attuativo della legge 170, emanato il 12.07.2011, per un alunno con diagnosi di DSA la scuola dovrà predisporre un Piano educativo personalizzato (PDP) che dovrà indicare gli interventi didattici individualizzati e personalizzati, nonché gli strumenti compensativi e le misure dispensative da mettere in atto, le forme di verifica e valutazione adeguate e differenziate.

Gli strumenti compensativi vengono definiti come “sono strumenti didattici e tecnologici “che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità che presenta il disturbo. Pertanto, per la dislessia potrebbe essere utilizzato il sintetizzatore vocale (che serve a trasformare un compito di lettura in un compito di ascolto), per la disgrafia potrebbe essere utilizzato il registratore (per consentire all’alunno di non scrivere gli appunti della lezione); per la disortografia potrebbero essere utilizzati i programmi di video scrittura con correttore ortografico(per evitare l’affaticamento conseguente alla rilettura ed alla contestuale correzione degli errori); per la discalculia potrebbe essere utilizzata la calcolatrice (per facilitare le operazioni di calcolo). Le misure dispensative invece sono misure ed accorgimenti che consentono all’alunno di non svolgere alcune prestazioni che non solo gli risultano particolarmente difficoltose, ma il cui svolgimento non concorre a migliorare l’apprendimento. Per esempio, non è utile far leggere a un alunno con dislessia un brano lungo, così come si può consentire all’alunno con DSA di avere più tempo rispetto ai compagni per lo svolgimento di una prova. L’adozione delle misure dispensative deve essere attentamente valutata per evitare di predisporre interventi eccessivamente o immotivatamente facilitati, che non risultano utili per consentire il raggiungimento del successo scolastico e per evitare la frustrazione collegata alla dimostrazione della propria difficoltà.

 

IPDA - Identificazione precoce delle difficoltà di apprendimento

IPDA è l’acronimo di ‘’Identificazione precoce delle difficoltà di apprendimento’’ con il quale si intende il questionario osservativo rivolto alle insegnanti della Scuola Primaria per osservare e individuare i soggetti a rischio in una o più area dell’apprendimento.

È composto da 43 items che riguardano sia abilità generali come gli aspetti comportamentali, la motricità, la comprensione linguistica e orale e la metacognizione, sia abilità specifiche, tra cui la pre-alfabetizzazione e la pre-matematica.

È uno strumento innovativo e agile, utile per valutare i prerequisiti necessari per affrontare con successo l’apprendimento della lettura, scrittura e matematica in bambini di età prescolare. Le difficoltà di apprendimento infatti, tipiche nei bambini con DSA, possono portare insuccesso a livello scolastico e compromettere non solo la carriera scolastica, ma soprattutto il livello di autostima del bambino e la considerazione che ha di sé e delle sue capacità. È proprio in questa prospettiva che si inserisce il questionario osservativo IPDA, con lo scopo di rispondere al bisogno di intervenire tempestivamente, riducendo il problema delle difficoltà di apprendimento attraverso l’introduzione di interventi educativi mirati.

Il progetto consiste in 3 fasi:

  1. Screening mediante questionario osservativo IPDA eseguito dalle docenti
  2. Ai bambini risultati positivi all’osservazione viene sottoposta una batteria di testi specifici per valutare le abilità dei prerequisiti scolastici
  3. Intervento di potenziamento attraverso attività specifiche al fine di migliorare le abilità carenti.

Il punto di partenza dei materiali IPDA è l’alunno con disabilità e le sue esigenze che ne conseguono. Ciò porta ovviamente benefici per tutti: insegnanti, compagni di classe, rendimento scolastico.

I materiali IPDA utilizzano 5 livelli di intervento:

  1. Sostituzione: implica il tradurre le informazioni date agli alunni in un altro codice (ad esempio i video)
  2. Facilitazione: implica la modifica di spazio e tempo, come l’aumento del tempo a disposizione, più pause, un setting controllato.
  3. Semplificazione: comporta la semplificazione dei testi da leggere, e la sostituzione di alcune routine come l’introduzione di calcolatrice o sintesi vocale
  4. Scomposizione nei nuclei fondanti: si lavora sulle operazioni mentali, cercando di tralasciare i contenuti
  5. Partecipazione: l’alunno partecipa ad attività significative del compito stesso.

Attraverso questo progetto, il docente riuscirà a vedere già precocemente quali sono le difficoltà e le abilità carenti dello studente, al fine di aiutarlo ad intraprendere un percorso didattico potenziato per riuscire ad apprendere nel miglior modo possibile.

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