LA SINDROME DI RETT: definizione, storia, epidemiologia, eziologia e genetica, criteri diagnostici, stadi clinici

LA SINDROME DI RETT

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La sindrome di Rett - Definizione

La Sindrome di Rett (RTT) è un disordine dello sviluppo neurologico progressivo e disabilitante che colpisce tutte le aree e contribuisce in modo significativo nella genesi di una grave disabilità intellettiva, con esordio nella prima infanzia tra i 6-18 mesi e i 2 anni. Essa è considerata la principale causa di ritardo mentale grave nel sesso femminile. I casi in cui la RTT si manifesta nei maschi sono estremamente rari (1).Gli individui affetti da RTT hanno un fenotipo clinico molto variabile e in letteratura vengono identificati alcuni tratti generali comuni come la perdita delle competenze grosso e fini motorie, delle abilità verbali e comunicative e la comparsa di movimenti stereotipati delle mani (2).Inoltre, il quadro clinico è complicato dalla presenza di alcune entità patologiche accessorie come: epilessia, disturbi gastrointestinali, scoliosi, osteopenia (ibidem).

La storia della Sindrome di Rett

Gli studi sulla RTT iniziarono con il lavoro pionieristico del 1965 di Andreas Rett, un pediatra austriaco che, osservando alcune particolarità presentate da due sue giovani pazienti, analizzò una casistica di soggetti delineandone un inusuale quadro sintomatologico.Le stereotipie nei movimenti delle mani, la demenza, i comportamenti autistici, l’inespressività della mimica facciale, l’andatura atassica, l’atrofia corticale e l’iperammoniemia costituivano glielementi distintivi di tale quadro (3).

Figura 1 Dott. Andreas Rett

Figura 1 Dott. Andreas Rett 

In seguito, la sindrome venne genericamente inclusa nella famiglia dell’autismo ed il lavoro di Rett venne accantonato fino agli inizi degli anni Ottanta, quando Bengt Hagberg portò ad un convegno la descrizione di sedici casi di bambine svedesi con 4un quadro sindromico simile a quello individuato anni prima da Rett. Dal confronto, in quella stessa occasione, con i colleghi Aicardi, Dias e Ramos, furono individuati una trentina di casi di bambine svedesi, francesi e portoghesi il cui profilo patologico coincideva con il quadro originariamente descritto da Rett (4).Il contributo di Hagberg, Aicardi, Dias e Ramos (1983) segnò così la riscoperta del lavoro di Rett e aprì una ricca e dibattuta fase di indagini sulla sindrome.Un primo aspetto indagato è stato quello dell’identità nosografica della sindrome, che ha spinto molti studiosi a definire dei parametri che garantissero il più possibile precisione, affidabilità e precocità della diagnosi, requisiti indispensabili soprattutto in assenza di markers biologici con i quali identificare la sindrome (ibidem).Quindi a partire dall'osservazione di Rett, nel 1983 fu condotto uno studio su 35 pazienti che permise la distinzione della RTT dall'autismo. Si consideri, infatti, il dato riportato da Witt-Engerström e Gillberg (1987), secondo cui più del 70% dei casi di RTT avrebbero ricevuto una precoce diagnosi errata di autismo infantile, il che è comprensibile alla luce del fatto che, soprattutto nei primi due stadi, la sintomatologia tipica della RTT è vaga ed accompagnata da tratti autistici, che fanno sospettare l’attraversamento di una vera e propria fase di ritiro autistico.Questi 35 individui avevano caratteristiche cliniche sorprendentemente simili: autismo progressivo, perdita di movimenti funzionali della mano, atassia e microcefalia acquisita (ibidem).A partire da queste prime descrizioni, negli anni, la ricerca ha definito con più precisione molti aspetti di questa sindrome. Nel 1984 una conferenza internazionale promossa a Vienna da Rett stesso stabilì i criteri diagnostici di inclusione ed esclusione  ulteriormente aggiornati nel 1988 (5) (6).Contemporaneamente anche la diagnosi differenziale dall’autismo si fece sempre più accurata fino a consentire una precisa collocazione della RTT tra le categorie diagnostiche del DSM-IV (1994) (7): essa è inclusa tra i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo insieme con l’Autismo, la sindrome di Asperger, il Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia e il disturbo generalizzato dello sviluppo non altrimenti specificato. 

Anche la definizione stessa della patologia è andata via via precisandosi: il fatto che accanto alla forma classica sussistessero anche forme atipiche ha suggerito l’utilizzo della terminologia di “Rett Complex” per comprendere sotto un’unica etichetta sia la forma classica di RTT sia le varianti (ibidem).Infine, nel 1999, una scoperta che ha segnato la svolta nel corso degli studi sulla RTT: la scoperta della mutazione del gene MECP2 a conferma dell’eziologia genetica della sindrome (4).Negli anni successivi, oltre allo studio della forma classica, vennero descritte altre cinque varianti, o forme atipiche di RTT: la variante Zappella (o variante a linguaggio conservato), la variante Hanefeld (o variante con convulsioni ad esordio precoce), la variante di Rolando, (o variante congenita), le “forme fruste” e la variante Hagberg (o variante a regressione tardiva).Queste forme sono state definite per rispondere all’esigenza di dare una diagnosi a quei bambini che presentano sintomi simili alla RTT, ma non ne soddisfano tutti i criteri diagnostici (8). A tal fine vennero condotti studi approfonditi che portarono a scoperte sulle cause eziologiche di queste varianti. Gli studi condotti nel 2000 dimostrarono, infatti, che la variante Zappella è una forma allelica della forma classica , ed è quindi, causata anch’essa da mutazioni del gene MECP2 (9).Nel 2005 venne scoperto un altro gene, localizzato sempre sul cromosoma X, denominato CDKL5, che è il responsabile della variante RTT con convulsioni ad esordio precoce (10). Nel 2005 venne inoltre identificato sul cromosoma 1 il gene NTNG1 coinvolto nella patogenesi di una RTT-like (11) (12).Intorno al 2008 fu poi identificato un nuovo gene, denominato FOXG1 e localizzato sul cromosoma 14, il primo di tipo autosomico, collegato alla RTT ed in particolar modo alla variante congenita (13).Di recente scoperta è il gene MEF2C, localizzato sul cromosoma 5 e considerato il responsabile dell’eziologia di una forma RTT-like (14).

Altri geni successivamente identificati e collegati a fenotipi RTT-like sono: il gene TCF4, nel 2012, il gene SHANK3, il gene PTPN4 e il gene STXBP1 nel 2015 (15) (16) (17) e il gene WDR45, nel 2016 (18).I criteri diagnostici originali della RTT classica furono stabiliti tra la metà degli anni ‘80 e all’inizio degli anni ‘90, vennero poi rivisitati più volte durante il primo decennio degli anni 2000. Il 2010 fu l’anno in cui avvenne la rivisitazione più recente dei criteri clinici, con lo scopo di chiarire e semplificare la diagnosi della RTT (19) (20).Nel 1994 la Sindrome venne collocata nel DSM IV all’interno dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo, insieme all’Autismo, alla Sindrome di Asperger, al Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia e al DPS non altrimenti specificato (21). Con l’uscita del DSM V, nel 2013, la comunità scientifica decise di spostarla, dalla sezione dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo, alla sezione delle patologie genetiche con la significativa conseguenza di non essere più classificata come facente parte dei disturbi dello Spettro autistico (22).

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Epidemiologia della Sindrome di Rett

Essa è considerata la principale causa di ritardo mentale grave nel sesso femminile  (1): è attualmente la seconda per prevalenza dopo la sindrome di Down per quanto riguarda il ritardo mentale grave nella popolazione femminile e sebbene sia diffusa in tutto il mondo, non è possibile escludere la presenza di differenze tra i diversi paesi.Nel 1986 i casi noti di RTT in tutto il mondo erano circa 1150. Nello stesso periodo in Svezia le ragazze affette erano all’incirca 80 di età tra i 2 e i 40 anni. (23)

Lo studio epidemiologico svolto da Hagberg nel 1985 ha riscontrato una prevalenza di 0,65 per 10.000 donne di età compresa tra i 6 e i 17 anni nel sud-ovest della Svezia. Sono stati svolti altri studi in diversi paesi ed i risultati sono stati (ibidem):

  • 1:10.000 donne in Svezia;
  • 0,80: 10.000 donne sotto i 15 anni in Scozia:
  • 0,72: 10.000 donne in Australia

In Giappone si è visto da diversi studi che la prevalenza varia notevolmente a seconda della regione (24):

  • quartiere Tama di Tokyo 0,50: 10.000 donne con forma classica;
  • Tokyo metropolitana 0,50: 10.000 donne tra i 6 e i 14 con forma classica e varianti, 0,40:10000 con solo forma classica;
  • Tokushima 0,37: 10.000 donne tra i 7 e i 15 anni;
  • Fukui 0,22: 10.000 donne tra i 6 ei 14 anni.

Più recentemente si evince da uno studio che nel Nord Dakoda la prevalenza nelle donne tra 0 e i 18 anni è di 0,505 su 10.000 (25). 

Ovviamente questi studi sono relativamente attendibili in quanto, negli anni cui fanno riferimento, le tecniche diagnostiche erano carenti, la consapevolezza e la conoscenza della malattia e le informazioni riguardo la patogenesi erano insufficienti e non esistevano dei marcatori biologici (24).L’incidenza stimata ad oggi invece è di 1:8000/10.000 femmine nate senza alcuna apparente specifica preferenza etnica o geografica (26).L’ipotesi della consanguineità è stata avallata da ricerche condotte in Ungheria, in Svezia e anche in Italia. Nel primo studio su questo tema vennero esaminate genealogicamente 22 famiglie con bambine con RTT nate tra il 1980 e il 1993. I ricercatori rilevarono un crescente numero di matrimoni consanguinei tra gli antenati delle bambine e la provenienza delle famiglie dalla medesima zona geografica, il che avrebbe forti implicazioni a supporto dell’ipotesi della trasmissione genetica (27). Consanguineità e zona geografica tipica sono emersi anche da studi condotti in Svezia e in Italia (28) (29). Per quanto riguarda la prognosi, degli studi hanno determinato che una bambina affetta da RTT ha il 95% di probabilità di sopravvivere fino all’età di 20-25 anni. Si arriva ad un98% di probabilità per la popolazione femminile complessiva degli Stati Uniti. Tra i 25 ed i 40 anni, il tasso di sopravvivenza cala al 69%, da confrontarsi con un 97% per la popolazione femminile statunitense. L’aspettativa media di vita per una bambina a cui sia stata diagnosticata la RTT può superare i 47 anni. Benché si sappia di alcune donne sulla quarantina e sulla cinquantina affette dalla Sindrome, resta che sono stati identificati un numero di casi insufficienti per fare stime attendibili sulla sopravvivenza oltre i 40 (29). Sebbene queste statistiche mostrino che nella RTT l’aspettativa di vita è minore, essa non appare più così bassa come si riteneva prima, o come in altre disfunzioni neurologiche simili (30).I casi in cui la sindrome di Rett si manifesta nei maschi sono estremamente rari, infatti, le mutazioni MECP2 possono essere riscontrate nei maschi, anche se con una frequenza molto più bassa, poiché la maggior parte delle mutazioni e delezioni del gene MECP2 sono letali e quindi incompatibili con la vita in fase fetale nel sesso maschile (de novo mosaico MECP2) (31).Ad un estremo delle possibili varianti si collocano la forma delle femmine portatrici asintomatiche e la forma delle femmine lievemente affette con alterazioni che hanno portato all'inattivazione del cromosoma X (XCI); all'altro estremo si trova la variante maschile, una forma molto grave che presenta encefalopatia postnatale, morte precoce o aspettativa di vita di 1 anno e assenza di caratteristiche cliniche distintive della RTT (31).

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Eziologia e genetica della Sindrome di Rett

Ad oggi sappiamo che esistono diverse forme di Rett che vengono distinte in base al gene coinvolto dalla mutazione. Quella correlata alla mutazione del gene MECP2 è la forma classica.Mutazioni in altri geni corrispondono ad altre forme che sono state chiamate “atipiche”.

Tra le forme atipiche di RTT sono state descritte alcune varianti specifiche (2):

  • variante Zappella (MECP2);
  • variante Henefeld (CDKL5);
  • variante Rolando (FOXG1).

La sindrome ha diversi gradi di gravità in termini di comorbidità, comportamento, prognosi o coinvolgimento del sistema nervoso autonomo (ibidem).

Dato che la stragrande maggioranza dei pazienti affetti dalla RTT appartiene al sesso femminile, i primi rapporti hanno ipotizzato una modalità di trasmissione X-linked dominante. Tuttavia, dal momento che il 99% dei casi sono sporadici è stato molto difficile riuscire a sviluppare il locus della malattia attraverso la tradizionale analisi di linkage (31). Quindi utilizzando le informazioni e i dati ricavati dai rari casi familiari , dopo 16 anni di mappatura e sequenziamento dei geni candidati, nel 1999, è stato scoperto da Amir e colleghi il primo gene coinvolto nella genesi della sindrome, il gene che codifica per la Metil-CPG binding protein (MECP2) localizzato sul cromosoma Xq28 (4).Gli studi effettuati sui rari casi familiari, tra cui un bambino di sesso maschile gravemente colpito, hanno fornito prove che la RTT è causata da mutazioni dominanti X-linked ad un gene soggetto all’ inattivazione del cromosoma X (XCI) (4).Essa consiste in una mutazione dominante X linked la quale nel 99,5% è sporadica, risultante da una mutazione de novo, e nello 0,5% viene ereditata dalla madre o attraverso il mosaicismo somatico (2). Questa scoperta è stata una sorpresa, dal momento che MECP2 non sembra essere un forte candidato per un disturbo cerebrale primario, perché la proteina è ubiquitariamente espressa, associata a 5-methylcytosine ricche di eterocromatina, e potenzialmente coinvolta nel silenziamento genico globale (32). 

Mutazioni nel gene della proteina MECP2 legante il metile-CpG umano causano il disturbo neurologico della RTT ed alcuni casi di ritardo mentale X-linked (XLMR).La proteina MeCP2, ad esempio, legandosi a determinati siti metilati di CpG nel genoma è in grado di reclutare corepressori trascrizionali ed è essenziale per la normale funzione cerebrale (4). Modelli murini con questo disturbo in cui vi è la delezione del gene MECP2 mostrano anche un fenotipo neurologico ad esordio ritardato. La sola delezione condizionale di MECP2 nel cervello provoca sintomi indistinguibili, questo conferma che l'organo è maggiormente colpito dall'assenza di MeCP2. In particolare, è sufficiente l'espressione di MeCP2 nei soli neuroni per prevenire l'insorgenza del fenotipo neurologico (ibidem).I dati suggeriscono che MeCP2 è necessaria per interpretare il segnale di metilazione del DNA nei neuroni, ma si sa poco sui dettagli molecolari di questo ruolo essenziale.

La funzione di una proteina può essere evidenziata dall'identificazione dei suoi partner interagenti: ad esempio, l'associazione di MeCP2 con la molecola corepressore “mSin3a” ha stabilito un collegamento tra metilazione del DNA e deacetilazione della cromatina. Successivamente, è stato segnalato che MeCP2 interagisce con molti altri partner proteici (l’istone H3 lisina 9 con attività di metiltransferasi, c-Ski, DNMT1, CoRest, LANA, PU1, fattori di giunzione, rilegatura a Y, proteina 1, Brm) e RNA.L'importanza relativa di queste interazioni, in particolare il loro contributo alla funzione di MeCP2 nei neuroni, resta da chiarire (32).Con i recenti studi e la revisione dei criteri diagnostici avvenuta nel 2010 è stato riconosciuto che lo 0,5% degli individui che presentano molte delle caratteristiche cliniche della RTT non si adattano ai criteri stabiliti per la diagnosi della RTT classica (30). 

Grafico 1- Distribuzione di patogenicità delle varianti RTT (MECP2, CDKL5 e FOXG1)
Grafico 1- Distribuzione di patogenicità delle varianti RTT (MECP2, CDKL5 e FOXG1)

Negli ultimi anni sono state associate alla RTT e disturbi simili mutazioni in altri 69 geni:

  • NTNG1 (Netrin G1), situato sul cromosoma 1, responsabile del fenotipo Rett-like;
  • MEF2C (Myocyte Enhancer Factor-2), localizzato sul cromosoma 5q14.3, responsabile del fenotipo Rett-like;
  • TCF4 (Transcription Factor 4), identificato sul cromosoma 15 in un paziente con una forma “variante” della sindrome, la cui condizione clinica è andata poi a sovrapporsi con la Sindrome di Pitt-Hopkins;
  • WDR45  (WD  Repeat  Domain  45),  localizzato  sul  cromosoma  Xp11.23  in  una bambina con manifestazioni cliniche di una Rett tipica;
  • PTPN4 (Protein Tyrosine Phosphatase, Non-Receptor Type 4), situato nel cromosoma 2q14.2 in gemelli monozigoti con fenotipo Rett-like;
  • STXBP1 (Syntaxin-Binding Protein 1), individuato sul cromosoma 9q34.11 in un paziente con fenotipo della sindrome di Rett; 
  • SHANK3  (SH3  And  Multiple  Ankyrin  Repeat  Domains  3),  identificato  sul cromosoma 22q13 in una ragazza con fenotipo Rett-like.
  • SCN1A (Sodium Channel Protein Type 1 Subunit Alpha), uno studio del 2018 riporta due femmine che soddisfano i criteri diagnostici per RTT classica con mutazioni de novo in SCN1A. Le mutazioni patogene in SCN1A sono note come la causa della sindrome di Dravet e non come quella della RTT classica. Sebbene i criteri diagnostici per la RTT classica il profilo epilettico è atipico con esordio precoce e convulsioni febbrili prolungate. Questo potrebbe giustificare l'inclusione di SCN1A nello screening di routine molecolare per soggetti MECP2 negativi con RTT ed epilessia ad esordio precoce (33).
  • STK9  identificato  come  altro  responsabile  della  cosiddetta  variante  RTT  ad insorgenza precoce ma espressa entro il quinto mese di vita, in cui i pazienti mostranoun ampio spettro fenotipico.

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Sindrome di Rett - Il gene MECP2

Le mutazioni del gene MECP2 sono responsabili della maggior parte dei casi di RTT classica (> 95% dei casi). La maggior parte di queste mutazioni insorge “de novo” nella linea germinale paterna (34).

I rari pazienti maschi con fenotipo RTT classico con mutazioni del gene MECP2 hanno un cariotipo XXY o presentano la mutazione a mosaico (1).Ad oggi, nelle pazienti RTT, sono state descritte più di 200 mutazioni del MECP2. Esistono otto alterazioni ricorrenti che coinvolgono sequenze CpG (R168X, R255X, R270X, R294X, R106W, R133C, T158M e R306C) e che rappresentano il 65% delle mutazioni  puntiformi.  Oltre alle  mutazioni  puntiformi,  anche  le  delezioni  estese  di MECP2 rappresentano una causa importante di RTT, soprattutto nei casi con fenotipo classico.

Tuttavia, questo gene è stato identificato in altre patologie quali la sindrome di Asperger, l’autismo, i DSA, il ritardo mentale, condizioni simil sindrome di Angelman, ritardi mentali X- linked non sindromici, sindrome PPM-X e le sindromi correlate ad esso (35). Il gene MECP2, localizzato nella regione Xq28, è costituito da quattro esoni ed è sottoposto a splicing alternativo che dà origine a due isoforme proteiche. L’isoforma identificata per prima, denominata MECP2_e2, ha il codone di inizio nell’esone 2 ed è costituita da 487 aminoacidi. Essa rappresenta l’isoforma ubiquitaria, con espressione elevata nei fibroblasti e nelle cellule linfoblastoidi (34).

Diversamente, l’isoforma MECP2_e1, identificata nel 2004, non include l’esone 2 ed utilizza il codone di inizio nell’esone 1. È costituita da 498 aminoacidi e rappresenta l’isoforma maggiormente espressa nel cervello (34).Il gene MECP2 è formato da circa 1500 basi che codificano per una proteina di circa 500 amminoacidi chiamata Methyl-CpG binding protein 2 (MECP2) che storicamente era nota per agire da silenziatore dell’espressione genica. Infatti, è stato dimostrato che MeCP2 si lega alle CpG metilate e, reclutando co-repressori e le istondeacetilasi, è in grado di reprimere la trascrizione genica (31).

Figura 2 - Struttura genomica di MECP2 e varianti di splicing. La sequenza codificante è rappresentata in giallo

Figura 2 - Struttura genomica di MECP2 e varianti di splicing. La sequenza codificante è rappresentata in giallo

Questa proteina è fondamentale per le funzioni cerebrali e la regolazione di altri geni.

Se una delle basi del DNA del gene MECP2 subisce una modifica, anche la sequenza della proteina cambia e questi cambiamenti possono alterarne o distruggerne le funzioni, con conseguenze devastanti (31).Le mutazioni nel gene MECP2 possono consistere nella sostituzione di una base del DNA con un’altra, con conseguente sostituzione di un amminoacido (mutazione missenso). Oppure la sostituzione di una base, anziché portare ad un cambiamento nella sequenza di amminoacidi della proteina porta ad una prematura interruzione della sua sintesi e quindi ad un gene MECP2 più corto (mutazione nonsenso). In altri casi ci può essere un cambiamento nel numero di basi del gene per inserzione di una o più altre basi e quindi una modifica della sequenza di amminoacidi della proteina (mutazione per inserzione).Si può avere anche la perdita di un segmento di DNA del gene, di lunghezza variabile da una base fino a migliaia (mutazione per delezione) e anche in questo caso la delezione cambia l’informazione portata dal gene e quindi la risultante proteina (34).La maggior parte delle mutazioni responsabili dell’insorgenza della RTT sono sporadiche, vale a dire che non sono di origine familiare ma insorgono casualmente, di solito negli spermatozoi. Questo significa che se i genitori venissero analizzati per la presenza di mutazioni nel gene MECP2 prima del concepimento, quasi sicuramente non verrebbe riscontrata alcuna mutazione, neppure nelle cellule del padre (34).Infatti, la mutazione è generalmente presente solo nello spermatozoo che, fecondando la cellula uovo, porta allo sviluppo e alla nascita di una bambina affetta.Solo in rarissimi e particolarissimi casi, due o più membri della stessa famiglia hanno mutazioni del gene MECP2 (ibidem).Le mutazioni MECP2 possono essere riscontrate nei maschi, anche se con una frequenza molto più bassa, poiché la maggior parte delle mutazioni e delezioni del gene MECP2 sono letali e quindi incompatibili con la vita in fase fetale nel sesso maschile (de novo mosaico MECP2) (31).Recentemente sono state identificate duplicazioni che coinvolgono il gene MECP2 in pazienti maschi con grave ritardo mentale, ipotonia, spasticità progressiva, epilessia e infezioni respiratorie ricorrenti (34).La proteina MeCP2 contiene tre domini funzionali: il dominio MBD (Methyl CpG Binding Domain), il dominio TRD (Tracriptional Repression Domain) contenente un segnale di localizzazione nucleare (NLS) e un dominio C-terminale. Tramite il dominio MBD, MeCP2 lega il DNA attaccandosi alle citosine metilate e tramite il dominio TRD, reclutando proteine come Sin3A o Ski/NcoR, media la repressione genica. Il dominio C- terminale contiene una sequenza ripetuta di proline altamente conservata che permette il legame con fattori di splicing contenenti domini WW del gruppo II (34). 

Figura 3 - Struttura della proteina MECP2 e domini funzionali. MBD:methyl binding domain. TRD: transcription repression domain. NLS: nuclear localisation signal. C-ter: C-terminal domain. I numeri sotto la figura si riferiscono ai residui aminoacidi.

Figura 3 - Struttura della proteina MECP2 e domini funzionali. MBD:methyl binding domain. TRD: transcription repression domain. NLS: nuclear localisation signal. C-ter: C-terminal domain. I numeri sotto la figura si riferiscono ai residui aminoacidi.

Nel 2003, è stato dimostrato che MeCP2 ha un ruolo fondamentale nella regolazione dell’architettura globale della cromatina e che, in questa funzione, può agire indipendentemente dalle iston-deacetilasi (36).Uno studio del 2005 ha dimostrato che MeCP2, interagendo con il fattore YB-1, è coinvolto nel processo di splicing dell’mRNA. Nel modello murino di RTT è stata rilevata la presenza di prodotti di splicing aberranti. Recentemente uno studio di “ChIP on chip”, mirato a identificare i target neuronali della regolazione epigenetica di MeCP2, ha sorprendentemente dimostrato che la proteina si lega anche a geni attivamente regolati. Inoltre, è stato dimostrato che MeCP2 può legarsi anche a siti non metilati, localizzati a notevole distanza dai geni (34).Attualmente la definizione corretta di MeCP2 è quindi quella di “regolatore trascrizionale” e non più di “repressore trascrizionale” [ibidem].

In uno studio hanno eseguito un'ulteriore ricerca di proteine che interagiscono con MeCP2. Sono state identificate (37): ATRX, un DNA SWI2 / SNF2 elicasi / ATPasi che sono mutate in un disturbo neurologico separato, la sindrome ATRX (talassemia / ritardo mentale, X-linked). Sono stati mappati siti di interazione su ciascuna proteina ed è stato dimostrato che MeCP2 potrebbe interagire con il dominio C- terminale di ATRX e con focolai eterocromatici nelle cellule di topo in coltura.Sorprendentemente, la localizzazione eterocromatica di ATRX è risultata disturbata nei neuroni del cervello Mecp2-null. Mutazioni puntiformi all'interno del dominio di DNA metilato di MeCP2 che causa la RTT o ritardo mentale legato all' X inibiscono la sua interazione con ATRX in vitro e la sua localizzazione in vivo senza influenzare il legame metil-CpG. Questi risultati genetici aumentano la possibilità che MeCP2 e ATRX collaborino durante lo sviluppo del cervello, e che le mutazioni che alterano la loro interazione interferiscano con la funzione neuronale (37).Gli studi hanno dimostrato che, nelle cellule di topo, sia MeCP2 che ATRX sono localizzati nella eterocromatina pericentromerica [ibidem].È stato anche dimostrato che il targeting eterocromatico di ATRX in queste cellule non dipende dalla localizzazione MeCP2 [ibidem].Ad oggi oltre 900 mutazioni uniche sono state identificate in MECP2 con 518 effetti patogeni o potenzialmente patogeni, 206 benigni o potenzialmente considerabili come patogeni. Mentre la maggior parte dei pazienti RTT presenta mutazioni / delezioni localizzate nel gene MECP2, circa il 5% dei pazienti con RTT classica e il 25% dei pazienti con RTT atipica presenta una mutazione MECP2 negativa (34).Per quanto riguarda il profondo fenotipo neurologico RTT, le gravi anomalie morfologiche rilevate nel sistema nervoso centrale sono: una diminuzione complessiva delle dimensioni del cervello e dei singoli neuroni.Studi autoptici mostrano una riduzione del 12% -34% del peso e del volume del cervello in pazienti con RTT, l'effetto più pronunciato si ha nelle aree prefrontale, frontale posteriore e anteriore, regioni temporali (38).Il cervello RTT non mostra degenerazione evidente, atrofia, o infiammazione, e non ci sono segni di difetti di gliosi o migrazione neuronale (39) (40).Queste osservazioni indicano che la RTT è un disturbo del neurosviluppo post-natale piuttosto che un processo neurodegenerativo, come definito in precedenza (40).

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Sindrome di Rett - Il gene CDKL5

Nel 2005 sono state identificate le prime mutazioni nel gene CDKL5 (Cyclin-Dependent kinase-like 5), che rappresenta il secondo gene causativo della sindrome (41).Tale gene è localizzato in Xp22 e presenta alcune isoforme [ibidem]:

  • l’isoforma I, contenente l’esone 1, che consta di 21 frammenti, che è espressa in un’ampia varietà di tessuti;
  • l’isoforma II, contenente gli esoni 1a e 1b, che consta di 22 frammenti ed è trascritta solo nei testicoli e, a livelli molto bassi, nel cervello fetale. 

Negli ultimi 2 anni sono state identificate 2 nuove isoforme (41):

  • l’isoforma ‘16b’, che contiene un esone in più localizzato fra il vecchio esone 16 e il 17, il quale si trova in grande quantità nei fibroblasti umani e nel cervello di topo,
  • l’isoforma più corta con soli 18 esoni, in cui l’esone 18 è più lungo poiché continua per 170 nucleotidi nella porzione non codificante. Tale forma è ubiquitariamente espressa.

L’identificazione di nuove isoforme riveste importanza a fini diagnostici, poiché per avere un’analisi esaustiva, è necessario studiare anche tali regioni che prima non venivano indagate. Tuttavia, uno studio dell’esone 16b eseguito in tre numerosi gruppi di pazienti con Rett classica o reminiscente, con RTT classica o Hanefeld con RTT atipica, ritardo mentale e autismo, non hanno evidenziato alcuna alterazione, suggerendo che mutazioni patogenetiche in queste nuove regioni siano rare (41).

Figura 4 - Struttura della proteina CDKL5. In azzurro è rappresentato il dominio chinasico con al suo interno il sito di legame per l’ATP (in rosa). Il sito attivo di fosforilazione (in viola) e il motivo Thr-Xaa-Tyr (tratteggiato).

Figura 4 - Struttura della proteina CDKL5. In azzurro è rappresentato il dominio chinasico con al suo interno il sitodi legame per l’ATP (in rosa). Il sito attivo di fosforilazione (in viola) e il motivo Thr-Xaa-Tyr (tratteggiato).

Dal punto di vista funzionale CDKL5 codifica per una proteina con attività chinasica, cioè in grado di fosforilare altre proteine oltre che sé stessa; la fosforilazione è una funzione importante perché rappresenta uno dei segnali di comunicazione fra le proteine all’interno della cellula, che ne favorisce l’attivazione/disattivazione e comunque la variazione della loro funzionalità.La regione preposta a tale importante funzione si chiama dominio catalitico, è codificato dai primi 11 esoni del gene, e contiene 3 siti principali: quello per il legame all’ATP (la molecola che fornisce la energia necessaria perché avvengano tali reazioni di fosforilazione), il sito attivo treonin-chinasico (ove si lega la regione di un’altra proteina 
che viene fosforilata da CDKL5) e un sito di fosforilazione Thr-Glu-Tyr, cioè una regione consenso dove la proteina CDKL5 può essere fosforilata da altre proteine o da sé medesima (42).

Figura 5 - Rappresentazione schematica della proteina codificata del gene CDKL5

Figura 5 - Rappresentazione schematica della proteina codificata del gene CDKL5

Il gene CDKL5 viene espresso attivamente nel primo periodo postnatale e, a differenza di MECP2, nel cervello adulto si trova solo nei neuroni, ma non nelle cellule dell’astroglia, è presente sia nel citoplasma delle cellule in divisione, sia nel nucleo e si trasferisce da un compartimento all’altro, in maniera differente a seconda dell’area del cervello e del momento dello sviluppo (43).Nel citoplasma CDKL5 è coinvolto nel rimodellamento actinico e nella morfogenesi neuronale, cioè nella crescita dell’assone, e nella arborizzazione dendritica, cioè delle fibre minori che si ramificano a partire dal neurone e che trasportano il segnale nervoso verso il corpo cellulare del neurone (44).Studi in vitro, hanno dimostrato che CDKL5 interagisce con MECP2 e con la DNA metiltransferasi 1 (DNMT1), suggerendo che possa regolare la metilazione del DNA e il legame di MECP2 stesso al DNA; Studi in vivo in neuroni di topo dimostrano che MECP2 agisce su di CDKL5 reprimendolo [ibidem].Infatti, CDKL5 viene inibito da MECP2 attraverso il legame di quest’ultimo ad una regione ricca di citosine metilate che copre il promotore. Tale scoperta ribadisce il coinvolgimento in un medesimo meccanismo di azione delle due maggiori proteine responsabili della sindrome di Rett [ibidem]; 

Inoltre, si è dimostrato che in vitro CDKL5 a sua volta fosforila MECP2; quindi il legame fra le due proteine e le due forme della sindrome è duplice: se da un lato le mutazioni in CDKL5 possono alterare la fosforilazione di MECP2, portando nelle bambine con variante Hanefeld, ad un’attività ridotta di MECP2 che genera una serie di sintomi della sindrome di Rett, ci si aspetterebbe viceversa che mutazioni in MECP2 nelle pazienti con RTT classica, che riducono la sua attività di legame alle citosine metilate nella regione a monte di CDKL5, determinino un incremento della espressione di CDKL5, il cui significato sul fenotipo sarebbe interessante da valutare (44).Infine, CDKL5 a livello nucleare sembrerebbe coinvolto in una nuova funzione, poiché co-localizza a livello di regioni specifiche dette ‘nuclear speckles’ dove si trovano i fattori che regolano lo splicing dell’RNA, molecola che rappresenta la fase di transizione dal gene alla proteina. Sia la sovra-espressione che l’abbassamento della quantità di CDKL5 portano ad una alterazione di tali strutture, mediata probabilmente dalla sua attività di fosforilazione sulle proteine che fanno parte dei ‘nuclear speckles’ [ibidem].Ad oggi sono state identificate in letteratura circa 80 pazienti con mutazione in CDKL5, fra cui anche 13 maschi.La maggior parte delle mutazioni, circa 50, sono puntiformi, cioè interessano uno o pochi nucleotidi della sequenza e comunque sono evidenziabili tramite la tecnica del sequenziamento. Si tratta di mutazioni missenso all’interno del dominio catalitico, mutazioni non senso causanti la terminazione prematura della proteina, distribuite lungo l’intera sequenza del gene, varianti di splicing e mutazioni frameshifts.Le rimanenti 30 interessano delezione di regioni più estese, comprendenti uno o più esoni del gene, e non possono essere evidenziate con la tecnica precedente, ma con la tecnica dell’MLPA o della PCR quantitativa (44).Le caratteristiche cliniche più comuni associate con le mutazioni di CDKL5 comprendono convulsioni ad esordio precoce (in genere 3 mesi di età), grave ritardo mentale e disabilità motoria grave. Inoltre, vari aspetti del viso sono stati descritti in pazienti con CDKL5 mutazioni, tra cui una fronte ampia, occhi infossati, naso ben pronunciato, dita affusolate, e labbra carnose [ibidem].Una valutazione fenotipica completa di un'ampia coorte di pazienti con CDKL5 mutazioni è stata recentemente pubblicata con l'obiettivo di determinare se questi pazienti in realtà rientrano nella gamma di RTT. 

Lo studio di Fehr et al.  ha dimostrato che quasi il 25% della loro coorte di 86 pazienti con mutazioni del CDKL5 non ha soddisfatto i criteri Neul per le convulsioni ad insorgenza precoce della sindrome di RTT. Gli autori hanno quindi proposto che i pazienti con mutazioni nel CDKL5 devono essere considerato un'entità separata RTT, piuttosto che essere una variante del disturbo, e suggeriscono che dovrebbe essere noto come ildisturbo CDKL5 (45).

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Sindrome di Rett - Il gene FOXG1

FOXG1 è un gene che codifica per una proteina conosciuta come “Forkhead box G1” ed è localizzato sul cromosoma 14q12 (46).

Questa proteina è composta da 489 aminoacidi nell'uomo e contiene un dominio altamente conservato che si estende dal forkhead binding domain (FBD) al C-terminale e N-terminale variabile (47).Questa proteina è un fattore trascrizionale che in particolare agisce come un repressore trascrizionale, reprimendo l’attività di alcuni geni quando essa non è necessaria.

I ricercatori credono che questa proteina giochi un ruolo importante nello sviluppo cerebrale e specialmente in una regione specifica del cervello embrionale conosciuta come telencefalo. Infatti, FOXG1 interagisce con il JARID1B (repressore trascrizionale) e con co-repressori trascrizionali globali della famiglia Groucho. L’interazione con queste proteine, infatti, è d’importanza fondamentale per lo sviluppo cerebrale precoce (46).La proteina FOXG1, quindi, viene espressa maggiormente nelle fasi precoci dello sviluppo, cioè durante la vita embrionale (47).Questa rappresenta una differenza fondamentale rispetto a MECP2 che invece raggiunge la sua massima espressione dopo la nascita e potrebbe spiegare l’insorgenza precoce dei sintomi rispetto alla forma classica (47).

Figura 6 - Struttura della proteina FOXG1 e domini funzionali. FHD: Forkhead domain. GTBD: Groucho-binding domain. JBD: JARIDIB binding-domain.

Figura 6 - Struttura della proteina FOXG1 e domini funzionali. FHD: Forkhead domain. GTBD: Groucho-binding domain. JBD: JARIDIB binding-domain. 

Svolge un ruolo determinante nello sviluppo e nella regionalizzazione della parte anteriore dell’encefalo, nonché nella laminazione corticale e nella formazione del corpo calloso. È anche coinvolto nella promozione della proliferazione dei precursori neurali e ne regola la differenziazione (47).È critico nell'equilibrio dei neuroni inibitori / eccitatori e dei loro marcatori.

Inoltre, promuove anche la sopravvivenza e l'allungamento dei neuriti nel neurone post- mitotico, mantenendo la plasticità neurale, l'arborizzazione dendritica, importanti per una funzione di alto livello (47).Dato che le mutazioni in MECP2 e FOXG1 causano un quadro clinico simile, rimane da chiarire se e come le due proteine interagiscano.A differenza dei geni MECP2 o CDKL5, il gene FOXG1 non è localizzato sul cromosoma X ma è localizzato su un autosoma e precisamente sul braccio lungo del cromosoma 14. Questo significa che la malattia dovuta alla sua alterazione non è esclusiva del se sso femminile e quindi anche pazienti di sesso maschile possono essere affetti dalla variante congenita della  RTT (46). Le alterazioni  del gene FOXG1 includono duplicazioni, delezioni, frameshift e mutazioni puntiformi. Il primo caso di mutazione FOXG1 è stato riportato nel 2005 quando una ragazza presentava una grave compromissione cognitiva, l'agenesia del corpo calloso e microcefalia [ibidem].Le segnalazioni di pazienti con mutazione del gene FOXG1 sono sempre più numerose. Le prime mutazioni che determinano una precoce terminazione della proteina FoxG1 (FOXG1-truncating mutations) sono state descritte nel 2008 in due pazienti colpite dalla variante congenita della sindrome [ibidem].I pazienti con sintomi più gravi presentano microcefalia congenita, assenza di contatto visivo, scarso controllo del capo, mentre i pazienti meno gravi presentano un miglior contatto visivo, assenza di epilessia e sviluppano alcune funzioni propositive delle mani. Nonostante ciò risulta ancora difficile stabilire una relazione genotipo-fenotipo nei pazienti con mutazione del gene FOXG1 a causa dei pochi casi descritti fino ad ora (46). 

Tabella 1- Le caratteristiche cliniche di pazienti con delezione/mutazioni intrageniche o duplicazione del gene FOXG1

Tabella 1- Le caratteristiche cliniche di pazienti con delezione/mutazioni intrageniche o dup licazione del geneFOXG1

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Sindrome di Rett - Fenomeno di inattivazione del cromosoma X

Il processo di inattivazione del cromosoma X è uno dei migliori esempi di regolazione epigenetica, messo in atto dalle cellule per evitare che ci sia uno sbilanciamento dell’espressione dei geni del cromosoma X tra uomo (XY) e donna (XX).

Si tratta di un meccanismo di “dosage compensation”, tramite il quale uno dei due cromosomi X va incontro a silenziamento genico ed inizia nelle prime fasi dello sviluppo embrionale (48).La scelta del cromosoma X da inattivare in ciascuna cellula è casuale, ma una volta effettuato, il silenziamento è ereditato nelle successive divisioni cellulari.

Nel caso di triploidia o tetraploidia saranno inattivati tutti gli X tranne uno.

Ogni femmina adulta in teoria avrà un 50% di cellule somatiche con l’X paterno (Xp) attivo e un 50% di cellule somatiche con l’X materno attivo (Xm); il rapporto tra Xp attivo e Xm attivo (X inactivation pattern) seguirà una distribuzione gaussiana in cui i valori estremi saranno rari. L’ inattivazione del cromosoma X è un processo casuale che inizia nelle prime fasi dello sviluppo embrionale (49). 

Le principali differenze tra X attivo e X inattivo sono che l’X inattivo replica tardivamente durante la fase S della mitosi, presenta ipoacetilazione delle proteine istoniche, dà luogo ad un ammasso di eterocromatina detto Corpo di Barr ed ha una localizzazione nucleare periferica [ibidem].

Il processo di inattivazione del cromosoma X si svolge in tre fasi (49): inizio, diffusione e mantenimento. Nella prima si ha la selezione del cromosoma X da inattivare, grazie alla presenza del Centro di inattivazione del cromosoma X (XIC) che agisce in cis e mappa in Xq13. In questa regione il gene XIST (X Inactive Specific Transcript), viene espresso solo dall’ X inattivo e codifica per un RNA non tradotto.

Nelle cellule staminali embrionali entrambi i cromosomi X esprimono XIST a bassi livelli; successivamente l’RNA XIST ricopre il cromosoma X che verrà inattivato, permettendo la diffusione dell’inattivazione. L’accumulo di XIST in cis recluta specifici fattori proteici di silenziamento e porta alla riorganizzazione della cromatina in uno stato inattivo, caratterizzato da ipoacetilazione degli istoni e metilazione delle isole CpG. L’RNA attorno all’ X attivo, invece, rimane visibile solo per un breve periodo di tempo, dopodiché il gene XIST sarà metilato su questo cromosoma, rimanendo in uno stato represso (49).

Per il mantenimento dell’inattivazione è importante la continua trascrizione di XIST nelle cellule adulte, ma anche la metilazione delle isole CpG sull’ X inattivato e la sua replicazione tardiva sono importanti fattori di regolazione dell’inattivazione. Non tutti i geni del cromosoma X vanno incontro ad inattivazione: alcuni infatti sono espressi da entrambi i cromosomi X e sono localizzati principalmente a livello delle regioni pseudoautosomiche PAR1 (2.7 Mb) e PAR2 (330 Kb) (49).

Inoltre, i geni che sfuggono all’inattivazione che non appartengono a queste due regioni hanno generalmente omologhi funzionali sul cromosoma Y, per cui probabilmente non è necessario il meccanismo di compensazione (ibidem).

Esistono anche altri geni, al di fuori di queste regioni, che sfuggono all’inattivazione. Nello specifico, solo il 65% dei geni X-linked va incontro ad una completa inattivazione nelle femmine normali, mentre un 20% è inattivato in alcune ma non in tutte le cellule e un 15% sfugge costantemente all’inattivazione. Sono necessarie spiegazioni differenti per questa  mancata  inattivazione,  come  un’assenza  di  conseguenze  per  lo  squilibrio nell’espressione di tali geni tra uomo e donna oppure un’utilità della doppia dose di essi per alcune specifiche funzioni femminili (49).

L’inattivazione sbilanciata è un evento abbastanza raro nelle femmine normali anche se tende ad aumentare con l’età in alcuni tipi cellulari. Questo sbilanciamento può essere il risultato di processi selettivi o casuali (50).

Ad esempio, è noto che nel caso di anomalie strutturali di uno dei due cromosomi X, come delezioni, duplicazioni, traslocazioni sbilanciate X-autosoma, sarà l’X anomalo ad essere preferenzialmente inattivato nella maggior parte o in tutte le cellule dell’organismo (51); al contrario, nel caso di traslocazioni bilanciate X-autosoma, sarà l’X normale ad essere inattivato, al fine di mantenere un’euploidia funzionale (52).

In alcuni casi l’inattivazione del cromosoma X non è più random ma è sbilanciata, provocando uno squilibrio tra cellule che esprimono l’Xp e cellule che esprimono l’Xm. Processi selettivi simili agiscono anche in individui con mutazioni in geni X-linked, infatti, sono state descritte varie sindromi (ritardo mentale legato all’X-XLMR, sindrome di Barth) in cui le femmine portatrici asintomatiche hanno un alto grado di sbilanciamento a favore dell’X normale, che viene espresso nella maggior parte delle cellule (53).

Tale fenomeno può essere il risultato di una selezione contro le cellule che esprimono la mutazione deleteria, probabilmente dovuta alla ridotta vitalità o proliferazione delle stesse, o a meccanismi più complessi che agiscono durante lo sviluppo (54).

In alternativa, l’inattivazione sbilanciata dell’X può essere un processo del tutto casuale, dovuto al basso numero di cellule presenti al momento dell’inattivazione.Infine, a volte l’inattivazione sbilanciata a favore di un allele mutante può essere la causa del manifestarsi di una patologia X-linked recessiva in individui di sesso femminile, come nel caso dell’anemia sideroblastica e della sindrome dell’X-fragile [ibidem].

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Sindrome di Rett - Le varianti genetiche

La RTT è caratterizzata da ampia eterogeneità clinica e, oltre alla forma classica, sono state descritte almeno 6 varianti della forma atipica.

Queste includono:

  • la variante a linguaggio conservato o variante Zappella (PSV), con fenotipo meno grave, a seguito di uno studio fatto nel 2000 da Michele Zappella e altri, viene associata a mutazioni nello stesso gene della variante classica (MECP2) (55). Per questo motivo essa ha alcuni elementi in comune con la RTT classica: si sviluppa in quattro fasi consecutive ed include la presenza di disprassia e stereotipie delle mani nella seconda e all’inizio della terza fase [ibidem].Queste bambine vanno incontro ad una graduale regressione che ha inizio dopo il terzo anno di età. In questa fase perdono gran parte dell’uso funzionale delle mani e possono sviluppare crisi epilettiche, sebbene mantengano l’abilità di camminare. Essa è caratterizzata da un decorso clinico più favorevole in cui le bambine recuperano la capacità di esprimersi con alcune parole o brevi frasi e, parzialmente, l’uso delle mani (56). Infatti, il linguaggio è preservato ma quello di tipo espressivo raramente risulta coerente. Il fenotipo somatico è spesso contrassegnato da obesità e / o crescita eccessiva. Vale la pena sottolineare che, al contrario, l’arresto della crescita è uno dei tratti distintivi della sindrome di Rett classica [ibidem]. La precedente scoperta di un caso di RTT classica e un caso PSV all'interno della stessa famiglia ha fortemente suggerito che possono rappresentare uno spettro variabile dello stesso difetto genetico.  Lo studio a cui si fa riferimento sopra, condotto da Michele Zappella, stabilisce che la RTT classica e la PSV sono davvero alleliche. Questo risultato non è sorprendente data l’ampia variabilità dei fenotipi associati alle alterazioni del MECP2 [ibidem].La variabilità nel complesso Rett dipende, però, solo in parte dal tipo di mutazione MECP2. È concepibile che meccanismi come l'inattivazione della X distorta e / o il modificatore degli effetti genici svolgono un ruolo sinergico per spiegare il notevole recupero del linguaggio e delle abilità manuali nel PSV [ibidem]. 
  • la variante con convulsioni ad esordio precoce o variante di Hanefeld, associata a mutazione del gene CDKL5 (ciclina-dipendente chinasi-like 5), è caratterizzata da crisi convulsive o epilettiche che si manifestano prima del periodo di regressione. Generalmente la comparsa è prima dei 6 mesi di età (58); L’epilessia è di solito un’encefalopatia epilettica con un tipico schema caratterizzato dalla contrazione tonica-vibratoria prolungata, seguita da una fase clonica con una serie di spasmi che si traducono gradualmente ripetitivi spasmi mioclonici distali. Alcuni studi hanno suggerito che il decorso dell’epilessia è più grave nei pazienti che portano mutazioni nel dominio catalitico del CDKL5 (59).Tuttavia, utilizzando le informazioni sul fenotipo raccolte attraverso il Database internazionale della RTT (InterRett), è stato scoperto che solo una piccola parte di individui con una mutazione CDKL5 possiede i criteri clinici per la variante con convulsioni ad esordio precoce di RTT, che richiede specificamente un periodo di regressione dello sviluppo (60).
  • la variante congenita o variante di Rolando, associata a mutazioni del gene FOXG1 localizzato sul cromosoma 14, si manifesta attraverso un ritardo psicomotorio evidente sin dai primi mesi di vita con alterazioni elettroencefalografiche senza evidenza di epilessia precoce. Questa è una forma piuttosto rara, che manca del periodo di sviluppo psicomotorio normale, tipico della forma classica. Questo alterato sviluppo risulta invece evidente sin dai primi mesi di vita (61); Per quanto riguarda quelle che sono le anomalie a livello di questo gene, per adesso sono state descritte solamente poche mutazioni, che sono causa della variante congenita della RTT e si tratta per la maggior parte di mutazioni “de novo” (62). Le mutazioni correlate al gene FOXG1 sono state identificate sia in pazienti di sesso femminile che maschile e la maggior parte di esse consistono nella modifica di un unico nucleotide (mutazioni puntiformi), anche se sono state trovate delezioni e duplicazioni [ibidem]. I pazienti con sintomi più gravi presentano microcefalia congenita, assenza di contatto visivo, scarso controllo del capo, mentre i pazienti meno gravi presentano un miglior contatto visivo, assenza di epilessia e non perdono totalmente l’uso funzionale delle mani ed infatti alcune abilità risultano conservate [ibidem]. Nonostante ciò risulta ancora difficile stabilire una relazione genotipo-fenotipo nei pazienti con mutazione del gene FOXG1 a causa dei pochi casi descritti fino ad ora (62). Dati recenti suggeriscono inoltre che il tipo e la posizione della mutazione non possa completamente prevedere la gravità del fenotipo, perché è possibile che altri fattori possano contribuire alla gravità dei disturbi legati ad alterazioni di questo gene [ibidem].
  • la variante a regressione tardiva o variante Hagberg, di rarissima osservazione; dopo un periodo protratto dominato da ritardo mentale di grado medio, in età scolare può iniziare la regressione e comparire la sintomatologia classica (63);
  • le “forme fruste” (FF) in cui i segni clinici caratteristici sono più sfumati ed i sintomi più lievi; l’esordio avviene tardivamente, anche dopo i quattro anni (64). Gli individui con FF di solito presentano una riduzione più lieve della circonferenza cranica, un miglior uso funzionale delle mani e a volte stereotipie delle mani più leggere;
  • la Sindrome di Rett maschile con un quadro congenito di particolare gravità, nella maggior parte dei casi letale (65).

Figura 7 - Varianti della sindrome di Rett: variante Zappella, variante Hanefeld e variante di Rolando

Figura 7 - Varianti della sindrome di Rett: variante Zappella, variante Hanefeld e variante di Rolando

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Criteri diagnostici della Sindrome di Rett

I dati discussi suggeriscono che una mutazione MECP2 non è sufficiente ad identificare la patologia. Questo perché da una parte, individui con queste mutazioni potrebbero non avere le caratteristiche della sindrome di RTT  e dall'altra individui che non hanno mutazione  MECP2  potrebbero  essere  affetti  da  RTT  (4-5%),  come  nei  casi  delle mutazioni dei geni CDKL5, FOXG1 e Netrin G1 che sono stati associati a RTT atipica (66). Quindi, oltre alla verifica genetica, sono state individuate alcune caratteristiche cliniche per definire la diagnosi di RTT, di cui la versione più aggiornata risale al 2010. In assenza di markers biologici, la sindrome di Rett fu definita sulla base di un insieme di criteri clinici stabiliti nel corso della conferenza internazionale organizzata nel 1984 a Vienna  da  Rett.  Mancando  ancora  descrizioni  dettagliate  delle  forme  atipiche  o incomplete, la cui esistenza era comunque nota, i criteri di Vienna individuati furono suddivisi in due categorie: criteri di inclusione e criteri di esclusione (67).

Figura 8 - Criteri diagnostici di inclusione per la sindrome di Rett (1985)

Figura 8 - Criteri diagnostici di inclusione per la sindrome di Rett (1985)

Figura 9 - Criteri di esclusione della sindrome di Rett (1985)

Figura 9 - Criteri di esclusione della sindrome di Rett (1985) 

In seguito alla descrizione di Goutieres e Aicardi (1986) di sette pazienti con manifestazioni cliniche riconducibili alla RTT che non soddisfacevano tutti i criteri diagnostici sopra elencati, se ne rese necessaria una revisione.

Infine, nel 2001, Bengt Hagberg e altri posero mano ai Criteri di Vienna suddividendoli in tre categorie: criteri di inclusione, criteri di supporto e criteri di esclusione (5) .

Figura 10 - Criteri diagnostici revisionati (2002)

Figura 10 - Criteri diagnostici revisionati (2002) 

Figura 11 - delineamento revisionato dei fenotipi delle variant

Figura 11 - delineamento revisionato dei fenotipi delle varianti

Tuttavia, nel 2010 c’è stato il bisogno, da parte degli studiosi, di revisionare ulteriormente tali criteri.

Questo perché si resero conto che uno dei criteri precedentemente considerato necessario e cioè la decelerazione postnatale della crescita del cranio, non era da ritenersi tale; inoltre non c’era alcun requisito per nessuno dei criteri di supporto.

È stato notato che osservazioni come queste possono contribuire alla confusione diagnostica. Quindi, sono stati rivisti i criteri diagnostici per chiarire e semplificare la diagnosi di tipica o classica RTT (66). 

Criteri Diagnostici RTT 2010
Considerare la diagnosi di RTT quando viene osservata una decelerazione postnatale della crescit del cranio (non è un elemento sempre presente)

 

Requisiti per la diagnosi di RTT classica /tipica

  1. Un periodo di regressione seguito da recupero o stabilizzazione
  2. Tutti i criteri principali e tutti i criteri di esclusione
  3. Criteri di supporto non richiesti sebbene spesso presenti in individui con RTT classica

 

Requisiti per la diagnosi di variante RTT /RTT atipica

  1. Un periodo di regressione seguito da recupero o stabilizzazione
  2. Almeno 2 su 4 criteri principali
  3. 5 su 11 criteri di supporto

 

Criteri principali

  1. Perdita parziale o completa di competenze finalistiche acquisite della mano
  2. Perdita parziale o completa del linguaggio parlato acquisito
  3. Anormalità del cammino: deficit (per disprassia) o assenza dell’abilità
  4. Movimenti stereotipati della mano come gli automatismi ‘wringing/squeezing’, clapping/tapping’, ‘mauthing’ e ‘washing/rubbing’

 

Criteri di esclusione per RTT classica /tipica

  1. Danno cerebrale secondario a trauma (peri- o postnatale), malattia neuro-metabolica o grave infezione che causa problemi neurologici
  2. Sviluppo psicomotorio esageratamente anormale nei primi 6 mesi di vita

 

Criteri di supporto per variante RTT /RTT atipica

Disturbi respiratori durante i periodi di veglia
2. Bruxismo durante i periodi di veglia
3. Alterazione del ciclo del sonno
4. Tono muscolare anormale
5. Disturbi vasomotori periferici
6. Scoliosi/cifosi

7. Ritardi della crescita
8. Mani e piedi piccoli e freddi
9. Intervalli di risate/urla inappropriati
10. Risposta al dolore diminuita
11. Intensa comunicazione visiva – “eye pointing”

Figura 12 - Criteri diagnostici: revisione del 2010 

Gli studiosi in questa revisione hanno limitato i criteri necessari alla presenza della regressione ed hanno aggiunto 4 criteri principali che sono assolutamente necessari per la diagnosi della forma classica di RTT (66).

Il quadro clinico associato alla tipica RTT è definito da una regressione dell’uso funzionale delle mani e del linguaggio, con lo sviluppo di anomalie dell'andatura e stereotipie delle mani. Dopo il periodo di regressione, ne consegue una fase di stabilizzazione e potenzialmente anche una di miglioramento, in alcuni individui, di parziale recupero di abilità. Questo sottolinea l'importanza dell'acquisizione di un'attenta anamnesi per determinare la presenza della regressione [ibidem].

Nella revisione hanno eliminato dai criteri necessari il rallentamento post-natale della crescita del cranio perché questa funzione non si presenta in tutti gli individui con tipica RTT. Tuttavia, poiché essa è una caratteristica clinica che può avvisare un medico per la diagnosi potenziale ed è una caratteristica distintiva nel disordine, è stata inclusa come un preambolo ai criteri, come una caratteristica che dovrebbe far sorgere il sospetto per la diagnosi (66).

Lo scopo fondamentale dei criteri di esclusione, come scritto nei criteri del 2002, è stato quello di escludere altre cause potenziali di malattie neurologiche, come la prematurità, che portano ad emorragia intraventricolare, a meningite o cause perinatali che portano alla genesi di danni cerebrali. Gli altri criteri di esclusione riflettono il riconoscimento che gli individui con RTT classica non hanno macroscopiche deviazioni dello sviluppo normale nei primi sei mesi di vita. Nel caso in cui, pur con il soddisfacimento di tutti i criteri necessari, si rilevi la presenza di uno o più criteri di esclusione, la diagnosi di RTT, che resta comunque in sospeso dai 2 ai 5 anni di età, non può essere emessa.

Sebbene sia stato riconosciuto che alcune alterazioni nello sviluppo iniziale possono essere presenti in tali individui, in genere la famiglia ed il medico non sono preoccupati per lo sviluppo se non dopo sei mesi di vita. Ciò è in contrasto con una delle forme atipiche di RTT, definita la variante congenita, in cui lo sviluppo è grossolanamente anormale dalla nascita [ibidem].

Gli individui che hanno un modello di sviluppo compromesso già prima dei 6 mesi, dovrebbero pertanto essere valutati secondo i criteri RTT atipici e se soddisfano questi criteri, diagnosticati come affetti dalla forma congenita di RTT (atipica). 

I criteri di supporto sono stati completamente eliminati dai criteri diagnostici per la RTT tipica perché non sono necessari per fare la diagnosi. In questi nuovi criteri, quello della regressione e tutti i criteri necessari e di esclusione devono essere soddisfatti per fare diagnosi di RTT classica, senza eccezioni. Da segnalare, anche se inizialmente riconosciuta solo nel sesso femminile, che recentemente sono stati individuati casi di soggetti di genere maschile che soddisfano i criteri per RTT classica e quindi dovrebbe essere diagnosticata come variante classica (66).

L'importanza della regressione per la diagnosi di RTT è da tempo riconosciuta, come dimostrato da una dichiarazione di Francoise Goutieres e Jean Aicardi in un documento del 1986 [ibidem].

Pertanto, in tali criteri rivisti, a differenza di un recente rapporto che non ha sottolineato la regressione nella diagnosi, affermiamo che per la diagnosi di RTT un individuo deve avere un periodo di regressione seguita da guarigione o consolidamento.Questo distingue chiaramente questi casi da condizioni degenerative implacabili.

Oltre ad avere una regressione, gli individui devono avere almeno due dei quattro criteri principali e cinque di undici criteri di supporto (66).

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Stadi clinici della Sindrome di Rett

L’organizzazione in stadi della sindrome di Rett è stata individuata nel 1986 dal Dott. Hagberg, in quanto si è osservato che la sindrome è caratterizzata da manifestazioni cliniche che generalmente compaiono in sequenza ordinata (68).

Questa schematizzazione serve solo per comprendere in grandi linee il decorso della patologia, perché è presente una variabilità individuale sia nei tempi che nella gravità dei sintomi.I quattro stadi sono così delineati:

1. Stadio della stagnazione precoce

In questa fase, che ha inizio tra i 6 e i 18 mesi, si assiste ad un rallentamento dello sviluppo psicomotorio, che fino a quel momento era normale.Nella maggior parte dei pazienti compare una decelerazione della crescita della testa, ritardo della crescita generale e perdita di peso, accompagnati da una disattenzione verso l’ambiente circostante e verso il gioco. La durata di questa fase è di alcuni mesi. 

Molti studi suggeriscono che, sebbene l'ipotonia possa essere presente prima dei 6 mesi di età ed il progresso dello sviluppo generale possa essere non ottimale durante il primo anno di vita, il modello generale di sviluppo iniziale non è ovviamente disturbato (1).

Le prime tappe di sviluppo possono essere ancora conquistate ma con un margine di ritardo. Per esempio, il bambino può imparare a stare seduto, ma non a strisciare o stare in piedi, possono comparire il babbling e le prime vocalizzazioni o addirittura le prime parole. I genitori possono notare un cambiamento nel comportamento interattivo del bambino,  ma,  poiché  il  modello  di  sviluppo  complessivo  è  ancora  apparentemente normale, essi sono rassicurati dai medici ed una diagnosi clinica è rara in questa fase. Nella loro revisione, tuttavia, Einspieler e Marschik hanno voluto far luce su questo primo periodo e dimostrano che esisterebbero più indicatori sottili di sviluppo atipico che possono  essere  già  presenti  e  che  i  clinici,  nonché  i  genitori,  dovrebbero  prestare attenzione a questo (69).

2. Stadio della regressione rapida

Questa fase inizia generalmente tra i 18 mesi e i 3 anni e può durare da settimane a mesi. Compare talvolta in modo drammatico, con un cambiamento repentino del comportamento ed è caratterizzata da una regressione delle abilità acquisite.

Il periodo di regressione dello sviluppo è stato associato con un certo numero di specifici tipi di disabilità dello sviluppo, come ad esempio il disturbo disintegrativo dello sviluppo ed il disturbo dello spettro autistico (70).

Durante questo stadio si ha la perdita del linguaggio e dell’uso funzionale delle mani, con la  comparsa  dei  primi  movimenti  stereotipati  delle  mani,  sintomo  peculiare  della sindrome. Il più noto è il movimento di sfregamento continuo simile al lavaggio delle mani (hand- washing), altre tipologie diffuse sono: il battito delle mani sulla linea mediana del corpo (hand -clapping); la torsione delle dita (hand-wringing), che porta a deformazione delle stesse; il portare spesso le mani alla bocca (hand- mouthing) (66). Alcuni autori, in uno studio del 2016, affermano anche che l'uso funzionale delle mani è “sostituito” da movimenti stereotipati delle stesse (71).

Possono comparire anche le prime crisi convulsive e si manifestano i primi disturbi dell’andatura: la deambulazione diventa instabile ed accompagnata da movimenti bruschi e scatti involontari. Altri sintomi sono anomalie respiratorie, difficoltà di masticazione, deglutizione e assimilazione del cibo, che portano ad un peso corporeo ridotto.Iniziano, inoltre, a comparire i primi tratti autistici, si assiste anche al deterioramento delle abilità sociali del bambino, mostrando uno scarso interesse verso le persone e l’ambiente circostante (66).

Dal punto di vista emotivo sono frequenti gli sbalzi di umore, caratterizzati da irritabilità, ansia, possibili comportamenti aggressivi ed autolesionistici.

Tutto questo è accompagnato da urla o risate immotivate e suscita una forte preoccupazione nei genitori [ibidem].

L'insorgenza della regressione comportamentale può essere improvvisa, come è stato descritto da un genitore: “Un giorno ha lasciato cadere dalla mano il cucchiaio, come se bruciasse, dopodiché non ha mai più usato le mani”. La regressione è un processo graduale di declino funzionale che si protrae per un periodo di diversi mesi o addirittura anni e che può essere difficile da riconoscere ed accompagnato da comorbidità.

Studi di referti medici, di controllo e diari dei genitori hanno rivelato un esordio di regressione all'età di 12/18 mesi [ibidem].Il periodo di regressione è generalmente seguito da un periodo di consolidamento e di “recupero”: il bambino si interfaccia nuovamente con l'ambiente e l'apprendimento è di nuovo possibile (66). Dobbiamo ancora capire il meccanismo neuropatologico sottostante alla regressione dello sviluppo e come la plasticità neuronale si deteriora.

Si può supporre, tuttavia, che la regressione non sia il risultato della neuro degenerazione ma derivi dalla funzione neuronale alterata [ibidem]. 

Le interviste materne hanno rivelato che l’improvvisa comparsa dello strabismo, il vomito eccessivo e il pianto inconsolabile sono stati la prima causa di preoccupazione.

I criteri classici come la perdita dell’uso funzionale delle mani e la perdita delle abilità verbali si sono verificati solo in una piccola percentuale di bambini.

Di contro, questionari somministrati a posteriori rivolti a 869 famiglie hanno dimostrato che [ibidem]:

  • l’87% dei bambini ha mostrato una perdita della parola e del linguaggio;
  • l’86% ha mostrato la comparsa di stereotipie;
  • il 77% di tutti gli individui ha riportato una perdita delle abilità motorie fini;
  • il 56% dei pazienti ha mostrato una perdita di abilità grosso-motorie (strisciare, camminare);
  • il 20% ha mostrato una perdita di attenzione.

Il pediatra austriaco Andreas Rett era convinto che i suoi pazienti avessero raggiunto le prime tappe dello sviluppo ed alcuni di loro anche precocemente.

Egli ha descritto tutti e 22 i bambini, nella sua prima relazione sulla RTT, come sani fino ad almeno 9 mesi anche se nove di loro avevano dimostrato una notevole difficoltà nell’ alimentazione durante la prima infanzia. In considerazione della gravità dei segni e sintomi, più tardi, Hagberg ed altri hanno elencato un primo sviluppo normale come uno dei criteri diagnostici fondamentali (72).

Molti medici, Basandosi su interviste dei genitori e sull'ispezione delle anamnesi, hanno sollevato i loro dubbi e il sospetto che lo sviluppo precoce di queste bambine potrebbe già essere compromesso, anche prima della regressione. Indagini retrospettive dei genitori hanno rivelato che circa la metà dei genitori aveva già sospettato che lo sviluppo del loro bambino potesse essere insolito durante i primi 6 mesi di vita [ibidem].

I commenti più comuni sono stati che il bambino era notevolmente placido, il sonno era profondo e che infatti andavano svegliati per farli mangiare o che avevano uno “sguardo vuoto”. Alcuni genitori hanno riferito anche problemi di alimentazione; altri erano preoccupati per il pianto anormale e un ritardo nel raggiungimento delle tappe di sviluppo (72). 

Nel documento di consenso del 2010, Neul e colleghi hanno affermato che “possono essere presenti alcune alterazioni dello sviluppo iniziale” ma che “in genere la famiglia e il medico primario non sono preoccupati per lo sviluppo fino a dopo i 6 mesi di vita (66). I genitori riferiscono che “c'era qualcosa di sbagliato” molto prima che si verificasse la regressione.

I risultati dei questionari e / o interviste retrospettive parentali possono essere inficiati o comunque resi relativamente attendibili dall’ intervallo di tempo tra l'intervista e la durata effettiva di interesse, da pregiudizi di memoria dei genitori.

Abbiamo anche bisogno di prendere in considerazione la mancanza di formazione dei genitori di osservare e riferire particolari caratteristiche inerenti allo sviluppo, soprattutto per quanto riguarda la qualità delle prestazioni. I genitori possono essere in grado di memorizzare in modo affidabile se il loro bambino ha acquisito un certo comportamento, ma non sono per lo più in grado di ricordare e di descrivere, come e quando questo comportamento si manifesta. Questo rende l'analisi dei video di famiglia, registrati nel momento in cui i genitori o tutori non erano ancora a conoscenza della diagnosi del loro bambino, un'opzione più affidabile per concentrarsi sui primi comportamenti e valutarne la portanza (72).

La manifestazione di regressione neuro comportamentale è un criterio fondamentale per la diagnosi di RTT. Anche se viene identificata una mutazione del MECP2 ma il bambino non mostra ancora alcun segno di regressione all'età di 5 anni, la diagnosi di RTT dovrebbe essere messa in discussione (66).

In sostanza, sembra che ci siano due traiettorie che caratterizzano lo sviluppo precoce di un bambino con una diagnosi successiva di RTT classica (72):

  • Determinate tappe di sviluppo non sono state raggiunte;
  • Oppure che le tappe dello sviluppo sono state raggiunte e quindi potrebbero peggiorare o addirittura essere perse durante il periodo di regressione.

Eppure, se guardiamo al di là del non raggiunto/ raggiunto, potremmo facilmente vedere devianze qualitative.

Sia la mancanza del raggiungimento delle tappe tipiche e devianze dallo sviluppo normale o anomali schemi neurologici (es stereotipie delle mani e movimenti generali anormali) rispecchiano l'impatto delle mutazioni del gene MECP2 sullo sviluppo precoce del cervello (72). 

Tale carattere dei comportamenti tipici intervallati da comportamenti atipici potrebbe anche spiegare perché i ricordi dei genitori ed anche le valutazioni dello sviluppo (documentate in referti medici) hanno rivelato il raggiungimento di tappe di sviluppo: forse troppa poca attenzione è stata rivolta alla qualità delle prestazioni [ibidem].

3. Stadio Pseudo-stazionario

Questo stadio inizia tra il terzo e il quarto anno di vita, al termine dello stadio di regressione e si prolunga solitamente fino ai 10 anni. Si tratta di una fase in cui si ha una stabilizzazione delle condizioni di queste bambine (73).

Si riscontra generalmente un miglioramento dell’interazione sociale e un aumento dell’interesse verso l’ambiente circostante.

Nonostante il grave ritardo mentale, le bambine migliorano il livello di attenzione, il contatto visivo e le abilità comunicative non verbali (73).

In questa fase però possono fare la loro comparsa altri sintomi tipici della malattia come la curvatura della spina dorsale (scoliosi o cifosi) a causa della postura asimmetrica spesso rapidamente progressiva, che richiede un trattamento chirurgico. I piedi e gli arti inferiori sono freddi, con o senza cambiamento di colore, e con o senza modifiche atrofiche.

Si può riscontrare l’accorciamento del tendine d'Achille con conseguente equinismo del piede che provoca la deformazione delle caviglie nella posizione varo o valgo, e le dita sono tipicamente serrate. Alcune ragazze possono avere una sintomatologia più mite con la possibilità di conservare il linguaggio e / o l'uso funzionale delle mani [ibidem].

Abbiamo detto che questa fase può durare anni ed essere caratterizzata da una ben conservata capacità di comunicare, infatti, il contatto oculare perso durante la fase di regressione, che è un punto forza della RTT, in questa fase riemerge.

Queste bambine quindi comunicano principalmente attraverso gli occhi/lo sguardo, da qui il secondo nome della sindrome: “malattia delle bambine dagli occhi belli”.

In questa fase gli individui in genere mostrano una capacità di apprendere o di riqualificare le competenze [ibidem].

Le alterazioni del sistema neurovegetativo, spesso già iniziate nell’arco del secondo stadio, divengono evidenti in questa fase, in primo luogo a carico della respirazione, poi del sistema gastrointestinale ed infine del sistema cardiovascolare (73). Anche il sonno risulta disturbato. 

Infatti, è molto frequente che le bambine dormano di giorno e che durante la notte si risveglino di frequente, hanno anche crisi di pianto e momenti d’ improvvisa agitazione. Le bambine, in questa fase, possono essere ancora in grado di camminare o addirittura di imparare questa abilità.  La disprassia / aprassia diventa ormai evidente e le stereotipie tipiche delle mani si accentuano e disturbano l’interazione comunicativa (73).

4. Stadio del deterioramento motorio tardivo

In questa ultima fase, che va dai 10 anni in poi, si assiste ad un ulteriore miglioramento dello stato emotivo e relazionale, con una riduzione dell’ansia e un migli oramento della comunicazione non verbale (73).Anche i movimenti stereotipati delle mani si riducono in frequenza ed intensità e gli attacchi epilettici diventano più controllabili. Allo stesso tempo però il deterioramento motorio continua a crescere, si ha una riduzione della mobilità e un peggioramento della scoliosi, fino ad arrivare alla perdita della deambulazione. La diminuzione della mobilità conduce ad atrofia muscolare e a pronunciata rigidità con conseguenti malformazioni degli arti distali, che porta spesso i pazienti a sviluppare caratteristiche parkinsoniane in età più avanzata. Tuttavia, permane notevole il contatto visivo e il comportamento eyepointing (73). 

Figura 13 - Insorgenza e progressione della sindrome di Rett. Dopo un periodo di sviluppo apparentemente normale, si ha un arresto seguito da un rapido deterioramento che porta alle anomalie tipiche di questa malattia (Chahrour e Zoghbi, 2007).

Figura 13 - Insorgenza e progressione della sindrome di Rett. Dopo un periodo di sviluppo apparentemente normale, si ha un arresto seguito da un rapido deterioramento che porta alle anomalie tipiche di questa malattia (Chahrour e Zoghbi, 2007). 

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