Lo sviluppo del bambino secondo la psicologia genetica

Questo sviluppo può essere misurato con procedimenti diversi ed essere inserito nelle scale di sviluppo equivalenti a quelle che Binet e Simon hanno realizzato per l’intelligenza. Le scale più conosciute sono quelle di Charlotte Biìhler e di A. Gesell, sistematizzate per mesi o per anni di età. Esse ci forniscono un valore statistico che permette di misurare nel bambino, con relativa precisione, il grado di sviluppo raggiunto o, al contrario, il ritardo nello sviluppo stesso, il quale viene così sistematizzato secondo un ordine cronologico.

Non è nostra intenzione affrontare, in questo capitolo, le diverse concezioni dello sviluppo psicologico del bambino ed i metodi psicometrici adottati nella psicologia clinica. Pur tenendo conto della loro importanza, ci limiteremo, tuttavia, ad una visione schematica globale dello sviluppo del bambino secondo le scuole più rappresentative della psicologia genetica, cioè quelle di J. Piaget, di H. Wallon e secondo quelle della psicoanalisi, a partire dall’opera di Freud.

Prima di presentare il punto di vista di queste scuole, è necessario esaminare i concetti di scala e di stadio di sviluppo, termini spesso utilizzati nei vari studi sullo sviluppo del bambino.

Non bisogna confondere le scale di sviluppo con gli stadi di sviluppo, che sono stati introdotti per cercare di definire dei livelli funzionali. Le scale sono strumenti descrittivi; gli stadi sono strumenti operativi e tendono ad approfondire la conoscenza della modalità di organizzarsi del bambino e delle nuove forme che assumono i suoi diversi comportamenti nel corso del suo sviluppo. Lo stadio non obbedisce ad un ordine cronologico, ma ad una successione di funzioni.

Il concetto di stadio è stato affrontato e sviluppato in modo differente da diversi autori. J. Piaget si dedica particolarmente allo studio dell’operazione intellettuale, quale si presenta all’osservatore nel corso delle successive assimilazioni atti ate dal bambino. H. Wallon valorizza gli stadi, secondo lo sviluppo emozionale e della socializzazione. Infine, gli psicoanalisti, seguendo le orme di S. Freud, descrivono la successione e il concatenamento degli stadi istintuali.

  1. Piaget ha chiaramente precisato i termini che egli impiega per definire uno stadio, e questo è molto importante:
  • Perché vi sia uno stadio, è necessario, per prima cosa, che l’ordine di successione delle acquisizioni sia costante. Egli precisa che non si tratta di un far, to cronologico, ma di un ordine di successione;
  • Ogni stadio deve avere un carattere integrativo, tale, cioè, che le strut. ture formatesi ad una data età divengano parte integrante delle strutture dell’età successiva;
  • Uno stadio corrisponde ad una struttura. d’insieme e non alla giustapposizione di proprietà estranee le une alle altre;
  • Uno stadio comporta contemporaneamente un livello di preparazione ed un livello di acquisizione;
  • In ogni successione di stadi è necessario distinguere il processo di formazione, di genesi, e le forme di equilibrio finale.
  1. Piaget definisce, dunque, in modo assai preciso ciò che egli chiama «stadio» e che altri chiamano «fase».

Questa precisione è necessaria, poiché, come dimostra P. Osterrieth, si è ben lontani dall’avere acquisito l’unanimità sulla definizione di questo termine. Infatti, questo autore ha paragonato un gran numero di codificazioni di stadi, sia europee che americane. Con tale analisi, egli ha potuto registrare un totale di 61 periodi cronologici diversi ed ha potuto constatare che ogni età tra 0 e 24 anni può essere considerata come la delimitazione dell’inizio o della line di uno stadio. Malgrado tali discordanze, questo autore rileva che si può trovare, paragonando questi diversi sistemi, un certo accordo: riguardo all’intelletto, ad esempio, si ritrova nella maggior parte degli studi un periodo di preparazione, di coordinamento di base, che si svolge in un’epoca dominata dai fenomeni di maturazione e che si è d’accordo, più o meno, nel farla coincidere con il primo anno. Tutti sembrano d’accordo nel segnalare un successivo periodo di intelligenza applicata al dominio della realtà concreta, definita, secondo gli autori, intelligenza senso-motoria o della manipolazione. Quasi in tutti gli autori si ritrova l’idea di un terzo periodo, dominato dalla comparsa della rappresentazione. Più tardi, il bambino abbandona la posizione adualista e comincia a considerare il mondo che lo circonda come diverso da sé; appare contemporaneamente la crisi di coscienza di sé in rapporto all’altro ed alle cose, con un distacco dal mondo che lo circonda. Sarà questo il periodo in cui si elabora la logica concreta. La comparsa del pensiero formale è ugualmente affermata in quasi tutte le teorie, così come si ritrova, riguardo al piano affettivo e sociale, tutta una serie di indicazioni sulla cui descrizione concordano la maggior parte degli autori. Un gran numero di essi parlano di una prima crisi di opposizione all’ incirca all’ età di 30 mesi; altri, tra cui A. Gesell, segnalano una crisi di insicurezza, una fase di conflitti e di difficoltà verso i 5 anni, 5 anni e mezzo, in relazione con il periodo edipico della terminologia psicoanalitica. Una constatazione simile può essere fatta nei confronti della crisi dei 12-13 anni, che la si denomina, 0 la si inquadra generalmente, nell’ambito della pubertà psicologica.

Tuttavia, esistono pure importanti divergenze tra gli autori, e J. Piaget le sottolinea, mettendo in guardia contro i tentativi superficiali, o solo apparenti, di conciliazione, che egli considera privi di ogni interesse. Egli pensa, d’altronde, che la ricerca degli stadi non deve essere fine a se stessa, ma un semplice strumento indispensabile per l’analisi di processi formativi, quale ad esempio, il meccanismo del ragionamento. E da ciò risulta che i confini tra gli stadi sono necessariamente differenti a seconda dell’aspetto dello sviluppo che si vuole studiare.

  1. Zazzo introduce una differenza tra la nozione di crisi e la nozione di stadio, per cui la crisi deve introdurre, in qualche modo, un nuovo stadio qualitativamente definito, comportando dunque una riorganizzazione. Ma bisogna anche dire che nella nozione di stadio di J. Piaget la riorganizzazione è implicita.

Studiando l‘evoluzione del carattere, M. Tramer descrive tappe, fasi instabili e fasi stabili. La stabilità e l’instabilità sono, per quanto riguarda la loro struttura, differenti da una tappa all’altra, da una fase all’altra, e comportano una modiiìcazione della struttura del carattere e del suo livello. Come dice Tran-Thong, nei modelli genetici che utilizzano la nozione di stadio lo sviluppo del bambino appare al tempo stesso ora discontinuo ed ora continuo, formato _da una successione di livelli qualitativamente diversi ed uniti tra loro da solidi legami.

A nostro avviso, la descrizione degli stadi è lungi dal rappresentare l’apporto essenziale della psicologia genetica. Noi vedremo, inoltre, che le nozioni di «posizione» (Mélania Klein), di «organizzatore» (R. Spitz) hanno un significato differente da quello di « stadio », nell’accezione classica del termine.

Ciò che la psicologia genetica ci offre è tutto un corpo di dottrine, nel cui ambito «sincronia» e «diacronia» sono complementari. Le caratteristiche di questi contributi sono tipici dell’opera di I. Piaget e di H. Wallon.

Questi due autori hanno messo l’accento sull’aspetto qualitativo dell’evoluzione psichica del bambino, in opposizione a quelli il cui sforzo è diretto alla sua misurazione e che pensano che i cambiamenti che si determinano nel corso dello sviluppo del bambino possono essere appresi solo in termini quantitativi. J. Piaget e H. Wallon hanno, invece, presentato lo sviluppo psichico come una costruzione progressiva che si attua con l’interazione tra l’individuo ed il suo ambiente. La loro concezione è quella di una vera genesi dello psichismo, in opposizione alla concezione dello sviluppo come una progressiva realizzazione di funzioni predeterminate.

Inoltre, questi due autori non si sono accontentati di descrivere le tappe dell’evoluzione psichica, ma ne hanno tentato la spiegazione, cercando di estrarne i processi fondamentali che presiedono a questa genesi.

Malgrado le loro divergenze, più o meno pronunciate in alcuni periodi, si può affermare che i loro lavori hanno un aspetto di complementarietà, avendo Piaget approfondito soprattutto i processi propri dello sviluppo cognitivo, mentre Wallon ha soprattutto insistito sul ruolo dell’affettività nel primo momento dello Sviluppo dell’uomo. Notiamo che Piaget, con la distinzione di un certo numero di stadi, si è soprattutto interessato a precisare le trasformazioni strutturali che caratterizzano ciascuna tappa dello sviluppo cognitivo, tenendo presente che tali trasformazioni si possono d’altronde ricondurre a quelle che si determinano nei comportamenti del bambino, considerati in un senso più generale. H. Wallon, che ha dato subito importanza allo sviluppo della personalità nel suo complesso, ha proposto di caratterizzare ogni periodo in base alla comparsa di un tratto dominante inteso come predominio di una funzione su tutte le altre.

Dal punto di vista dei processi generali dello sviluppo, il contributo dei diversi autori si può caratterizzare rapidamente e schematicamente nel seguente modo.

Proseguendo lo studio dello sviluppo cognitivo, J. Piaget dà notevole importanza all’adattamento, che, caratterizzando ogni essere vivente in generale, acqui» sta, a seconda del livello di sviluppo, differenti forme o strutture. Il processo di adattamento presenta due aspetti, al tempo stesso opposti e complementari: l’assimilazione o l’integrazione di ciò che è esterno alle strutture proprie del soggetto, e l’accomodazione o trasformazione delle strutture stesse, in funzione dei cambiamenti dell’ambiente esterno. J. Piaget introduce la nozione di equilibrazione per meglio spiegare il meccanismo di regolazione tra il soggetto e l’ambiente: secondo tale prospettiva l’adattamento mentale è considerato come il prolungamento dell’adattamento biologico, di cui è la forma superiore di equilibrio. In tal modo i continui scambi tra il soggetto e l’ambiente acquistano aspetti sempre più complessi. J. Piaget attinge qui ai modelli matematici per formulare la sua spiegazione di sviluppo cognitivo in termini di reversibilità: tale nozione, utilizzata dapprima per caratterizzare c-iò che è un aspetto basilare nello sviluppo cognitivo, si rivela infatti applicabile agli aspetti affettivi e sociali dell’evoluzione del bambino ed è su tale nozione che insiste J. Piaget da qualche tempo.

Volendo rendere comprensibile lo sviluppo del bambino nella sua totalità, senza isolare dall’inizio l’aspetto cognitivo da quello affettivo, H. Wallon dà più importanza ad altri processi. Egli insiste sul primo sviluppo neuromotorio ed in particolare sulla funzione posturale che permette, da sola, possibilità di reazioni orientate (dopo le risposte puramente riflesse del neonato). In questo contesto l’emozione o affettività (N.d.T.) assume un valore funzionale privilegiato, perché essa è inizialmente suscitata da impressioni posturali e perché è solidale con la postura (atteggiamenti, mimiche) per quanto riguarda l’espressività. Le reazioni che H. Wallon chiama tonico-emozionali sono le prime indicazioni dello sviluppo psichico nella misura in cui sono inizialmente le prime reazioni di livello psicologico. L’emozione è, per H. Wallon, l’intermediario genetico tra il livello fisiologico, dove non esistono altro che risposte riflesse, ed il livello psicologico, che permette all’individuo di adattarsi progressivamente al mondo esterno che va scoprendo. Per H. Wallon, il primo mondo esterno è il mondo umano, da cui il bambino riceve tutto: il sollievo dal disagio fisico, la soddisfazione delle sue necessità di base. La possibilità che ha il bambino di percepire e di esprimere benessere o disagio, cioè le sue emozioni primitive, avviene parallelamente alla discriminazione del mondo esterno, poiché le sue emozioni sono collegate all’attività che il mondo umano esercita nei confronti del bambino. H.. Wallon dice che «il bambino che sperimenta è sulla strada del bambino che evoca».

Per il fatto che J. Piaget e H. Wallon non hanno dato la stessa importanza ai diversi aspetti dello sviluppo, non hanno considerato le stesse nozioni come fondamentali, gli stadi successivi, che essi distinguono, non coincidono perfettamente né dal punto di vista cronologico né da quello delle loro caratteristiche. Per semplificare quanto esposto, noi presenteremo separatamente le linee generali dello sviluppo, di stadio in stadio, secondo i due autori.

Tratto da www.neuropsicomotricista.it  + Titolo dell'articolo + Nome dell'autore (Scritto da...) + eventuale bibliografia utilizzata

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