Perché il termine “NEUROPSICOMOTRICISTA” viene associato al "Terapista della NEURO e PSICOMOTRICITÀ dell’Età Evolutiva" ?

Il sistema qualità nell'azienda sanitaria

L’evoluzione del concetto di qualità: dall’epoca dei fenici alla normativa UNI EN ISO 9001:2015

Fin dall’antichità, l’uomo ha prestato particolare attenzione al concetto di qualità.

Da allora, tale concetto è radicalmente mutato, insieme alle norme che ne derivano. La qualità venne considerata, per la prima volta, con la pratica del lavoro artigianale, dove l’esecutore produceva e controllava simultaneamente il suo operato.

Sin dall’epoca dei Fenici, a chi violava gli standard stabiliti, veniva mozzata la mano da ispettori specifici. Circa nel XVIII secolo a.C., nel famoso codice di Hammurabi, veniva stabilito che i muratori che costruivano male una casa, venissero persino uccisi.

La più antica guida alla qualità, risalente al 1450 a.C., fu trovata in Egitto. Successivamente, durante il medioevo, ci fu l’introduzione del marchio sui prodotti, che consentiva di identificare il produttore e di stabilirne le responsabilità riguardo la qualità del prodotto; questo dimostrò come il concetto di qualità stesse cambiando. Nella seconda metà del '700, durante la prima rivoluzione industriale, in Gran Bretagna, si passò da una produzione artigianale di elevata qualità, basata sulle richieste del consumatore, ad un tipo di produzione di massa in serie, di qualità minore, con l’impiego di manodopera meno specializzata, ma con maggiore produzione (favorita dall’impiego di energia termica ottenuta dal carbone, dall’introduzione di nuovi macchinari, dalla possibilità di trasportare le merci su rotaia e dalla suddivisione del lavoro).

Nel 1890, conseguentemente alla seconda rivoluzione industriale, con nuove tecnologie e la nascita dell’energia elettrica, l’industria si trasformò ulteriormente, con una maggiore suddivisione del lavoro e l’avviamento della catena di montaggio di tipo fordista. Durante la prima guerra mondiale, le organizzazioni cominciarono a basarsi sull'ispezione e sul collaudo; la produzione ebbe come obiettivo la quantità, mentre al Collaudo venne affidata la qualità.

I volumi bassi, manodopera qualificata e mancanza di standardizzazione rappresentarono il mercato durante quegli anni.

Con la nascita delle prime grandi aziende, con organizzazioni complesse, e con la necessità di sottoporre gli elementi di un processo a rigidi controlli, per poter ottenere quantità sempre maggiori a costi sempre bassi, nacque, in senso stretto, il concetto di qualità, intorno agli anni '20.

In questo periodo nacquero le carte di controllo: primi metodi statistici per il controllo della qualità, attraverso supporti grafici.

Grandi volumi, manodopera non qualificata e standardizzazione dei processi produttivi caratterizzavano il mercato di quegli anni.

Il fine del controllo qualità era quello di consentire la conformità del prodotto, per separare i prodotti conformi da quelli non conformi, con una verifica dei punti critici della produzione ed un esame dei difetti ripetitivi.

Gorge D. Edwards e a Walter A. Shewhart tra il 1920 ed il 1945 introdussero tecniche di controllo sull’intero processo produttivo, facendo ricorso a criteri statistici, evitando di verificare i difetti dei prodotti solamente a termine del processo, in quanto i controlli a tappeto su tutti i prodotti cominciarono a mostrarsi troppo elevati.

Verificando una quantità di prodotti finiti limitata, si poteva stabilire, mentre si produceva, se il prodotto aveva delle irregolarità o era intatto.

I controlli, basati su criteri statistici, furono applicati maggiormente durante la seconda guerra mondiale, quando l’industria bellica iniziò ad utilizzare sempre di più manodopera femminile, non specializzata, che presentava un margine di errore maggiore.

Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, si cominciò a parlare di qualità in modo sistematico. In particolare, il Giappone cercò di trovare uno strumento, che gli consentisse di risollevarsi dalla profonda crisi economica, nella quale era caduto dopo la sconfitta, e che raffigurasse una nuova variabile competitiva.

Il concetto di qualità diventò, in Giappone, uno strumento di rivalsa davanti al mondo. Non si concepiva più la qualità come l’insieme dei prodotti ottenuti con i parametri della cultura industriale di quel tempo, ma veniva intesa come un insieme di processi e di produzioni, capaci di creare prodotti migliori a costi inferiori.

Durante quegli anni maturò il “modello giapponese”, completamente diverso da quello occidentale, con i suoi limiti, nella divisione del lavoro, e la sua incapacità ad appagare la variabilità della domanda.

I giapponesi stabilirono che, oltre al rispetto delle specifiche tecniche, fosse necessario pensare anche a specifiche organizzazioni.

Così cominciò a diffondersi l’idea che, le organizzazioni ben strutturate, che applicavano buone strategie e corrette procedure, fossero capaci di offrire ai propri clienti una giusta confidenza del rispetto di determinate qualità del prodotto. Così si evolve il modo di approcciarsi al problema, che va, dall’essere passivo, all’essere proattivo e ci si sofferma non solo sulla rimozione della non qualità ma, soprattutto, sulla prevenzione degli incidenti, tramite la progettazione e l’applicazione di un Sistema  Qualità  formale, in grado di ridurre  la  possibilità  di fare errori. In questo modo si diede avvio al concetto di qualità attuale.

V. Feigenbaum, un esperto americano di controllo di qualità, intorno l’anno 1945 prestò molta attenzione alle strutture organizzative, considerando che, molte capacità tecniche venivano spesso concentrate in dipartimenti, fortemente specializzati, in disaccordo con una visione, che riteneva fondamentale la diffusione e l'utilizzo di strumenti statistici a tutti i livelli aziendali, al fine di raggiungere un alto standard qualitativo globale.

Nel 1951 fu il primo ad utilizzare il termine “Total Quality Control”, associando il concetto di qualità e quello di totalità; come si evince nel suo libro dal titolo “TQC” (Total Quality Control), in cui suggerisce all’organizzazione di assumere un atteggiamento aperto alle esigenze dei clienti e di stabilire gli obiettivi della qualità, coinvolgendo l’intera struttura aziendale, attraverso un approccio motivazionale delle persone, nonché miglioramento continuo di tutta la struttura. Intorno agli anni ’50, diversi settori (aerospaziale, nucleare, petrolchimico, ecc) si domandarono come poter mettere in pratica il concetto di controllo del prodotto, prendendo in considerazione il fatto che, per i prodotti di questi settori, doveva essere eseguito in tempo reale.

La soluzione fu quella di associare a ciascuna tecnica una specifica organizzazione, che mostrasse come qualificare i fornitori, i diversi ruoli, ecc.

Nacque così (3) l’American Society for Quality Control (ASQC), che definiva la qualità come: “l’insieme degli aspetti e delle caratteristiche di un prodotto, processo o servizio, da cui dipendono le sue capacità di soddisfare completamente un dato bisogno: caratteristiche fisiche, aspetto, durata, utilizzabilità, affidabilità, manutenibilità, supporto logistico, riparabilità, praticità.”

Deming un famoso ingegnere, saggista, docente e consulente di gestione aziendale e manager statunitense, nel 1947 fu chiamato dal Supreme Command for the Allied Powers (SCAP) per aiutare la preparazione del censimento del 1951 in Giappone. Fu così che iniziò a collaborare con i docenti giapponesi di statistica, introducendosi nella cultura giapponese.

Nello stesso periodo in Giappone nacque la Japanese Union of Scientists and Engineers (JUSE) con il fine di favorire lo sviluppo e la diffusione del controllo della qualità. Invitato a collaborare con la Japanese Union of Scientists and Engineers (JUSE), iniziò ad insegnare le basi del controllo statistico della qualità, mediante seminari che ebbero un’ottima riuscita. Egli trasmise ai giapponesi il concetto che, una maggiore qualità ha come significato costi inferiori.

Nel giro di 10 anni il JUSE istruì quasi 20.000 ingegneri nel settore delle metodologie statistiche. In Giappone cominciò a espandersi una visione manageriale della qualità, fondata sul Controllo statistico e sull’ applicazione degli strumenti.

In questi anni ci fu la prima pubblicazione della rivista Hinshitsu Kanri (Statistical Quality Control) e la diffusione dei primi corsi radiofonici per la propagazione al grande pubblico dei concetti base del Controllo qualità

Dal 1951, in segno di riconoscenza, la JUSE ha stabilito il “Premio Deming”, che viene dato all’individuo o all’ organizzazione, che si distingue nel migliorare la qualità all’interno della propria azienda.

Nel 1960 in Giappone, fu istituita la prima campagna nazionale della qualità e venne fissato il mese di novembre come quello della qualità. In quel periodo, a Deming gli fu data la più alta carica di onorificenza, concessa dall’imperatore giapponese ad uno straniero: il Secondo Ordine del Sacro Tesoro.

Solo negli anni ’80, vennero prese in considerazione le sue idee in patria, quando gli fu chiesta una mano per ristabilire l’economia americana, messa alla stregua dal Giappone.

Nel 1954 un altro studioso americano, il dottor Juran, tenne in Giappone dei seminari, nei quali sosteneva che il top-management aveva l'obbligo di alzare i comuni livelli di qualità attraverso:

  1. La soddisfazione di un bisogno, di un servizio o di uno scopo ben definiti.
  2. La soddisfazione delle attese dei clienti.
  3. La conformazione agli standard ed alle caratteristiche applicabili.
  4. Il conformarsi ai requisiti statutari (ed altri) della società.
  5. L’essere disponibili a prezzi competitivi.
  6. L’offerta ad un costo che permetta la creazione di reddito.

Nel 1959 fu emanata la prima norma dedicata alla qualità, lo standard militare MIL- Q-9858A "Quality program requirements", dal Dipartimento della Difesa americano. Fu la prima normativa in cui veniva richiesto un modello organizzativo pertinente all'Assicurazione Qualità.

Queste norme rappresentano il principio della prevenzione dei difetti, della loro individuazione e stabiliscono le basi per parlare per la prima volta di “Sistemi Qualità”.

Durante gli anni ‘70 Ishikawa membro del JUSE, padre del movimento giapponese della qualità sostenne lo sviluppo di una nuova cultura basata su:

  • Il supporto del governo, indispensabile per permettere lo sviluppo di questo tipo di cultura
  • L’avvio di alcune associazioni (Premio Deming, ecc)
  • L’elevato sviluppo dell'attività di normazione e standardizzazione

Il nome di questa nuova cultura fu: “ Company Wide Quality Control “, mentre negli altri paesi del mondo venne chiamata Total Quality Control. I suoi principi furono:

  • L'azienda è di molti e non di pochi
  • La prima cosa che bisogna valutare sono le esigenze dei consumatori
  • Si deve avere come obiettivo primario prima la qualità e dopo il profitto
  • Si devono prevenire i difetti e i reclami
  • Vanno formati tutti i membri dell'organizzazione,
  • Durante il processo, l'operatore successivo è nostro cliente, si devono eliminare le barriere
  • E’ necessario basarsi sui dati

Attraverso la qualità dei prodotti e la responsabilizzazione dei suoi lavoratori, il Giappone riuscì a soggiogare il dominio americano, appurando che produrre il più possibile, senza prestare attenzione agli standard qualitativi, non rimunerava più.

In questi anni ci furono le prime evoluzioni dei Sistemi Qualità, che si possono riassumere nel concetto di controllo qualità totale, con il quale ci si riferisce a tutte le mansioni aziendali e di produzione con zero difetti.

In questo periodo comincia a diffondersi il concetto della qualità, intesa come soddisfazione del cliente.

Il soggetto protagonista per la prima volta cambia, da chi produce a chi riceve il prodotto, sostituendo il concetto fordista di prodotto standardizzato e orientando ad un prodotto, che abbia un contenuto qualitativo sempre più alto, a prezzi competitivi. Nel 1971 fu fondata, in Giappone, la Japanese Society for Quality Control i cui soci sostennero e promossero studi e ricerche che riguardavano il controllo qualità. Le prime organizzazioni vennero giudicate e certificate adatte agli standard della difesa e furono raccolte tutte in un registro.

Nel 1974 in Giappone, vennero applicati il concetto del just in time e della qualità totale.

In particolare, i lavoratori non si qualificavano più in poche mansioni semplici, ma furono impegnati in maggiori mansioni e si occuparono maggiormente del controllo sul processo produttivo.

Assunsero una fondamentale importanza i contatti diretti con la clientela, si cercò di andare incontro ai bisogni dei clienti, piuttosto che cercare di convincerli a comprare un certo prodotto, fu abbandonata la concezione di produzione standard.

Le scorte di magazzino furono abolite e fu introdotta la flessibilità dei processi produttivi.

Nel 1979 fu pubblicata dalle British Standards la BS 5750 per i Sistemi Qualità, ritenuta la progenitrice di quelle che oggi sono chiamate ISO 9001.

Nello stesso anno fu istituito il comitato tecnico TC 176 che ha il compito, tutt’ora, di aggiornare le norme della serie ISO 9000.

All’inizio degli anni ’80 le prime aziende occidentali, in particolare quelle americane, cominciarono a capire l’importanza dello sviluppo della qualità per ottenere il successo di un’organizzazione.

La qualità non venne più considerata come un mezzo per risolvere problemi ma come una possibilità di business.

Intanto, con l’esempio del Giappone, gli USA iniziarono a dare importanza alla qualità fino a presentare nell’83-’84 un Congresso per promuoverla e creare, nel 1986, un vero e proprio piano qualità per le aziende americane (il piano Baldritch), dove erano previsti incentivi economici per le organizzazioni che avevano intenzione di seguire il percorso della certificazione.

Nello stesso periodo furono emesse, a cura dell’ISO (International Organization for Standarditation,  la più importante organizzazione a livello  mondiale per la definizione di norme) le prime norme di riferimento finalizzate alla qualità. Attualmente sono membri dell’ISO gli organismi nazionali di standardizzazione di 163 Paesi del mondo. In Italia le norme ISO vengono recepite, armonizzate e diffuse dall’UNI.

Nel 1987, fu adottato, dall’International Organization for Standardization, il codice britannico BS 5750 e fu pubblicato quella oggigiorno viene chiamata serie di norme ISO 9000.

Nel 1988 furono istituiti premi per le aziende di riferimento in ambito qualità, in particolare negli USA fu istituito il Malcom Baldrige National Quality Award mentre in Europa nacque lo European Quality Award.

Nel ’94 lo standard ISO 9000 fu revisionato e furono emanate le norme UNI EN ISO 9001:1994, UNI EN ISO 9002:1994, UNI EN ISO 9003:1994 (L’UNI è l’ente Nazionale Italiano di Unificazione, un’associazione privata senza fine di lucro, riconosciuta dallo Stato e dall’Unione Europea, che studia, elabora, approva e pubblica le norme tecniche volontarie, le cosiddette “norme UNI”, in tutti i settori industriali, commerciali e del terziario. L’UNI rappresenta l’Italia presso le organizzazioni di normazione europea (CEN) e mondiale: ISO), che ponevano l’attenzione sulla garanzia della qualità del prodotto, sulla rappresentazione dei requisiti che un Sistema Qualità deve avere, per raggiungere la qualità, e sulla soddisfazione del cliente, raggiungibile con la conformità dei requisiti.

Il concetto di Assicurazione Qualità fu così ufficializzato per la prima volta. Nel 1997 l’ISO, fece un’indagine mondiale sulle osservazioni e le esigenze di tantissime aziende per mettere in evidenza i punti di debolezza delle norme esistenti, dalla quale emersero:

  1. Scarsa adattabilità delle norme ai differenti settori di business e alle diverse dimensioni delle organizzazioni
  2. Un eccessivo numero di norme (circa una ventina di documenti)
  3. Poca chiarezza della terminologia utilizzata nelle norme
  4. La scarsa presenza di concetti di autovalutazione e di miglioramento continuo
  5. Lo scarso coinvolgimento di tutti i settori della vita aziendale nel processo di certificazione.

Dopo questa indagine, nel 2000 gli standard ISO 9000 sono stati rettificati.

Nella serie UNI EN ISO 9000:2000, sorse la correlazione del concetto di qualità certificata con quello di qualità percepita e della soddisfazione del cliente. Inoltre furono introdotti i concetti di processo, sistema e interazione di processi.

L’ultima versione dello standard (la UNI EN ISO 9001:2015) è stata emessa nel 2015, è una norma internazionale che ritira e sostituisce la UNI EN ISO 9001:2008, e specifica i requisiti di un sistema di gestione per la qualità quando un’organizzazione:

  1. a. Ha l’esigenza di dimostrare la propria capacità di fornire con regolarità prodotti o servizi, che soddisfano i requisiti del cliente e i requisiti cogenti applicabili;
  2. Mira ad accrescere la soddisfazione del cliente, tramite l'applicazione efficace del sistema, compresi i processi per migliorare il sistema stesso e assicurare la conformità ai requisiti del cliente e ai requisiti cogenti applicabili.

Tutti i requisiti sono di carattere generale e previsti per poter essere utilizzati da tutte le organizzazioni, a prescindere dal tipo, dalla dimensione, o dai prodotti forniti e dai servizi erogati.

Attualmente si definisce qualità: “Il grado di soddisfazione che un servizio può dare ai bisogni, attese e desideri di uno specifico cliente”.

Quindi, un’azienda per essere di buona qualità deve:

  • Prestare attenzione al cliente;
  • Pianificazione delle azioni e dei procedimenti;
  • Provvedere ad un miglioramento continuo;
  • Favorire la partecipazione ed il coinvolgimento a tutti i livelli aziendali;
  • Provvedere alla formazione.

 

Il concetto di qualità in ambito sanitario

In Italia la Qualità si è inserita prepotentemente anche nell’ambito pubblico e soprattutto nel Sistema Sanitario Nazionale (SSN).

Questo concetto, nonostante abbia compiuto il suo ottantesimo compleanno, ancora non presenta un’identità specifica, condivisa ed inequivocabile.

Nell’ambito dei servizi pubblici questo modello organizzativo orientato alla soddisfazione dei bisogni e alle esigenze del cliente (in tali ambiti pubblici inteso come cittadino, paziente, utente) risponde allo scopo istitutivo delle aziende di pubblico servizio e alla necessità sempre più evidente di utilizzare al meglio risorse che, anche in questi ambiti, vengono riconosciute non più illimitate.

E’ necessario però, domandarsi, soprattutto in Sanità, che significati possono essere attribuiti al termine Qualità.

I primi a definire il concetto di qualità in ambito sanitario furono Lee e Jones, nel 1933. Essi considerarono la qualità dell’assistenza come “l’applicazione di tutti i servizi della moderna medicina scientifica, necessari ai bisogni della popolazione“ . Successivamente negli anni ’60 Crosby, Avedis Donabedian, ritenuto un leader della teoria e della gestione della qualità delle cure, definisce la qualità della cura come “il grado con cui l’assistenza è conforme con gli attuali criteri di buona medicina“, implicando quindi nella definizione anche il concetto di valutazione. In seguito anche le ISO 9000, furono applicate nel settore della sanità.

Nel 1996, comprendendo e sintetizzando più di un centinaio di diverse definizioni presenti nella letteratura inglese, Klazinga ha realizzato la prima definizione integrata di qualità dell’assistenza sanitaria affermando che: “… “… il grado in cui i servizi sanitari per gli individui e le popolazioni aumentano la probabilità di raggiungere i risultati desiderati in termini di salut e…sono coerenti con le migliori conoscenze professional i” .

Nella definizione dell’Associazione Medica Americana è di buona qualità la cura che permette in modo consistente di migliorare e mantenere la qualità e la durata della vita, inserendo il principio di risultato.

Il senso più recente della qualità è quello dell’Istituto di Medicina statunitense, secondo il quale essa consisterebbe: “nel grado con il quale il servizio sanitario aumenta la probabilità del risultato di salute atteso ed è coerente con le conoscenze mediche correnti”; una definizione più complessa, che associa i requisiti di risultato (outcomes) all’appropriatezza della procedure utilizzate.

Si possono, quindi, dire di qualità le prestazioni che:

  • Favoriscono un migliore stato di salute;
  • Consentono la riduzione dei rischi per la salute o per l’ambiente;
  • Rispondono, in modo pertinente ed equo, ai bisogni ed alle aspettative dei singoli e della collettività;
  • Si sviluppano in un contesto di conoscenze e di possibilità delle tecnologie attuali e nei limiti delle risorse disponibili nel contesto;
  • Facilitano il rispetto dei principi etici;
  • Determinano la soddisfazione dei clienti, degli operatori e degli amministratori.

La qualità implica una relazione tra numerosi gruppi di professionisti e la collettività; essa è il fulcro dell’attenzione tanto per i professionisti quanto per gli operatori e gli utenti.

La qualità di un servizio, al giorno d’oggi, ha assunto un significato molto ampio e delle diverse dimensioni. Esistono quindi diversi tipi di qualità, tra questi:

  • QUALITA’ PERCEPITA, ovvero la soddisfazione delle esigenze dei cittadini/ clienti, siano esse implicite esplicite e latenti, e quindi, è la capacità che il prodotto o il servizio offerto ha di rispondere alle richieste dei clienti/pazienti. Il protagonista qui è il cliente, colui che occupa una posizione centrale, perché egli è la fonte delle esigenze, dei bisogni e delle attese, che sono il motore dell’erogazione del servizio assistenziale. L’erogazione della qualità si fonda su come viene fornito il servizio.
  • QUALITA’ PROFESSIONALE si realizza attraverso l’efficacia degli interventi e la competenza professionale. Il suo protagonista è il professionista, il quale è il solo a conoscere realmente tutte le attività svolte, sia dal punto di vista tecnico che relazionale e che può avere un ruolo progettuale e di cambiamento attivo nell’organizzazione. In questo contesto erogare qualità significa fornire servizi agli utenti.
  • QUALITA’ GESTIONALE si concretizza attraverso l’efficienza, l’impatto sociale ed il governo delle risorse. Il protagonista qui è l’organizzazione aziendale, intesa come gestore che aspira ad una razionalizzazione nell’uso delle risorse e ad una ottimizzazione dei processi, quindi ad una produzione di prodotti a costi competitivi. Pertanto è utile sapere con quale tipo di organizzazione forniamo i servizi e quanto costano.
  • QUALITA’ D’IMMAGINE indica la capacità da parte dell’azienda sanitaria, di attrarre la clientela: attraverso atteggiamenti di gentilezza, cordialità, cortesia, affidabilità, credibilità, rispetto della privacy e attendibilità del personale sanitario. Inoltre è legata anche ai tempi di attesa cioè al breve intervallo di tempo tra richiesta di prestazione ed erogazione della stessa.
  • QUALITA’ AMBIENTALE definisce l’ambito in cui vengono erogate le prestazioni: l’assenza di pericoli e rischi e la sicurezza dell’ambiente. In questo caso, quindi, si valuta la funzione dell’ambiente sull’erogazione della prestazione, ossia se è agevole, accessibile, gradevole e confortevole per il cliente.

 

Gli indicatori della qualità

Quando si effettuano valutazioni sulla qualità dell’assistenza sanitaria, occorre avere ben presente a quali parametri di essa facciamo riferimento. La miglior cosa sarebbe mirare al miglioramento di tutti i parametri della qualità.

I tre principali parametri con cui valutare il 4Sistema di Gestione per la Qualità (SGQ) di un’Azienda sanitaria (Banchieri, Monitoraggio in sanità, 2005) sono:

  1. Efficacia (salute/prestazioni o outcome/output): la capacità di raggiungere i risultati attesi con il minor costo possibile. Essa si divide in:
    • Efficacia attesa, ossia la potenziale capacità, che un intervento assistenziale ha, di migliorare le condizioni di salute delle persone a cui è Per cui è fondamentale fare solo ciò che si ritiene utile.
    • Efficacia pratica: consiste nel valutare i risultati conseguiti dall’attuazione di un intervento di routine
  2. Efficienza, (definita come rapporto prestazioni/risorse o input/output), indica la capacità di ottenere i risultati attesi con il minor costo possibile
  3. Appropriatezza, è il grado di utilità dell’erogazione di una prestazione sanitaria, nel contesto assistenziale rispetto al problema clinico e alle conoscenze, consentendo il migliore utilizzo delle risorse.

La giusta combinazione di questi parametri ed il loro miglioramento, rappresentano un sistema di qualità ideale.

Al fine di ottenere un sistema di valutazione in grado di verificare se i benefici conseguiti siano congruenti con i costi sostenuti e, quindi, se gli sforzi volti a migliorare l’efficienza e l’efficacia del servizio offerto al paziente abbiano raggiunto i risultati desiderati, è necessario costruire un insieme di indicatori in grado di rilevare i diversi fenomeni da tenere sotto osservazione. Il sistema degli indicatori deve essere finalizzato ad assistere i processi decisionali:

  • a livello locale, evidenziando le aree critiche da sottoporre ad ulteriori analisi specifiche od orientando l’identificazione e l’attuazione di eventuali provvedimenti correttivi;
  • a livello regionale e centrale, consentendo la verifica dei criteri adottati per orientare la programmazione sanitaria e l’allocazione delle risorse.

Anche la definizione di tali indicatori ha avuto diversi cambiamenti nel corso del tempo. Nel 1981 l’Organizzazione Mondiale della Sanità indicava gli indicatori di qualità  come  “informazioni cruciali e  selezionate, che  aiutano a misurare cambiamenti in relazione a bisogni prioritari e permettono di monitorare specifici aspetti di politica sanitaria o di fattori rilevanti alla determinazione di politiche sanitarie.”

Con la legge n. 502 del 1992 vengono definiti: aggregazione di dati relativi a più soggetti o procedure, che consente di misurare la qualità dell’assistenza erogata da un singolo operatore, un servizio o un sistema sanitario e trarne indicazioni per migliorarla”.

Il decreto 24/07/1995  definisce gli indicatori  di qualità come  informazioni selezionate, allo scopo di misurare i cambiamenti che si verificano nei fenomeni osservati e, conseguentemente, per orientare i processi decisionali”.

Il Ministero della Sanità nel 1996 li definisce come: “Variabili quantitative o parametri qualitativi che registrano un certo fenomeno, ritenuto appunto indicativo di un fattore di qualità”.

Precisando nel 2001 che gli indicatori sono: definiti come informazioni selezionate, allo scopo di conoscere fenomeni di interesse, misurandone i cambiamenti e, conseguentemente, contribuendo ad orientare i processi decisionali dei diversi livelli istituzionali”.

Al giorno d’oggi si tende a valutarli prendendo in considerazione la logica di efficacia, appropriatezza, nell’ottica di MCQ (miglioramento continuo della qualità) e di risposte alle istanze informative dei livelli del governo e della cittadinanza. Quindi vengono definiti come:” Variabili misurabili che hanno lo scopo di esporre sinteticamente un fenomeno e vengono utilizzati con l’obiettivo di monitorare le risorse, i processi o gli esiti di un servizio”; sono di solito rappresentati da una media, da un tasso, o da una proporzione.

Per avere un’utilità con lo scopo di valutazione e di miglioramento continuo in qualità, un indicatore deve essere sempre accompagnato da una soglia, uno standard di riferimento. Gli indicatori di qualità del servizio possono essere di diversi tipi:

  • indicatori di input (o di risorse): riguardano tutti i fattori che sono messi a disposizione dal programma (personale, tecnologie, orari, attrezzature, formazione professionale, ecc.);
  • indicatori di processo: si riferiscono alle procedure, alle attività, ai metodi e all’organizzazione del lavoro;
  • indicatori di output (o di performance o di prestazioni): relativi o a esiti intermedi o a informazioni sul volume delle attività, sulla contabilità sociale;
  • indicatori di outcome: si riferiscono ai risultati effettivi, agli esiti finali. Questa classificazione si fonda su uno dei più importanti lavori pioneristici, sulla misura della qualità delle prestazioni sanitarie, divulgato in America nel 1980 da Avedis Donabedian: “The definition of quality and approaches to its assessment”.

Egli individua tre indicatori per esprimere un giudizio sulla qualità dell’assistenza sanitaria: il primo indicatore è la struttura, il secondo sul processo e l’ultimo sull’esito.

Per “struttura” (input) Donabedian intende: “le caratteristiche, relativamente stabili, degli amministratori e operatori sanitari, degli strumenti e delle risorse di cui dispongono e degli ambienti fisici e organizzativi in cui operano. Il concetto di struttura include le risorse umane, fisiche e finanziarie necessarie all’erogazione dell'assistenza sanitaria. Sono inclusi i requisiti strutturali, tecnologici, organizzativi e professionali delle strutture sanitarie, previsti dalle normative regionali per l’accreditamento istituzionale”.

L’indicatore di “processo” indica tutti gli aspetti delle attività di assistenza e quindi gli indicatori di processo misurano l’appropriatezza del processo assistenziale in relazione a standard di riferimento: linee guida e percorsi assistenziali. Considerato che non forniscono informazioni sui risultati dell’assistenza (esiti), gli indicatori di processo vengono definiti proxy (sostitutivi), perché potenzialmente in grado di prevedere un miglioramento degli esiti assistenziali. Questa predittività è strettamente connessa alla forza della raccomandazione clinica su cui viene costruito l’indicatore: tanto più robuste sono le evidenze, che documentano l’efficacia di un intervento sanitario, più forte sarà la raccomandazione clinica e più robusto il corrispondente indicatore di processo.

Per indicatore di “esito” (outcome) s’intende un cambiamento nello stato di salute corrente e futuro del paziente che può essere ricondotto ad un precedente intervento di assistenza. Gli indicatori di esito descrivono una modifica di esiti assistenziali: clinici (mortalità, morbilità), economici (costi diretti e indiretti) e umanistici (qualità di vita, soddisfazione dell’utente). Considerato che gli esiti clinici, oltre che dalla qualità dell’assistenza, sono influenzati da numerose determinanti (patrimonio genetico, fattori ambientali, condizioni socio-economiche), il principale elemento che condiziona la loro robustezza è il tempo trascorso dall’erogazione del processo.. La valutazione può essere eseguita su ogni singola dimensione e, al variare dell’ottica presa in considerazione, si ottengono delle differenti metodologie di valutazione, basate su parametri differenti. Questo è scontato, in quanto analizzare la struttura (quindi l’assetto organizzativo e le risorse umane/materiali) non è come analizzare il processo (capacità tecnico-scientifiche e gestione delle figure professionali) oppure l’esito (i risultati dell’intervento sanitario sul paziente).

Inoltre, per avere un processo di qualità che non separi la relazione tra le tre dimensioni bisogna rendere dinamica questa relazione e quindi costruire una rete circolare attraverso la quale la valutazione degli esiti riesca a modificare i processi e, in sequenza, a modificare anche la struttura che genera poi il tutto.

Qui di seguito verranno descritti approfonditamente gli indicatori sviluppati da Donaberdian, tenendo presente anche altri assi di classificazione, trasversali rispetto ai precedenti, in quanto possono dipendere da elementi sia di struttura, sia di processo, sia di esito.

Struttura:

  • I. Risorse disponibili (in personale, attrezzature, edifici, finanziamenti).
  • II. Strategie di governo o, per Donabedian, system design: esistenza di un programma di redazione ed aggiornamento di linee guida, presenza di un sistema premiante e di un sistema informativo orientato alla qualità, attenzione all’equità e alla continuità delle prestazioni, ecc.

Processo:

a) Processo organizzativo:

  • Volume di prestazioni (di prodotto), ad esempio ricoveri, giornate di degenza, visite ambulatoriali, ponderati o meno per complessità ed uso delle risorse, ad esempio per punti DRG; il rapporto tra attività effettuate e risorse impiegate, corrisponde alla cosiddetta efficienza operativa o produttiva;
  • Tempi di attesa per le prestazioni.
  • Coordinamento ed integrazione delle prestazioni.
  • Continuità dell’assistenza.
  • Appropriatezza generica, relativa al livello di effettuazione delle prestazioni (ricovero, dayhospital, ambulatorio, domicilio) e dell’uso delle risorse, ad esempio appropriatezza delle giornate di degenza; le giornate di degenza sono appropriate, in questo senso, quando vengono effettuate prestazioni per le quali la degenza è indispensabile.
  • Attività di supporto e precisamente:
  • Effettuazione delle attività formative: quantità e qualità.
  • Effettuazione di attività rivolte alla valutazione e al miglioramento di qualità: partecipazione a comitati e gruppi di lavoro, effettuazione di progetti di MCQ (sinonimo: audit), rilevazione di indicatori a fini di valutazione e miglioramento.
  • Qualità delle attività manageriale effettivamente svolte, ad esempio delle modalità praticate per applicare il sistema premiante o per coinvolgere il personale.

b) Processo professionale:

  • Appropriatezza specifica delle decisioni di intervento. E’ la categoria più importante. Va intesa come uso di prestazioni efficaci (idealmente, le più costo-efficaci) per le persone o nelle situazioni e nei tempi per cui sono indicate, alla luce delle evidenze della letteratura internazionale e/o, in subordine, del consenso professionale (un esempio è l’effettuazione dell’esame del fundus in diabetici, un altro e la somministrazione di terapia trombolitica tempestiva dopo infarto miocardico). Si noti che qualunque discorso di efficienza o di appropriatezza generica dovrebbe venire dopo aver considerato l’appropriatezza specifica: poche cose sembrano più insensate che fare con efficienza cose inutili o anche dannose.
  • Correttezza di esecuzione (ad esempio per interventi chirurgici e psicoterapie, esami diagnostici)
  • Tempestività e precocità delle prestazioni tale da ottimizzarne l’efficacia.
  • Comportamenti dei professionisti sanitari relativi all’attenzione e al rispetto per gli utenti ed i familiari, ad esempio nel dare informazioni, nell’ottenere il consenso informato, nel coinvolgere nelle scelte, nel promuovere l’autoaiuto.

Esito:

  • Esiti finali di salute, intesi come riduzione del malessere, della sofferenza, della disabilità funzionale (ad esempio adeguato controllo del dolore, definito come punteggio di 3 o meno su una scala soggettiva del dolore da 1 a 10), come prolungamento della durata di vita e, per gli interventi preventivi, come diminuzione dell’incidenza delle malattie; o come complicazioni ed effetti collaterali delle terapie.
  • Esiti intermedi, rappresentati da modificazioni biologiche (ad esempio riduzione dell’ipertensione arteriosa o da mantenimento di livelli stabilizzati di glicemia) o da modificazioni comportamentali (ad esempio riduzione delle abitudini di fumo, riduzione del consumo di alcol, aumento dell’esercizio fisico, aumento delle capacità di autogestione di una malattia) o da modificazioni ambientali, ad esempio riduzione dell’inquinamento atmosferico. Sono da considerare esiti intermedi solo se, sicuramente o molto probabilmente, associati agli esiti finali.
  • Soddisfazione degli utenti, dei familiari, della popolazione generale nei confronti della qualità complessiva e di vari aspetti dell’assistenza: accessibilità, informazioni ricevute, competenza e cortesia dei professionisti, possibilità di coinvolgimento nelle scelte, aspetti alberghieri, esiti di salute raggiunti.

Non classificabili nello schema struttura, processo, esito di Donabedian:

  • Costi diretti e indiretti e ricavi finanziari, questi ultimi reali per le organizzazioni private, virtuali per le organizzazioni pubbliche. Il rapporto costi/esiti corrisponde al concetto di “costo-efficacia”, un cui sinonimo può essere considerato “efficienza economica o allocativa” e che il rapporto costi/volume di prestazioni o volume di attività/risorse impiegate corrisponde al concetto di produttività o di efficienza produttiva o efficienza gestionale. Sono naturalmente importanti anche gli indicatori di bilancio economico, quali il rapporto tra costi e ricavi.
  • Soddisfazione degli operatori. 

Assi trasversali:

  • Accessibilità: orari di apertura, tempi di attesa, ma anche stadio di presentazione delle diverse patologie e tassi di ricorso a servizi fuori zona.
  • Equità: variabilità nella domanda, nell’accesso e nella qualità dei servizi tra i diversi ceti sociali; per i servizi preventivi, variabilità delle incidenze delle malattie tra i diversi ceti sociali.
  • Sicurezza o riduzione dei rischi per gli utenti.
  • Sicurezza o riduzione dei rischi per il personale.

Altri domini degli indicatori sono quelli della Joint Commission (1994, 1997) in: appropriatezza, disponibilità, continuità, efficacia nella pratica (effectiveness), efficacia sperimentale (efficacy), efficienza, rispetto e attenzione per gli utenti, sicurezza, tempestività, prevenzione secondaria. Si tratta però di categorie che da un parte non sono esaustive, dall’altra in parte si sovrappongono e che inoltre non distinguono bene tra processi ed esiti; per efficienza la Joint Commission intende infatti la cosiddetta efficienza economica, cioè il rapporto tra esiti e risorse impiegate (e non, come nell’efficienza produttiva o operativa, il rapporto tra volume di attività e risorse impiegate).

Il (5) Canadian Council on Health Services Accreditation (Canadian Council, 2002) propone le seguenti categorie, che sono fin troppo articolate, e che di nuovo non distinguono bene tra processo ed esito: capacità di risposta, distinta in: disponibilità,

  • Accessibilità,
  • Tempestività,
  • Continuità,
  • Equità,
  • Efficacia;
  • Competenza, distinta in: appropriatezza delle prestazioni, competenza dei singoli professionisti (conoscenze, abilità, atteggiamenti), coerenza tra missione, visione, obiettivi;
  • Corrispondenza tra potere decisionale e responsabilità,
  • Efficacia nella pratica,
  • Sicurezza,
  • Legittimità (rispetto di valori oltre che delle leggi);
  • Efficienza (uso delle risorse con riduzione degli sprechi, delle duplicazioni, ecc.);
  • Centralità dell’utente  / della  popolazione,  distinta  in: comunicazione; confidenzialità delle informazioni; rispetto e considerazione degli utenti; coinvolgimento della comunità locale; contributo al miglioramento della salute della popolazione e dell’ambiente;
  • Attenzione al personale, distinta in: comunicazione, chiarezza di ruoli, partecipazione alle decisioni, possibilità di crescita professionale; sicurezza; incentivi per le attività di MCQ.

Interessanti anche le conclusioni di un gruppo di lavoro dell’Ufficio Europeo dell’OMS (WHO Regional Office for Europe, 2003), che ha raggiunto l’accordo sulle seguenti dimensioni principali della qualità ospedaliera:

  1. Efficacia clinica (che comprende sia processi professionali basati sulle evidenze scientifiche, sia esiti);
  2. Attenzione al paziente (soddisfazione dei pazienti, considerazione dei loro bisogni personali, promozione della loro possibilità di scelta, presenza di sostegno sociale);
  3. Efficienza di produzione (utilizzo del personale e delle attrezzature, riduzione degli sprechi);
  4. Sicurezza dei pazienti e del personale;
  5. Gestione del personale (soddisfazione del personale e sua crescita professionale);
  6. Strategie di governo (orientamento ai bisogni della collettività, attenzione all’accessibilità, alla continuità, all’equità delle prestazioni; promozione della salute,).

Infine la classificazione degli indicatori proposta dall’americano Institute of Medicine in The Quality Chasm (Institute of Medicine, 2001):

  • Efficienza,
  • Efficacia, 
  • Sicurezza,
  • Tempestività,
  • Attenzione al paziente,
  • Equità.

Si può terminare questo paragrafo, relativo agli indicatori di qualità, riflettendo sul fatto che nessuna procedura basata su standard, ritenuti erroneamente perfetti, può garantire un’esecuzione priva di difetti.

L’operatore esegue quanto sa e ha imparato, tenendo presenti gli standard, ma utilizzando la propria esperienza e abilità. La formazione del personale è fondamentale per la comprensione, applicazione e miglioramento degli standard di lavoro, dato che la distribuzione e la delega di responsabilità, fattore insostituibile per la realizzazione di un sistema qualità, risulta possibile solo con operatori formati. Con l’obiettivo di ottenere un funzionamento efficace, nelle Strutture Sanitarie bisogna identificare e gestire gli innumerevoli processi che si svolgono all’interno, le loro interrelazioni e interazioni, il grado di dipendenza di un processo dall’altro.

 


  • 3 American Society for Quality Control è una comunità globale basata sulla conoscenza di professionisti di qualità, con quasi 80.000 membri dedicati a promuovere e promuovere strumenti, principi e pratiche di qualità nei loro luoghi di lavoro e comunità
  • 4 SGQ: è sostanzialmente un sinonimo molto utilizzato per identificare, nell'ambito di un'impresa industriale, il comparto delegato a gestire la qualità dei prodotti realizzati, cioè a mettere in atto tutte quelle azioni ed iniziative che consentono di definire e tenere sotto controllo gli standard qualitativi richiesti dalla direzione aziendale.
  • 5 Canadian Council on Health Services Accreditation: Il Consiglio canadese sull'accreditamento dei servizi sanitari ha la missione di promuovere l'eccellenza nella fornitura di assistenza sanitaria di qualità e l'uso efficiente delle risorse nelle organizzazioni sanitarie in tutto il Canada

 

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