Il Disturbo dello Spettro Autistico - L’intervento mediato dal genitore - Il modello PACT

Il Disturbo dello Spettro Autistico - L’intervento mediato dal genitore - Il modello PACT

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Il Disturbo dello Spettro Autistico

Il termine Disturbo dello Spettro Autistico (in inglese Autism Spectrum Disorder) sta ad indicare un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da deficit persistente nella comunicazione e nell’interazione sociale in molteplici contesti di vita e da interessi, comportamenti e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati. L’esordio è precoce nell’infanzia e i sintomi sono tali da portare alterazioni significative nello sviluppo del bambino e nel suo funzionamento nella vita quotidiana1. Il termine spettro sottende una significativa variabilità all’interno di tale famiglia di patologie: infatti l’espressione clinica dell’ASD si presenta come estremamente mutevole in relazione a fattori personali, ambientali e temporali, sia in termini di complessità sia di severità. Attualmente nel mondo la prevalenza dell'autismo è stimata di poco inferiore all'1%, ma le stime sono leggermente più elevate nei paesi ad alto reddito2. Non sono state rilevate grosse variazioni tra regioni geografiche o etnie: una revisione sistematica recente3 non ha trovato come determinante l’effetto di fattori culturali o socio- economici sui dati di prevalenza dell'autismo. Considerando la diversa possibilità di fare diagnosi di ASD tra stati differenti, la mancanza di dati statistici nei Paesi a basso reddito, la variabilità delle metodologie diagnostiche, la discrepanza nella formazione del personale medico tra territori diversi, le modifiche dei criteri diagnostici e l’aumentata conoscenza del disturbo da parte della popolazione nei Paesi sviluppati, risulta appropriato considerare come valida la stima di prevalenza della patologia di 10-13 casi per 10.000 per le forme classiche di autismo, mentre se si considerano tutti i Disturbi dello Spettro Autistico la prevalenza si può stimare attorno a 40-50 casi per 10.000 individui4.

A fronte dei dati forniti da studi epidemiologici nazionali italiani recenti, si è rilevato negli ultimi decenni un incremento generalizzato della prevalenza di ASD: le stime di prevalenza del disturbo in Italia sono attualmente di circa 1 bambino su 77 (età compresa tra i 7 e 9 anni), con patologia presente circa 4,4 volte in più nei maschi rispetto alle femmine (Ministero della Salute della Repubblica Italiana, 2020). Il dato sommariamente rispecchia recenti indagini epidemiologiche internazionali5 6, che hanno evidenziato che l'autismo è più comune nei maschi rispetto alle femmine, con rapporto medio stimato di 4:1.

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Inquadramento diagnostico e variabilità della clinica

L’ultima revisione del Manuale Statistico e Diagnostico che ha portato alla pubblicazione del DSM-V7, ha introdotto la categoria diagnostica “Disturbo dello Spettro Autistico”, includendo in essa tutte le sottocategorie cliniche precedentemente definite come “Disturbi pervasivi o generalizzati dello sviluppo” presenti nel DSM- IV-TR8.

La novità terminologica presentata dal DSM-V nell’utilizzare il termine spettro va a sottolineare l’eterogeneità e la vasta casistica clinica del disturbo e nel contempo ha permesso di riconoscere un denominatore comune e un continuum nella patologia, all’interno della quale ogni individuo presenta le proprie caratteristiche e specificità. Il DSM-V ha modificato parzialmente i criteri diagnostici per l’ASD, portando innanzitutto a definire la necessità per fare diagnosi in presenza di deficit persistenti nella comunicazione sociale e nell'interazione sociale in differenti contesti (che non siano una semplice conseguenza di un ritardo generale dello sviluppo), che si manifestino con:

  • deficit nella reciprocità socio-emotiva, che si può declinare in approcci sociali atipici e fallimenti nella normale conversazione bidirezionale, una riduzione della condivisione di interessi, di emozioni e di affetti, fino alla totale mancanza di iniziativa e risposta nell'interazione sociale reciproca;
  • deficit nella comunicazione non verbale, che possono concretizzarsi in scarsa integrazione degli aspetti verbali e non-verbali della comunicazione, anomalie nel contatto visivo e nel linguaggio corporeo, deficit nella comprensione e nell’uso della gestualità, fino alla totale assenza o uso deficitario della mimica facciale;
  • deficit nel comprendere, sviluppare e nel mantenere relazioni sociali appropriate al livello di sviluppo, come la difficoltà di modulare il comportamento nei diversi contesti sociali, difficoltà nel gioco immaginativo condiviso e nello sviluppare amicizie e assenza o ridotto interesse verso le altre persone.

Un secondo criterio diagnostico risulta essere la presenza di un pattern ristretto e ripetitivo di comportamenti, interessi o attività, che si manifesti in almeno due delle seguenti modalità:

  • eloquio, movimenti o uso degli oggetti stereotipato o ripetitivo, come ad esempio stereotipie motorie, ecolalia, uso ripetitivo di oggetti o frasi idiosincratiche;
  • eccessiva aderenza a routine, pattern ritualizzati di comportamenti verbali o non verbali, eccessiva resistenza al cambiamento (sameness) o domande ripetitive;
  • interessi altamente ristretti, perseverativi e fissi, atipici per intensità o per focalizzazione, forte attaccamento o preoccupazione per oggetti insoliti;
  • iper o ipo reattività a input sensoriali o interessi atipici per aspetti sensoriali dell’ambiente.

Tali sintomi devono limitare e compromettere clinicamente il funzionamento quotidiano, essere presenti nel periodo precoce di sviluppo e non devono essere meglio spiegati da disabilità intellettiva o ritardo globale di sviluppo. Il DSM-V, oltre a questi criteri, ha introdotto anche precisi specificatori, che vanno ad approfondire nel particolare la fenomenologia clinica del disturbo descrivendone alcune caratteristiche aggiuntive, fondamentali per definirne la gravità (da un livello 1 che richiede poco supporto a un livello 3 che richiede molto supporto).

A fronte della manifestazione eterogenea delle condizioni sintomatologiche in termini sia qualitativi sia quantitativi, la tendenza a livello clinico e descrittivo è quella di aderire alla suddivisione delle forme in due categorie: ASD a basso funzionamento e ASD ad alto funzionamento. Nel caso in cui il funzionamento cognitivo del soggetto risulti a livello testale inferiore alla media di popolazione, si può utilizzare la terminologia a basso funzionamento, che descrive la presenza di un deficit cognitivo, dalla gravità più o meno variabile a seconda della casistica clinica. Vengono classificati come ad alto funzionamento i soggetti il cui quoziente intellettivo risulti da test specifici nella norma o superiore alla norma, cioè i soggetti che non presentano disabilità intellettiva. Un funzionamento intellettivo nella norma è riconosciuto in ambito scientifico uno dei più importanti predittori dell’outcome sintomatologico in età adulta nei soggetti con ASD (Begovac et al., 2009), oltre ad altri fattori come la comorbidità (Orinstein et al., 2014; Troyb et al., 2014, Pellecchia et al., 2015). Come evidenziato da recenti ricerche in letteratura9 definire la presenza e la storia naturale delle comorbidità è importante al fine di ottenere una migliore efficacia nel trattamento e una migliore definizione della prognosi, perché le comorbidità peggiorano in modo sostanziale nel paziente e negli operatori sanitari curanti il modo di sentirsi, di comportarsi, di pensare se stessi, l’altro e la realtà, andando globalmente ad influire sulla salute presente e futura del soggetto affetto da ASD (Gillberg C et al., 2000). Ricerche scientifiche recenti10 hanno messo in luce come globalmente la prevalenza della presenza di disturbi concomitanti all’autismo vari molto a seconda del contesto del campione, delle metodologie utilizzate, dell’età, della regione geografica, del livello di funzionamento cognitivo (Lord et al., 2020), perciò attualmente risulta ancora difficile ottenere dati precisi sulla comorbidità nelle persone con ASD: secondo alcune indagini epidemiologiche essa risulta essere compresa in un range molto ampio, tra il 9% e l’89% dei soggetti con ASD (De Micheli et al., 2012), tuttavia un recente studio sembra proporre una prospettiva più definita a riguardo, identificando assenza di disturbi concomitanti nel campione di individui con ASD11  solo nel 4% dei casi (Lundström S. et al., 2015). In maniera sintetica le forme di comorbidità con ASD sono raggruppabili sul versante neurologico, genetico e medico. All’interno dell’eterogeneità della casistica clinica, in età scolare sembrano emergere maggiormente disturbi come ADHD, ansia, DOC, disabilità intellettiva, difficoltà negli apprendimenti, irritabilità e disturbi del comportamento dirompente12, mentre in adolescenza risultano prevalenti i disturbi depressivi 13.

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La precocità di diagnosi e intervento

L’identificazione dei sintomi e l’intervento in epoca precoce sono ad oggi considerati due aspetti fondamentali per ridurre l’impatto che l’ASD può avere sulla vita del soggetto affetto e dei suoi familiari (Klin A. et al., 2015) e da anni la comunità scientifica ha sottolineato il ruolo fondamentale giocato dalla precocità e tempestività sui Disturbi dello Spettro Autistico, come riconfermato anche da studi scientifici molto recenti14 15. La diagnosi e trattamento precoce nell’autismo infatti può modificare sensibilmente la prognosi, poiché dopo la nascita lo sviluppo cerebrale e l’organizzazione neurale sono fortemente condizionati dall’esperienza: appare dunque chiaro come interventi precoci sulla patologia nelle primissime fasi di crescita abbiano la potenziale capacità da un lato di modificare l’organizzazione e l’espressione biologica del disturbo prevenendo la comparsa di comportamenti relazionali e sociali debilitanti e, dall’altro, contrastare e alleviare la comparsa dei sintomi presenti già in epoca16. Sebbene da anni ci siano evidenze di come i bambini non trattati tempestivamente tendano ad avere peggioramenti globali dello sviluppo (Lovaas, 1990), in gran parte dei Paesi i progressi nella consapevolezza a livello clinico e sociale dell’autismo non sono ancora accompagnati da miglioramenti per quanto riguarda l’età in cui viene posta la diagnosi17. L’età media della diagnosi mondiale si affaccia infatti al limite della finestra di plasticità cerebrale in cui le influenze ambientali e i trattamenti riabilitativi possono ancora giocare un ruolo importante: in quest’ottica si evince l’importanza di riuscire ad abbassare l’età della diagnosi (Klin A., 2015). Non esistono ad oggi misure raccomandate in modo specifico per l’identificazione di segnali precoci di ASD così come, anche se i progressi nella tecnologia genetica hanno permesso di identificare eziologie genetiche nel 25-35% delle persone con autismo, non sono state identificate ad oggi precise componenti genetiche in grado di descrivere in modo specifico e sensibile il rischio di sviluppare un ASD. Il punto di partenza per portare a miglioramenti in ambito diagnostico è dunque costituito dagli strumenti di screening. È bene sottolineare che non esiste un singolo strumento che possa essere raccomandato per l’individuazione precoce dell'autismo, ma sono ampiamente disponibili diversi strumenti di screening comunemente usati, senza dimenticare che non tutti i bambini con autismo risultano positivi con queste indagini18. Il riconoscimento precoce dei sintomi dell’ASD potrebbe essere migliorato grazie ad una maggiore consapevolezza riguardo ai fattori di rischio da parte dei professionisti, quali la familiarità per la patologia, bambini nati da padri e madri di età elevata o giovanissimi, presenza di fratelli affetti, anamnesi patologica nello sviluppo pre o perinatale e comorbidità19. Si delinea inoltre l’importanza di garantire che i professionisti e le strutture sanitarie rispondano molto più rapidamente alle preoccupazioni dei caregivers, in particolare su ritardi/anomalie precoci relative all’interazione sociale e la comunicazione, segnalati da difetti nell’uso dello sguardo relazionale e del sorriso sociale, assenza di vocalizzi e di lallazioni. In tal senso anche la figura del pediatra svolge un ruolo fondamentale: la realizzazione di una solida rete territoriale di screening può costituire un elemento preventivo importante, grazie all’individuazione dei bambini a rischio che presentano segni precoci dell’ASD prima ancora che effettuino l’accesso presso strutture di tipo educativo-scolastico. Allo stesso modo gli insegnanti e gli educatori negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia costituiscono una risorsa irrinunciabile per fornire informazioni ed elementi clinicamente rilevanti, proprio perché hanno modo di osservare per tempi prolungati i bambini in epoche precoci20. Ad oggi la necessità di uno screening a tutti i bambini specifico per l’ASD è tuttavia ancora dibattuto: dalle pubblicazioni più recenti non si riscontra ancora una uniformità nella comunità scientifica21. Considerando l’onere a livello medico ed economico per la valutazione e la diagnosi dei bambini con ASD, la sfida di questi anni è quella di creare sistemi efficienti per lo screening dei bambini che possano identificare meglio i soggetti che hanno maggiori probabilità di avere ASD, sia attraverso la considerazione della storia medica e familiare sia attraverso l'uso di biomarker, per identificare i bambini che richiedono una maggiore sorveglianza e quelli che non necessitano affatto di screening22. In aggiunta a ciò pochi studi ad oggi hanno indagato la stabilità diagnostica nei bambini identificati prospetticamente in contesti comunitari e c'è una scarsità di evidenze sui comportamenti del soggetto che predicono la possibilità di cambiare la diagnosi nel tempo23. Per quanto riguarda la presa in carico clinica e l’adozione di percorsi di intervento precoci si evidenziano criticità nel ritrovare approcci abilitativi e riabilitativi alla patologia basati su una solida metodologia e supportati da prove scientifiche, a fronte della frammentarietà negli studi sull’efficacia dei diversi modelli di intervento sull’ASD che da anni domina nella comunità scientifica 24.

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L’approccio multidisciplinare e integrato

Considerando la complessità del Disturbo dello Spettro Autistico, la sua variabilità fenomenica sia a livello funzionale sia a livello sociale e l’elevata frequenza di comorbidità, risulta indispensabile un approccio multidisciplinare e integrato alla patologia per garantire un’assistenza efficace e adeguata. Il coinvolgimento e l’integrazione di aree di competenza e approcci diversificati come quello medico, psicologico, sociale, educativo, scolastico, fisioterapico, neuropsicomotorio e logopedico rappresenta la chiave nella cura alla persona e può garantire di fatto una continuità assistenziale (Negri, 1994), così da poter incontrare i bisogni assistenziali di ognuno e, al di là della gravità e complessità della patologia, mirare alla migliore qualità di vita possibile per il bambino e il suo nucleo familiare, promuovendo la salute psichica e fisica e l’autonomia personale e sociale di tutti i componenti.

Poiché l’autismo porta con sé fragilità nelle dimensioni relazionale, comunicativa e sociale, che incidono fortemente nella qualità di vita dell’uomo, è necessaria una collaborazione stretta tra professionisti e la creazione di una rete di diagnosi e intervento anche a livello territoriale tra NPI, centri di riferimento a carattere specialistico e scientifico di eccellenza, strutture zonali o sovrazonali per la disabilità, istituti scolastici e ricreativi, servizi sociali, nonché strutture pediatriche locali25. La collaborazione tra enti diversi in un approccio integrato permette infatti la creazione di uno spazio di scambio e crescita a partire dalle esperienze e rappresentazioni del bambino che si sono formate nei vari contesti e nel contempo diventa luogo in cui può emergere la dimensione di generalizzazione, che sempre più in ambito scientifico viene sottolineata come necessaria e fondamentale nel processo riabilitativo (Gison, 2012). Il rischio dell’autoreferenzialità dei singoli operatori è infatti quello di giungere a un paradosso operativo per cui coloro che interagiscono e lavorano con uno stesso bambino mirino all’ottenimento di obiettivi anche diversi e distanti tra loro oppure utilizzino approcci inadeguati o in contraddizione tra loro, generando così una riduzione dell’efficacia clinica per via della frammentarietà degli interventi stessi.

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L’intervento mediato dal genitore

La caratteristica peculiare del ASD sta nell’atipicità a livello sociale e interattivo- relazionale: questo implica un’influenza negativa e uno scompenso non semplicemente in queste aree di funzionamento, ma anche a livello della comunicazione tra genitore e bambino e, più in generale, nei processi che sottostanno l’attaccamento (Siegel, 2004). Spesso il genitore, nel rapportarsi con il figlio affetto da ASD, è sottoposto a una fluttuazione interpretativa più o meno ampia del linguaggio del figlio: risulta difficile o addirittura impossibile per lui leggere, attribuire un significato e comprendere lo sguardo, il modo di atteggiarsi, i segnali corporei, la variazione di tono, i gesti e il comportamento del proprio bambino. Questo innanzitutto porta a una deficitaria possibilità da parte del caregiver di avere dentro di sé risonanze chiare e decifrabili in termini di sensazioni e emozioni legate alle azioni del bambino: ciò va a compromettere la comprensione del bambino nella sua complessità, perché viene meno la naturale tendenza dell’adulto di collocarsi in una prospettiva di embodied cognition26  27  e di imitazione interna, che gli permetta di percepire sentimenti e intenzioni dentro di sé analoghi a quelli del figlio. Partendo da quest’ottica si comprende facilmente la frequenza con cui si ritrova un senso di scarsa autoefficacia genitoriale nei caregivers di questi bambini, spesso accompagnata dall’identificazione nel terapista di una figura qualitativamente più competente e più capace di rapportarsi con il proprio bambino di quanto sia il genitore stesso, con conseguente tendenza a delegare la risoluzione delle difficoltà portate dal figlio agli operatori sanitari o educativo-scolastici. Sul fronte opposto ci si può scontrare con la tendenza dei genitori a rinunciare alla spontaneità che definisce il loro ruolo per sposare pensieri e agiti tecnici nel tentativo di capire e risolvere da soli le difficoltà del loro bambino, sostituendosi alla figura del riabilitatore. A fronte di queste considerazioni, risulta ancora più evidente come sia fondamentale il ruolo dei caregivers all’interno del percorso riabilitativo del bambino con ASD e come l’intervento dei genitori sul bambino sia da considerare come parte naturale e integrante del processo di cura stesso. La letteratura scientifica da anni riconosce in maniera unanime l’incidenza e l’importanza della figura dei genitori nella strutturazione della personalità e nell’organizzazione neurale del bambino nei primissimi anni di vita28. A partire dagli anni ’80 si è iniziata a sottolineare la necessità di coinvolgere attivamente i genitori nel trattamento per garantire una maggiore possibilità di successo terapeutico (Bonda, 1981) e il concetto è stato recentemente sottolineato anche nelle Linee guida per ASD dell’Istituto Superiore della Sanità29. Da questa prospettiva il ruolo dei genitori e della famiglia non può che risultare naturalmente come centrale e irrinunciabile nell’intervento educativo e riabilitativo, proprio perché la famiglia costituisce il destinatario stesso dell’intervento. L’intervento mediato dal genitore è volto a creare possibilità di esperienze centrate sul piacere di condividere e giocare insieme, che restituiscano al genitore un senso di efficacia nel rapporto con il proprio bambino. In tal senso le occasioni di apprendimento in un ambiente familiare rappresentano strumenti utili e necessari per ottenere margini di trasformazione nello sviluppo del bambino autistico, perché vanno ad attivare substrati di scambi dinamici tra le due parti che consentono di investire sia sul bambino sia sul genitore, creando circuiti positivi di sviluppo che si alimentano tra loro30. Il coinvolgimento attivo del genitore nell’intervento ri-abilitativo, infatti, ha la potenzialità di ridurre il senso di inadeguatezza e scarsa efficacia del genitore stesso, permettendogli così di mettere in campo maggiori risorse e dare al bambino risposte più coerenti, tali per cui al bambino con ASD verrà restituita un’immagine di sé più positiva e comunicativa, che lo motiverà e lo spingerà nel tempo ad accogliere e cercare ancora l’interazione e la comunicazione con l’altro. La collaborazione attiva del genitore nell’intervento permette inoltre di individuare la tipologia di relazione presente tra caregiver e bambino, gli schemi di relazione-comunicazione che si instaurano tra bambino e figura di attaccamento e, di conseguenza, i cambiamenti che possono essere messi in atto per far sperimentare alla diade interazioni e scambi positivi. Il ruolo attivo del genitore assume particolare significato anche nei termini in cui il successo degli interventi parent-mediated dipende non solo dall'impegno dei genitori stessi nel portare avanti il programma, ma anche dalla fiducia riposta dal caregiver negli operatori e nella terapia (Dykens et al., 2014; Hutton & Caron, 2005). Infatti studi recenti hanno messo in luce come le percezioni dei genitori riguardo l’efficacia, la fattibilità e la sostenibilità dell’intervento hanno un'influenza diretta sull'avvio e sul loro coinvolgimento nell'intervento stesso (Mackintosh et al., 2012; Stahmer et al., 2017), nonché sul loro impegno nello svolgere la pratica tra le sessioni (Green et al. 2007; Stahmer & Pellecchia, 2015).

È necessario considerare poi che i genitori sono le persone con la più ricca ed estesa conoscenza del loro bambino e hanno maggiore possibilità rispetto agli operatori di osservare, sostenere, stimolare e promuovere le competenze del bambino, perché trascorrono più tempo con lui e hanno modo di essere presenti e tempestivi nel momento in cui l’agito può rispondere a reali necessità, interessi, bisogni e desideri del bambino che si manifestano durante la quotidianità. La possibilità di essere partecipe e attivo nel percorso di cura del proprio figlio porta il genitore ad una maggiore comprensione del funzionamento del proprio bambino e di conseguenza si delinea la possibilità di mettere in campo e implementare energie e risorse naturali del genitore, anche partendo dalla riflessione sul contributo che egli stesso può portare nel processo riabilitativo. Inoltre, un intervento mediato dai genitori risulta nettamente più “naturale” e ecologico perché il bambino apprende e si rapporta con l’altro nel suo ambiente familiare e sociale e, conseguentemente, le acquisizioni e i cambiamenti saranno più facilmente funzionali, stabili e collocabili al di fuori dell’ambito riabilitativo in un’ottica di generalizzazione (Gison et al. 2012).

Poste queste considerazioni, l’intervento terapeutico inizialmente dovrà essere fondato sul ruolo di sostegno e guida dell’operatore nell’aiutare la famiglia a comprendere maggiormente le difficoltà, necessità e bisogni correlati alla patologia del bambino, dando maggiore forma e cornice di significato e comprensione delle osservazioni, dubbi, disorientamenti, paure e domande che accompagnano l’inizio del processo di presa in carico. In un secondo momento la famiglia assumerà un ruolo più partecipante e attivo, con l’attuazione di proposte terapeutiche calibrate sul livello di partenza, sui bisogni e sulle risorse del nucleo familiare e del bambino. Nel genitore di un bambino con Disturbo dello Spettro Autistico il fatto di cogliere e accettare il bisogno di trovare modalità nuove e diverse di entrare in sintonia con il proprio figlio presuppone il doloroso riconoscimento di quali e quante siano le proprie fragilità come genitore. Dunque il compito degli operatori sanitari ed educativo-scolastici sarà anche quello di mettere il genitore nelle condizioni di riconoscere le proprie competenze già presenti e, partendo da esse, acquisire una nuova consapevolezza di sé e di sé in rapporto con il proprio figlio. In tal modo il genitore avrà la possibilità di trovare modalità proprie di creare contenuti e significati diversi e positivi insieme al proprio bambino. A supporto di ciò, la variabilità e personalizzazione di mezzi e strategie caratterizzanti l’intervento mediato dal genitore permettono di adattare le modalità e gli strumenti alle caratteristiche irregolari e alle traiettorie diversificate che si possono ritrovare nei bambini con ASD. I programmi di intervento parent-mediated infatti risultano ad oggi essere anche molto eterogenei tra loro: si distinguono per le finalità (all’interno dell’ambito della promozione dello sviluppo, della comunicazione e dell’adattamento del bambino/adolescente con ASD) e per i destinatari cui sono rivolti (bambini o adolescenti, a rischio o con diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico) 31.

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Attaccamento e sviluppo delle relazioni precoci

Nello studiare il legame tra il funzionamento genitoriale e lo sviluppo infantile, le teorie psicanalitiche hanno sottolineato negli anni il ruolo fondamentale del mondo intrapsichico materno e paterno, che viene influenzato da processi inconsci e che, a sua volta, condiziona ed è condizionato dallo sviluppo psichico del bambino in uno scambio continuo. In particolare Winnicott, ha portato l’attenzione sullo stato mentale delle madri definito da lui preoccupazione materna primaria32. Nelle primissime fasi di vita del bambino la madre si trova in una condizione psicologica che determina uno stato di simbiosi con il figlio e si mostra come una madre sufficientemente buona pronta a soddisfare i bisogni del bambino. Il neonato durante i primi mesi infatti dipende strettamente dal caregiver, dunque la madre ha il ruolo di recepire e accogliere le sensazioni e le emozioni del lattante, in particolare quelle più intense e disturbanti, dando un significato all’esperienza del bambino e rendendo di conseguenza possibile per lui l’inizio dello sviluppo della capacità riflessiva sugli stati mentali33. Durante queste primissime fasi di vita si verifica nel bambino uno stato di isolamento e di illusoria e completa onnipotenza, alimentata dal fatto che i suoi bisogni vengono immediatamente soddisfatti nella totale inconsapevolezza dell’esistenza di un soggetto agente delle cure, in quella che M. S. Mahler chiamò autismo normale34. In seguito alla maturazione fisiologica, il bambino inizia poi a percepire se stesso e la madre come un’unica entità onnipotente indifferenziata e lo spazio esterno come separato, permettendo così un iniziale investimento verso quest’ultimo. A questo punto, intorno ai cinque mesi di vita, il bambino inizia quello che viene definito come processo di separazione e individuazione (Mahler, 1975), che permetterà la nascita e la maturazione psicologica dell’individuo. A questa fase si sovrappone, intorno ai dieci mesi, un periodo di sperimentazione, durante il quale, grazie al raggiungimento della deambulazione autonoma, il bambino può fisicamente distanziarsi dalla madre facendo esperienza di allontanamento e avvicinamento da lei, che costituisce una base sicura, vivendo la graduale disillusione della propria onnipotenza. Sarà la stessa madre a diminuire gradualmente il suo adattamento permettendo al bambino di sperimentare delle piccole angosce che genereranno la disillusione. La madre ha infatti il ruolo di introdurre il mondo a piccole dosi35, favorendo l’assimilazione e promuovendo la costruzione delle basi della conoscenza del mondo, dell’autonomia e della personalità. Intorno ai diciotto mesi questo periodo si conclude stabilendo una distanza ottimale da parte del bambino che permette di sperimentare ed agire anche in assenza della madre, grazie all’emergere del linguaggio, al processo di creazione delle immagini mentali e alla comparsa del gioco simbolico. La fase del consolidamento dell’individualità permetterà al soggetto di acquisire un senso stabile del sé e dei propri confini: raggiunta la costanza dell’oggetto, il bambino è in grado di interiorizzare una rappresentazione unitaria e integrata dell’oggetto buono e dell’oggetto cattivo36, così da ottenere un’immagine intrapsichica dal ruolo consolatorio durante l’assenza fisica del genitore. Un’altra utile considerazione, se si prendono in esame le prime fasi di vita del bambino, è che tramite le prime interazioni face to face il neonato motiva l’altro a comunicare e ne modifica le intenzioni, andando a co-creare la cosiddetta intersoggettività primaria. Successivamente le interazioni si fanno più complesse e si sviluppa l’attenzione condivisa, compare l’uso del pointing e del contatto oculare per comunicare e condividere emozioni, in quella che viene definita intersoggettività secondaria (Trevarthen C. & Aitken K.J. 2001). Queste dinamiche sono biologicamente predisposte e si collocano nella teoria dell’attaccamento formulata alla fine degli anni ’60 dallo psicologo e psichiatra inglese J. Bowlby37, secondo il quale i bambini che ricevono cure regolari di base tendono a selezionare e ricercare figure di attaccamento con fine evolutivo di protezione della prole e della propria capacità riproduttiva (George, Solomon, 1999). Mary Ainsworth (1969), a riguardo, ha sottolineato il ruolo della sensibilità materna nel promuovere una relazione di attaccamento sicuro, basato sulla capacità del genitore di leggere i segnali emotivi del figlio per rispondergli in modo adeguato. Le dinamiche affettive, i modelli di attaccamento e le rappresentazioni mentali genitoriali influenzano infatti lo sviluppo dell’attaccamento del figlio (Main et al. 1985) e le ricerche hanno nel tempo dimostrato l’ipotesi transgenerazionale portata avanti da Main, George e Kaplain degli anni ’9038. La tipologia di attaccamento e le relazioni vengono poi interiorizzate e generalizzate in Modelli Operativi Interni (MOI) del Sé, dell’Altro e del Sé con l’Altro, andando a formare la matrice delle altre future interazioni costituita da componenti affettive e cognitive che rappresentano le esperienze di interazione fatte (Stern, 1985). Appare chiaro dunque come le prime esperienze di interazione plasmino di fatto il comportamento del bambino nelle opposte direzioni di sicurezza-organizzazione e insicurezza- disorganizzazione39.

Ad oggi non si è giunti in ambito scientifico a trovare una sovrapposizione tra autismo e difficoltà di attaccamento. I risultati in tale direzione sono confusi e incoerenti, tuttavia concordi nell’affermare che i bambini con autismo e i loro genitori sono ad alto rischio di sviluppare modelli di attaccamento insicuri40 e nel suggerire che le associazioni previste tra interruzione materna e disorganizzazione dell'attaccamento si applicano anche ai bambini con ASD41. Le ricerche evidenziano che, laddove i genitori di bambini con autismo stabiliscono relazioni sicure con i loro figli, anche la sintomatologia dei piccoli appare di minore gravità. Nei bambini con sviluppo tipico, la qualità dell'attaccamento agisce come un fattore di rischio/protezione per gli esiti comportamentali e l'adattamento e ancor di più con bambini affetti da ASD, nei quali il comportamento e i problemi emotivi sono altamente prevalenti42. Infatti la qualità delle interazioni con la figura di attaccamento costituisce uno dei più importanti attrattori nel percorso di costruzione della propria identità e condiziona lo sviluppo del bambino e le sue future modalità di interazione con il mondo esterno43. Ne consegue che, se il bambino manca di quei comportamenti relazionali e sociali specifici posti alla base della costruzione di un buon attaccamento come il pianto, sorriso, lallazione o l’azione in avvicinamento verso la madre, diventa difficoltoso l’instaurarsi di questo tipo di legame affettivo. In tal senso le ricerche sembrano suggerire che interventi volti a migliorare la sincronia diadica e la sensibilità dei genitori e mirati al miglioramento del comportamento e dei problemi emotivi nei bambini con ASD possano avvantaggiare i caregivers e i bambini con ASD, promuovendo l’instaurazione di un modello di attaccamento meno disorganizzato in cui i genitori possano assumere un ruolo attivo di comunicatori e co-regolatori delle emozioni e dei comportamenti stessi del bambino, così da instaurare circoli virtuosi di comunicazione-interazione a livello diadico e familiare.

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L’ASD dalla prospettiva dei genitori

Con la nascita di un figlio ai genitori si presenta la grande sfida e opportunità di crescere come individui, in un ruolo nuovo e del tutto diverso all’interno della relazione col bambino. Molti genitori che si trovano a interfacciarsi con la patologia del proprio figlio, tuttavia, si ritrovano spesso imprigionati in dinamiche e modelli di interazione diversi e non sempre compatibili con l’immaginata modalità di relazione tra se stessi e il bambino e che impediscono una visione positiva e costruttiva proiettata sul proprio futuro e quello di loro figlio. Si tratta di un vero e proprio adattamento psicologico all’autismo, che origina spesso da uno scompenso psichico e dalla messa in atto di meccanismi di difesa interni, nella misura in cui il bambino sognato e rappresentato dal genitore non esiste più ed è stato rimpiazzato da un bambino che il genitore percepisce come diverso44 (Siegel, 2004). Il processo di accettazione da parte del genitore partirà da una raccolta di indizi più o meno nascosti e decifrabili di atipia, che troveranno maggiore forma e significato nell’approdare, affiancati dagli operatori sanitari, ad una diagnosi, che in realtà era già più o meno presente nelle risonanze interne dei caregivers (Gison et al., 2012). Per le caratteristiche della patologia infatti, a differenza di altre disabilità, il Disturbo dello Spettro Autistico, non implica caratteristiche fisiche caratteristiche e richiede ai genitori un adattamento tardivo rispetto alla nascita, perché si manifesta nel periodo dello sviluppo. Inoltre l’autismo contempla una ampia variabilità di manifestazioni cliniche e questo può ulteriormente generare nei genitori un assetto affettivo-educativo incerto ed altalenante, che rende ancora più faticosa l’accettazione della malattia del figlio e la riorganizzazione intrapsichica dei genitori stessi. Se si prende in considerazione la prospettiva genitoriale è necessario considerare dunque anche la difficoltà e disorientamento nella ricerca di un’origine o una causa dietro la patologia, spesso individuata in fenomeni interni o esterni a sé, che possono aggravare le sensazioni di inadeguatezza e colpa. È bene considerare inoltre che l’alterazione dell’interazione sociale e della comunicazione che il disturbo implica, tende a incidere e modificare la predisposizione innata del bambino nello stabilire relazioni preferenziali con le figure genitoriali. Per i soggetti con ASD risulta più difficoltoso l’instaurarsi di questo tipo di scambio positivo con modalità bidirezionale, proprio perché il bambino non manifesta comportamenti relazionali e sociali adeguati e specifici in direzione dell’avvicinamento verso il genitore e tale mancanza porta il caregiver a sviluppare sentimenti di colpa, di inadeguatezza e di impotenza che creano un circolo vizioso di pensieri e agiti passivo-depressivi nell’adulto, che non fanno che aggravare le difficoltà relazionali nella diade. La tendenza interpretativa dei comportamenti del figlio da parte del genitore, col tempo, spesso sfocia nel radicarsi, all’interno della dimensione psichica ed emozionale del caregiver, della convinzione di un rifiuto personale del bambino nei suoi confronti (Sepe, 2014), che spesso trova naturale conferma agli occhi del genitore nella realizzazione di una buona alleanza in ambito relazionale tra riabilitatori e bambino e poi nell’eventuale successo ri-abilitativo. È tuttavia proprio nella relazione con il genitore che si trova la chiave del processo evolutivo perché le esperienze interpersonali col genitore hanno un ruolo cruciale nel plasmare i circuiti cerebrali del bambino45. La letteratura scientifica è inoltre concorde nell’affermare che l’apprendimento e la crescita avvengono principalmente nel contesto familiare e sociale: è attraverso le forme di relazione interpersonali che i bambini con Disturbo dello Spettro Autistico possono avere margini di acquisizione di conoscenza di sé e dell’altro e di competenze sociali e comunicative. Tale processo è definibile di co-costruzione: il bambino impara a conoscersi e conoscere l’Altro da Sé attraverso le comunicazioni e le relazioni che stabilisce con gli altri e, in primis, con i genitori. Partendo da questa premessa, lo sviluppo dei figli è fortemente influenzato dal modo in cui i genitori li percepiscono e comunicano con loro e dalla loro capacità di stabilire comunicazioni basate sull’empatia e sul senso di sicurezza (Hartzell, 2004). In quest’ottica la sfida relazionale che caratterizza un rapporto così ricco e complesso come quello tra genitore e figlio con ASD, trova potenziali spiragli di sviluppo per entrambi i soggetti, proprio nella dimensione della relazione.

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Il sostegno al genitore

Uno degli aspetti salienti dell’annientamento del microcosmo affettivo dei genitori nel confrontarsi con la patologia del figlio è sicuramente lo stress. Recenti studi hanno messo in luce come la maggior parte dei genitori con figli con ASD hanno aumentati livelli di disagio psicologico, in particolare di ansia46, e ottengono punteggi più alti nelle misurazioni dei livelli di stress rispetto ai genitori di bambini con sviluppo tipico47. Le sfide quotidiane della cura del bambino con ASD sono numerose e influenzano tutti gli aspetti della cura del bambino, nonché la salute mentale del genitore e la capacità di gestire i bisogni del bambino e della famiglia. Inoltre i sentimenti di inadeguatezza e incapacità da parte dei genitori spesso rischiano di essere aggravati da fattori ambientali esterni che possono amplificare la mancata confidence del caregiver nel vivere la genitorialità. Innanzitutto la presenza diffusa di giudizi sulla causalità o correlazione tra patologia del figlio e capacità del genitore, che non di rado portano a consolidarsi di dinamiche interpersonali negative che inducono la coppia genitoriale a rinunciare o autolimitare la propria vita comunitaria-sociale alla ricerca, più o meno conscia, di isolamento per evitare di confrontarsi e interfacciarsi con l’esterno. Dall’altro lato ad aggravare il senso di scarsa efficacia come genitori si è prospettata negli ultimi anni la cultura del parenting48, che ha affermato a livello sociale e culturale un’immagine del ruolo genitoriale fuorviante da un punto di vista scientifico e umano, secondo la quale le qualità dei genitori possano e debbano essere giudicate in base al figlio che hanno prodotto.

A fronte di tutte queste spinte potenzialmente negative sulla vita intrapsichica del genitore, in aggiunta alle difficoltà intrinseche che la patologia del figlio porta con sé soprattutto nella fase successiva alla comunicazione della diagnosi, l’approccio degli operatori sanitari coinvolti nella valutazione e presa in carico del bambino risulta essere un elemento decisivo nell’accettazione della patologia del figlio da parte dei genitori49. La perdita della continuità dell’esistenza che la comunicazione della disabilità del figlio porta con sé pone la necessità infatti per i caregivers di ricercare e trovare nuovi punti di riferimento che li supportino nell’affrontare la nuova realtà, spesso difficoltosa, sul piano emotivo, cognitivo e pratico. In quest’ottica, avviare un supporto tarato sulle difficoltà dei genitori, anche in epoche precoci, può prevenire o alleviare la comparsa di ferite e scompensi intrapsichici nella relazione di coppia nonché la formazione di un sistema familiare e sociale in disequilibrio a cui il bambino negli anni farà riferimento, col rischio che ciò influenzi negativamente il funzionamento, i sintomi e le condizioni di salute del bambino stesso, innescando così una reazione a catena. Infatti il modo in cui il genitore comunica e si comporta con il proprio figlio ha e avrà negli anni a venire un profondo impatto con lo sviluppo stesso del bambino50. Un passaggio di fondamentale importanza per impostare la presa in carico sarà quindi sostenere il genitore nel fronteggiare la fase di confusione e smarrimento iniziale successivo alla comunicazione della diagnosi, dominata da emozionalità negativa, e poi quello di valutare le risorse cognitive, psicologiche, pratiche ed emotive dei caregivers, perché anche a partire da esse si possa pensare e costruire insieme il progetto ri-abilitativo del bambino. All’interno di questa valutazione sarà necessario individuare o co-creare con i genitori una rete di persone, servizi e risorse che li sostengano, che conducano a un empowerment continuo della coppia genitoriale e, che nel contempo, sappiano riconoscere e sostenere le fragilità del bambino e della famiglia con sguardo non giudicante. Sostenere la genitorialità si traduce dunque nell’ aiutare il genitore a ricreare un ordine e un’organizzazione psichica in grado di riconoscere, accogliere e contenere il figlio reale e adattarsi e cambiare con lui; per fare ciò, risulta insostituibile la creazione di una rete assistenziale integrata che preveda una cura e un’attenzione specifica anche al genitore. In ambito psicoeducativo e riabilitativo si delinea spesso la necessità di proporre un percorso specifico di sostegno psicologico al genitore di figlio con ASD oppure di cogliere occasioni di counselling cognitivo-relazionale da parte dei riabilitatori stessi rivolte ai genitori, sia come mezzo per alleviare la sofferenza sia per permettere alla famiglia di affrontare le sfide e il mutamento che il percorso di crescita del bambino comporta51. Attraverso la decostruzione e ricostruzione dell’organizzazione psichica personale e interpersonale si può supportare il genitore ad affrontare le sfide del cambiamento e della genitorialità, lasciando che riporti nella relazione terapeutica la propria storia, la propria attribuzione di significati, il proprio vissuto personale, i tentativi di affrontare e risolvere i problemi, i successi, le teorie, le giustificazioni e le descrizioni di sé, le proprie motivazioni di scelte e di comportamento. Sulla base di questi elementi la sfida sarà poi quella di guidare e sostenere il caregiver a trovare in autonomia le proprie risorse positive da mettere in campo.

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Il ruolo ambientale

La presa in carico, l’efficacia terapeutica e l’esito a lungo termine dell’impatto del Disturbo dello Spettro Autistico sul bambino e la sua famiglia sono condizionati fortemente dall’ambiente, dal contesto di vita e dall’attuale modello sociale52. Con nascita di un figlio con ASD la coppia genitoriale si trova a dover rinunciare almeno in minima parte al proprio assetto di vita precedente e accrescere le proprie competenze personali e genitoriali di fronte ad una condizione inaspettata di patologia e a questo si aggiungono le difficoltà nella gestione della vita sociale e lavorativa dei genitori, con livelli di stress che possono produrre difficoltà nella modulazione interattiva relazionale con il bambino. In quest’ottica giocano sicuramente un ruolo fondamentale moltissimi elementi ambientali come il precariato lavorativo, la mobilità a livello nazionale e internazionale, la disponibilità economica familiare, la presenza o meno di una rete familiare e sociale di sostegno, la qualità e l’accessibilità ai servizi socio- sanitari e l’organizzazione e gestione della vita scolastica 53.

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Il modello PACT

Il Paediatric Autism Communication Therapy è un intervento mediato dal genitore video-assistito sviluppato in United Kingdom dal professor Jonathan Green, specialista in ambito evolutivo all'Università di Manchester, Catherine Aldred e Catherine Adams, volto a migliorare le competenze comunicative in bambini con Disturbo dello Spettro Autistico e sostenere le loro difficoltà in ambito dell’attenzione condivisa, della comprensione e della comunicazione intenzionale (Tomasello, Carpenter et al, 2005). Il programma PACT è teoricamente fondato e basato su ricerche sullo sviluppo pre-linguistico, linguistico e pragmatico del bambino neuro-atipico, focalizzandosi proprio sulle compromissioni a livello comunicativo che il Disturbo dello Spettro Autistico comporta, le quali influenzano profondamente lo sviluppo sociale del soggetto anche in età adulta54.

L’80% della comunicazione dei bambini in età prescolare è proprio con le figure genitoriali, dunque appare facile comprendere come le difficoltà in ambito comunicativo del bambino con ASD abbiano un impatto determinante nell’interazione con i propri genitori. Questi ultimi risultano essere le persone con le quali il figlio interagisce di più e quindi si presentano come una fondamentale risorsa e opportunità che il bambino ha di apprendere in ambito delle abilità sociali e comunicative. Inoltre, l’intervento mediato dal genitore proposto dal modello presuppone il perseguimento di obiettivi abilitativi in un setting naturale e conosciuto, nel quale il bambino possa apprendere e fare un uso funzionale delle competenze acquisite o in acquisizione. A questo fine il training, che è condotto da figure professionali del settore (TNPEE, neuropsichiatri infantili, logopedisti, psicologi), sebbene sia portato avanti in ambito clinico-familiare, può essere seguito nei suoi principi cardine anche in altri contesti di vita. Ad oggi l’intervento precoce di comunicazione sociale, mediato dai genitori, terapeuti o insegnanti, è l'unico tipo di trattamento per ASD raccomandato dal National Institute for Health and Care Excellence (NICE)55.

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Le basi teoriche

L’intervento PACT segue un ordine gerarchico basato sullo sviluppo delle abilità comunicative e sociali in relazione allo sviluppo della reciprocità sociale e delle abilità prelinguistiche, linguistiche e pragmatiche56. Il programma prevede l’utilizzo del video-feedback per guidare i genitori nella creazione di un contesto di interazione adattato al proprio bambino, in cui le risposte comunicativo-linguistiche della coppia genitoriale vengono modificate in modo tale che possano aderire al meglio alle competenze comunicative del figlio. Il razionale dell’intervento PACT si basa infatti sul cambiamento dell’interazione della diade adulto-bambino e sull’evidenza che i bambini affetti da ASD abbiano beneficio grazie all’utilizzo, da parte del genitore o delle figure con le quali entrano maggiormente in contatto, di uno stile interattivo- comunicativo adattato al loro livello di comunicazione57. L’adattamento del genitore alle modalità comunicative del bambino può permettere infatti di indurre una modificazione nella risposta del bambino stesso, promuovendo in lui la maturazione delle competenze linguistiche-comunicative e sociali-relazionali. Durante il percorso di intervento proposto dal modello PACT, il caregiver impara ad identificare i momenti in cui è possibile facilitare l’interazione condivisa, migliorare la comunicazione emergente, supportare l’iniziativa del bambino e sostenere la comprensione linguistica. Il ruolo del terapista è quello di affiancare il genitore durante questo percorso aiutandolo nel cogliere i segnali comunicativi del bambino e nell’identificare le interazioni reciproche efficaci, guidandolo nei processi decisionali e nel riflettere sul suo contributo personale, affinché acquisisca autostima e fiducia in se stesso. Partendo da questo presupposto, l’intervento si serve in primo luogo di una stretta collaborazione tra terapista e genitori del bambino con ASD, con l’obiettivo di rendere questi ultimi più sensibili alle specifiche modalità comunicative del figlio così da coglierle, comprenderle e poter quindi fornire una risposta ad esse adeguata, sostenendoli nel contempo nell’acquisizione di maggiore consapevolezza del proprio funzionamento genitoriale. In quest’ottica, il programma si prefigge di implementare e attivare le risorse naturali emergenti promuovendone lo sviluppo e l’adattamento, modificando gli obiettivi progressivamente in base all’evoluzione della relazione e della comunicazione all’interno della diade stessa, con modalità e velocità di cambiamento calibrate sulle caratteristiche del bambino e del genitore. Globalmente il modello PACT si sta dimostrando uno strumento di intervento flessibile e adattabile anche per l’applicazione online e a distanza58 59 perché esso di per sé utilizza anche videoregistrazioni e video-feedback (Aldred et al., 2018). L’attivazione e l’utilizzo di modalità da remoto in ambiente domiciliare, rinforza l’alleanza terapeutica con la famiglia e permette di garantire continuità dell’erogazione di servizi anche in situazioni pratiche e ambientali avverse, come durante l’emergenza da COVID-19.

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Le evidenze scientifiche

Ad oggi sono state realizzate numerose indagini a supporto dell’efficacia del metodo PACT. Il primo studio pilota randomizzato controllato60, effettuato nel Regno Unito e pubblicato nel 2004 dal Journal of Child Psychology and Psychiatry ha evidenziato come l’intervento mediato dal genitore abbia determinato una significativa diminuzione dei sintomi autistici nel gruppo di trattamento soprattutto nell’interazione sociale reciproca, nella comunicazione sincrona, nelle competenze linguistiche in espressione anche tra i bambini con grave compromissione, suggerendo benefici aggiuntivi al trattamento classico. Le dimensioni ridotte del campione e il tempo di follow-up piuttosto breve, se considerata la cronicità del disturbo, hanno reso necessario indagare l’efficacia dell’intervento attraverso uno studio randomizzato controllato più ampio negli anni seguenti.

A distanza di alcuni anni dallo studio pilota, infatti, nei centri riabilitativi di Manchester, Newcastle e Londra, è stato condotto un secondo studio randomizzato controllato61, pubblicato nel 2010 sulla rivista The Lancet Psychiatry, che ad oggi è considerato il più grande studio psicosociale per bambini con autismo62. Questo secondo studio ha dimostrato come l’intervento PACT sia significativo ai fini del miglioramento nel gioco e della comunicazione genitore-figlio anche a lungo termine per il soggetto con ASD. Le ricerche in tale direzione sono proseguite attraverso uno studio di follow-up a lungo termine63 degli stessi bambini seguiti nello studio del 2010 64 per valutare come l’intervento precoce del PACT avesse un effetto a lungo termine sui sintomi dell’autismo e sugli effetti nell’interazione sociale genitore-figlio. L’accertamento di follow-up è stato eseguito circa 6 anni dopo, a metà degli anni scolastici (7-11 anni) e i risultati, pubblicati nel 2016 sulla rivista The Lancet Psychiatry, hanno mostrato una riduzione dei sintomi dell’ASD nel follow-up anche a lungo termine, supportando così il valore clinico dell'intervento PACT in questa fascia di età. Di interesse scientifico negli anni a venire è il proseguimento del follow-up in adolescenza, volto ad indagare ulteriormente l’evoluzione e il mantenimento delle competenze nelle diverse fasi di vita del soggetto con ASD 65.

Sulla scia delle ricerche precedenti è attualmente in corso uno studio66 volto ad indagare la possibilità di generalizzazione delle abilità acquisite durante l’intervento all’interno del contesto familiare e del contesto scolastico, con l’obiettivo di migliorare le funzioni adattive e ridurre i sintomi. Il Paediatric Autism Communication Therapy- Generalised (PACT-G)67 si basa quindi sull’originale terapia PACT e segue la stessa modalità di somministrazione prevista, ma a tali modalità di intervento si aggiungono nuovi elementi finalizzati a trasferire le competenze nei contesti educativi, oltre che domestici, ampliando l’intervento al personale scolastico della scuola primaria, che come il genitore nel programma PACT originale, dovrà implementare quotidianamente le strategie del programma durante il tempo trascorso col bambino in classe. I risultati di tale studio di ricerca saranno prossimamente destinati alla pubblicazione in riviste specializzate. Negli ultimi anni il modello PACT è stato introdotto anche in Italia nell’ambito di programmi di cura e interventi terapeutici evidence-based per bambini con Disturbo dello Spettro Autistico. A maggio 2017 si è avviato un progetto sperimentale di ricerca68, monitorato in ogni fase dall’Istituto Superiore di Sanità, sul trattamento dell’ASD in bambini di età compresa tra i 24 e i 48 mesi mediante l’impiego del modello PACT in aggiunta ai trattamenti classici. Lo studio69 vede coinvolte l’Università di Trento, l’Università di Napoli Federico II, l’Università della Campania Vanvitelli, l’Università Milano-Bicocca e tre centri di riabilitazione e ha l’obiettivo di verificare l’efficacia del modello nei diversi contesti di vita.


  • 1 American Psychiatric Association, DSM-5: Diagnostic and statistical manual of mental disorders, 5th Edition, American Psychiatric Publishing, Washington, DC, trad. it. DSM-5: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014
  • 2 Lord C.et al., Autism spectrum disorder, Nature Reviews Disease Primer, Jan 2020
  • 3 Elsabbagh M. et al., Global prevalence of autism and other pervasive developmental disorders, Aut. Res., 2012
  • 4 ISS-SNLG - Istituto Superiore di Sanità, Sistema nazionale per le Linee Guida, Linee guida: Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti, Ministero della Salute, Roma, 2011
  • 5 Brugha T. S. et al., Epidemiology of autism in adults across age groups and ability levels, Br. J. Psychiatry, 2016
  • 6 Loomes R., Hull, L., Mandy, W. P. L., What is the male-to-female ratio in autism spectrum disorder? A systematic review and meta-analysis, J. Am. Acad. Child Adolesc. Psychiatry, 2017
  • 7 AA.VV., DSM-V: Diagnostic and statistical manual of mental disorders, American Psychiatric Publishing, Washington DC, 2013
  • 8 AA.VV., DSM-IV-TR: Diagnostic and statistical manual of mental disorders, American Psychiatric Publishing, Washington DC, 2000
  • 9 Casanova M. et al., Editorial: Comorbidity and Autism Spectrum Disorder, Front Psychiatry, 2020
  • 10 Havdahl A., Bishop S., Heterogeneity in prevalence of co-occurring psychiatric conditions in autism., The Lancet Psychiatry 6, 2019
  • 11 Si è trattato di uno studio svedese con un campione di gemelli di 9 anni nati tra il 1992 e il 2001
  • 12 Chandler S. et al., Emotional and behavioural problems in young children with autism spectrum disorder, Dev. Med. Child Neurol., 2016
  • 13 Pezzimenti F., Han G. T., Vasa, R. A., Gotham, K., Depression in youth with autism spectrum disorder, Child Adolesc. Psychiatr. Clin. N. Am. 28, 2019
  • 14 Fuentes J., Hervás A., Howlin P. et al., ESCAP practice guidance for autism: a summary of evidence‑basedrecommendations for diagnosis and treatment, 2020
  • 15 Whitehouse A. J. O. et al., Effect of Preemptive Intervention on Developmental Outcomes Among Infants Showing Early Signs of Autism: A Randomized Clinical Trial of Outcomes to Diagnosis, JAMA Pediatrics, Nedlands, Western Australia, sett. 2021
  • 16 AA.VV., Fondamenti di riabilitazione in età evolutiva, Carrocci Faber 2009
  • 17 Daniels A.M., Mandell D.S. et al., Explaining differences in age at autism spectrum disorder diagnosis: a critical review, HHS Author Manuscripts, 2014
  • 18 Fuentes J., Hervás A., Howlin P. et al., ESCAP practice guidance for autism: a summary of evidence‑basedrecommendations for diagnosis and treatment, 2020
  • 19 Modabbernia A., Velthorst E., Reichenberg A., Environmental risk factors for autism: an evidence-based review of systematic reviews and meta-analyses, Mol. Autism, 2017
  • 20 Jobs E.N., Bölte S., Falck-Ytter T., Spotting signs of autism in 3-year-olds: comparing information from parents and preschool, J. Autism Dev. Disord., 2019
  • 21  Nel 2020 l’American Academy of Pediatrics ha raccomandato uno screening specifico per l’autismo a tutti i bambini tra i 18 e i 24 mesi , mentre la United States Preventive Services Task Force ha affermato che ad oggi non si hanno sufficienti evidenze scientifiche per raccomandare uno screening a tutti i bambini anche nei casi in cui non ci siano state segnalazioni particolari di genitori, insegnanti o professionisti della salute. Per mitigare questo problema, l'American Academy of Pediatrics ha recentemente raccomandato l'uso di uno screening di livello 2 dopo aver fallito uno screening di livello 1, prima di indirizzare i bambini a una valutazione completa per l'ASD.
  • 22 McCarty P., Frye R.E., Early Detection and Diagnosis of Autism Spectrum Disorder: Why Is It So Difficult?, Semin. Pediatr. Neurol., 2020
  • 23 Barbaro J., Dissanayake C., Diagnostic stability of autism spectrum disorder in toddlers prospectively identified in a community-based setting: Behavioural characteristics and predictors of change over time, Journal of Developmental & Behavioral Pediatrics, 2016
  • 24 ISS-SNLG - Istituto Superiore di Sanità, Sistema nazionale per le Linee Guida, Linee guida: Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti, Ministero della Salute, Roma, 2011
  • 25 AA.VV., La presa in carico del bambino con patologia neuropsichiatrica in Fondamenti di riabilitazione in età evolutiva, Carrocci Faber, 2009
  • 26 Stamenov N.I., Gallese V., Mirror Neurons and the Evolution of Brain and Language, JBP, 2002
  • 27 Ammaniti M., Gallese V., The Birth of Intersubjectivity. Psychodynamics, Neurobiology and the Self. W. W. Norton & Company, 2014
  • 28 AA.VV., Fondamenti di riabilitazione in età evolutiva, Carrocci Faber, 2009
  • 29 ISS-SNLG - Istituto Superiore di Sanità, Sistema Nazionale per le Linee Guida, Linee guida: il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti, Roma, Ministero della Salute, 2011
  • 30 Prof Jonathan Green - Early Intervention: Full Interview (Transforming Autism) available to: https://www.youtube.com/watch?v=65YWLzxcNkc
  • 31 ISS-SNLG - Istituto Superiore di Sanità, Sistema Nazionale per le Linee Guida, Linee guida: il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti, Roma, Ministero della Salute, 2011
  • 32 Winnicott, D. W., La preoccupazione materna primaria, in Dalla pediatria alla psicoanalisi, Martinelli, Firenze, 1958
  • 33 Si tratta della definizione di rêverie di Bion, che risulta di fatto un’eco della precedente descrizione fatta da Winnicott (1960) di holding
  • 34 Mahler M. S. et al., La nascita psicologica del bambino, Bollati Boringhieri, Torino, 1975
  • 35 Espressione utilizzata da Donald W. Winnicott in The child, the Family and the Outside World, published by arrangement with Paterson Marsh Ltd, 1964, p.74
  • 36 M. Klein, Envy and Gratitude and other works, Vintage classics, 1946-1963
  • 37 Bowlby J., Attaccamento e Perdita. L’attaccamento alla madre, tradotto da Lina Schwarz, Bollati Boringhieri, Torino, 1999
  • 38 Le indagini volte a verificare l’ipotesi transgenerazionale si basarono su uno studio condotto con l’Adult Attachment Interview.
  • 39 Nel tempo sono stati individuati in ambito psicologico.psicoanalitico diversi stili di attaccamento: l’Attaccamento sicuro (Ainsworth et al., 1978), l’Attaccamento insicuro-evitante (Ainsworth et al., 1978), l’attaccamento insicuro- ambivalente o resistente-preoccupato (Ainsworth et al., 1978) e infine l’attaccamento insicuro disorganizzato- disorientato (Main and Solomon,1986)
  • 40 McKenzie R., Dallos R., Autism and attachment difficulties: Overlap of symptoms, implications and innovative solutions, Clin Child Psychol Psychiatry, 2017
  • 41 Levy G., Oppenheim D. et al., Disrupted maternal communication and attachment disorganization in children with autism spectrum disorder, Attach Hum Dev., 2020 Oct
  • 42 Teague S. J., Newman L. K. et al., Attachment and child behaviour and emotional problems in autism spectrum disorder with intellectual disability, J Appl Res Intellect Disabil., May 2020. Lo studio ha suggerito che la qualità dell'attaccamento contribuisce in modo univoco alla variazione del comportamento del bambino e dei problemi emotivi.
  • 43 Rezzonico G., Strepparava M.G., Percorsi di nascita del mondo e del Sé: i sogni nelle diverse organizzazioni di significato personale, Bollati-Boringhieri, Torino, 2004
  • 44 In ambito psicoanalitico la condizione descritta viene nominata ferita narcisistica, che viene accompagnata da interrogativi angosciosi e vissuti dolorosi da parte dei genitori relativi alla discrepanza tra figlio reale e figlio immaginato.
  • 45 Siegel D., La mente relazionale. Neurobiologia dell'esperienza interpersonale, Raffaello Cortina Editore, 2013
  • 46 Shepherd D. et al., Stress and distress in New Zealand parents caring for a child with autism spectrum disorder, Research in Developmental Disabilities, 2021. Dallo studio è inoltre emerso che lo stress genitoriale è un predittore significativo sulla gravità dei sintomi dell'ASD del bambino e i problemi di salute mentale dei genitori futuri.
  • 47 Bonis S., Stress and Parents of Children with Autism: A Review of Literature, Issues Ment. Health Nurs., 2016
  • 48 Gopnik A., Essere genitori non è un mestiere. Cosa dice la scienza sulle relazioni tra genitori e figli, Bollati Boringhieri, 2017
  • 49 AA.VV. Fondamenti di riabilitazione in età evolutiva, Carrocci Faber, 2009
  • 50 Siegel D., Hartzsell M. , Errori da non ripetere. Come la conoscenza della propria storia aiuta a essere genitori, Raffaello Cortina Editore, 2003
  • 51 AA.VV., Il counselling cognitivo relazionale, Franco Angeli, Milano, 2016
  • 52 Gison G., Bonifacio A., Minghelli E. , Autismo e psicomotricità, Edizioni Centro Studi Erickson , Trento, 2012
  • 53 Ibidem
  • 54 Green J., Interview for “Autism Science Foundation” at International Meeting For Autism Research, 2010, available to: http://research.bmh.manchester.ac.uk/pact/videos/
  • 55 National Institute for Health and Care Excellence, Autism: the management and support of children and young people on the autism spectrum – Clinical guideline 170, 2013, available to: http://guidance.nice.org.uk/CG170
  • 56 Aldred C.R., Green J., Howlin P. et al., Pree-school autism communication therapy (PACT) intervention manual, Hoegrefe, 2011
  • 57 Yoder P. J. et al., Maternal responsivity predicts the prelinguistic communication intervention that facilitates generalized intentional communication, Journal of Speech, Language, and Hearing Research, 1998
  • 58 Jurek L., Occelli P. et al., Efficacy of parent-mediated communication-focused treatment in toddlers with autism (PACT) delivered via videoconferencing: a randomized controlled trial study protocol, BMJ, April 2020
  • 59 Rahman A., Divan G. et al., Effectiveness of the parent-mediated intervention for children with autism spectrum disorder in south Asia in India and Pakistan (PASS): a randomised controlled trial, The Lancet Psychiatry, 2016
  • 60 Aldred C. R., Green J., Adams C., A new social communication intervention for children with autism: a pilot randomised controlled treatment study suggesting effectiveness; Journal of Child Psychology and Psychiatry, 2004
  • 61 Green J., Charman T., McConachie H., Aldred C. et al., Parent-mediated communication-focused treatment in children with autism (PACT): a randomised controlled trial., The Lancet P., 2010
  • 62 Spence S. J., Thurm A., Testing autism interventions: trials and tribulations, The Lancet P., 2010
  • 63 Pickles A., Le Couteur A. et al., Parent-mediated social communication therapy for young children with autism (PACT): long-term follow-up of a randomized controlled trial., The Lancet P., 2016
  • 64 In questo studio 121 delle 152 famiglie che originariamente hanno partecipato al trial (80%), sono state reclutate per il follow-up.
  • 65 Green J., Early Intervention, interview for The Transforming Autism Project, 2017, available to: https://www.youtube.com/watch?v=65YWLzxcNkc
  • 66 Green J., Aldred C., PACT-G Group, Paediatric Autism Communication Therapy-Generalised (PACT-G) against treatment as usual for reducing symptom severity in young children with autism spectrum disorder: study protocol for a randomised controlled trial., BMC, 2018
  • 67 AA.VV., The Paediatric Autism Communication Trial - Generalised (PACT -G), Manchester, Academic Health Science Centre, available to: http://research.bmh.manchester.ac.uk/pactg/AboutPACT-G/

 

Indice
 
INTRODUZIONE
 

 

N.B.

In questi ultimi giorni stiamo ricevendo diverse tesi le quali sono in attesa di essere pubblicate, per questioni di tempi è probabile che per il momento la presente tesi sia stata inserita in formato immagine. Al più presto completeremo l’inserimento rispettando i canoni da noi prefissati e cioè editando direttamente il testo nei diversi articoli del portale.

15/10/2021 - Redazione web

 
CONCLUSIONI
 
BIBLIOGRAFIA
 
Tesi di Laurea di: Arianna ARTIFONI
 

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