IL RUOLO DELL'IMITAZIONE: dalle basi neurobiologiche ai trattamenti per l'autismo

CAPITOLO I IMITAZIONE: TRA FUNZIONI COGNITIVE E INTERSOGGETTIVE

CAPITOLO II LE BASI NEUROBIOLOGICHE DELL’IMITAZIONE

CAPITOLO III L’IMITAZIONE NEL DISTURBO DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO

CAPITOLO IV TRATTAMENTI INCENTRATI SULL’IMITAZIONE

CONCLUSIONE

SITOGRAFIA

BIBLIOGRAFIA

INDICE PRINCIPALE

 

INDICE

CAPITOLO I IMITAZIONE: TRA FUNZIONI COGNITIVE E INTERSOGGETTIVE

Definizione dell’imitazione

Tutti noi conosciamo il significato del termine “imitazione”; se dovessimo dare una definizione, affermeremo sicuramente che “imitare” è “fare come l’altro”. In realtà questa definizione non è sufficiente, soprattutto nel linguaggio scientifico, dove l’imitazione è un termine-ombrello che assume svariati significati, i quali rimandano ad un insieme articolato di modelli e teorie scientifiche che riflettono sia le molteplici prospettive di studio, sia tutta la complessità del comportamento umano.

La maggior parte dei teorici concorda nel definire l’imitazione come la capacità di riprodurre in modo spontaneo o su istruzione ciò che viene osservato compiere da un altro individuo. È’ un processo dinamico in cui identifichiamo due variabili: un soggetto che imita ed un soggetto-target di imitazione. L’aspetto saliente che affiora da tale definizione è il legame umano-relazionale che lega l’individuo al modello e che lascia scorgere la natura intersoggettiva e sociale dell’imitazione.

«Imitare vuol dire innanzitutto riconoscere la similarità con l’altro, basata sulla condivisione di un’identità comune pur nelle differenze individuali, identità che ci fa dire, sin dalla più tenera età: tu sei come me, io sono come te. Imito dunque sono. […] È una modalità importante per la nostra capacità di apprendimento, per la trasmissione del linguaggio e la cultura, non solo, ma anche per il modellamento, fin dalle origini, degli aspetti emotivi legati ai primi scambi relazionali che segnano l’avvio delle interazioni sociali e la nascita del sé.» (Farneti & Savelli,2013, p.15).

Ancor prima che il linguaggio faccia la sua comparsa, il bambino, attraverso il comportamento imitativo, apprende i principi basilari di ogni forma di comunicazione: l’attenzione all’altro, la sincronia, l’alternanza del turno e la condivisione. Tuttavia, l’imitazione è anche un potente strumento che consente al soggetto di apprendere, tramite l’osservazione, i comportamenti dell’altro, senza il ricorso a tentativi ed errori.

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Imitazione e apprendimento

Può essere definito apprendimento, la modificazione stabile e duratura del comportamento di una persona in seguito all’esperienza. L’apprendimento, inoltre, consente l’acquisizione di nuove conoscenze, che permettono di evolvere ad uno stadio più avanzato. Il principale esponente della teoria dell’apprendimento per imitazione è lo psicologo canadese Albert Bandura (2004), il quale sostiene che i soggetti apprendono schemi comportamentali, conoscenze e abilità cognitive tramite l’osservazione di un modello sociale.

Egli ha utilizzato il termine modeling, cioè apprendimento per imitazione, al fine di definire quel processo in cui un individuo modifica il suo comportamento attraverso l’osservazione dell’altro che funge da modello.

Il soggetto, tramite l’osservazione, crea delle rappresentazioni mentali simboliche del comportamento del modello, le quali verranno conservate in memoria e recuperate successivamente per fungere da guida ai tentavi di imitazione.  Egli ritiene che il soggetto nel corso dell’apprendimento sarà influenzato anche dalle conseguenze che il comportamento determina, le quali possono essere conseguenze positive (ad esempio una ricompensa) o negative (ad esempio una punizione). Questo prende il nome di “rinforzo vicario”.

Secondo il teorico l’apprendimento osservazionale è governato da quattro funzioni:

attenzione, memoria, controllo motorio, motivazione.

  1. Attenzione: affinché riesca ad imitare il modello è indispensabile focalizzare e orientare le proprie risorse attentive verso quest’ultimo.
  2. Memoria o processi di ritenzione: il comportamento viene codificato in simboli, si creeranno così delle rappresentazioni mentali che verranno conservate in memoria e recuperate in successione.
  3. La riproduzione motoria: è la messa in atto del processo di modeling, in questa fase avviene anche il controllo del suddetto comportamento, al fine che quest’ultimo sia simile al modello.
  4. Processi motivazionali: il soggetto deve essere motivato al fine di poter riprodurre il modello. Per Bandura la motivazione non è solo determinata dalle possibili conseguenze positive, ma dipende anche dal senso di autoefficacia del soggetto.

In questo filone di ricerca, a sostegno dell’importanza dell’imitazione nel processo di apprendimento, emerge anche un’altra figura di particolare rilevanza: il teorico Vygotskij. Nelle sue teorie, egli attribuisce un ruolo di grande importanza all’ambiente: è grazie al contesto socio-culturale e all’interazione con l’altro, che si realizza l’apprendimento. Concetto fondamentale che emerge dalle sue teorie è l’importanza della zona di sviluppo prossimale. Con essa, si intende la distanza che intercorre tra lo sviluppo attuale e lo sviluppo potenziale, la distanza che intercorre tra quello che il bambino sa fare da solo e quello che il bambino potrebbe fare con l’aiuto dell’altro. In questa teoria si può notare l’importanza che il teorico attribuisce all’adulto o ai pari di competenza maggiore.

È proprio qui che Vygotskij sottolinea l’importanza dell’imitazione nel processo di apprendimento: il bambino, mediante la presenza di un modello da imitare, acquisisce nuove conoscenze e nuove abilità.

Egli non la considera come una forma meccanica e ripetitiva di apprendimento, bensì un processo creativo. Ritiene che l’imitazione intellettuale sia legata alla comprensione, per tale ragione è una caratteristica che contraddistingue l’uomo e non l’animale. È grazie alla comprensione che il soggetto può generalizzare il comportamento imitativo ad azioni analoghe.

Concetto similare interessa anche il linguaggio, Vygotskij ritiene che il bambino si appropri del linguaggio tramite l’interazione con l’adulto, in particolare mediante le prime relazioni madre-bambino. Egli riconosce “in questa fondamentale prima relazione, l’importanza dell’imitazione reciproca: la madre imita il bambino ma sempre un passo più̀ avanti di lui dal punto di vista semantico e sintattico” (Osimo,2016).

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Imitazione: competenza innata o acquisita? Teorici a confronto.

Piaget, padre dell’epistemologia genetica, fu uno dei primi teorici a postulare una teoria articolata sull’imitazione ed a dimostrare lo stretto parallelismo tra lo sviluppo del comportamento imitativo e lo sviluppo dell’intelligenza. Egli attribuisce grande importanza al ruolo che l’imitazione svolge nel passaggio dall’attività sensomotoria al pensiero rappresentativo. Per le teorie piagetiane l’imitazione è il frutto di un apprendimento e non una competenza innata, egli definisce la performance imitativa neonatale con il termine di pseudo-imitazione. Con quest’ultimo termine egli indica un comportamento:

«distinto dall'imitazione per assimilazione e dall'accomodamento diretto e che non [può] spiegare l'imitazione stessa per il fatto che questa non persiste se l'addestramento non viene prolungato e sanzionato continuamente» (Piaget,1945, citato da Gattico,2001, p.40).

Per la teoria piagetiana la “vera” abilità imitativa è l’imitazione differita: il soggetto , conservando una rappresentazione interna del modello, che non è più percettivamente presente, è in grado di riprodurlo a distanza di tempo; quindi, ne consegue che è legata alla memoria rievocativa. L’imitazione differita è possibile sia perché il soggetto ha acquisito un senso del passato rispetto al presente, sia perché riesce a confrontare la rappresentazione mentale del modello con la sua azione che compie.

Piaget delineò un percorso evolutivo che andava dalla non-imitazione all’imitazione, dall’auto-imitazione all’etero-imitazione. Egli individua vari stadi di sviluppo:

  • Nel   primo    sottostadio    (0-1   mese)   abbiamo    “i   preparativi   riflessi all’imitazione”. Ad esempio, Piaget definì che il pianto di un bambino, elicitato dall’udire di un altro pianto intorno a lui, non era una vera e propria imitazione bensì una risposta riflessa.
  • Nel  secondo  sottostadio  (1-4  mesi)  denominato  delle  “reazioni  circolari primarie”, abbiamo quella che Piaget definisce “auto-imitazione”. Qui il bambino mette in atto la ripetizione di un movimento inizialmente eseguito per caso, al fine di riprovare nuovamente quegli effetti gradevoli sperimentati. Tale “auto-imitazione” offre al bambino la precoce possibilità di sperimentare la relazione tra percezione ed azione. (Nadel,2016)
  • Nel terzo sottostadio  (4-8 mesi), chiamato “reazioni circolari secondarie”, l’imitazione diventa più sistematica ma ancora conservatrice mancando d’accomodamento.
  • Nel quarto (8-12 mesi), definito “coordinazione degli schemi secondari”, il bambino applica schemi assimilativi già noti a situazioni nuove. Anche nell’attività imitativa si osserva una graduale assimilazione dei movimenti di altre persone: ad esempio, se il bambino osserva l’adulto che imprime un particolare movimento con la mano ad un oggetto a lui gradito, cercherà di “far ripetere” quest’azione afferrando la mano dell’adulto affinché egli la compia di nuovo.
  • Nel  quinto  sottostadio  (12-18mesi),  delle  “reazioni  circolari  terziarie”, l’imitazione diventa sistematica e si estende a tutti i modelli esperiti. Procedendo per tentativi ed errori, il soggetto cercherà di riprodurre in maniera similare quello che è stato percepito, anche azioni del tutto nuove.
  • Nel  sesto  sottostadio  (18-24  mesi)  abbiamo  la  comparsa  delle  immagini mentali, per cui il bambino è in grado di creare una rappresentazione mentale del modello e di riprodurlo anche quando quest’ultimo non è più disponibile.

Le considerazioni di Piaget sull’imitazione neonatale furono messe in discussione, in particolare da Meltzoff e Moore (1977), i quali ritengono che il comportamento imitativo sia di origine innata. Nel loro primo studio, pubblicato nel 1977, emerse che i bambini con età compresa tra i 12 e i 21 giorni, fossero in grado di imitare alcuni gesti facciali [Figura.1] e manuali dell’adulto. Risultati concordi vennero ottenuti anche nelle ricerche successive, dimostrando che i neonati aventi tra le 7 e 71 ore di vita, erano in grado di imitare la protrusione della lingua e l’apertura della bocca. (Meltzoff & Moore, 1983)

Figura 1.  Immagine tratta da Meltzoff, A., & Moore, M. (1977). Imitation of facial and manual gestures by human neonates. Science (New York, N.Y.).

Figura 1.  Immagine tratta da Meltzoff, A., & Moore, M. (1977). Imitation of facial and manual gestures by human neonates. Science (New York, N.Y.).

Meltzoff e Moore, per i dati emersi e per l’interpretazione neuro-cognitiva postulata, sono stati dei teorici rivoluzionari: hanno navigato controcorrente rispetto alle credenze dell’epoca, ancorate alla teoria piagetiana.

Per Piaget il neonato non è in grado di una vera imitazione poiché è necessario del tempo, affinché egli possa acquisire la transmodalità sensoriale che gli consentirebbe di associare il gesto che vede fare dall'adulto ai propri gesti-sensomotori.

Al contrario, Meltzoff e Moore ritengono che la capacità imitativa del neonato sia possibile anche attraverso la conoscenza posseduta delle proprie parti del corpo, conoscenza che ha inizio già in vita intra-uterina attraverso il body babbling: una sorta di auto-imitazione, un gioco incentrato sul proprio corpo, dove i bambini muovono ininterrottamente gambe, braccia e mani. Questo balbettio motorio consentirebbe al soggetto di creare una sorta di mappa corporea. Secondo gli autori, l’imitazione neonatale non è il frutto di una reazione riflessa, poiché avviene attraverso una serie di autocorrezioni, esso infatti è un processo attivo di goal-directed dove l’obbiettivo è quello di far corrispondere i propri movimenti a quelli dell’altro. Questo processo di matching, tra l’informazione visiva in ingresso e il feedback propriocettivo auto- prodotto, è possibile grazie alla presenza di uno “spazio sovramodale”. Questo processo va sotto il nome di Active Intermodal Matching (AIM), teoria che nel tempo è stata rafforzata anche dalla scoperta del substrato anatomico, i neuroni a specchio.

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Imitazione nell’interazione con il caregiver

Fin dalle primissime ore di vita il bambino possiede una predisposizione innata, che lo rende pronto ad interagire con i suoi partner, a rispondere agli stimoli sociali ed a sviluppare uno stretto legame di attaccamento con le persone che si prendono cura di lui. È con il termine di “intersoggettività primaria” che definiamo tutti quegli scambi sociali, di grande connotazione emotiva, che vengono ad instaurarsi in particolare nella diade madre-bambino; essi sono contraddistinti da: sorrisi, vocalizzi, movimenti della lingua e della bocca. (Murray, 2015)

All’interno di questi scambi, svolge un ruolo fondamentale l’imitazione reciproca, la quale assume la forma di una sequenza comunicativa: in essa i due soggetti cercano di raggiungere una conoscenza condivisa degli eventi (Pawlby,1984, citato da Farneti & Savelli,2013). Si creano così dei dialoghi non verbali ma dotati di significato, conformi alle regole dall’alternanza dei turni, precursori di quelli che in futuro saranno i dialoghi verbali. Con lo scorrere del tempo, i due membri della coppia saranno sempre più bravi ad imitarsi reciprocamente e saranno sempre più sintonizzati l’uno all’altro (Murray,2015). È proprio in questi giochi di imitazione che il soggetto comunica l'interesse sociale per il proprio partner. Grazie alla funzione da “specchio” assunta da quest’ultimo, il bambino riesce a riconoscere atti a lui stesso equivalenti e ne trae piacere. (Meltzoff & Gopnik, 1993).

Questa matrice innata che spinge il soggetto ad interagire e provare interesse per i caregivers è rappresentata da un substrato neurobiologico, il cosiddetto “cervello sociale”, che trova le radici nella biologia evoluzionistica. Grazie a studi di neuroimmagine, sono state individuate le zone encefaliche tramite le quali è possibile spiegare    questa predisposizione innata del lattante ad essere più attratto dai volti rispetto agli oggetti inanimati.

Tra queste regioni, in particolare, individuiamo l’amigdala che è coinvolta nei meccanismi di attribuzione di una “ricompensa sociale” agli stimoli, come: i volti, le parole e i gesti del genitore. Oltre all’amigdala, individuiamo altre strutture come il giro fusiforme, il quale è specializzato nel riconoscimento dei volti e il solco temporale superiore, il cui compito principale consiste nella percezione del movimento biologico.

È questa predisposizione innata che spinge il soggetto ad essere interessato al volto dell’altro, a fissare il volto dell’altro ed a imitare le sue espressioni facciali.

All’interno di questi scambi, un ruolo importante viene svolto anche dal caregiver, dove, anch’egli con una tendenza innata, tende a imitare tutti i comportamenti del bambino. Tale predisposizione del genitore ha un ruolo cruciale, perché riflette dall’esterno gli stati emotivi interni del bambino, come uno specchio. È proprio questo meccanismo di imitazione reciproca, con lo sviluppo dei suoi correlati neuronali, c he getterebbe le basi per la “teoria della mente”.

Ma l’imitazione reciproca nella coppia diadica ha un contributo importante anche per lo sviluppo del linguaggio. Il bambino, grazie al cooing, inizia a comprendere che esiste una correlazione tra un determinato suono ed un determinato movimento dell’apparato vocale. (Kuhl & Meltzoff, 1996). Attraverso questa esperienza, “esercizio”, il bambino è in grado di imitare i suoni che ode all’interno dell’ambiente. Ben presto si creano dei dialoghi nella coppia madre-bambino.

Una delle peculiarità che mantiene vivi questi scambi è anche l’attribuzione inconsapevole, da parte del genitore, di un significato comunicativo ai suoni o movimenti del bambino, i quali vengono interpretati come comportamenti intenzionali e pronti ad essere imitati immediatamente (Murray, 2015). Il caregiver, così facendo, funge da rinforzo e contribuisce alla plasmazione del linguaggio del bambino. L’imitazione del caregiver è selettiva: infatti, è stato dimostrato come gli adulti insegnano ai bambini quali sono i suoni o movimenti che vale la pena ripetere, imitandoli a loro volta, come i suoni vocalici, mentre scoraggiano quelli considerati sconvenienti, come il pianto. (Farenti & Savelli, 2013, Murray,2015). Qui ritornano nuovamente a galla le teorie di Vygotskij, quest’ultimo, infatti, sottolinea l’importanza che il ruolo dell’adulto ha nell’apprendimento e sviluppo del bambino, compreso lo sviluppo del linguaggio.

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Imitazione nell’infanzia

L’imitazione, durante l’infanzia, svolge due funzioni importanti: l’apprendimento, attraverso il quale i bambini acquisiscono nuove competenze e conoscenze; una funzione sociale, attraverso la quale i bambini si impegnano negli scambi sociali ed emotivi con gli altri. L’apprendimento attraverso l’imitazione rappresenta un importante strumento per il bambino, che gli consente di velocizzare il processo di apprendimento sostituendolo ai tentativi ed errori (Nadel, 2016). Rappresenta, inoltre, un utile strumento anche per l’adulto: l’osservazione di un’azione è sicuramente più efficace della pratica senza modello.

Durante l’infanzia, l’imitazione segue un suo preciso percorso di sviluppo, abbiamo rispettivamente l’ imitazione di: suoni vocalici, espressioni facciali (come espressioni di gioia), gesti codificati,  azioni con oggetto, differita e infine, di gesti non codificati. Traiettoria che viene “rispettata” anche nell’ESDM per insegnare le abilità imitative ai bambini con ASD.

Verso la fine del primo anno, quando il gioco tra il bambino e il caregiver diventa più incentrato sull’oggetto, tramite l’osservazione il bambino inizia a imitare le azioni del caregiver con i giocattoli e ad imparare le azioni convenzionali con essi. (Uzgiris, 1990, citato da Ingersoll,2008). È proprio attraverso il gioco funzionale che il bambino dimostra di aver appreso, osservando l’altro, ad utilizzare un oggetto in modo socialmente convenzionale. (Ad esempio, il bambino utilizza la spazzola per pettinare i capelli di una bambola). Un’ altro tipo di gioco che emerge presto nel bambino è il gioco simbolico. In esso, grazie alle rappresentazioni mentali, il bambino utilizza gli oggetti per quello che è il loro uso non convenzionale.

Il bambino può ad esempio imitare la mamma che dà da mangiare al bambolotto con una penna o imitare di essere un aereo spalancando le braccia. Tuttavia, il gioco simbolico, è anche un gioco senza oggetto: ad esempio il bambino può “mimare” di mangiare qualcosa con una forchetta inesistente. Altra forma di gioco in cui comprare l’imitazione è quello di ruolo, in cui il bambino imita ad esempio atteggiamenti, posture, frasi di un personaggio di un cartone animato, un supereroe, un genitore, un fratello.

Altro forte strumento di apprendimento è, inoltre, l’imitazione tra fratelli, in cui il bambino più piccolo imita il fratello maggiore perché ha quel desiderio di essere proprio come lui. Qui il bambino apprende le regole del gioco, i confini e più in generale nuove abilità.

Altre ricerche dimostrano come i bambini imparano rapidamente anche osservando i pari, questa considerazione è supportata dagli esperimenti di Hanna e Meltzoff (1993) Essi osservarono un gruppo di bambini di 14 mesi che inizialmente non sapevano far funzionare correttamente i giochi. Dopo l’osservazione dei coetanei esperti, a distanza di due giorni dalla situazione iniziale, erano in grado di utilizzarli correttamente. Elsner (2007) (citato da Nadel, 2016) sottolinea che, affinché avvenga l’apprendimento tramite l’osservazione, è indispensabile che vi sia comprensione degli effetti dell’azione, cioè anticiparne gli effetti.

Meltzoff (1988, citato da Hanna e Meltzoff,1993) ha oggettivato come i bambini siano, già a 9 mesi, in grado di imitare un’azione vista 24 ore prima. Per il teorico, tale capacità di memorizzare e imitare azioni viste 24 ore prima, è possibile perché il bambino possiede delle rudimentali capacità rappresentative che poi si amplificano e rafforzano nel corso dello sviluppo del soggetto.

L’imitazione reciproca, durante l’infanzia, rappresenta una delle modalità predominanti d'interazione sociale. Parliamo di un vero e proprio strumento di comunicazione dove ravvediamo tutti gli aspetti essenziali per veicolare un messaggio: la sincronia, l’alternanza del turno e l’attenzione congiunta (Nadel,2016). È un mezzo di comunicazione universale: infatti, i bambini, della stessa o diversa cultura, utilizzano modelli imitativi per interagire tra loro. Tali modelli, verso la fine del secondo anno di vita, vengono utilizzati per interagire con l’uno con l’altro e tendono a presentarsi in tre varietà principali: imitazione reciproca, follow-the-leader e lead- follow (Malcom, 2020).

  • Imitazione reciproca: è il modello  imitativo più frequentemente utilizzato. All’interno di queste attività ludiche, i bambini si imitano in maniera reciproca tra di loro scambiandosi di volta in volta il turno.
  • Follow-the-leader: come suggerisce il nome, sono una serie di giochi in cui tutti i bambini imitano un leader, che può anche essere rappresentato da un pari.
  • Lead-follow: sono uguali ai follow-the-leader ma con la differenza che questi giochi ludici di imitazione si sviluppano nello spazio, come ad esempio saltare da un punto ad un altro o fare delle capriole.

"Forse in queste interazioni imitative stanno sperimentando sia la loro somiglianza con gli altri che la loro separatezza. Forse stanno imparando che ognuno di noi è un agente d'azione intenzionale e che giocare insieme è una cosa molto piacevole" (Malcom, 2020).

L’utilizzo dell’imitazione reciproca come mezzo comunicativo diminuisce man mano che il bambino acquisisce una maggiore padronanza del linguaggio. È una modalità comunicativa transitoria ma che diventa essenziale per sviluppare le capacità necessarie per la comunicazione verbale (Nadel,2016). Nadel (2016), in una delle sue ricerche, ha osservato dei bambini di circa 30 mesi all’interno di un setting sperimentale arricchito di oggetti in duplice copia. Ha notato che i bambini per il 70% della durata della seduta hanno utilizzato oggetti identici contemporaneamente, quando un bambino abbandonava un gioco anche l’altro faceva lo stesso, nonostante il gioco fosse attraente, perché la voglia di sintonizzarsi con l’altro era molto più forte dell’oggetto stesso. Lo stesso esperimento è stato effettuato con gruppi di tre bambini di 42 mesi. Da ciò è emerso che a controllare le interazioni non era l’imitazione ma il linguaggio e che i gruppi meno imitativi erano quelli che lo utilizzavano maggiormente. Esiste una stretta correlazione tra capacità imitative e sviluppo del linguaggio espressivo (Charman et al.,2000), ne consegue che un’interruzione nei primi rapporti sociali dell’uso dell’imitazione potrebbe avere un impatto significativo sullo sviluppo di altre capacità di comunicazione sociale.

Durante  l’infanzia,  i  bambini  scoprono  ben  presto  le  due  facce  della  medaglia dell’imitazione: imitare ed essere imitati. Ad esempio, ai 7 mesi compaiono risposte specifiche  all’essere  imitato  come  l’inseguimento  oculare,  l’attesa  dell’azione dell’altro. Dai 9 mesi i bambini prestano maggiore attenzione e sorridono di più a un adulto che li imita rispetto allo sperimentatore che esegue diverse azioni contingenti ma sullo stesso oggetto.

A partire dai 10 mesi di vita compaiono strategie per testare l’imitatore, ai 21 mesi evidente è l’alternanza del turno: riconosce di essere un modello ma subito dopo è anche in grado di assumere il ruolo di imitatore. (Nadel 2002; Nadel & Potier,2002 citati da Nadel,2016)

Gli effetti dell’imitazione influenzano sia l'imitatore che i soggetti imitati, facilitando il contatto sociale. L’imitazione reciproca permette ai bambini di sentire che c’è qualcosa che li lega all’altro: io posso agire come loro ma anche gli altri possono fare come me.

Negli ultimi anni, Meltzoff (2005) ha sviluppato la tesi secondo cui l’imitazione infantile è connessa con la percezione degli altri “Like me”, secondo cui il riconoscimento dell’altro “come me” è la genesi dello sviluppo della comprensione della mente degli altri.

 

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CAPITOLO II LE BASI NEUROBIOLOGICHE DELL’IMITAZIONE

La scoperta dei neuroni a specchio

“La nostra capacità penetrante di capire gli altri è dovuta a cellule cerebrali chiamate neuroni specchio. Queste sono le cellule che creano i piccoli miracoli della nostra quotidianità, che sono alla base del modo in cui governiamo le nostre vite, che ci legano gli uni agli altri, sul piano mentale e su quello emotivo [...] Senza dubbio i neuroni specchio forniscono, per la prima volta nella storia, una spiegazione neurofisiologica plausibile per forme complesse di cognizione e di interazione sociale.”  (Iacoboni 2008, citato da Gregory Hickok ,2015, p.7)

I neuroni a specchio, o Mirror Neuron, sono un particolare gruppo di neuroni che si attiva sia durante lo svolgimento di un’azione, sia quando si osserva la medesima eseguita da altri individui. Tali neuroni sono stati definiti con il termine “specchio” perché sembrano rispecchiare nel cervello quello che viene percepito dall’esterno. Inizialmente queste cellule vennero chiamate neuroni bimodali per la loro peculiarità di rispondere a stimoli somatosensoriali e visivi, successivamente trimodali per la loro peculiarità di rispondere anche a stimoli uditivi.

Furono scoperti per la prima volta da un’equipe di neuroscienziati dell’Università di Parma, coordinata da Giacomo Rizzolatti, nei primi anni del Novanta. La scoperta rappresenta un chiaro caso di serendipità. Inizialmente la ricerca, volta allo studio della corteccia premotoria nel macaco rhesu, aveva l’obiettivo di individuare i neuroni coinvolti mentre l’animale eseguiva movimenti finalizzati, ad esempio afferrare pezzetti di cibo.

Si iniziò a registrare, attraverso dei microelettrodi transcranici, i potenziali d’azione dei singoli neuroni mentre si permetteva alla scimmia di accedere a frammenti di cibo. La scoperta sorprendente avvenne quando ci si accorse che un gruppo di neuroni scaricava anche quando il macaco osservava lo sperimentatore maneggiare i pezzetti. Questi neuroni erano localizzati nella circonvoluzione frontale inferiore, chiamata regione F5, l’omologa dell'area di Broca del cervello umano. Dopo una serie di ripetuti controlli, si giunse alla conclusione che l’osservazione di un’azione attivava la stessa area neuronale coinvolta nel compierla. I neuroni a specchio del macaco non si attivano durante  l’osservazione  di un  oggetto  da solo  o  durante  l’osservazione  di azioni compiute con l’utilizzo di strumenti, ma si attivano solo quando l’animale osserva un’azione finalizzata (movimento transitivo).

Questi neuroni a specchio possono essere classificati in due gruppi principali di congruenza: gli “strettamente congruenti” e gli “ampiamente congruenti”, in base all’azione visiva a cui rispondono e le risposte motorie da loro codificate. (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006).

I “neuroni congruenti in senso stretto” sono quei neuroni in cui c’è bisogno di una stretta corrispondenza tra azione eseguita e azione osservata per essere attivati. Nell’esperimento condotto da Rizzolatti e collaboratori nel 1996 (citato da Rizzolatti &Sinigaglia,2006) si dimostrò come determinati neuroni si attivassero nella scimmia solo quando osservava o eseguiva i movimenti di “rotazione” durante la spartizione del cibo, ma non per una presa di precisione.

Parliamo di “neuroni congruenti in senso lato” riferendoci a quei neuroni in cui gli atti visivi e motori appaiono connessi pur non essendo identici. (Rizzolatti et al.,1996 citato da Rizzolatti & Sinigaglia, 2006)

Successivamente alla scoperta dei neuroni a specchio si è cercato di comprendere che funzione avessero nella cognizione, ipotizzando che avessero un ruolo nella comprensione dello scopo delle azioni. La conferma è arrivata da Umiltà e collaboratori, nei loro studi hanno dimostrato che i neuroni a specchio rispondono in due situazioni: nella prima il macaco osservava l’azione motoria nella sua completezza, nella seconda condizione la parte terminale dell’azione veniva oscurata. Possiamo quindi concludere dicendo che da tale studio è emerso che i neuroni a specchio riflettono anche il significato dell’azione (Umiltà et al.,2001 ciato da Rizzolatti & Sinigaglia ,2006).

I neuroni a specchio riescono a fare ciò non solo in risposta a stimoli visivi, ma anche in risposta a informazioni di natura diversa. Tale scoperta è stata effettuata da Kohler e i suoi collaboratori nel 2002 (citato da Rizzolatti&Sinigaglia,2006) i quali hanno individuato nell’area F5 del macaco i cosiddetti neuroni audio-visivi, neuroni che erano in grado di attivarsi sia quando l’animale osservava lo sperimentatore compiere un’azione rumorosa, sia quando ascoltava solamente il rumore.

Per quanto riguarda l’uomo, attraverso tecniche elettrofisiologiche o neuroimaging (PET o fMRI) è stata dimostrata l’esistenza di questo circuito specchio, con proprietà analoghe a quelle individuate nelle scimmie, ma con qualche differenza.

La prima differenza consiste nell’estensione, in quanto il MNS risulta essere più esteso nell’individuo. Un’altra differenza che possiamo individuare è che esso si attiva sia durante l’osservazione di atti finalizzati diretti agli oggetti (movimenti transitivi) sia durante atti motori non diretti ad oggetti, cioè non finalizzati (movimenti intransitivi). Nella scimmia, il MNS si attiva nel momento in cui l’animale osserva un’azione caratterizzata dall’effettiva interazione con l’oggetto, mentre nell’uomo si attiva anche quando l’azione viene solo mimata.  Altra diversità è che essi codificano sia lo scopo sia gli aspetti temporali dell’azione.

Nell’uomo, attraverso la fMRI, sono state localizzate con precisione le seguenti aree, che fanno parte del Mirror Neuron System:

  • area 40 di Brodmann (porzione rostrale del lobo parietale inferiore)
  • l’area 44 di Brodmann, la quale sarebbe una porzione posteriore dell’area di Broca (Settore posteriore del giro frontale inferiore di sx). L’area 44 di Brodmann è considerata l’omologo umano dell’area F5 della scimmia (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006, pp.118)
  • In certe condizioni sperimentali si può anche osservare l’attivazione in un’area più anteriore del giro frontale inferiore e la corteccia premotoria dorsale. (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006, pp.117)

Figura 2. Tratta da: Rizzolatti, G., & Sinigaglia, C. (2006). So Quel che fai: Il Cervello Che agisce e i Neuroni Specchio. pp.117. La regione gialla rappresenta il settore del lobo frontale. La regione rosa rappresenta il settore del lobo parietale. La regione blu rappresenta il settore del lobo frontale che si attiva in determinate condizioni

Figura 2. Tratta da: Rizzolatti, G., & Sinigaglia, C. (2006). So Quel che fai: Il Cervello Che agisce e i Neuroni Specchio. pp.117. La regione gialla rappresenta il settore del lobo frontale. La regione rosa rappresenta il settore del lobo parietale. La regione blu rappresenta il settore del lobo frontale che si attiva in determinate condizioni

Proprio come nel macaco, anche nell’uomo il MNS permette di comprendere il significato delle azioni o di catene di atti motori. Nell’esperimento condotto da Iacoboni e collaboratori nel 2005 ad alcuni volontari sono stati mostrati diversi filmati. Nel primo filmato si poteva osservare un tavolo con oggetti da colazione, nel secondo era presente solo una tazza che veniva presa con due diverse prensioni, nell’ultimo invece, la tazza veniva afferrata con le due stesse prensioni precedenti ma in mezzo a tanti oggetti da colazione, quasi a suggerire il fine dell’azione: prendere la tazza per bere o mettere in ordine. Dalla fMRI è emerso che nell’ultima condizione (azione più contesto) si attivava maggiormente una parte posteriore del giro frontale inferiore, un’area che interviene nella comprensione delle intenzioni degli altri.

Il MNS, nel momento in cui osserviamo un’azione che fa parte del nostro repertorio motorio, si attiva: infatti, se ad esempio l’uomo osserva un cane abbaiare quest’ultimi non si attiveranno poiché quell’azione non rientra nel suo bagaglio. (Buccino et al., 2004, citato da Rizzolatti & Sinigaglia, 2006)

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Legame percezione-azione e imitazione

Precedentemente alla scoperta dei neuroni a specchio, si riteneva che il processo imitativo fosse possibile grazie ad una sorta di “compartizione” tra le varie aree celebrali: alcune aree erano adibite per il processamento di informazioni sensoriali, altre aree erano adibite al processamento motorio, e solo grazie ai processi associativi, tali informazioni differenti si sarebbero potute collegare tra loro.

Con la scoperta dei neuroni a specchio molti studiosi hanno cercato di comprendere se quest’ultimi potessero essere alla base di quell’accoppiamento diretto tra percezione ed azione o come definiscono altri autori, il cuore dell’imitazione.

Fu proprio Iacoboni con i suoi collaboratori (1999, citato da Rizzolatti & Sinigaglia, 2006) che cercò di capire se l'imitazione potesse essere basata su un meccanismo di “direct matching”, un sistema di traduzione diretta tra le informazioni visive e gli atti motori potenziali. I ricercatori hanno osservato dei volontari in due condizioni: osservazione e osservazione-esecuzione. Nella prima situazione ai partecipanti è stato chiesto solo di osservare: un dito in movimento, una croce su un dito fermo e una croce ferma su uno sfondo vuoto. Nella seconda condizione vennero presentati i medesimi stimoli ma in più, questa volta, i volontari dovevano alzare l’indice o il medio, cioè imitare.

Dallo  studio  è  emerso  che,  quando  l’individuo  imita  il  movimento,  abbiamo l’attivazione:

  • della corteccia del solco temporale superiore destra (area 21 di Broadman).
  • della parte posteriore della regione di Broca (area 44 di Broadman)

In particolare, l’area di Broca descrive l'azione osservata rispetto all’obiettivo motorio (ad esempio alzare il dito) mentre l'area del lobo parietale codifica gli aspetti cinestesici precisi del movimento (di quanto deve essere alzato il dito). L’area di Broca ha un ruolo cruciale nell’imitazione,  infatti se viene bloccata attraverso  rTMS, i soggetti non riescono  più  ad  imitare certe azioni.  (Heiser  et  al.,  2003  citato  da Rizzolatti & Sinigaglia, 2006)

Tutti questi studi dimostrano come l’area di Broca rappresenta il luogo in cui avviene la mappatura diretta tra azione osservata e rappresentazione motoria.

In conclusione, possiamo dire che il MNS, oltre ad attivarsi nel momento in cui si osserva un’azione eseguita da un altro individuo, si attiva anche nei compiti di natura imitativa, ad un’intensità maggiore.

Tuttavia, l’imitazione non ci consente solo di riprodurre atti semplici come quelli sopracitati, l’imitazione è un importante strumento nelle mani dell’uomo che gli consente anche di apprendere azioni nuove. Durante l’apprendimento per imitazione si verificano due step importanti: nel primo step vi sono i neuroni a specchio che riconoscono i frammenti motori che costituiscono l’azione osservata (atti che appartengono già al repertorio dell’individuo), nel secondo step abbiamo la ricomposizione dei frammenti allo scopo di produrre una sequenza simile a quella osservata. A dimostrare che il MNS si attiva durante processi imitativi di azioni del tutto nuove è stato Buccino con i suoi collaboratori (2004, citato da Rizzolatti&Sinigaglia,2006). In questo esperimento i reclutati, che non avevano mai suonato uno strumento, dovevano osservare e riprodurre delle sequenze di accordi eseguiti da un chitarrista.

Attraverso RMNf sono state registrate quattro fasi: a) osservazione di accordi eseguiti dal musicista esperto b) pausa; c) imitazione; d) riposo.

  1. durante la fase di osservazione si attiva il circuito specchio parieto-frontale
  2. durante la fase di pausa si osservava l’attivazione del circuito specchio e l’attivazione della corteccia prefrontale (area 46 di Broadman)
  3. durante la fase di imitazione si osserva una maggiore attivazione del circuito specchio, in più abbiamo l’attivazione della corteccia somatomotoria (legata all’esecuzione e alle sue conseguenze sensoriali) e la scomparsa dell’attivazione prefrontale.

La fase b, la fase di pausa, è importantissima poiché abbiamo la formazione e il consolidamento di nuovi schemi motori. Invece, ad avere un ruolo chiave nella formazione dei nuovi pattern d’azione, è l’area BA46 che non a caso è sede della Working Memory: infatti, non si attiva durante la fase di imitazione in cui, ormai, il programma è già formato. Da qui si gettano le basi che il circuito dei neuroni a specchio è una condizione necessaria ma non sufficiente nel processo di apprendimento imitativo, in quanto per poter realizzare questa funzione è necessaria l’attivazione di altre regioni, in particolare della corteccia prefrontale che possiede un ruolo predominante.

Fino ad adesso abbiamo discusso su come tale sistema sia coinvolto nell’imitazione di azioni semplici o nell’apprendimento imitativo. Ma l’imitazione non è solo questo, essa infatti è anche un potente strumento d’interazione sociale.

A studiare l’imitazione nella sua prospettiva più interindividuale è stato Dumas con i suoi collaboratori nel 2010. Gli studiosi in questione hanno utilizzato delle tecniche di hyperscannering [Figura 3] per studiare due individui durante un’interazione sociale, stabilita attraverso l’imitazione reciproca. All’interno di questa interazione i due membri si imitavano spontaneamente e si scambiavano continuamente di ruolo (l’imitatore diventava modello e viceversa). Nell’esperimento si è dimostrato che, quando il comportamento imitativo si sincronizzava, i due cervelli sincronizzavano il loro ritmo a livello delle regioni centro-parietali nella banda alfa-mu. (La banda alfa- mu è considerata un correlato neurale del funzionamento del sistema dei neuroni specchio). Questi risultati mostrano che l'imitazione è riconosciuta come un’interazione sociale. (Nadel,2016)

Ma se l’imitazione viene riconosciuta dagli individui come un’interazione sociale, perché non utilizzare quest’ultima come una “strada alternativa” che mi consente di entrare in interazione con l’altro? A questa domanda hanno risposto alcuni teorici, che hanno utilizzato nei loro trattamenti l’imitazione come strumento privilegiato per entrare in relazione con i bambini con disturbo dello spettro dell’autismo.

Figura 3. Tratta da Dumas, G., Nadel J., Soussignan, R.,& Martinerie, J., & Garnero L. (2010) Inter -brain synchronization during social interaction. PlosOne 5,12166.

Figura 3. Tratta da Dumas, G., Nadel J., Soussignan, R.,& Martinerie, J., & Garnero L. (2010) Inter -brain synchronization during social interaction. PlosOne 5,12166.

Ma se l’imitazione è di origine innata, come fa il neonato a tradurre l’informazione visiva in atto motorio? Possiede già un sistema che gli consente di associare la percezione all’azione? Meltzoff e Moore avevano già risposto a questa domanda stipulando la teoria dell’Active Intermodal Matching (Meltzoff & Moore, 1977; 1983). E se fossero proprio i neuroni a specchio il substrato anatomico di questo spazio sovramodale presente nel neonato?

In merito, diversi autori ritengono che i neonati siano dotati di un MNS che si forma già in epoca fetale. Per indagare la presenza del circuito a specchio in epoca evolutiva è stata utilizzata la RMNf. Mentre nei bambini più piccoli l’EEG.

Sulla base dei loro studi Lepage e Thèoret (2006) sostengono che se i bambini riescono a riprodurre quello che vedono fare è perché i neonati già possiedono un sistema che lega la percezione alla loro azione. Essi hanno osservato un gruppo di 15 bambini di età compresa tra i 4 e gli 11 anni durante l’esecuzione e l’osservazione di movimenti di grasping. I risultati mostrano una desincronizzazione del ritmo alfa-mu nelle regioni centrali, confermando l’esistenza di un sistema specchio nei bambini.

Il ritmo mu è un’attività cerebrale che all’ elettroencefalogramma si caratterizza da onde  di  grande  ampiezza  e  di  bassa  frequenza.  Quando  l’individuo  esegue  un movimento abbiamo  la desincronizzazione, cioè l’onda diminuisce di ampiezza e aumenta  di  frequenza.  La  desincronizzazione  di  tale  attività,  durante  la  sola osservazione, si correla con l’attività dei neuroni a specchio.

Marshall nel 2011 ha condotto uno studio su bambini di 14 mesi di età. In codesta situazione sperimentale, ha studiato l’attività all’EEG dei bambini mentre premevano un bottone oppure osservavano la medesima azione eseguita da un altro individuo. Anche da questo studio è emerso che nelle regioni centrali, sia durante l’osservazione sia durante l’esecuzione, vi è lo stesso ritmo alfa mu, analogo a quello che si osserva nell’adulto, ma con la differenza che appare più debole rispetto ai soggetti di maggiore età.

Questi studi dimostrano che il sistema dei neuroni a specchio è presente già in epoca fetale e questo spiega le possibilità del neonato di imitare a poche ore di vita quelle che sono le espressioni facciali dell’adulto. Ma come mai appare più debole?

Perché probabilmente esso matura grazie all’esperienza. Subirebbe tutta una serie di perfezionamenti nel corso della vita, al pari di quello che succede ad altre funzioni cognitive.

Qui entra in campo il concetto della neuroplasticità: un sistema celebrale che da un lato si sviluppa progressivamente seguendo una traiettoria di sviluppo che è geneticamente determinata, ma che, ciò nonostante, può modificarsi attivamente in seguito all’interazione con l’ambiente.

Quest’ultima, nelle prime epoche di sviluppo, è predominata dall’interazione con il caregiver e, in particolare, incentrata sull’imitazione reciproca. Viene da sé comprendere il possibile effetto domino: la compromissione della componente imitativa, può influenzare negativamente la maturazione dei neuroni a specchio e lo sviluppo dell’intersoggettività.

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I neuroni a specchio nel disturbo dello spettro dell’autismo

Il disturbo dello spettro dell’autismo è un disordine neuropsichiatrico che si contraddistingue per la sua grande eterogeneità clinica. Possiamo individuare, indipendentemente dal livello socioculturale o etnico, la compromissione di due aree funzionali, che sono:

  1. comunicazione sociale e interazione sociale
  2. Un pattern ristretto e ripetitivo di comportamenti, interessi o attività.

Affiancate a queste due compromissioni funzionali, possiamo ravvedere tutta una serie di comorbidità, non esclusive del disordine ma che contribuiscono a caratterizzarne la variabilità. Quasi come un effetto matrioska, al di sotto dei sintomi osservabili, possiamo individuare tutta una serie di disfunzioni che contraddistinguono l’endofenotipo funzionale: il deficit della Motivazione Sociale, Il deficit della cognizione sociale e Deficit delle Funzioni Esecutive.

Poiché il sistema dei neuroni specchio ha un ruolo fondamentale nell’imitazione, nello sviluppo del linguaggio, nel comportamento sociale, nella la comprensione delle emozioni e nelle azioni (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006), alcuni teorici si sono chiesti se i sintomi che ravvediamo nel ASD siano riconducibili ad un’anomalia di questo circuito. Alcuni dei primi a sostenere questa ipotesi furono Williams e i suoi collaboratori nel 2001, i quali ritenevano che le disfunzioni nel sistema dei neuroni a specchio fossero responsabili delle compromissioni che ravvediamo nei soggetti con ASD, quasi come un effetto a cascata. Per i teorici le cause di tali compromissioni erano ascrivibili a fattori endogeni o genetici, che avrebbero potuto coinvolgere tutto il MNS o solo determinate regioni.

Alcuni studi (Hadjikhani et al.,2006), attraverso una tecnica di analisi automatizzata che misura direttamente lo spessore corticale, hanno rilevato un assottigliamento considerevole della sostanza grigia: della corteccia prefrontale inferiore (IFC), del lobulo parietale inferiore (ILP) e del solco temporale superiore (STS). Tutte regioni facenti parte del MNS.

Uno di questi studi fu sperimentato da Oberman e i suoi collaboratori nel 2005, i quali hanno messo a confronto un gruppo di dieci soggetti con ASD ad alto funzionamento con un gruppo di soggetti tipici, appaiati per età e sesso. I gruppi hanno visionato un filmato che mostrava rispettivamente:

  1. una mano in movimento
  2. una pallina che rimbalza
  3. un video in cui era presente solo un rumore

Infine, come ultimo step, è stato chiesto ai reclutati di eseguire movimenti con la propria mano. Dallo studio è emerso che i soggetti a sviluppo tipico mostravano una desincronizzazione del ritmo mu sia quando eseguivano il movimento con la mano, sia quando osservavano il video. I soggetti con ASD invece, hanno mostrato una desincronizzazione del ritmo mu, solo quando eseguivano i movimenti con la mano ma non quando li osservavano nel filmato. Ciò conferma un’anomalia del MNS.

Con tali scoperte, alcuni teorici hanno cercato di comprendere l’attività di tale sistema nei soggetti con ASD, non solo durante l’osservazione dell’azione ma anche nell’esecuzione dei compiti imitativi.

Tra tali sostenitori, le figure di Nishitani e collaboratori (2004) emersero particolarmente con il loro studio. Quest’ultimi hanno osservato 8 soggetti adulti durante compiti di imitazione delle forme delle labbra [Figura 4]. Lo studio documenta come le informazioni tra il giro frontale inferiore e il lobulo parietale viaggino ad una velocità inferiore rispetto ai controlli, a dimostrazione di un’anomalia della connettività nelle aree dotate di proprietà specchio che potrebbe essere responsabile delle compromissioni imitative di questi soggetti.

Figura 4.. tratta da  Nishitani N, Avikainen S, Hari R. Abnormal imitationrelated cortical activation sequences in Asperger syndrome.

Figura 4.. tratta da  Nishitani N, Avikainen S, Hari R. Abnormal imitationrelated cortical activation sequences in Asperger syndrome.

In un altro studio (Avikainen et al.,2003) fu proposto un compito di imitazione che consisteva nell’inserire una penna con la mano sinistra o destra in una tazza verde o blu. I soggetti dovevano imitare su richiesta utilizzando:

  1. la mano incrociata (mano dx del modello-mano dx dell’imitatore)
  2. imitare come se si stessero guardando allo specchio (mano dx del modello-mano sx dell’imitatore).

Nel gruppo di soggetti con spettro dell’autismo è emersa una difficoltà a imitare i movimenti speculari. Secondo gli autori, la difficoltà ad imitare automaticamente l’altro durante le interazioni faccia a faccia, è causata da una disfunzione del MNS che non è in grado di produrre trasformazioni sensori-motorie necessarie per entrare in sintonia e mettersi nei panni dell’altro (Avikainen et al.,2003).

Tutti questi studi sopracitati suggeriscono un’anomalia nell’organizzazione del MNS che potrebbe spiegare le compromissioni cognitive-sociali ed imitative dei soggetti con ASD. Da quanto trattato fin ora, pur riconoscendo dei deficit imitativi nei pazienti con ASD, molti teorici considerano che “la teoria degli specchi infranti” è una condizione necessaria ma non sufficiente per spiegare tutte le compromissioni di un disordine neuropsichiatrico così complesso ed eterogeneo come il disturbo dello spettro dell’autismo. Nonostante ciò, il sistema dei neuroni a specchio apre sicuramente la strada a nuove prospettive di ricerca.

 

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CAPITOLO III L’IMITAZIONE NEL DISTURBO DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO

Le compromissioni imitative

Il disturbo dello spettro dell’autismo è un disordine neuropsichiatrico che esordisce in età evolutiva. Il termine spettro è un termine ombrello utilizzato proprio per andare a sottolineare l’enorme eterogeneità interindividuale che caratterizza tale disordine. Nonostante questa variabilità, possiamo individuare compromissioni nell’area dell’interazione e comunicazione sociale e la presenza di interessi ristretti e comportamenti ripetitivi e stereotipati. La diagnosi di disturbo dello spettro dell’autismo è incentrata principalmente sul fenotipo comportamentale, ovvero i sintomi osservabili che alcuni definiscono proprio “fenotipo autistico”.

Secondo  alcuni  autori  il  fenotipo  comportamentale  che  ravvediamo  in  questi soggetti è determinato dall’insieme di alcune funzioni atipiche, tra cui l’incapacità di attribuire e di leggere gli stati mentali degli altri.

Tuttavia, la teoria della mente che si osserva ai 4 anni, è preceduta da tutta una serie di precursori. Tra quest’ultimi, alcuni autori individuano come tale proprio l’imitazione, la quale risulta essere compromessa nei soggetti con disturbo dello spettro dell’autismo. Tra i sostenitori di tale teoria troviamo Meltzoff e Gopnik (1993) che sottolineano il ruolo dell’imitazione, in particolare dell’imitazione delle espressioni facciali del caregiver, nello sviluppo della teoria della mente.

L’idea che i deficit imitativi potessero contribuire alle compromissioni sociali e comunicative è stata proposta per la prima volta molti anni fa, una delle pioniere è stata proprio la Rogers che su tale teoria ha realizzato l’approccio Denver (Roger & Pennington, 1991 citato da Rogers&Dawson,2010).

Alcuni autori ritengono che il comportamento imitativo sia inficiato già precocemente nei bambini con diagnosi di disturbo dello spettro dell’autismo e che, tali compromissioni consentirebbero di discriminare, già ai 2 anni, i soggetti con ASD dagli altri disturbi dello sviluppo (Charman et al., 1997). Purtroppo, in letteratura, non emergono numerosi studi sull’imitazione neonatale, probabilmente perché i sintomi riconducibili allo spettro dell’autismo si manifestano quando le richieste ambientali tendono ad aumentare, alcuni autori parlano anche di una regressione all’incirca verso 18 mesi, età in cui si potrebbe denotare una perdita di abilità.

Attualmente, uno degli argomenti che genera ancora forte discussione è se considerare o meno l’imitazione un deficit specifico dello spettro dell’autismo. A sostegno di questa idea, emergono gli studi di Crucio (1978, citato da Meltzoff e Gopnik,1993); il quale, utilizzando le scale piagetiana di Uzgiris e Hunt, ha osservato nei bambini con disturbo dello spettro dell’autismo una difficoltà nelle prove d’imitazione, nonostante l’83% abbia superato le prove di permanenza dell’oggetto. I dati emersi dalla valutazione assumono rilevanza in quanto l’imitazione delle semplici espressioni facciali viene acquisita precocemente nello sviluppo (Meltzoff & Moore,1977;1983) mentre il superamento della prova di permanenza dell’oggetto avverrebbe ad un’età maggiore.

Sigman e Ungerer (1984; citato da Meltzoff & Gopnik,1993; Ingersoll,2008) hanno messo a confronto: bambini con disturbo dello spettro dell’autismo, bambini con ritardo mentale e bambini a sviluppo tipico. Gli autori, notando delle cadute nei compiti imitativi e nessuna differenza tra i gruppi nell’intelligenza senso-motoria, ritengono che l’imitazione sia un deficit specifico che contraddistingue l’autismo.

Uno studio, che potrebbe far riflettere sulla reale esistenza di una compromissione che contraddistingue questi soggetti, è quello intrapreso dai teorici Rogers, Hepburn e Steakhouse (2003). Gli autori hanno messo rispettivamente a confronto bambini con: autismo,   l’X-Fragile,   bambini  con  ritardo,   altre  tipologie   di  disordini  dello sviluppo  ed infine bambini a sviluppo tipico. I risultati dimostrano  che i soggetti con ASD hanno delle cadute nelle prestazioni imitative rispetto a tutti gli altri gruppi. In realtà, il dato più rilevante emerso dallo studio è stato quello che dimostra come i  soggetti  con  X-fragile  hanno  delle  compromissioni  imitative,  che  si  correlano in maniera significativa con la gravità dei loro sintomi autistici. Questo risultato fa riflettere sull’effettiva compromissione imitativa che potrebbe contraddistinguere i soggetti con ASD.

Nei capitoli precedenti ho analizzato il ruolo d’importanza che l’imitazione ha nello sviluppo tipico, viene naturale ipotizzare come la compromissione imitativa precoce, che ravvediamo nei soggetti con disturbo dello spettro dell’autismo, abbia un effetto domino tale da poter influenzare tutte le aree dello sviluppo.

L’imitazione in questo senso assume anche un forte valore predittivo per quelle che saranno le competenze e abilità che emergeranno nel corso dello sviluppo del soggetto.

In letteratura emergono abbastanza studi che sottolineano proprio questo ruolo predittivo. Ad esempio, è stato osservato che la capacità imitativa motoria dei bambini con ASD a 2 anni di età, correla con quelle che saranno poi le competenze linguistiche ai 4 anni. (Stone& Yoder, 2001). Correlazione significativa è stata osservata anche tra l’imitazione differita, sviluppo cognitivo, comunicativo l’attenzione congiunta in epoca prescolare. Da qui nasce l’ipotesi che l’imitazione potrebbe essere un potente bersaglio all’interno, precoce.

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L’imitazione: una compromissione globale?

Nonostante venga riconosciuta nei soggetti con disturbo dello spettro dell’autismo una compromissione dell’imitazione, con diversi gradi di gravità, quest’ultima non è globale.

Il profilo imitativo nei soggetti con disturbo dello spettro dell’autismo si presta con tutta una serie di disarmonie, quasi tutti gli studi in letteratura sono concordi nel definire la compromissione imitativa come “un deficit non unitario”.

La prima disarmonia riguarda proprio una “tipica”, o per meglio dire atipica, divergenza del quadro dello sviluppo del linguaggio che riguarda i ben noti comportamenti ripetitivi e stereotipati che possono verificarsi, ad esempio l’ecolalia. La radice di questo termine deriva dal greco “eco”, che fa proprio riferimento alla ripetizione; infatti, per definizione generale, è una “ripetizione involontaria e priva di significato delle ultime parole udite”. Si presenta molto frequentemente nelle diagnosi di autismo. Alcuni autori ritengono che l’ecolalia nei ASD sia la comparsa, solo più tardiva, dell’imitazione verbale che osserviamo nei bambini a sviluppo tipico (Philips&Dyer, 1977 citato da Nadel, 2016). Per altri ancora, rappresenta uno stadio di transizione prima della comparsa del linguaggio spontaneo (Prizant& Duchan,1981, citato da Nadel 2016).

Sta di fatto che l’ecolalia è comunque una forma di imitazione. Tale considerazione sembra essere contraddittoria rispetto a tutte le altre compromissioni imitative che ravvediamo nei bambini con ASD. Ma come mai i bambini con ASD imitano parole udite ma hanno delle compromissioni ad imitare azioni motorie?

Meltzoff e Gopnik (1993) ritengono che le discrepanze tra l’imitazione verbale e motoria, siano da attribuire alle differenti modalità sensoriali che il soggetto deve mettere a confronto. Nell’imitazione motoria il soggetto non riesce ad effettuare un confronto diretto tra sé e l’altro perché, tale processo, richiede una corrispondenza trans-modale. Nell’imitazione vocale, invece, entrando in gioco la stessa modalità sensoriale, il soggetto può effettuare un confronto diretto tra la sua produzione e quella del modello.

Questi dati contraddittori, tra imitazione vocale e imitazione motoria, potrebbero anche trovare origine nella sottostante disfunzione neurale.

I neuroni a specchio, come ho precedentemente sopracitato nel capitolo II, sono un meccanismo necessario ma non sufficiente per l’imitazione, il MNS ha bisogno in maniera indispensabile di un sistema di controllo che svolge due funzioni: da un lato svolge  una  funzione  inibitoria,  dall’altro  una  funzione  facilitatoria  (Rizzolatti& Sinigaglia,2006). Questo meccanismo di controllo sarebbe svolto dal lobo frontale. Per molti  teorici,  l’ecolalia,  che  si  ravvede  nei  bambini  con  disturbo  dello  spettro dell’autismo,  è  un  comportamento  imitativo  dovuto  alle  difficoltà  nell'inibire  la ripetizione automatica, in maniera analoga a ciò che si osserva nei pazienti con danno del lobo frontale e che di conseguenza, presentano ecoprassia (Williams et al.,2001). Le disarmonie si possono individuare anche all’interno della stessa area motoria a seconda  delle  prestazioni  imitative  richieste.  Dalla  letteratura,  infatti,  emergono risultati  significativamente  più  bassi  nell’imitazione  di  movimenti  oro-facciali  e movimenti del corpo rispetto all’imitazione di azioni coinvolgenti oggetti (Rogers et al.,2003).

Alcuni autori ritengono che codeste differenze siano da attribuire alle differenti prospettive che entrano in gioco: durante l’imitazione corporea il soggetto deve assumere una prospettiva totalmente diversa rispetto al modello che osserva, ciò che non avviene nell’imitazione di azioni con oggetto. (Meltzoff & Gopnik,1993).

Io suggerisco che la caduta nei compiti di imitazione motoria sia determinata anche dall’assenza stessa dell’oggetto che potrebbe fungere da suggerimento visivo, senza quest’ultimo il soggetto deve necessariamente richiamare una rappresentazione interna dell’azione al fine di riprodurre il modello.

Un’altra ipotesi che potrebbe spiegare la maggior caduta all’interno dei compiti oro - facciali o grosso-motorio è l’assenza del controllo visivo che l’azione comporta. Libert e collaboratori (citato da Nadel,2016) hanno chiesto a bambini con ASD di eseguire alcuni movimenti delle mani al di sotto di un tavolo in modo tale che non potessero osservare i propri movimenti; contemporaneamente di fronte loro c’era un monitor che trasmetteva movimenti preregistrati delle mani di un estraneo. Gran parte di questi bambini, ha dovuto effettuare un controllo visivo abbassandosi sotto al tavolo per riuscire a capire se le mani proiettate sullo schermo fossero le proprie o no. Ciò suggerisce che la natura intermodale della percezione non è acquisita e che i bambini per attribuirsi l’origine del movimento  hanno  la necessità di osservare: se ho  la necessità di osservare è perché non “sento mio” quel movimento. (Libert et al.,2005; Nadel, 2016).

Stone (1997; citato da Ingersoll,2008), oltre ad una differenza tra le imitazioni di azioni con oggetti e di azioni corporee, ha individuato che l’imitazione con oggetti prediceva lo sviluppo del gioco, mentre l’imitazione motoria prediceva lo sviluppo del linguaggio. Tali studi rafforzano l’ipotesi che l’imitazione nell’autismo non è una compromissione unitaria.

Altre difficoltà, emergono nell’imitazione di azioni non convenzionali mediante l’uso di oggetti comuni, ad esempio, come bere da una teiera invece che da una tazza. (Smith&Bryson, 1994 citato da Ingersoll,2008). Spesso, i bambini con disturbo dello spettro dell’autismo interagiscono con gli oggetti in modo ripetitivo e non riescono a sviluppare un impegno creativo e simbolico con gli oggetti. Probabilmente, queste compromissioni potrebbero anche essere influenzate dall’imitazione deficitaria. Tali limitazioni nello sviluppo del gioco sono motivo di preoccupazione in quanto quest’ultimo rappresenta un meccanismo sottostante che si manifesta in altre aree "simboliche”, come ad esempio: lo sviluppo del linguaggio, lo sviluppo emotivo e lo sviluppo cognitivo. Ingersoll e Schreibman (2006) hanno riscontrato, nei bambini con disturbo dello spettro, un aumento del gioco di finzione dopo avergli insegnato a imitare le azioni con gli oggetti. Questo dimostra che esiste una stretta correlazione tra le capacità imitative e l’area simbolica.

In conclusione, per quanto detto, possiamo dichiarare che i bambini con disturbo dello spettro dell’autismo presentano delle compromissioni imitative, ma quest’ultime si presentano sotto un profilo disomogeneo costituito da determinate aree più carenti di altre.

Tuttavia, l’imitazione presenta due facce: imitare ed essere imitato. Nonostante le compromissioni di questa prima area, quando la situazione si ribalta, riconoscono di essere diventati dei modelli e comprendono l’intenzionalità dell’imitatore. Durante le interazioni in cui vengono imitati, i bambini con disturbo dello spettro dell’autismo mostrano un chiaro segnale dell’aumento dei comportamenti sociali, del gioco reciproco, dello sguardo verso l’imitatore, del numero dei vocalizzi, delle condotte sociali in prossimità dell’adulto, come il contatto fisico, (Field et al.,2001) e, infine, un aumento significativo delle interazioni faccia a faccia (Heimam et al.,2006, citato da Nadel ,2016).

Nadel (2000, citato da Nadel, 2016) e i suoi collaboratori hanno adattato e utilizzato la procedura dello Still-Face con un gruppo di bambini con ASD con un’età di sviluppo di 36 mesi. L’osservazione constava di tre fasi: a) volto immobile di una sconosciuta b) imitazione c) volto immobile. Nella prima fase i bambini hanno mostrato un maggiore interesse per quelli che erano i giochi presenti nel setting rispetto al resto. Nella seconda fase la sconosciuta ha iniziato ad imitare i movimenti, i vocalizzi e le azioni sugli oggetti effettuate dal bambino. In questa fase, i bambini hanno mostrato chiari segnali di riconoscimento di essere imitati, come: sguardo intenso, condotte di avvicinamento, risate e comportamenti per testare lo sperimentatore. Secondo l’autore quest’ultime corrispondono ad un’esplorazione dell’intenzionalità dell’altro.

La discrepanza tra l’imitare ed essere imitato nei bambini con ASD, potrebbe essere spiegata anche dalla diversa lateralizzazione dei due comportamenti imitativi. Difatti il lobo parietale inferiore sinistro è specificamente coinvolto quando il soggetto deve imitare un’azione eseguita dall’altro, mentre la regione omologa di destra è più attiva quando le proprie azioni vengono imitate dagli altri. (Decety et al., 2002).

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Le ipotesi alla base delle compromissioni imitative

Oltre l’ipotesi di una compromissione a carico del sistema dei neuroni a specchio, c i sono state diverse teorie che hanno cercato di spiegare le compromissioni dell’imitazione nel disturbo dello spettro dell’autismo, tra queste individuiamo la teoria della Motivazione.

Nel bambino a sviluppo tipico, tanto quanto anche nell’adulto, c’è una tendenza spontanea a imitare l’altro, tendenza che probabilmente andrebbe riflettere il bisogno umano di appartenenza, una motivazione sociale intrinseca degli esseri umani a sentirsi uguali agli altri e a cercare l'accettazione.

Uno studio che evidenzia la motivazione sociale che spinge il soggetto all’imitazione è quello di Marsh (2013), il quale ha confrontato un gruppo di bambini con disturbo dello spettro dell’autismo e bambini a sviluppo tipico. Durante questa prova non venne mai richiesto ai bambini di imitare, la consegna era semplicemente quella di osservare l’esaminatore. I risultati hanno mostrato che i bambini a sviluppo tipico hanno imitato anche i movimenti inutili per prelevare l’oggetto, mentre i bambini con ASD hanno imitato solo i gesti utili per raggiungere l’obiettivo. Secondo gli autori la “sovraimitazione” dei bambini a sviluppo tipico è il riflesso di una motivazione sociale di conformarsi all’altro, mentre l’assenza di “sovraimitazione” nei bambini con ASD è coerente con le atipie sociali.

La motivazione sociale è subordinata ad un substrato neurobiologico costituito da varie regioni celebrali tra cui: l'amigdala, lo striato ventrale e le regioni orbitali e ventromediali della corteccia prefrontale. Questo prende il nome di “circuito della ricompensa”, studi di neuroimmagine hanno rilevato, nei soggetti con ASD, anomalie strutturali o funzionali nel sistema cerebrale che normalmente rendono gratificante l'interazione sociale (Chevallier et al., 2012), il che potrebbe spiegare la riduzione della motivazione all’imitazione che ravvediamo in questi bambini.

A sostegno di questa ipotesi ci sono Whiten e Brown (citato da Ingersoll ,2008) che pur avendo insegnato ai bambini con ASD ad apprendere tramite imitazione attraverso alcuni suggerimenti visivi, hanno osservato l’assenza di imitazione spontanea, confermando la mancanza di motivazione sociale.

Già Bandura definì tutti i mattoncini necessari per l’imitazione o apprendimento osservazionale, tra cui individuiamo: attenzione, ritenzione, riproduzione motoria e motivazione.

L’ipotesi del deficit di motivazione sociale in realtà potrebbe spiegare anche le compromissioni nei compiti di natura motoria o oro-facciale rispetto all’imitazione di azioni con oggetto. L’imitazione, ad esempio di azioni motorie, richiede motivazione che “spinge” il soggetto a provare interesse verso l’altro, ad imitarlo e a stabilire una interazione reciproca.

Ingersoll, Schreibman e Tran (2003), mettendo a confronto bambini con diagnosi di disturbo dello spettro dell’autismo con bambini tipici di pari età mentale, hanno valutato l’imitazione di azioni con oggetto attraverso giochi sensoriali e giochi non sensoriali. Dallo studio è emerso che i bambini tipici hanno ottenuto prestazioni egualmente positive con entrambi; a differenza dei soggetti con ASD che hanno ottenuto delle prestazioni migliori con oggetti che producevano un effetto sensoriale rispetto a quelli non sensoriali. Lo studio suggerisce che i bambini con ASD sono motivati ad imitare solo quando in cambio ricevono una ricompensa non sociale mentre i bambini tipici sono motivati ad imitare dal feedback sociale, ad esempio il contatto oculare con l’esaminatore.

Altri teorici sostengono l’idea che le compromissioni imitative nei soggetti con ASD siano determinate da un’incapacità di “rispecchiarsi” nell’altro.

Ad esempio, nel 1999 Hobson e Lee osservando un gruppo di bambini con ASD, hanno scoperto che nonostante tutto il gruppo abbia imitato in maniera ottimale le azioni finalizzate, 15 bambini su 16 avevano delle difficoltà ad imitare lo “stile emotivo” con cui lo sperimentatore eseguiva le azioni. Secondo gli autori, le compromissioni dell’imitazione sono un epifenomeno delle difficoltà sociali (Hobson & Lee, 1999 citato da Ingersoll, 2008).

Meyer e Hobson (2004) hanno postulato la “Teoria dell’identificazione” esaminando un aspetto particolare dell’imitazione: la relazione sé-altro. Durante la valutazione, bambino e sperimentatore si trovavano su un tappetino, ognuno nel suo spazio “personale” delimitato da del nastro adesivo. Come risultato, è emerso che un buon numero di bambini con ASD riusciva a riprodurre lo stesso orientamento degli oggetti proposto  dall’esaminatore  ma,  ciò  nonostante,  avevano  significative  difficoltà  a imitare l’orientamento dei movimenti che l’esaminatore aveva nei confronti del bambino. Secondo Meyer e Hobson le compromissioni imitative dei soggetti con ASD sono determinate dalle difficoltà nell’identificarsi nell’altro e di assumere la prospettiva dell’altro.

Una condizione associata nei soggetti con ASD potrebbero essere i disturbi motori che si manifestano con goffaggine, difficoltà nei movimenti fino e grosso motori, ipomotilità della mimica facciale e oro-faringea e difficoltà nello svolgere le normali autonomie di vita quotidiana. Questi disordini nell’organizzazione prassica rappresentano una comorbidità non specifica e che molti teorici hanno ipotizzato potessero essere una compromissione capace di spiegare i deficit imitativi nel disturbo dello spettro dell’autismo. Una sostenitrice era la Rogers (1996, citato da Nadel,2006), la quale ha individuato delle compromissioni nelle prove di imitazione su richiesta senza significato contestuale (prove di valutazione delle prassie). La teorica ha ipotizzato una possibile compromissione delle Funzioni Esecutive, in particolare della pianificazione dell’azione motoria, correlata ad anomalie del lobo frontale. Tale ipotesi è stata però sostituita da studi più recenti che dimostrano come le FE nei bambini piccoli con diagnosi di ASD siano inalterate rispetto al gruppo di controllo (Dawson et al.,2001 citato da Rogers et al.,2003).

L’imitazione è una competenza che emerge presto nei bambini a sviluppo tipico, per alcuni teorici, nei soggetti con disturbo dello spettro dell’autismo, potrebbe essere inficiata già in epoca precoce. Tra tutte le ipotesi che abbiamo precedentemente sopracitato, probabilmente rientra anche l’ambiente. L’imitazione, al pari di tutt e le altre funzioni neuropsicologiche, è influenzata dall’ambiente in cui il soggetto è immerso già in epoca precoce. Quando parliamo di ambiente ci rifacciamo anche alle interazioni con i caregiver. Ai colloqui i genitori dei bambini con disturbo dello spettro dell’autismo, spesso, riportano atipie quantitative e qualitative riscontrate precedentemente al compimento del primo anno di vita, come ad esempio: assenza di sorriso, espressioni facciali atipiche, pianti decontestualizzati.

Di fronte alle espressioni facciali emotive atipiche del bambino, il genitore potrebbe non “rispecchiarle” facilmente: il comportamento di un membro della coppia potrebbe influenzare l’altro, è l’ABC delle interazioni umane.

Nel Capitolo I ho sottolineato come l’imitazione reciproca era importante per lo sviluppo: un'interruzione nei primi rapporti sociali dell’uso dell’imitazione potrebbe avere un impatto significativamente negativo per lo sviluppo della comunicazione sociale, per la condivisione e per aprire le strade alla teoria della mente. (Meltzoff & Gopnik 1993). Questi scambi bidirezionali, non ottimali, tra genitore e il bambino con ASD, potrebbero portare all’instaurarsi di un circolo vizioso in cui tutte queste variabili potrebbero rafforzarsi l’un l’altra nella determinazione di tali compromissioni.

A sostegno della teoria secondo la quale le capacità imitative potrebbero essere influenzate dall’ambiente, in particolare dallo stile interattivo dei genitori, emerge un gruppo di ricercatori che ha effettuato una pubblicazione nel 2013 (Strid et al.,2013). Essi hanno confrontato delle sedute di gioco libero tra gruppi di genitore-bambino a sviluppo tipico con quelle di famiglie in cui il soggetto aveva una diagnosi di disturbo dello spettro dell’autismo. Lo scopo era quello di andare a studiare la correlazione tra gioco simbolico e imitazione differita in rapporto allo stile genitor iale. Dallo studio è emerso che i bambini con disturbo dello spettro avevano dei punteggi significativamente inferiori rispetto ai bambini tipici sia nell’imitazione differita, sia nel gioco simbolico. Un altro dato di particolare di rilevanza emerso è che i punteggi bassi nell’imitazione differita erano correlati all'interazione verbale dei genitori, i quali utilizzavano meno commenti sincronizzati.

 

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CAPITOLO IV TRATTAMENTI INCENTRATI SULL’IMITAZIONE

ABA: Applied Behavior Analysis

L’Analisi Applicata del Comportamento (ABA) è la scienza che fonda i suoi principi negli esperimenti di: Pavlov con il condizionamento classico, Skinner con il condizionamento operante e Thorndike con il condizionamento strumentale (citato da Rogers & Dawson,2010).

Tra le strategie principali utilizzate dall’ABA individuiamo:

  • La sequenza ABC: Antecedent, Behaviuor, Consequence. L’ antecedente è uno stimolo che precede il comportamento, al contrario la conseguenza è l’evento o gli eventi che susseguono il comportamento. Le conseguenze inoltre possono essere rappresentate da un rinforzo positivo, negativo o l’esitazione. L’insegnamento consiste proprio nell’andare a manipolare l’antecedente e conseguenze al fine di produrre delle modifiche sul comportamento.
  • Il Prompting: è un aiuto che viene fornito al fine di sollecitare i comportamenti desiderati che non fanno parte del repertorio del bambino. Il Prompt può essere di varia natura: prompt fisico, prompt gestuale, modeling (al soggetto viene fornito un modello dimostrativo che può imitare), prompt scritto, prompt verbale o ecoico.
  • Il Fading: riduzione della sollecitazione. Il fading è una strategia complementare al prompt che consiste nella riduzione progressiva di quest’ ultimo. Molto spesso i prompt più invasivi, come quello fisico, possono creare dipendenza, per evitare ciò si sfuma gradualmente l’aiuto. L’obiettivo di questa strategia è quello di far emergere il comportamento desiderato in risposta allo stimolo e non in risposta al prompt. Il fading rappresenta anche il mezzo attraverso cui si può insegnare al soggetto a generalizzare il comportamento.
  • Lo  Shaping:  modellaggio.  Con  tale  strategia  i  comportamenti approssimativi (“comportamenti acerbi”) del soggetto, tramite rinforzi e prompt, vengono modellati al fine di far acquisire al soggetto il comportamento target (“comportamento maturo”)
  • Il Chaining: concatenamento.  Con tale strategia le azioni complesse vengono scomposte in singole azioni, generalmente più semplici. Successivamente quest’ultime verranno concatenate tra loro al fine di far acquisire al soggetto il comportamento. Esistono due tipologie di concatenamento:

Forward Chaining: dove l’azione viene insegnata dalla prima all’ultima. Ad esempio, se l’obiettivo è quello di insegnare al soggetto il lavaggio delle mani, scomporrò la sequenza nel suddetto modo: metto il sapone, strofino e asciugo. Backward Chaining: dove il concatenamento avviene dall’ultima azione alla prima (asciugo le mani, strofino, metto il sapone).

Per utilizzare questa strategia è prevista la realizzazione di una task analysis che ha lo scopo di individuare tutte le singole azioni che fanno parte della sequenza del comportamento complesso. Con questa strategia è indispensabile utilizzare: rinforzi, prompt e fading.

Tra  le  tecniche  utilizzate  dall’ABA  individuiamo  il  DTT  e  il  NET  che  sono rispettivamente: il Discrete Trial Training e il Natural Environment Teaching. Entrambe le strategie vengono utilizzate per insegnare una serie di abilità, come: autonomie  di  vita  quotidiana,  abilità  linguistiche,  motorie  e  accademiche.  Pur condividendo alcune caratteristiche, questi due approcci presentano delle differenze.

Il NET prevede un ambiente naturale arricchito con materiale intrinsecamente motivante  per  il  bambino,  si  parte  dall’interesse  di  quest’ultimo  per  elic itare l’apprendimento. È un tipo di approccio dove ci si focalizza maggiormente sugli antecedenti dell’apprendimento.

Il DTT o insegnamento per prove discrete, rappresenta un approccio più strutturato, che viene svolto a tavolino, in un rapporto 1:1, in un ambiente povero di stimoli che potrebbero fungere da distrazione. A differenza del NET, l’insegnamento per prove discrete viene utilizzato  per attività non motivant i per  il bambino, tra cui anche l’imitazione. Esso prende il nome anche di “apprendimento senza errori” (Errorless Learning), quasi l’antitesi dell’apprendimento per prove ed errori. Difatti, per limitare le risposte errate, il terapista prompta il bambino prima che possa commettere l’errore, così  da  consentire  l’apprendimento  di  nuove  abilità.  Il  prompt  viene  anche  qui gradualmente sfumato fino a quando il bambino non esegue correttamente il comportamento target autonomamente.

Le abilità vengono insegnate attraverso l’analisi di tre componenti: a) SD: stimolo discriminante, b) R: risposta c) SR: stimolo di rinforzo.

  1. Lo stimolo discriminante è rappresentato da una consegna verbale. Generalmente, per insegnare il comportamento imitativo, lo stimolo discriminante potrebbe essere: “Fai così”, “Fai uguale”, “Dì così”. In questa fase il terapista può fornire il “prompt” che, in base all’obiettivo, può essere: fisico, gestuale, verbale, visivo o anche un modello, ovvero una dimostrazione che il terapista fornisce al soggetto.
  2. La risposta è rappresentata dal comportamento, in questo caso di quello imitativo messo in atto dal bambino. La risposta può essere corretta, errata o mancata. Anche se generalmente si previene l’errore.
  3. Lo  stimolo  rinforzo  può  essere  di  varia  natura.  Se  il  bambino  risponde correttamente è previsto un rinforzo positivo che generalmente risponde agli interessi del soggetto; se invece la risposta è errata o mancata è prevista l’assenza del rinforzo o un feedback, come ad esempio il "no" informativo.

Nonostante venga riconosciuta la validità del DTT nella sua capacità di promuovere l’apprendimento, è stato messo molto in discussione. Uno dei motivi è il setting strutturato che non consentirebbe la generalizzazione negli altri contesti di vita del bambino. L’altra ragione è perché esso si limiterebbe ad un “semplice apprendimento della capacità d’imitare” e non al far emergere la “motivazione all’imitare”; quest’ultima indispensabile per incentivare le competenze sociocomunicative (Ingersoll,2008).

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ESDM: Early Start Denver Model

Il modello Early Start Denver Model rientra all’interno degli NDBI (Naturalistic Developmental Behavioral Interventions), nasce sulla scia nel modello Denver, integrando strategie dell’ABA con strategie del Pivotal Response Training.

Il modello Denver è stato proposto a partire dal 1981 da Sally Rogers e i suoi collaboratori. Il modello di base proponeva l’ipotesi che i sintomi del disturbo dello spettro dell’autismo erano riconducibili ad una compromissione delle abilità imitative e che, come un effetto a cascata, erano in grado di compromettere lo sviluppo sociocomunicativo del bambino.

L’ESDM (Rogers & Dawson,2010) è un programma d’intervento individualizzato, cucito sul singolo bambino, tenendo in considerazione sia dei suoi punti di forza sia dei suoi punti di debolezza e che, concorde alla zona di sviluppo  prossimale di Vygotskij, programma i suoi interventi sulla base delle abilità emergenti. Il programma d’intervento viene inoltre adattato anche alle necessità e alle risorse dell’ambiente in cui il bambino è immerso. È un intervento precoce e intensivo, difatti è rivolto ai bambini in età prescolare e sono previste circa 30 ore settimanali. Al fine di rispondere alla complessità dei disturbi dello spettro dell’autismo, prevede una presa in carico da parte  di  un’equipe  multidisciplinare.  Uno  dei  principali  obiettivi  del  ESDM  è l’insegnamento delle abilità necessarie allo sviluppo delle competenze socio-emotive e  comunicative. Durante il trattamento, vengono inoltre perseguiti obiettivi in tutte le aree di sviluppo, tuttavia l’interesse particolare è rivolto alle aree: dell’imitazione, dell’abilità di gioco, dello sviluppo sociale, della comunicazione verbale (ricettiva ed espressiva) e comunicazione non verbale. In questo approccio viene posta l’enfasi sulle componenti affettive, le quali svolgono un ruolo di particolare rilevanza nello sviluppo sociocomunicativo del bambino. Il gioco nell’approccio rappresenta la cornice di intervento e un mezzo attraverso il quale si possono raggiungere gli apprendimenti. Uno   degli  obiettivi  dell’ESDM   è   l’insegnamento   dell’imitazione,   di  grande importanza poiché è sia pilastro dello sviluppo sociocomunicativo del bambino sia perché è indispensabile per l’apprendimento.

Seguendo la traiettoria evolutiva dello sviluppo tipico, si procede con l’insegnamento: dell’imitazione: su oggetti, gestuale, oro-facciale e vocale.

Uno strumento per insegnare le imitazioni su oggetti è rappresentato dai giocattoli in duplice copia, che, generalmente, rispondono agli interessi del bambino. La coppia di oggetti facilita l’osservazione del modello al fine della sua riproduzione e facilitano la sincronia: due persone che svolgono la stessa azione nello stesso momento; criterio essenziale per l’imitazione. Questo insegnamento procede per livelli. Nel primo livello il terapista si inserisce nelle azioni già iniziate dal bambino imitandole, per poi modellare. Nel secondo livello è il terapista ad iniziare l’azione (che fa parte sempre del repertorio del bambino), con la finalità di suscitarne l’imitazione. Nel livello successivo si passa all’imitazione di azioni semplici ma nuove. In questo step il terapista modella azioni su oggetti non consueti, quest’ultimi hanno la finalità di non far emergere schemi precostruiti e di attirare l’attenzione del bambino. Nel quarto livello, una volta che il bambino ha imparato ad imitare azioni semplici, si punta all’imitazione di una serie di 3 o 4 azioni convenzionali, diverse tra loro, ma correlate. Nell’ultimo livello l’obiettivo è quello di insegnare sequenze di azioni non convenzionali. Un’altra area è l’imitazione gestuale. Per l’insegnamento di queste abilità imitative vengono utilizzate routine sensoriali come canzoni che suscitano l’interesse e il piacere del bambino. Successivamente è previso l’insegnamento dell’imitazione oro-facciale, che può essere incorporata all’interno di routine sensoriali o in attività davanti ad uno specchio. Generalmente, l’insegnamento di tali abilità imitative, rispetto agli altri domini, è molto difficoltoso per i bambini con ASD, per cui si potrebbe facilitare l’insegnamento utilizzando giochi che coinvolgono prima parti del corpo. Nell’ESMD è previsto l’insegnamento dell’imitazione di gesti convenzionali. Questo insegnamento però può avvenire solo se il bambino ha dei prerequisiti. Il primo di essi è che sia in grado di imitare azioni e gesti nuovi con le varie parti del corpo e del viso. Il secondo prerequisito è che la funzione comunicativa del gesto faccia parte del repertorio del bambino, in modo tale che possa attribuire un significato a quel gesto nuovo.

L’ultima area d’insegnamento è l’imitazione vocale e verbale. Uno degli obiettivi è quello di elicitare il più possibile, soprattutto per i bambini non verbali, i vocalizzi attraverso routines sensoriali, ad esempio il solletico.

In questa fase il terapista imita e rinforza immediatamente, anche quando essi non sembrano essere prodotti intenzionalmente. Nello step successivo, in base al profilo di sviluppo, si può passare all’insegnamento dell’imitazione di parole, che richiede come prerequisito una buona gamma di suoni vocalici o consonantici da parte del bambino. L’imitazione viene utilizzata anche per insegnare le abilità di gioco. Anche qui, l’insegnamento segue la traiettoria di sviluppo tipico: gioco sensomotorio, gioco funzionale, gioco simbolico, combinazioni simboliche.

In conclusione, potremmo dire che, in questo approccio, l’imitazione non è considerata solo come un’area d’intervento in vista delle compromissioni dei soggetti con ASD. In questo modello, l’imitazione è un potente strumento che viene utilizzato anche per raggiungere obiettivi in tutte le aree di funzionamento, uno strumento con cui creare una relazione con l’altro e per promuovere lo sviluppo sociocomunicativo del bambino.

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RIT: Reciprocal Imitation Training

Il Reciprocal Imitation Training (RIT) rientra all’interno degli interventi naturalistici evolutivo-comportamentali (NDBI) ed è un tipo di intervento che prende di mira due componenti nell’imitazione: imitare ed essere imitato. Lo scopo del RIT è quello di insegnare al bambino l’utilizzo sociale e spontaneo dell’imitazione. Essendo un NDBI, in questo approccio ritroviamo una serie di strategie comuni ad altri trattamenti: l’utilizzo del prompt, il rinforzo sociale, l’attenzione rivolta alla motivazione e agli interessi del bambino, il modellamento, il mapping linguistico e l’imitazione contingente. Lo scopo del RIT è quello di promuovere l’utilizzo sociale dell’imitazione. In virtù di questo principio, non è previsto l’insegnamento di abilità seguendo criteri prestabiliti e, anche quando il modello non è stato riprodotto in maniera fedele, vengono rinforzati tutti i tentativi di imitazione. Le varie sessioni possono essere svolte all’interno di un setting o implementate dai genitori.

Uno degli strumenti essenziali è rappresentato dal gioco, che generalmente risponde agli interessi del bambino. All’interno del setting o negli altri ambienti, vengono utilizzati oggetti in duplice copia che hanno lo scopo di facilitare l’imitazione contingente e di conseguenza promuovere la reciprocità.

Per insegnare l’imitazione è previsto il modellamento, ad esempio se il bambino è intento a girare le ruote della macchinina, il terapista inizialmente imita la medesima azione e successivamente amplifica l’attività, facendo procedere la macchinina sul pavimento. Se dopo tre volte quest’azione non viene imitata spontaneamente dal bambino, si utilizza il prompt, si rinforza naturalmente ed infine si ritorna nuovamente all’imitazione contingente. Il modellamento è sempre affiancato ad un marcatore verbale. Le etichette verbali devono essere adattate, devono essere brevi e leggermente al di sopra del livello linguistico del bambino. Ad esempio, se egli utilizza gesti non convenzionali, il terapista può utilizzare gesti intenzionali.

Questo lo differenzia molto dagli altri approcci, come ad esempio il DTT che utilizza stimoli discriminanti verbali (“fai così”, “dì così”), una richiesta che potrebbe compromettere l’utilizzo spontaneo del comportamento o la generalizzazione negli ambienti non strutturati.

Si procede per fasi, quest’ultime progettate tenendo in considerazione lo sviluppo evolutivo dell’imitazione: a) riconoscimento di essere imitati b) imitazioni di azioni familiari b) imitazione di azioni nuove. Con il progredire delle fasi, vengono modellate azioni diverse; inizialmente il modellamento avviene con giocattoli già conosciuti al bambino, successivamente con oggetti nuovi al fine di incoraggiare risposte flessibili. In questo approccio è previsto l'insegnamento dell’imitazione di azioni, le quali possono essere sensomotorio, funzionali e simboliche. Il terapeuta può insegnare l'imitazione di gesti modellando quelli correlati al gioco del bambino.

Tramite il RIT molti soggetti hanno migliorato ed aumentato le loro capacità di imitazione e hanno generalizzato queste abilità in nuovi ambienti. Sono migliorati anche tutti quelli che sono gli elementi indispensabili per lo sviluppo sociocomunicativo: linguaggio, gioco di finzione, attenzione congiunta, (Ingersoll &Schreibman, 2006) nonché l’imitazione di gesti e discreti risultati sull’uso spontaneo di gesti (Ingersoll et al.2007).

Dalla letteratura emerge che Reciprocal Imitation Training porta a miglioramenti della capacità imitativa già nei bambini piccoli già dopo 20-30 h di trattamento (Ingersoll, 2010)

Il trattamento può essere implementato anche dai genitori, studi condotti hanno dimostrato che le tecniche RIT eseguite da caregiver addestrati, mostrano aumenti nell'imitazione spontanea e che tali risultati vengono mantenuti anche ad 1 mese di follow-up. Tali risultati dimostrano che il RIT è efficace per insegnare le abilità imitative nei bambini piccoli con autismo, anche quando si estende ai genitori (Ingersoll & Gergans,2007).

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VM: Video Modeling

Negli ultimi anni il campo della riabilitazione si è arricchito di dispositivi ad alta tecnologia quali tablet, computer, smartphone. Tali strumenti vengono utilizzati per rispondere agli obbiettivi pedagogici, terapeutici ed al bisogno di apprendimento del soggetto. Tra questi individuiamo il video modeling, il quale rientra nell’ “evidence- based practices". Esso consiste nella presentazione di un filmato, di breve durata, al fine di consentire al soggetto l’apprendimento attraverso l’osservazione, un autoapprendimento per imitazione.   Con l’ausilio di strumenti ad alta tecnologia vengono mostrate azioni o comportamenti appropriati, all’interno dei vari contesti di vita.

Il videomodeling trova le sue radici nella teoria dell’apprendimento sociale proposta da Bandura, secondo cui l’essere umano ha quella capacità intrinseca di apprendere e modificare il suo comportamento mediante l’osservazione di un modello. Secondo il teorico durante il processo di apprendimento per osservazione entrano in gioco alcuni fattori fondamentali: attenzione, la ritenzione, la riproduzione e la motivazione. (Trattati precedentemente nel capitolo I.II).

Essi possono essere classificati in: basic video modeling, self video modeling, video prompting.

Il Basic video modeling è un tipo di video in cui il soggetto osserva un’altra persona eseguire una determinata azione o comportamento target. Secondo Bandura, più il modello è fisionomicamente simile al soggetto che deve apprendere, più il soggetto si immedesimerà e migliore sarà il risultato. I protagonisti possono essere anche sconosciuti ma generalmente si prediligono persone conosciute al bambino che deve apprendere, ad esempio genitori, fratellini o amici.

Il self video modeling è un tipo di filmato in cui il protagonista è lo stesso soggetto a cui è rivolto l’apprendimento. Esso si divide a sua volta in feedforward e il self-review. Nel self review il soggetto osserva sé stesso al fine di avere un resoconto o migliorare la sua prestazione.

Il feedforward invece, viene utilizzato per l’apprendimento di una competenza che non è nel repertorio del soggetto o quando quest’ultima sta emergendo. Richiede un processo di editing in cui vengono montate tra loro solo le azioni funzionali all’apprendimento. Attraverso l’editing il soggetto vedrà sé stesso svolgere un compito ottimale che porta al successo: questo determina un aumento dell’autoefficacia e di conseguenza il soggetto sarà motivato a riprodurlo.

Infine, abbiamo il video Prompting (VP) che è un tipo di video in cui sono previsti tutta una serie di step. Viene utilizzato per insegnare un’abilità complessa o relativamente lunga.

Il video modeling può essere rivolto a tutti i soggetti al fine di rispondere ai bisogni terapeutici ma, in particolare, trova buona attuazione nei soggetti con spettro dell’autismo per promuovere: abilità sociali, abilità di gioco, abilità sociocomunicative e abilità di vita quotidiana. Questa metodica consente di sostenere i processi di apprendimento se utilizzati in maniera complementare ad altri trattamenti e non in maniera sostitutiva.

Charlop e colleghi (2000) durante un loro studio hanno messo a confronto un gruppo di bambini che avevano ricevuto video-modeling con un gruppo di bambini che avevano ricevuto trattamenti di modeling tradizionale. I risultati hanno dimostrato che i bambini trattati con videomodeling hanno ottenuto miglioramenti delle abilità comunicative e sono riusciti maggiormente a generalizzare il comportamento target. I teorici hanno suggerito che la modellazione video potrebbe essere più efficace rispetto all’altro trattamento, in quanto, non elicitando particolari richieste sociali, i bambini sono più motivati.

Nel 2007 Kroeger, Schultz e Newsom hanno effettuato uno studio su un gruppo di 25 bambini di età compresa tra i 4 e i 6 anni. Lo scopo era quello di andare a valutare i risultati nell’aria delle abilità sociali e nelle abilità di gioco. Parte del campione ha ricevuto un trattamento con videomodeling mentre l’altra parte ha ricevuto un trattamento diretto. I risultati hanno dimostrato che, in entrambi i gruppi, c’era un aumento significativo delle abilità pro-sociali ma, solo il gruppo trattato con video modeling, ha ottenuto risultati maggiormente significativi delle abilità sociali assertive.

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CONCLUSIONE

Questa ricerca ha cercato di rispondere alla domanda: “E’ davvero così importante il ruolo dell’imitazione all’interno dello sviluppo?”. A tal fine, conducendo le mie ricerche a partire dallo sviluppo tipico, ho attestato che l’imitazione è una competenza innata riscontrabile già nel neonato e che, al pari di tutte le altre funzioni neuropsicologiche, segue un suo percorso evolutivo. L’imitazione nel corso della crescita rappresenta una vera e propria modalità comunicativa, prima che il linguaggio faccia la sua comparsa. Tramite l’imitazione il bambino può sperimentare: la sincronia, l’attenzione all’altro, l’alternanza dei turni, la condivisione; precursori di quelli che in futuro saranno i dialoghi verbali. Attraverso l’imitazione reciproca il bambino percepirà la presenza di un forte legame che lo lega all’altro, che gli altri sono proprio “come lui”. Questo, per molti teorici, aprirà le porte alla teoria della mente. Da quanto detto, sorge spontaneo dedurre che un’interruzione dell’imitazione in epoca precoce, possa avere un effetto a cascata e andare ad influenzare altre aree di sviluppo, come la sfera socio-comunicativa, la capacità di mettersi nei panni dell’altro, l’apprendimento. Da qui, le mie ricerche si sono spostate sui disturbi dello spettro dell’autismo, constatando la presenza di compromissioni imitative che contraddistinguono questo disordine neuropsichiatrico così complesso. Ma tali compromissioni non sono globali, anzi, si mostrano sotto un profilo disomogeneo. Vi si presentano delle cadute nei compiti imitativi di natura motoria, oro-facciale o di gesti, mentre risulterebbero meno inficiati i compiti imitativi che prevedono l’utilizzo di oggetti. In letteratura emergono studi che sottolineano il forte valore predittivo dell’imitazione per quelle che saranno altre competenze emergenti, come: competenze socio-comunicative, linguistiche, il livello di gioco e, più in generale, con lo sviluppo cognitivo. Da qui nasce l’ipotesi che l’imitazione potrebbe essere un potente bersaglio all’interno dell’intervento precoce. All’interno di questo filone, molti approcci terapeutici hanno fatto dell’imitazione il cuore del loro trattamento. L’imitazione in codesti approcci rappresenta uno strumento che consente: l’apprendimento di nuove abilità, di entrare in interazione con l’altro e promuovere lo sviluppo delle competenze socio-comunicative.

In conclusione, l’autismo è un disordine neuropsichiatrico complesso e molto eterogeneo. Pur godendo di una certa rilevanza nel campo della ricerca, attualmente le cause sono ancora poco definite. Di certo le compromissioni imitative non sono le uniche cause a poter spiegare tutti i sintomi che ravvediamo in questi soggetti, come ho accennato nel corso della mia tesi, ci sono sicuramente più fattori che collimano tra di loro nella determinazione del fenotipo autistico. Ciò nonostante, tali considerazioni, potrebbero aprire maggiormente la strada alle ricerche future, con un interesse particolare volto all’approfondimento della correlazione tra le compromissioni sociali, imitazione e substrato neurobiologico.

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