IL DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO

Il Disturbo dello Spettro Autistico è definito come un disordine complesso del neurosviluppo caratterizzato da compromissioni plurime nelle aree dell'interazione sociale reciproca e della comunicazione verbale e non-verbale, in presenza di un repertorio di comportamenti, attività ed interessi ristretti, ripetitivi e stereotipati. Il disturbo presenta esordio in età evolutiva e può assumere espressività clinica interindividuale e intraindividuale variabile nel corso del tempo, in relazione alle caratteristiche personali del soggetto e del suo ambiente di vita 10.

Con il tempo il concetto di Autismo ha assunto diverse connotazioni ed è stato variamente interpretato nell’ambito della neuropsichiatria clinica. Ricerche condotte in ambito psicoanalitico tra gli anni ’70 e ‘80 dalla Mahler11 in particolare, misero in crisi le precedenti convinzioni psicogenetiche e favorirono l’evolversi di un nuovo modello interpretativo fondato sulle ipotesi simulazioniste dell’intelligenza sociale, secondo cui alla base dei sintomi autistici sarebbe possibile individuare un’alterazione dei sistemi innati che regolano il comportamento empatico e le capacità imitative precoci. Attualmente tale ipotesi interpretativa sembra trovare conferma nelle recenti teorie neurofisiologiche dei neuroni specchio proposte da Rizzolati e Gallese12, che hanno riconosciuto in un’alterazione dei meccanismi di embodied simulation la principale causa di disinteresse sociale e scarsa empatia tipiche dei soggetti autistici. In ambito cognitivista è stato inoltre elaborato il modello interpretativo della teoria della mente, secondo il quale il Disturbo dello Spettro Autistico risulterebbe da un’innata incapacità di riflettere sugli stati mentali propri e altrui, di interpretare i comportamenti sociali e da essi inferire informazioni riguardanti il contesto relazionale. Si citano infine le teorie maturate attraverso gli studi di neuropsicologia dello sviluppo, grazie ai quali sono state elaborate ipotesi relative ai deficit delle funzioni esecutive e ai difetti di coerenza centrale, da un lato confermate dall’evidenza di alterazioni nella maturazione dei circuiti fronto-limbici- cerebellari deputati al controllo dei comportamenti intenzionali, delle capacità di inibizione, della flessibilità di pensiero e dell’analisi dei dati percettivi, e dall’altro validate dai riscontri di neuroimaging che mostrano la mancanza o la debolezza di connessioni funzionali dei circuiti neuronali, da cui deriverebbero l’incapacità di cogliere ed analizzare gli stimoli nel loro complesso e l’eccessiva tendenza a focalizzarsi su frammenti parcellari dell’esperienza.

L'attuale filone interpretativo ha in parte rinunciato al proposito di spiegare l’Autismo esclusivamente in termini eziopatogenetici e si è perlopiù concentrato sulla descrizione del disturbo in termini sintomatologici, adottando un approccio descrittivo poi concretizzatosi nella metodologia utilizzata dai due principali sistemi di nosografia codificata DSM ed ICD: attraverso un'accurata indagine in merito ai comportamenti che più caratterizzano la patologia nella sua variabilità interindividuale e intraindividuale, commissioni di esperti sono giunti a stabilire criteri diagnostici ben definiti in funzione delle caratteristiche cliniche e di decorso del disturbo, indipendentemente dalle sue probabili cause. L'adozione di una prospettiva descrittiva nella definizione di un problema neuropsichiatrico tanto complesso, ha tuttavia portato gli esperti a scontrarsi con la difficoltà di spiegare la notevole variabilità clinica con cui la compromissione dei segnalatori dello sviluppo sociale-comunicativo e i sintomi comportamentali tendono ad esprimersi sia in termini di severità e grado di influenza sullo sviluppo globale del bambino, sia in termini di qualità e modalità di manifestarsi in pazienti diversi e nello stesso paziente nel corso dello tempo. A partire dagli anni '90 sono stati pertanto differenziati il Disturbo Autistico tipico da una serie di altri disturbi analoghi, tutti inclusi in un'unica categoria diagnostica denominata Disturbi Pervasivi dello Sviluppo dal DSM IV o Disturbi da Alterazione Globale dello Sviluppo dal ICD-10. Negli ultimi periodi è stato però abbandonato il proposito di differenziare diverse sottocategorie del disturbo e si è tornati con il DSM-5 a privilegiare una visione di insieme, che include in un'unica categoria denominata Disturbi dello Spettro Autistico tutte le possibili manifestazioni cliniche della patologia.

QUADRO CLINICO E CARATTERISTICHE SINTOMATOLOGICHE

Il Disturbo dello Spettro Autistico comprende un gruppo eterogeneo di condizioni cliniche che, aldilà dell’ampia variabilità fenomenica, presenta un nucleo di caratteristiche comuni che valgono a definirne una categoria nosografica unitaria. Si manifesta con un’incidenza stimata nel 2010 di 113 per 10.000 (1 caso su 88), con prevalenza del sesso maschile su quello femminile in rapporto di circa 4:113. Con il DSM-5 è stato proposto un modello di classificazione volta ad integrare la descrizione categoriale del disturbo ad una sua definizione in termini funzionali, che consenta di definire il problema non solo in relazione a criteri sintomatologici formalizzati, ma anche in rapporto al livello di severità con cui questi sintomi si manifestano nel corso del tempo: sono state pertanto individuate tre fasce di gravità, che spaziano dal livello 1 di minore compromissione al livello 3 di grave disabilità. Le aree di sviluppo in cui si individuano le alterazioni funzionali che conferiscono al disturbo la sua specificità clinica sono state ricondotte ad una “diade sintomatologica” comprendente:

1) Capacità di interazione e comunicazione sociale

La capacità di stabilire interazioni reciproche e intraprendere scambi comunicativi con l’altro appare significativamente deficitaria e può esprimersi con la compromissione in almeno una delle aree di competenza di:

  • reciprocità socio-emozionale, come assenza di iniziativa nell’avviare e difficoltà nel sostenere scambi relazioni con l’altro, scarso interesse per la condivisione di attività, esperienze ed emozioni, limitata aderenza alle sollecitazioni esterne tese a stabilire contatti relazioni, insofferenza rispetto ai tentativi di intervento dell’altro nella propria attività e tendenza a lasciarsi agganciare solo mediante proposte che coincidono con i propri interessi del momento;
  • padronanza dei comportamenti non-verbali, ossia ridotte capacità di comprendere, integrare e investire a scopo relazionale i codici della comunicazione non-verbale rappresentati dalla modulazione della mimica facciale espressiva, dalla gestualità, dalla regolazione tonica e dall’adattamento posturale;
  • comprensione delle regole che definiscono i rapporti sociali, come inadeguata capacità di adattare il proprio comportamento ai mutevoli contesti sociali, difficoltà nell’accedere agli stati mentali altrui e scarso interesse a stabilire relazioni.

2) Modalità di comportamento e repertorio di attività ed interessi

Lo stile comportamentale dei soggetti autistici è caratterizzato dalla presenza di un repertorio di comportamenti, attività ed interessi ristretto, ripetitivo e stereotipato, determinato dalla peculiare rigidità che ne caratterizza il pensiero e i processi di elaborazione mentale. Le atipie comportamentali riguardano le modalità con cui l’individuo si rapporta all’oggetto, la tipologia di interessi che sembrano coinvolgerlo e il caratteristico impegno con cui si dedica allo svolgimento di attività che gli sono proprie. Esse si esprimono attraverso almeno due o più manifestazioni di:

  • condotte motorie, modalità d’uso d’oggetti e caratteristiche dell’eloquio stereotipate e ripetitive, che possono presentarsi sottoforma di movimenti di dondolio o giravolte su se stessi, sfarfallio o battito delle mani, allineamento o rotolamento di oggetti, azioni di riempimento o svuotamento di contenitori, emissione di particolari suoni o ecolalie, riproduzione di frasi gergolaliche o idiosincratiche;
  • bisogno di immodificabilità e difficoltà nell’adattarsi al cambiamento, aderenza alla routine priva di flessibilità e rituali di comportamento verbale o non-verbale, che possono manifestarsi in comportamenti di eccessiva abitudinarietà nello svolgimento di pratiche quotidiane, esasperata selettività alimentare, attaccamento esagerato a particolari oggetti, manierismi ritualizzati all’apparenza illogici, opposizione al cambiamento e turbamento in contesti nuovi, disagio o attacchi di panico in presenza di modificazioni ambientali o persone non conosciute;
  • interessi ristretti, assorbenti e atipici per caratteristiche e intensità, tra cui rientrano l’osservazione di dettagli isolati di un oggetto o del suo movimento, attenzione per particolari fenomeni fisici o ambientali, dedizione totale a dispositivi elettronici o determinati cartoni animati, attrazione per i numeri o le date, conoscenza esauriente ed approfondita di determinati argomenti;
  • ipereattività o iporeattività in risposta a particolari stimoli percettivi e interesse insolito per esperienze o caratteristiche sensoriali dell’ambiente, che possono comprendere atteggiamenti di eccessiva avversione o attrazione nei confronti di peculiari stimoli visivi, uditivi o tattili, apparente indifferenza nei confronti di stimoli dolorosi o termici, esplorazione sensoriale insolita di oggetti tramite l’olfatto, il gusto o la vista, camminare sulle punte dei piedi, assumere posture bizzarre o imprimere alle mani atteggiamenti particolari.

Il DSM-5 individua inoltre come fondamentali criteri diagnostici l’età di esordio del disturbo entro i primi 3 anni di vita e la necessità che la sintomatologia concorra a determinare per il soggetto una significativa compromissione della vita sociale e di altre importanti aree del funzionamento adattivo generale: i sintomi devono pertanto assumere una reale rilevanza clinica ed essere osservabili fin dalle prime fasi dello sviluppo, sebbene nei casi più lievi il loro manifestarsi possa essere in parte celato da strategie di compenso facilitate dall’ambiente o apprese dal soggetto.

VALUTAZIONE NEUROPSICOMOTORIA E TEST STANDARDIZZATI

Il percorso diagnostico per la valutazione dei Disturbi dello Spettro Autistico si avvale del contributo integrato di tutte le figure professionali costituenti le equipe di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza dei servizi socio-sanitari ospedalieri e territoriali. L’intervento clinico si qualifica per il suo carattere complesso e multidisciplinare, che rispetti l’unicità del bambino nella sua globalità e riconosca l’importanza dell’ambiente familiare come parte integrante del suo percorso di sviluppo e del processo valutativo e terapeutico. L’osservazione neuropsicomotoria si pone come parte integrante dell’iter diagnostico e si fonda essenzialmente sull’analisi del comportamento spontaneo del bambino in un contesto ludico e relazionale rassicurante, che ne permetta di esaminare le caratteristiche espressive nel rapporto con i genitori, l’esaminatore e l’ambiente, con particolare attenzione alle modalità di esplorazione dello spazio e dei materiali, di investimento degli oggetti e di reazione nei confronti dell’altro. Importante in questo processo è inoltre sapere cogliere ed approfondire dai racconti dei genitori eventuali riferimenti relativi ad abitudini e aspetti temperamentali tipici del bambino nel suo ambiente di vita quotidiano, che potrebbero essere sfuggiti in fase di colloquio anamnestico e risultare essenziali nella rilevazione di probabili disturbi della regolazione o problemi educativi insiti in ambito domestico. La valutazione non può infine prescindere dalla somministrazione di specifici test standardizzati per l’analisi dei sintomi autistici, che consentano di orientare il giudizio valutativo attribuendo un valore oggettivo alle osservazioni effettuate e di inquadrare il disturbo in termini di severità e grado di compromissione13. Tra gli strumenti di valutazione più comunemente utilizzati in ambito clinico è possibile individuare la Autism Diagnostic Observation Schedule - Second Edition (ADOS-2) e la Autism Diagnostic Interview - Revised (ADI-R).

Gold standard per la diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico, la ADOS-2 si fonda sull’osservazione diretta e standardizzata del bambino ed è strutturata in 5 moduli finalizzati ad esplorarne i comportamenti sociali in contesti relazionali e comunicativi ordinari. Le diverse sezioni prevedono la proposta di prove selezionate in funzione dell’età e del livello linguistico dell’esaminato, dai 12 mesi fino all’età adulta. Sono richiesti circa 30-45 minuti per il completamento delle prove. La somministrazione è possibile solo a seguito del conseguimento di uno specifico training da parte dell’operatore e necessita di peculiari procedure di convalida, che consentano di formulare la diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico in accordo con i criteri definiti da DSM ed ICD.

La ADI-R è invece un’intervista semi-strutturata da somministrare ai genitori a integrazione della scheda osservativa ADOS e progettata per fornire un quadro descrittivo completo del bambino in tutti i suoi abituali contesti di vita, individuandone lo stile comportamentale caratteristico e ricostruendone il percorso evolutivo fin dall’età precoce, con particolare attenzione all’eventuale presenza di “regressioni” nello sviluppo delle competenze sociali, comunicative e di regolazione. Per ogni item vengono attribuiti punteggi interpretabili in funzione di un algoritmo diagnostico standardizzato, che permette di discriminare la presenza o l’assenza di Disturbo dello Spettro Autistico in funzione dei criteri diagnostici stabiliti da DSM ed ICD. Somministrata da un operatore che abbia conseguito uno specifico training, l’intervista richiede in genere tempi di svolgimento di circa 2 ore.

SINTOMI PRECOCI E PECULIARITÀ DELLO SVILUPPO MOTORIO NEL DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO

Il Disturbo dello Spettro Autistico è quindi considerato un disordine complesso del neurosviluppo, determinato da una organizzazione atipica delle connessioni neuronali preposte ai processi di ricezione, analisi ed elaborazione dei dati provenienti dalla realtà esterna, essenziali per formulare piani d’azione efficaci e programmare comportamenti funzionali e adattati alle mutevoli esigenze del contesto. Il manifestarsi di deficit nell’interazione comunicativa sociale e nelle modalità di comportamento e repertorio di interessi si presenta quindi come sintomo del processo di disorganizzazione dei circuiti centrali e si realizza durante lo sviluppo sotto l’influenza di predisposizioni innate e con modalità e tempi variabili in funzione della severità della compromissione neurologica e di circostanze interne al soggetto o dipendenti dall’ambiente esterno. Ne consegue quindi che i primi segni sintomatologici indicativi di un possibile sviluppo atipico tendano ad esprimersi nelle forme più severe già in età precoce e ad assumere rilevanza clinica variabile in relazione alle capacità dell’individuo di rispondere ed adattarsi a pressioni ambientali sempre più ingenti e complesse: la tensione generata dal continuo confronto con il mondo esterno e le sue richieste di adattamento diventa infatti presto eccessiva in rapporto alle ridotte capacità del soggetto di farvi fronte attraverso le proprie limitate risorse e le difficoltà comportamentali tipiche della patologia tenderebbero quindi ad emergere sottoforma di sintomi precoci, quali comportamenti caratteristici osservabili prima dei 18 mesi d’età e riconducibili a modalità relazionali atipiche con cui l’individuo si rapporta ad oggetti e persone13. I disturbi a carico dell’interazione sociale e dello sviluppo comunicativo e relazionale in particolare si esprimono attraverso la compromissione dei canali di scambio privilegiati di questo periodo: il contatto di sguardo, il dialogo tonico e la mimica facciale espressiva. Tra i sintomi più spesso descritti dai genitori si riportano infatti la sfuggenza o assenza di sguardo, difficoltà di aggancio visivo, scarsa capacità di adattamento posturale al corpo dell’altro, insofferenza ed evitamento del contatto fisico, scarsa capacità di regolazione del tono muscolare, ipersensibilità o ridotta sensibilità verso particolari stimoli ambientali, assenza del sorriso sociale, repertorio povero e rigida modulazione delle espressioni facciali, pianto o risata non coerenti al contesto e non funzionali al richiamo. Da semplici segnalatori di un possibile sviluppo anomalo, tali sintomi tenderebbero poi ad aggravarsi e stabilizzarsi come modalità comportamentali tipiche del soggetto a partire dall’età di 2 anni, se non opportunamente individuati e trattati per tempo. Da ciò emerge l’importanza della diagnosi precoce nei Disturbi dello Spettro Autistico e del riconoscimento tempestivo dei sintomi indicativi di rischio patologico allo scopo di consentire il rapido accesso ad efficaci interventi terapeutici volti a ridurre l’impatto del disturbo sullo sviluppo globale del bambino e contrastare l’acquisizione di comportamenti disfunzionali potenzialmente gravosi per la qualità di vita dell’intero sistema famiglia 14.

In questa direzione si sono mossi i ricercatori che negli ultimi anni hanno avviato progetti di ricerca finalizzati ad indagare le caratteristiche dello sviluppo motorio nei bambini con Disturbo dello Spettro Autistico. L’ipotesi alla base di questi studi mirava e mira tuttora a verificare se il frequente riscontro in pazienti autistici di disordini del comportamento motorio più o meno evidenti, spesso associati in passato ad un quadro di comorbidità con il Disturbo di Sviluppo della Coordinazione Motoria e molte volte sottostimati in relazione alla maggiore compromissione in ambito sociale e comunicativo, valga in realtà a definire criteri diagnostici peculiari per la diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico. L’obiettivo è quello di ampliare gli orizzonti interpretativi circa l’origine del disturbo e di individuare nuovi parametri di riferimento su cui fondare la diagnosi e il trattamento precoci. I primi studi sistematici in questo ambito furono condotti nel 1978 da Damasio e Maurer15 e nel 1981 da Vilensky16 allo scopo di indagare le caratteristiche del cammino nei soggetti autistici, che sembravano nel complesso presentare pattern deambulatori simili ai pazienti con morbo di Parkinson. Nel 1992 Bauman17 individuò in molti soggetti un vasto repertorio di anomalie motorie, definite come goffaggine, incapacità di portare a termine simultaneamente programmi motori differenti, iperattività, assenza di modulazione della mimica facciale, uso deficitario della gestualità e presenza di movimenti ripetitivi e stereotipati dell'intero corpo, degli arti e delle dita, particolarmente evidenti in condizioni di stress o in presenza di molteplici stimolazioni ambientali: l’incapacità di padroneggiare i codici espressivi non-verbali della comunicazione sociale veniva in particolare associata alla presenza di disturbi motori, deficit attentivi e difficoltà imitative o prassiche. Fu in seguito Hallett18 a riprendere nel 1993 i precedenti studi riguardanti l’analisi del cammino e a individuare quali caratteristiche peculiari del pattern deambulatorio dei pazienti autistici una minore motricità dell'anca, ridotti gradi di libertà nel movimento delle caviglie e un maggior grado di flessione delle ginocchia nelle prime fasi del passo. Successivamente, Leary e Hill19 nel 1996 sottolinearono l’importanza rivestita dalle anomalie motorie fino ad allora riscontrate nei soggetti autistici nel condizionare l’emergere delle caratteristiche tipiche della patologia e differenziarono i sintomi motori in tre raggruppamenti: disturbi della funzione motoria generale, tra cui i disordini della postura, del tono muscolare, dei movimenti accompagnatori o senza uno scopo preciso; disturbi dei movimenti volontari, come difficoltà nella pianificazione del movimento e movimenti spontanei ripetitivi; disturbi dei movimenti involontari, ovvero turbe motorie che condizionano in maniera pervasiva e incontrollabile il comportamento spontaneo. Fu allora che Philip e Osnat Teitelbaum20 in uno studio pubblicato nel 1998 si occuparono di analizzare le tappe fondamentali dello sviluppo motorio dei bambini autistici dagli 0 ai 30 mesi d’età e giunsero a distinguere tra le anomalie più evidenti: asimmetria nei movimenti delle braccia rispetto alle gambe; sequenzialità e non integrazione nello sviluppo motorio, con deficit a livello della sincronizzazione dei canali motori; ritardo e incompletezza dello sviluppo motorio, con raggiungimento della deambulazione ad età più avanzata rispetto ai parametri fisiologici e parziale permanenza dei deficit motori anche in età adulta. Uno studio condotto da Esposito e Venuti21 nel 2008 dimostrò in seguito l’indipendenza dei disturbi motori osservati dalla presenza di eventuali deficit intellettivi in comorbidità e suggerì l'esistenza di un particolare sottogruppo di pazienti in cui i disordini della deambulazione tenderebbero a permanere stabili nel corso dello tempo. Gli stessi studiosi nel 2011 confermarono poi attraverso studi sperimentali la presenza di asimmetria posturale nel cammino dei bambini autistici già in età precoce22 e suggerirono quindi nuove ed ulteriori ipotesi eziologiche circa l’origine innata della patologia. Negli stessi anni, Provost e collaboratori23 giunsero inoltre a constatare mediante studi di comparazione tra bambini autistici e gruppi di controllo, come la compromissione delle abilità motorie non fosse limitata solo alla deambulazione e alle competenze di controllo posturale, ma interessasse anche la motricità fine negli aspetti di destrezza e coordinazione manuale, manipolazione bimanuale, integrazione visuo-motoria e scrittura. Mentre la compromissione nelle abilità grossomotorie e finomotorie erano state riscontrate anche in pazienti con diversi disordini del neurosviluppo, recenti ricerche hanno invece confermato la specificità delle difficoltà di elaborazione ed esecuzione prassica nel Disturbo dello Spettro Autistico24. Già nel 2005 alcuni ricercatori francesi25, oltre ad esaminare la postura, l’equilibrio e altri parametri specifici per l’analisi cinematica del cammino, si erano anche occupati di attribuire maggiore enfasi alle difficoltà di pianificazione e organizzazione sequenziale dei movimenti nei soggetti autistici: senza infatti limitarsi ad una valutazione degli aspetti più formali del movimento, con la rilevazione di un accorciamento generale della lunghezza del passo e differenze significative nei movimenti oscillatori di capo, tronco, bacino e ginocchia, essi si impegnarono anche ad evidenziare in questi pazienti la presenza di importanti deficit di elaborazione mentale e programmazione motoria dell'azione. Successivi approfondimenti consentirono inoltre di rilevare nei soggetti autistici una accentuata tendenza a commettere errori di valutazione spaziale e temporale durante lo svolgimento di azioni semplici e complesse, resi evidenti dalla scorretta gestione della postura e dalla scarsa capacità di controllo dei movimenti corporei in rapporto allo spazio fisico circostante, nonché dalla disregolazione dei tempi di inizio e conclusione dell'atto motorio26. Grazie infine ai più recenti studi pubblicati nel 2018 da Kraur e colleghi27, si è giunti a scoprire l’esistenza di una stretta correlazione tra problemi di esecuzione prassica e grado di severità dei disturbi relativi allo spettro autistico, risultati che enfatizzano l’importanza di includere la valutazione motoria tra gli interventi per la diagnosi precoce e l’esigenza di promuovere azioni terapeutiche quanto più tempestive a supporto non solo dello sviluppo comunicativo e sociale dei soggetti, ma anche delle loro competenze motorie e prassiche: l’inclusione della disprassia e dei disordini motori tra le caratteristiche sintomatologiche discriminanti del Disturbo dello Spettro Autistico potrebbe quindi aprire nuove e interessanti prospettive di ricerca e portare ad importanti progressi in campo diagnostico e riabilitativo.

DISTURBI DEL MOVIMENTO E CORRELATI NEUROANATOMICI: IL MODELLO NEUROLOGICO

Per spiegare la peculiarità dello sviluppo motorio atipico dei soggetti con Disturbo dello Spettro Autistico, i ricercatori si sono fin da subito interessati ai possibili meccanismi disfunzionali responsabili dei disordini del movimento spesso osservati in questi pazienti. Particolare riguardo è stato prestato agli aspetti neurologici implicati nei processi di pianificazione, programmazione, esecuzione e controllo motorio. Già nel 1978 Damasio e Maurer22 e nel 1981 Vilensky23, attraverso il confronto con soggetti affetti da patologie diverse e a correlato strutturale noto, nel rilevare nei soggetti autistici pattern deambulatori simili ai pazienti affetti da morbo di Parkinson, ipotizzarono alla base delle atipie motorie osservate la presenza di eventuali anomalie funzionali a carico del sistema dopaminergico, deputato al controllo dei processi di regolazione eccitatoria e inibitoria del movimento, forse determinate da compromissioni bilaterali dei gangli basali, del talamo e delle aree mediali dei lobi frontale e temporale dell’encefalo. I successivi studi di Hallett 25 relativi alle caratteristiche del cammino nei soggetti autistici lasciarono inoltre presagire l’esistenza di disordini funzionali anche a carico del cervelletto e del sistema extrapiramidale, reputati responsabili dell’irregolarità del passo, della ridotta motricità dell'anca e dei lunghi tempi di latenza nell’iniziare, modificare o interrompere la sequenza motoria in atto. L'ipotesi che anomalie cerebellari potessero assumere il ruolo di fattore eziologico rilevante nel determinare i disordini motori e comportamentali caratteristici del disturbo, fu successivamente avvalorata da studi di risonanza magnetica funzionale condotti da Allen e Courchesne nel 200328: attraverso i referti di neuroimaging i ricercatori riuscirono infatti a documentare nei soggetti autistici una riduzione complessiva delle dimensioni volumetriche del cervelletto, dovute in particolare ad una diminuzione di spessore della corteccia cerebellare, conseguente ad una perdita precoce di cellule di Purkinje, e ad ipoplasia dei lobuli emisferici VI e VII del neocerebellum, deputato al controllo delle funzioni attentive e responsabile del processamento degli aspetti temporali e spaziali del movimento. Infine, le conclusioni a cui giunsero le indagini di Esposito e Venuti negli anni seguenti consentirono di individuare l’esistenza di un sottogruppo di pazienti autistici interessati dalla compromissione del sistema di integrazione motoria a livello cerebellare30, recentemente confermata dal riscontro in questi soggetti di asimmetria posturale già in età precoce31. Importanti risultati furono inoltre raggiunti dai ricercatori francesi che, dedicandosi all’analisi del cammino nei soggetti autistici, oltre a sottolineare ancora una volta il ruolo preminente dei gangli basali e del sistema dopaminergico nel determinare la compromissione di alcuni essenziali parametri cinematici del movimento, diedero altresì rilievo alle difficoltà riscontrate in questi pazienti nella pianificazione e nel conseguimento di azioni finalizzate al raggiungimento di uno scopo, evidenziando quindi la presenza di peculiari deficit anche nelle capacità di elaborazione cognitiva e programmazione del movimento28. Successive ricerche si occuparono pertanto di indagare i probabili meccanismi disfunzionali alla base delle difficoltà di organizzazione ed esecuzione prassica nei soggetti autistici, con particolare riguardo per l’analisi delle strutture preposte al controllo dei processi di pianificazione e verifica dell’atto motorio, e si giunse quindi ad attestare attraverso indagini neuroradiologiche l’esistenza di connessioni neuronali bilaterali atipiche a carico delle aree frontali e parietali dell’encefalo29. Recenti studi hanno infine dimostrato la presenza nei soggetti autistici di anomalie strutturali delle fibre di connessione interemisferica del corpo calloso, che tenderebbero ad estendersi in maniera progressiva con il procedere dello sviluppo e a determinare un rallentamento generale dei processi di elaborazione e integrazione centrale delle informazioni provenienti dalle diverse aree cerebrali30, comprese quelle sensoriali e motorie: ciò sembrerebbe inoltre dimostrare l’esistenza di una stretta correlazione tra anomalie comportamentali e disturbi del movimento, che potrebbero appunto presentare basi eziopatogenetiche comuni.

I risultati a cui si è giunti nel corso del tempo sembrerebbero quindi preludere ad una possibile origine congenita del Disturbo dello Spettro Autistico, le cui cause sarebbero da individuare in anomalie neurologiche plurime e innate a carico del sistema nervoso centrale. Queste atipie di sviluppo tenderebbero a manifestarsi già in età precoce attraverso sintomi di ritardo e disorganizzazione motoria, spesso documentati come ricorrenti in un ampio numero di soggetti affetti da questa patologia. Includere pertanto i disordini e le atipie dello sviluppo motorio tra i criteri diagnostici fondamentali del Disturbo dello Spettro Autistico ed inserire l’esame della funzione motoria tra le procedure di valutazione standard per il riconoscimento precoce del rischio patologico, potrebbero rivelarsi strategie cliniche vincenti in campo preventivo e diagnostico-riabilitativo, allo scopo di contrastare l’aggravarsi del disturbo ed impedire l’instaurarsi di processi patologici e anomalie secondarie.


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