Orientamento e Mobilità autonoma nel bambino con grave deficit visivo. Analisi e correlazione con le funzioni psicomotorie Spazialità e Schema corporeo. Proposta e applicazione di un protocollo valutativo
- Cecità e ipovisione
- Orientamento e mobilità autonoma
- Le funzioni psicomotorie “schema corporeo” e “spazialità”: la loro centralità nell’orientamento e nella mobilità autonoma del bambino con grave deficit visivo
- Il Protocollo di valutazione
- Anamnesi
- Risultato applicazione protocollo per ogni bambino
- Mappe Hollman (item S13)
- Omini (item C21)
SOMMARIO
L’obiettivo di questo elaborato è di indagare la capacità di orientamento e mobilità autonoma del bambino affetto da disabilità visiva e di porla a confronto con le sue competenze in ambito di "schema corporeo" e "spazialità".
L’importante deficit visivo priva, infatti, il bambino di una consistente parte delle informazioni necessarie a percepire punti di riferimento, evitare ostacoli e rappresentare lo spazio attorno a lui. Il soggetto deve quindi affidarsi precocemente e progressivamente alle altre sensorialità per trarre informazioni dall’ambiente circostante, al suo corpo come riferimento fondamentale per orientarsi nello spazio, al bastone bianco quale ausilio per l'esplorazione dello spazio, ai processi neuropsicologici che consentono di tradurre l’esperienza sensomotoria in rappresentazione spaziale.
La prima parte di questo elaborato, derivante da un'analisi della letteratura, pone in luce gli aspetti chiave e la complessità che caratterizzano il percorso verso l'autonomia di spostamento ed orientamento del bambino cieco. La costruzione dello schema corporeo, inteso come percezione e rappresentazione del proprio corpo, e la costruzione di competenze spaziali si configurano come fattori centrali in questo processo.
Nella seconda parte dell' elaborato ci si propone di verificare se un maggiore livello di costruzione dello schema corporeo e di competenze spaziali sia correlato ad una migliore autonomia di spostamento ed orientamento.
I casi studiati sono sei bambini ciechi, di età compresa tra i sette e i dieci anni. I bambini non presentano altre disabilità oltre a quella visiva (scelta dettata dalla necessità di escludere altri fattori interferenti sullo sviluppo psicomotorio e di concentrarsi sulla deprivazione delle informazioni visive).
I bambini sono presi in carico dalla Fondazione Hollman di Padova, struttura che offre al bambino con grave deficit visivo e alla sua famiglia trattamenti ri/abilitativi collocati all’interno di un ambiente attento alla globalità del bambino ed in grado di facilitare l’espressione delle sue potenzialità.
Per effettuare le osservazioni è stato costruito un protocollo valutativo che testa il livello di sviluppo raggiunto dal bambino relativamente all' Orientamento e alla mobilità autonoma e alle Funzioni Psicomotorie "Spazialità" e "Schema Corporeo". Ognuna di queste aree comprende una serie di items, ai quali è stato attribuito un punteggio sulla base delle capacità dimostrate dal bambino. I punteggi finali, relativi alle diverse sezioni del protocollo, sono stati confrontati nel singolo caso e nei vari casi, tenendo conto delle diverse età, del differente grado di compromissione visiva, della storia anamnestica del bambino.
Ci si attende di rilevare una correlazione tra il livello di autonomia raggiunta dai bambini nell' orientamento e nella mobilità autonoma e le suddette funzioni psicomotorie (schema corporeo e spazialità). Ci si aspetta inoltre di individuare delle differenze sulla base della presenza/assenza di residuo visivo.
PARTE TEORICA
1. Cecità e ipovisione
1.1. Definizioni e principali aspetti
Il riferimento normativo attuale per la definizione legale delle minorazioni visive è la Legge n. 138, del 3 aprile 2001, che individua cinque classi di deficit visivo: ciechi totali, ciechi parziali, ipovedenti gravi, ipovedenti medio-gravi ed ipovedenti lievi.
Cecità totale:
- Coloro che sono colpiti da totale mancanza di vista in entrambi gli occhi
- Coloro che hanno la mera percezione dell’ombra e della luce o del moto della mano nell’occhio migliore
- Coloro che possiedono un residuo perimetrico binoculare inferiore al 3%.
Cecità parziale:
- Coloro che possiedono un residuo visivo non superiore a 1/20 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore anche con la migliore correzione
- Coloro che possiedono un residuo perimetrico binoculare inferiore al 10%.
Ipovisione grave:
- Coloro che possiedono un residuo visivo non superiore a 1/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore anche con la migliore correzione
- Coloro che possiedono un residuo perimetrico binoculare inferiore al 30%.
Ipovisione medio-grave:
- Coloro che possiedono un residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore anche con la migliore correzione
- Coloro che possiedono un residuo perimetrico binoculare inferiore al 50%.
Ipovisione lieve:
- Coloro che possiedono un residuo visivo non superiore a 3/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore anche con la migliore correzione
- Coloro che possiedono un residuo perimetrico binoculare inferiore al 60%1. Questa classificazione presenta l’indubbio pregio di considerare non solo lo stato della visione centrale, ma anche quello della visione periferica (il campo visivo).
La precedente legge (n. 382/70), invece, quantificava la menomazione visiva sulla base di un solo parametro (il visus o acuità visiva). Essa finiva per escludere gli ipovedenti dalla possibilità di ricevere le stesse provvidenze e facilitazioni fornite ai ciechi.
Come sottolinea Cannao (1999)2 tale impostazione presenta però il rischio di rafforzare due atteggiamenti opposti tra loro, riguardanti il soggetto ipovedente: da un lato la convinzione che non esistano differenze sostanziali tra ipovedenti e non-vedenti, ignorando quindi la presenza di un residuo visivo che può essere utilizzato dal soggetto; dall’altro la convinzione che il residuo visivo consenta al soggetto prestazioni assimilabili a quelle del vedente, alla quale fanno seguito richieste sproporzionate ed aspettative eccessive. La situazione “reale” del soggetto ipovedente è molto complessa e variabile da soggetto a soggetto, per cui la performance visiva di un soggetto ipovedente può discostarsi molto da quella di un ipovedente con la stessa diagnosi.
Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1980 ha suddiviso in cinque categorie i disabili visivi sulla base del visus e del campo visivo residui3.
Queste due classificazioni (quella prevista dalla Legge 138/01 e quella dell’OMS) hanno carattere quantitativo e non considerano i diversi fattori che contribuiscono in modo significativo al processo della visione e determinano la reale capacità visiva del soggetto.
Gargiulo (2005)4 individua come rilevanti nella valutazione clinica anche parametri quali: soglia di percezione luce, contrasto di luminanza, discriminazione cromatica, motricità oculare, capacità di fissazione, stabilità ed uniformità dell’immagine. Inoltre l’autrice pone in luce come intervengano anche fattori psicologici e cognitivi nel determinare la qualità della visione: processi quali l’interpretazione visiva e l’integrazione immaginativa degli stimoli. Sulla stessa linea di pensiero, Galati (1996)5 considera fattori quali età, stato di salute, educazione ricevuta, abitudini, strategie adattive (ecc.) altrettanto importanti nel definire la reale capacità visiva del soggetto; l’autore riporta inoltre gli studi dei ricercatori Combs e Williams che dimostrano come ansia, paura e stress abbiano effetti fisiologici negativi sulla visione, determinando una riduzione del campo visivo, dell’acuità visiva e della sensibilità ai contrasti cromatici.
La molteplicità dei fattori in gioco riflette la complessità della funzione visiva e soprattutto la difficoltà nell’individuare definizioni universali: “…ogni individuo vive la propria specifica condizione di ipovisione; anche se alla base vi possono essere minorazioni visive relativamente simili, i problemi funzionali che ne derivano possono variare ampiamente da soggetto a soggetto… Assumendo tale punto di vista si potrebbe ipotizzare una definizione che tenga conto sì della dimensione fisiologica della visione ma che valorizzi più di quanto non si faccia ora la dimensione soggettiva e le abilità cognitivo-comportamentali del soggetto” (Margach C.,1968)6.
E’ inoltre possibile fare una distinzione tra ciechi/ipovedenti congeniti (ovvero soggetti ciechi/ipovedenti dalla nascita o che lo sono diventati nella prima infanzia) e ciechi/ipovedenti acquisiti (ovvero soggetti che lo sono diventati in età successive): i profili evolutivi e adattivi di queste due categorie di soggetti presentano infatti molteplici diversità.
Per quanto riguarda l’ipovisione, appare significativa la seguente definizione di Dell’Osbel (1992)7: “..un sensibile decremento della capacità adattiva della visione, intesa come un processo cognitivo, riconducibile a lesioni anatomo - funzionali dell’apparato sensoriale periferico strutturalmente irreversibili; ... L’ipovisione sarà pertanto caratterizzata dalla scomparsa in varia misura di almeno una delle prestazioni significative della vita quotidiana ….”. L’autore pone cioè l’accento sull’aspetto adattivo della funzione visiva, nonché sulle ripercussioni a livello di autonomia personale, uscendo così dalla rigida classificazione quantitativa del danno organico che rischia di dipingere il soggetto in modo standardizzato.
L’ipovedente storicamente era considerato “non vedente”, tant’è che in ambito riabilitativo non si tentava nemmeno di intervenire sul residuo visivo al fine di massimizzarlo e rendere il soggetto in grado di utilizzarlo; lo si considerava “irrecuperabile”. Natalie Barraga, negli anni ’60, è stata una pioniera nella sperimentazione di tecniche di stimolazione e riabilitazione visiva (“early low vision training”). Ella partiva dal concetto che lo sviluppo della funzione visiva alla nascita non è completo e che lo sviluppo post-natale delle funzioni visive è influenzato da fattori esterni. Da ciò deriva la convinzione che anche un sistema visivo danneggiato necessita di essere adeguatamente stimolato, per consentire al soggetto lo sviluppo del massimo livello di competenza visiva possibile.
Alla luce delle precedenti considerazioni appare evidente la necessità, sia in sede di valutazione, che di educazione-riabilitazione, abbracciare una visione del soggetto che includa non solo la sua minorazione visiva e l’entità della stessa, ma anche le relative ripercussioni in tutti gli ambiti del suo funzionamento e le numerose variabili che costellano la situazione della singola persona.
1 Estratto dagli articoli 2, 3, 4, 5, 6 della Legge 138/01, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 21 aprile 2001, n. 93.
2 Cannao M. (1999), La mente con gli occhiali. Sviluppo, patologia e riabilitazione della funzione visiva nel bambino, Franco Angeli, Milano.
3 Coppa M., De Santis R. (1998), Il bambino ipovedente. Profilo Evolutivo e programmi educativi., Armando Editore, Roma.
4 Gargiulo M. L. (2005), Il bambino con deficit visivo. Comprenderlo per aiutarlo. Guida per genitori, educatori, riabilitatori, Franco Angeli, Milano.
5 Galati D. (1996), Vedere con la mente. Conoscenza, affettività, adattamento dei non vedenti, Franco Angeli, Milano.
6,7 Tratto da Galati D. (1996), Vedere con la mente. Conoscenza, affettività, adattamento dei non vedenti, Franco Angeli, Milano.
1.1 - Il sistema visivo: cenni di anatomia e fisiologia
L’apparato della vista è composto da organi pari e simmetrici situati, in massima parte, nella regione anteriore della testa: occhio e organi accessori (muscoli, sopracciglio, palpebre, congiuntiva e apparato lacrimale).
L’occhio o bulbo oculare, accolto nella cavità orbitaria, è costituito da due segmenti di sfera che si affrontano ed è rivestito da tre tonache: procedendo dall’esterno verso l’interno si trovano sclera (prima lente dell’occhio che anteriormente prosegue nella cornea), coroide (lamina vascolarizzata) e retina.
I due segmenti di sfera che compongono il bulbo hanno due raggi di curvatura diversi ed ospitano strutture diverse.
- il segmento anteriore contiene: cornea, camera anteriore, iride e pupilla, cristallino, corpo ciliare;
- il segmento posteriore contiene: corpo vitreo, retina, coroide, sclera, nervo
La camera anteriore dell’occhio separa la cornea dal cristallino e contiene l’umor acqueo, liquido che li nutre e che funge da mezzo refrattivo.
L’iride è un disco circolare situato posteriormente alla camera anteriore; è attraversata centralmente dal foro pupillare; si compone di connettivo, vasi e due strutture muscolari che determinano i fenomeni di miosi (restringimento pupillare) e midriasi (dilatazione pupillare). Nello strato più interno del suo epitelio contiene i pigmenti che conferiscono la tipica colorazione all’occhio. La pupilla regola la luce in entrata.
Il cristallino, localizzato posteriormente all’iride, è un altro degli elementi diottrici del bulbo oculare; esso consente l’accomodamento per la visione da vicino e la focalizzazione dei raggi luminosi sulla retina. Il muscolo ciliare è responsabile del processo di accomodamento del cristallino.
Il corpo vitreo occupa la camera posteriore. Esso, oltre ad una funzione strutturale, fa parte degli elementi diottrici dell’occhio.
La retina, disposta sulla superficie interna del globo oculare, è la tonaca più interna dell’occhio; ha natura nervosa. Può essere suddivisa in una parte anteriore o cieca (in quanto formata da cellule insensibili alla luce) ed una posteriore o ottica. In essa si individuano poi tre regioni: zona centrale contenente la macula e la fovea, per la visione nitida e diurna, ricca di coni; zona periferica per la visione crepuscolare – notturna, ricca di bastoncelli; papilla ottica, zona in cui convergono le fibre assoniche delle cellule gangliari che formano il nervo ottico. La retina si compone di dieci strati cellulari sovrapposti. Procedendo dall’esterno dell’occhio verso l’interno si trovano le seguenti cellule, disposte in serie: cellule epiteliali pigmentate, coni e bastoncelli, cellule multipolari o bipolari, cellule gangliari. A fungere da collegamento tra le cellule bipolari e gli strati sopra- e sottostanti, si trovano le cellule orizzontali, le cellule amacrine e quelle di Muller.
L’epitelio pigmentato della retina aderisce alla coroide, fa da schermo per la luce e contribuisce al rinnovo delle porzioni recettoriali (quelle contenenti i dischi).
Coni e bastoncelli sono i fotorecettori che ricevono per primi il segnale luminoso. Al loro interno è contenuto il pigmento visivo. Le cellule bipolari ricevono lo stimolo dai fotorecettori e lo inviano alle cellule gangliari; dagli assoni di queste ultime si originano le fibre del nervo ottico.
I collegamenti intercellulari in questi strati retinici non seguono sempre il rapporto 1:1. Nella fovea un singolo cono proietta a una singola cellula bipolare e questa a una singola cellula gangliare. Nella periferia, più fotorecettori convergono su più cellule bipolari, più cellule bipolari convergono su singole cellule gangliari. Questa organizzazione delle sinapsi assicura una più fine discriminazione dei dettagli a livello della fovea (punto di fissazione dello sguardo) e una visione più grossolana nella periferia.
La prima parte del processo della visione avviene proprio nella retina ed è chiamato foto-trasduzione: quando la luce giunge ai pigmenti dei fotorecettori, questi ultimi rilasciano dei neurotrasmettitori che stimolano le cellule bipolari e quindi le multipolari/gangliari. Queste ultime trasformano il segnale chimico in segnale elettrico, il quale percorre il nervo ottico. Le sue fibre si riuniscono in un fascio “compatto” fino al chiasma ottico: qui le fibre nervose provenienti dalla metà nasale di ciascuna retina si dirigono al corpo genicolato del lato opposto; le fibre provenienti dalla metà temporale di ciascuna retina proiettano al genicolato laterale dello stesso lato. Infatti, poiché le immagini retiniche sono capovolte dal cristallino, la luce proveniente dalla metà destra dell’ambiente si proietta sulle metà sinistre delle due retine e viceversa. Grazie alla decussazione che avviene a livello del chiasma, le informazioni provenienti dagli emicampi visivi di sinistra (per ognuno dei due occhi) verranno elaborate dall’emisfero destro, quelle provenienti dagli emicampi di destra lo saranno dall’emisfero sinistro.
Le fibre nervose arrivate al corpo genicolato laterale si aprono a ventaglio, disponendosi secondo un ordine topografico, ovvero le fibre del nervo ottico di una data regione della retina proiettano tutte a una certa parte del corpo genicolato e lo stesso accade per le fibre che uniscono il corpo genicolato e la corteccia. I corpi genicolati non esercitano profonde trasformazioni sull’informazione visiva. Le fibre in uscita dai sei strati formano un ampio “nastro”, chiamato radiazione ottica, diretta alla corteccia visiva primaria V1 (o area striata, o area 17 di Broadmann) la quale contiene 6 strati di cellule. In essa l’estensione della rappresentazione delle diverse parti della retina è in rapporto con la sua importanza funzionale, in particolare la fovea è rappresentata in modo maggiore del campo visivo periferico.
Quest’area analizza le singole caratteristiche dell’informazione visiva, prima che essa venga inviata alle aree associative. Le tre funzioni svolte dall’area V1 sono le seguenti:
- separazione delle informazioni concernenti il colore da quelle che riguardano le forme ed il movimento;
- decomposizione del mondo visivo in brevi segmenti con orientamento diverso, operazione necessaria per distinguere le forme ed il movimento;
- combinazione delle afferenze dei due occhi come primo passaggio di una serie di trasformazioni necessarie per la percezione della profondità.
Queste tre funzioni vengono rispettivamente svolte da gruppi di neuroni disposti in colonne: blob (“gocce”); colonne interblob o di orientamento; colonne di dominanza oculare. Ogni area V1 trasmette informazioni a diverse aree associative dello stesso emisfero e di quello opposto: V2, V3, V4, V5. Grazie alle aree associative è possibile la percezione della scena visibile nella sua globalità. Le connessioni tra l’area V1 e le aree associative avvengono in due direzioni principali: la via dorsale o parietale (dorsal- stream) e la via ventrale o temporale (ventral-stream), dette anche del “where” e del “what”, poiché la prima decodifica la posizione dell’oggetto nel campo visivo, mentre la seconda decodifica forma e caratteristiche intrinseche degli oggetti.
1.2 - La funzione visiva: definizione e sviluppo
La funzione visiva è l’insieme delle strutture e delle funzioni sensoriali, cognitive e oculomotorie che compongono il sistema occhio-cervello. La vista rappresenta quindi solo l’aspetto sensoriale della funzione visiva, che è un processo complesso, affidato non solo all’occhio, ma anche alla corteccia cerebrale e le sue innumerevoli funzioni: “vedere” è diverso da “guardare”.
La vista raccoglie circa l’85% delle informazioni provenienti dal mondo esterno e sin dalla nascita il bambino è programmato per cogliere stimoli visivi, sebbene la funzione visiva non sia ancora matura. Le vie visive ed i centri visivi vengono guidati nel loro sviluppo dal codice genetico, tuttavia l’esperienza visiva è fondamentale nel sostenere la maturazione del sistema visivo. I processi di maturazione biologica e l’apprendimento (ciò che il cervello ricava dagli stimoli sensoriali) sono cioè coesistenti e interdipendenti nel promuovere la maturazione delle competenze visive: “…si tratta di un processo a spirale, nel quale è sufficiente la compromissione di una componente, per disorganizzare lo sviluppo dell’intero sistema …” (Martinoli e Delpino, 2009)8.
I numerosi studi condotti sugli animali mediante deprivazione visiva post-nascita suggeriscono che vi è un periodo critico entro il quale, un input visivo gravemente ridotto o distorto provoca alterazioni funzionali e strutturali del sistema visivo, anche irreversibili. Le autrici sopra menzionate e Cannao (1999)9 riportano come “periodo critico” nel bambino quello dei primi 18 mesi di vita, una finestra di tempo durante la quale avvengono importanti cambiamenti e pertanto il sistema visivo presenta un maggiore grado di vulnerabilità. Tuttavia è ormai noto che il sistema nervoso centrale nell’infanzia possiede delle capacità “riparative”, ovvero la possibilità di riorganizzarsi strutturalmente e funzionalmente in risposta ad un danno o un evento critico, circoscrivendo così i limiti imposti dalla minorazione visiva. Questa caratteristica del sistema nervoso centrale è detta “plasticità”.
Lo sviluppo della funzione visiva si realizza nelle seguenti fasi principali (Barraga, 1977)10:
- 0-1 mese: presta attenzione alla luce; limitata capacità di fissazione.
- 1-2 mesi:segue oggetti e luci in movimento; presta attenzione a stimoli nuovi e complessi.
- 2-3 mesi: matura la capacità di convergenza, di fissazione e di focalizzazione. 3-4 mesi: movimenti oculari più lineari ed aumento dell'acuità visiva; osserva e manipola oggetti
- 4-5 mesi: sposta lo sguardo dagli oggetti alle parti del corpo; tenta di raggiungere e spostarsi verso gli oggetti; riconosce visi e oggetti familiari.
- 5-6 mesi: raggiunge e afferra gli oggetti.
- 6-7 mesi: movimenti oculari completi e coordinati; sposta lo sguardo da un oggetto all'altro.
- 7-8 mesi: manipola gli oggetti guardandoli.
- 9-10 mesi: ottima acuità visiva, imita le espressioni del viso. 11-18mesi: tutte le funzioni visive giungono a maturazione. 18- 24 mesi: appaia oggetti, imita azioni.
- 25-30 mesi: appaia colori e forme; esplora visivamente oggetti distanti.
- 31- 36 mesi: appaia forme geometriche; disegna rudimentali cerchi.
- 3-4 anni: buona percezione della profondità; discrimina molte forme.
8 Martinoli C., Delpino E. (2009), Manuale di riabilitazione visiva per ciechi e ipovedenti, FrancoAngeli, Milano.
9 Cannao M. (1999), La mente con gli occhiali. Sviluppo, patologia e riabilitazione della funzione visiva nel bambino, Franco Angeli, Milano-
10 Tratto da: Coppa M., De Santis R. (1998), Il bambino ipovedente. Profilo Evolutivo e programmi educativi., Armando Editore, Roma.
2. Orientamento e mobilità autonoma
2.1. Lo sviluppo di questa competenza in assenza della vista
Per orientamento e mobilità autonoma si intende “la capacità di spostarsi con una meta precisa da un luogo ad un altro”11: questa competenza poggia dunque sulla possibilità di spostarsi in modo autonomo, attraverso la deambulazione, e sulle abilità di orientamento spaziale. La funzione visiva è fondamentale in entrambi i casi.
La vista consente infatti di acquisire una stabilità posturale di capo e tronco: essa lavora sinergicamente al sistema vestibolare (organo dell’equilibrio che rileva accelerazioni lineari e angolari che si verificano a livello del capo) e quello propriocettivo (raccoglie informazioni circa la posizione ed il movimento dei vari segmenti corporei grazie agli appositi recettori localizzati nei muscoli e nelle articolazioni). Questo sistema integrato di informazioni permette al soggetto di padroneggiare posture diverse, passaggi posturali e schemi motori via via più complessi.
È stato osservato che molti bambini con problemi visivi tendono a mantenere rigidamente posture corporee e a “difendersi” di fronte a posture a loro poco familiari, per esempio quella prona. La postura supina è quella mantenuta più a lungo, poiché fornisce stimoli propriocettivi e tattili che fungono da rassicurazione e poiché riduce l’impegno antigravitario. La postura prona è mal tollerata invece, perché richiede un controllo del capo contro gravità ed il carico sugli arti superiori, che spesso sono disinvestiti dal bambino con grave deficit visivo.
Nei primi sei mesi di vita comunque il ritardo nelle acquisizioni di controllo del capo e della postura seduta può essere modesto; è nei successivi sei mesi che la deprivazione visiva riduce fortemente la motivazione al movimento e determina quindi ulteriori ritardi: la ridotta e frammentata possibilità di cogliere elementi della realtà esterna ostacola il bambino nell’ attivarsi per raggiungerli, nell’ esplorare l’ambiente, e prima ancora il suo corpo, e più in generale nell’ agire sulla realtà. La deprivazione visiva incide infatti profondamente anche sul versante cognitivo, in primo luogo rendendo più complessa la costruzione di una rappresentazione della realtà unitaria e continua, nonché la possibilità di riconoscere la permanenza degli oggetti e di ricercarli. Il mondo si presenta a loro mutevole. I comportamenti esplorativi sono infatti ridotti: sia quelli nello spazio prossimo al corpo che si realizzano attraverso movimenti finalizzati delle mani, sia quelli che si compiono su distanze maggiori, ovvero attraverso gli spostamenti pre-locomotori e la deambulazione.
I bambini gravemente ipovedenti o ciechi spesso “saltano” la tappa dello strisciamento e del gattonamento: entrambe sono modalità che impegnano gli arti superiori e li privano del loro ruolo di “sonda” dello spazio, e li costringono a procedere nello spazio orizzontale che si propone a loro come spazio “vuoto” e ricco di incognite.
Anche il passaggio dalla stazione eretta alla deambulazione autonoma può richiedere più tempo, rispetto al bambino vedente. Si tratta infatti di lasciare la sicurezza fornita dall’immobilità del proprio corpo e dall’immutabilità dello spazio occupato.
Il cammino viene raggiunto dal bambino con grave deficit visivo in media ai 18-19 mesi; in caso di cecità assoluta questa tappa può essere posticipata ai 36 mesi12.
La Fraiberg (1964) identifica nella condotta di ricerca di oggetti sonori un prerequisito fondamentale all’apparizione della deambulazione nei bambini con cecità congenita: “finchè il bambino non ha elaborato uno spazio esterno oggettivo, stabile e permanente, non può spostarsi da solo volontariamente, perché non ha nessun luogo dove andare” (Mazzeo, 1988)13 . Il bambino cieco “vive un vuoto sensoriale; intorno a lui accadono semplicemente delle cose, si sprigionano semplicemente suoni, emergono oggetti che accidentalmente vengono in contatto con il suo corpo e che, altrettanto misteriosamente, scompaiono” (Sellaroli, 1990)14. Così, la consapevolezza della costanza dell’oggetto si sviluppa tardivamente, rispetto al bambino vedente: quest’ultimo ricerca un oggetto scomparso dalla sua vista attorno agli 8-10 mesi; secondo gli studi di Rogers e Puchalski (1988)15 è tra i 20-22 mesi che il bambino non vedente ricerca un oggetto sonoro che ha potuto ascoltare.
Inoltre, come osservato da Millar (1994)16, nell’apprendimento motorio i feedback visivi giocano un ruolo importante: consentono di “ri-arrangiare” le azioni motorie sulla base del risultato ottenuto in termini di qualità ed efficacia, e quindi di automatizzarli. La mancanza di questi feedback comporta, come ulteriore difficoltà, una certa lentezza nell’automatizzazione dei pattern di movimento. Spesso persistono, per tale ragione, problemi nei movimenti più complessi, quali corsa e salti.
Non da ultimo, bisogna considerare le assenti o ridotte possibilità di imitazione del comportamento altrui per il bambino cieco o ipovedente, che limita le occasioni di apprendimento.
Riassumendo, come affermano Troster e Brambring (2004)17, la motricità del bambino cieco e/o ipovedente risente della deprivazione visiva sia in modo diretto, che indiretto. Gli effetti diretti riguardano il ruolo che il feedback visivo gioca nel controllare la postura e nel coordinare i movimenti verso uno scopo preciso. Gli effetti indiretti sono i seguenti:
- minori stimolazioni sociali iniziali, in relazione ai tempi necessari alle madri per interpretare correttamente le reazioni dei propri bambini;
- maggiore insicurezza nel comportamento esplorativo, dovuta sia alla difficoltà di localizzare eventuali ostacoli, sia all’impossibilità di ricevere sicurezza emotiva dalla madre tramite il semplice contatto visivo;
- ritardo nella costruzione del
“L’acquisizione di una competenza motoria richiede non solo il progressivo aumento della padronanza neuromuscolare, ma anche la capacità di trasformare le informazioni relative allo spazio percepito in una rappresentazione interna dei dati spaziali” (Cannao, 1999)18. Per orientamento spaziale non si intende infatti il semplice percorrere tragitti, se così fosse le funzioni senso-motorie sarebbero sufficienti. Esso necessita invece di una programmazione e di una rappresentazione dello spazio da percorrere, nonché la creazione e memorizzazione di mappe spaziali.
Il bambino vedente acquisisce la capacità di orientarsi nello spazio molto prima di quando raggiunge il cammino autonomo, poiché la funzione visiva gli consente di conoscere “istantaneamente” e memorizzare i rapporti spaziali dell’ambiente. Mentre viene portato in braccio ad esempio, o si trova sul passeggino, anche se non sa camminare, percepisce lo spazio che lo circonda ed elabora le prime mappe spaziali.
Brambring sostiene che vi è sempre un ritardo nello sviluppo dell’orientamento e della mobilità nel bambino con grave deficit visivo, e che questa competenza si sviluppa solo dopo il raggiungimento del cammino. Oltre ad essere una tappa successiva a quella del cammino, essa è anche molto complessa, poiché i dati sensoriali alternativi a quelli visivi sono più difficilmente sfruttabili per rappresentarsi lo spazio e le sue relazioni.
La vista è infatti il senso fondamentale che consente al soggetto di affrontare gli spazi che lo circondano, anche quelli sconosciuti, in autonomia; essa:
- anticipa al soggetto la presenza di ostacoli, protegge il corpo;
- anticipa e coglie la presenza dei punti di riferimento, utili per conoscere la posizione del proprio corpo rispetto a questi, e viceversa;
- coglie le relazioni spaziali tra gli oggetti in modo immediato, senza necessità di ricorrere a complesse inferenze cognitive;
- consente di immaginare e quindi programmare spostamenti nello spazio, senza necessariamente effettuarli;
- regola la direzione e la velocità di spostamento, sulla base dei dati spaziali
11 Brambring M. (2004), Lo sviluppo nei bambini non vedenti. Osservazione ed intervento precoce, FrancoAngeli, Milano.
12 Brambring M. (2004), Lo sviluppo nei bambini non vedenti. Osservazione ed intervento precoce, Francoangeli, Milano.
13 Mazzeo M. (1988), Il bambino cieco. Introduzione allo sviluppo cognitivo, Anicia, Roma.
14 Sellaroli V. (1990), Il primo anno di vita del bambino cieco, Armando Editore, Roma
15 Rogers S.J., Puchalski C.B. (1988), Development of object permanence in visually impaired infants, Journal of Visual Impairments and Blindness, p. 82, 137-142.
16 Tratto da: Celani B. (2005), Sviluppo cognitivo e senso motorio nel bambino con cecità congenita, www.bibciechi.it
17 Brambring M. (2004), Lo sviluppo nei bambini non vedenti. Osservazione ed intervento precoce, Francoangeli, Milano.
18 Cannao M. (1999), La mente con gli occhiali. Sviluppo, patologia e riabilitazione della funzione visiva nel bambino, FrancoAngeli, Milano.
2.2. I sensi vicarianti la vista
Romagnoli (1973)19 parlava di “parallelismo dei mondi sensoriali”, intendendo che non solo la vista, ma anche gli altri sensi portano informazioni e permettono la conoscenza della realtà; Lusseyran (1986)20 affermava che nessun senso è indispensabile, ma che qualunque senso, se usato nella sua pienezza, può prendere il posto di un altro.
La condizione indispensabile affinchè ciò si realizzi è l’attenzione, che trasforma la semplice raccolta sensoriale in elaborazione percettiva e quindi conoscenza, la stessa attenzione che trasforma un atto passivo in uno attivo ed intenzionale. Per questa ragione, quando si parla di “esplorazione mediata dal tatto”, non si fa riferimento al senso del tatto, da solo, ma alla “percezione aptica” (letteralmente “toccare con attenzione”), che presuppone l’elaborazione cosciente degli elementi percepiti.
Pierre Villey affermava: “il tatto è una forma di vista ridotta a zero e la vista è una forma di tatto a distanza”21. La vista infatti ha modalità sintetiche, simultanee ed istantanee, a differenza del tatto che ha carattere analitico e processuale. Attraverso la percezione aptica si raccolgono infatti informazioni relative solo allo spazio prossimo, essa non permette di percepire ciò che è distante dal soggetto. Essa consente inoltre di percepire piccole porzioni di spazio per volta, in sequenza: l’atto percettivo viene cioè suddiviso nel tempo e gli elementi formali, appresi consecutivamente, non possono comporre una vivida rappresentazione globale. Ciò che viene percepito inizialmente dalla mano è la volumetria dell’oggetto e non la forma, come sottolinea Ràvész (1950) 22, nell’individuare i dieci caratteri della percezione aptica.
Inoltre essa è più lenta ed imprecisa nel cogliere la forma degli oggetti, rispetto alla vista. Lo stesso autore sottolinea poi come la mano debba servirsi di operazioni di misurazione comparativa, per cogliere rapporti e distanze spaziali.
La percezione aptica si concentra poi sull’individuazione di schemi ai quali ascrivere la struttura dell’oggetto esplorato, viceversa Ràvész sottolinea la natura individualizzatrice della vista.
È necessario che il bambino con una grave minorazione visiva venga stimolato precocemente all’uso esplorativo e finalizzato delle mani, prima di tutto attraverso il “reach on sound”, ovvero il raggiungimento dell’oggetto mediante localizzazione sonora. In questo modo la coordinazione visuo-motoria sarà sostituita dalla coordinazione udito-mano. Parallelamente si dovrà elicitare lo sviluppo di competenze bimanuali via via più coordinate e adattive.
L’udito è il secondo canale di apprendimento del bambino cieco o ipovedente. Come la vista, esso permette di localizzare gli oggetti distanti, anche in modo simultaneo. Esso risulta fondamentale per il bambino non-vedente, perché gli rimanda l’esistenza di un ambiente, esterno a lui e al suo corpo, che esiste anche se egli non lo vede. È più difficile però, per il bambino non vedente, arrivare a comprendere la permanenza dell’oggetto, poiché è come se il mondo smettesse di esistere, quando non si fa sentire. L’udito fornisce informazioni utili circa la posizione dell’oggetto rispetto a sé e alla direzione in cui eventualmente si muove. Ci vuole comunque del tempo, affinchè il soggetto non-vedente impari a sfruttare l’udito per ricavare informazioni aggiuntive: le relazioni spaziali che intercorrono tra i diversi stimoli uditivi, le distanze tra essi, e persino le forme, le dimensioni e le strutture degli oggetti. Romagnoli (1973) scriveva: “…all’altezza della mia fronte la mia voce era riflessa da un ostacolo largo e non alogeno, ma preminente al centro. […] Compresi subito che quella era l’audizione di una forma circolare, di cui la curva era rilevata al mio udito dall’assenza di risonanze secondarie, quali provengono dai frastagliamenti alquanto pronunziati e dall’informe distendersi del suono involgente senza cambiamenti di direzione come avviene per diversità di facce in un corpo angolare...”23. Si trattava di un vaso posto sopra un tavolino che egli aveva percepito sulla base dell’eco prodotto dalla voce. Questa è una delle fini strategie che il cieco può mettere in atto per esplorare l’ambiente attorno a sé. È necessario però che il bambino, nel corso del suo sviluppo, venga sostenuto nello sviluppare questo tipo di abilità, anche perché la ricchezza di stimoli sensoriali percepiti simultaneamente spesso si traduce in “confusione sensoriale” e una ridotta attenzione verso lo stimolo d’interesse. Il soggetto deve cioè discriminare tra “suono” e “rumore”, tra “figura” e “sfondo”, fatto non semplice, soprattutto negli ambienti sociali molto inquinati dal punto di vista acustico. Così, a volte è sufficiente lasciare al bambino tempo e “silenzio”, perché egli possa ascoltare e sviluppare le sue strategie in modo spontaneo ed intuitivo. Vi sono alcuni effetti acustici che il non vedente può imparare a sfruttare:
- il suono riflesso (o eco) che giunge all’ascoltatore rimbalzando su un oggetto. Dal tipo di suono riflesso l’ascoltatore può dedurre la presenza di pareti, aperture, la distanza dell’oggetto riflettente, la forma dell’oggetto o dello spazio, il tipo di superficie riflettente che incontra (per esempio il suono dei propri passi o del bastone bianco sulla superficie che si sta percorrendo);
- l’ombra acustica, ovvero un’interruzione o una modificazione dell’onda sonora dovuta all’interposizione di un mezzo particolare tra l’ascoltatore e la fonte sonora. Il suono che ne deriva è attenuato e con frequenze più basse. Questo effetto si rivela fondamentale per rilevare ostacoli;
- il tracciato sonoro, nonché la traiettoria acustica di un oggetto in movimento. Essa fornisce informazioni circa il verso e la direzione del movimento dell’oggetto, anche rispetto alla propria direzione di spostamento (parallelo, ortogonale, convergente, divergente). Le implicazioni per l’autonomia del non vedente (per esempio negli spazi urbani in cui circolano veicoli) sono fondamentali.
Vari autori tra cui Hatwell (1986), Lederman e Klatzky (1988), Pick (1974) sostengono l’idea di una “specializzazione funzionale delle modalità”24: ogni modalità sensopercettiva ha un settore d’eccellenza nel quale è dominante, mentre “si trova in difficoltà” in altri ambiti. Galati (1996), sulla stessa linea di pensiero, parla di “adeguatezza ecologica”25 dell’informazione che è più accessibile ad un sistema sensoriale.
Accanto alla specializzazione funzionale delle modalità, Rialti (2008) però sostiene che “è comprovato che la minorazione della vista si accompagna, a livelli diversi, a una superiore abilità nelle altre modalità di percezione: tattile e uditiva. Ed è altrettanto interessante notare che le regioni che si attivano, a livello cerebrale, nello svolgimento di queste abilità sono le stesse che in un individuo vedente sarebbero preposte alla vista. Questo significa che un soggetto vedente e un soggetto minorato della vista giungono a sfruttare i medesimi circuiti cerebrali seppur percorrendo vie percettive ben diverse… studi portati a termine grazie all'ausilio della PET (tomografia ed emissione di positroni) dimostrano quanto, durante compiti di lettura Braille o di “processing” uditivo, il non vedente non attivi solamente le aree della corteccia preposte all'elaborazione delle informazioni tattili o uditive, ma anche il lobo occipitale, che in condizioni di normalità è esattamente l'area che si attiva durante i compiti di “processing” visivo. In sostanza è come se il cervello del non vedente sopperisse alla mancanza della vista ampliando i confini delle aree tattili e uditive, permettendo così di “vedere” letteralmente con le dita o con l'udito” 26.
Un' altra “galassia percettiva”, come la definisce Gargiulo (2005), è quella della propriocezione, “la percezione delle nostre modificazioni interne rispetto all’esterno”27. Si tratta di un insieme di informazioni sensoriali che permettono al corpo di riconoscere la sua posizione e quella delle sue parti, tra di loro e nello spazio, e così pure il loro movimento. Alla base della propriocezione vi è un complesso sistema sensoriale formato da recettori periferici, posizionati nelle articolazioni, nei muscoli, nei tendini, nella cute. E’ poi a livello corticale che avviene l’integrazione tra le informazioni propriocettive, vestibolari e visive, generando quello che Berthoz definisce “il senso del movimento”28.
Il sistema vestibolare è formato da utricolo, sacculo e canali semicircolari, tre strutture dell’orecchio interno che rilevano la posizione ed i movimenti della testa nello spazio. Esso consente il mantenimento del tono muscolare, il mantenimento della posizione corretta degli occhi durante i movimenti della testa e l’orientamento spaziale. Indubbiamente, quindi, le afferenze propriocettive e vestibolari rappresentano per il soggetto cieco o ipovedente una risorsa fondamentale per orientarsi, poiché gli consentono di definire la collocazione spaziale del suo corpo e delle sue parti, anche in assenza di riferimenti visivi. Grazie ai propriocettori, per esempio, il soggetto è in grado di percepire variazioni nell’inclinazione del terreno, che implicano un riaggiustamento posturale e motorio automatico e che forniscono parallelamente informazioni circa la struttura di quello spazio. Un ambiente può essere inoltre percepito e misurato per mezzo del movimento, a bracciate o a passi, utilizzando cioè il corpo o il movimento, come unità di misura. La memoria dei movimenti e degli spostamenti fatti (siano essi quelli di una parte del corpo o quelli dell’intero corpo) consente al soggetto cieco di ri- percorrere spazi in autonomia, pur in assenza di dati visivi che guidino la sua navigazione.
Vi sono poi altre sensazioni come la temperatura percepita sulla cute (il calore dei raggi solari sulla pelle, per esempio) e la sensazione dell’aria (senso anemestico) che per il cieco diventano preziose, soprattutto negli spostamenti all’esterno.
Anche l’olfatto, in ultima analisi, può contribuire ad aiutare il soggetto in fase di orientamento, sia in contesti familiari che nuovi. A differenza del soggetto vedente, per il quale le informazioni odorose sono per lo più “aggiuntive” a quelle visive, per il cieco possono fungere da “marcatori” di determinati contesti: l’esempio più semplice è quello degli odori dei cibi, che possono ad esempio indicare la vicinanza di una cucina.
19 Romagnoli A. (1973), Ragazzi ciechi, Armando Editore, Roma.
20 Lucerga Revuelta R. (1999), Palmo a palmo: la motricità fine e la condotta di adattamento agli oggetti nei bambini ciechi, Biblioteca italiana per ciechi, Monza.
21,22 Tratto da: Mazzeo M. (1998), Il bambino cieco. Introduzione allo sviluppo cognitivo, Anicia, Roma.
23 Lucerga Revuelta R., (1999), Palmo a palmo: la motricità fine e la condotta di adattamento agli oggetti nei bambini ciechi, Biblioteca italiana per ciechi, Monza.
24 Per approfondimenti si veda: Hatwell Y. (2004), I processi della percezione delle rappresentazioni aptiche. Implicazioni per la comprensione aptica delle opere d’arte da parte dei minorati della vista, www.bibciechi.it
25 Galati D. (1996), Vedere con la mente. Conoscenza, affettività, adattamento dei non vedenti, Franco Angeli, Milano.
26 Estratto da: Rialti E. (2009), Difficoltà e modalità di apprendimento nel soggetto non vedente. Conseguenze della deprivazione della via visiva sui processi cognitivi finalizzati all’apprendimento. Osservazioni e possibili interventi didattici, www.bibciechi.it
27 Gargiulo M. L. (2005), Il bambino con deficit visivo. Comprenderlo per aiutarlo. Guida per genitori, educatori, riabilitatori, FrancoAngeli, Milano.
28 Tratto da: Berthoz A.(1998) , Il senso del movimento, McGraw-Hill, Milano.
2.3. Il residuo visivo
Nei soggetti in cui è presente un residuo visivo l’interpretazione dei dati percepiti può essere molto complessa, poiché spesso non vi è solo una carenza quantitativa di informazioni visive disponibili, ma anche qualitativa. Il processo di conoscenza della realtà nel soggetto ipovedente si basa allora su una “visione per indizi”29: le informazioni visive ridotte e distorte che vengono percepite, poiché insufficienti, vengono confrontate con modelli rappresentativi della realtà che il soggetto si è precedentemente costituito, con rappresentazioni future, ovvero basate su aspettative, e sarà completato da processi cognitivi di inferenza e deduzione. Si tratta di un processo conoscitivo guidato dai concetti, poiché sono i modelli interni a guidare il soggetto nell’analisi e nella verifica dei dati percepiti, e non viceversa.
La vista, anche quando fortemente ridotta, conserva una dominanza percettiva rispetto alle altre sensorialità: in parte questo è dovuto a meccanismi innati, in parte ciò viene rinforzato dai comportamenti sociali. Le informazioni vengono veicolate tra le persone soprattutto attraverso immagini, poiché questa hanno i caratteri dell’immediatezza, dell’intuitività e sono molto efficaci nel suscitare emozioni.
Per il soggetto ipovedente, però, può essere molto complesso e lento elaborare ciò che guarda. Così, in ambito riabilitativo è opportuno guidare il soggetto nello sviluppo di una competenza percettiva intermodale: ovvero potenziare il residuo visivo e la possibilità di sfruttarlo in modo ottimale (per esempio insegnando al soggetto a prestare attenzione a porzioni di campo visivo conservate che non necessariamente coincidono con la zona centrale maculare della retina, ma possono essere porzioni periferiche a cui il soggetto normalmente pone minore attenzione), e sostenere parallelamente l’affinamento di altre competenze percettive. Ogni soggetto deve cioè essere messo nelle condizioni migliori per sviluppare la sua autonomia globale, considerando la funzionalità visiva un “mezzo” (uno dei vari mezzi) per conoscere la realtà, non il “fine” ultimo.
29 Gargiulo M. L. (2005), Il bambino con deficit visivo. Comprenderlo per aiutarlo. Guida per genitori, educatori, riabilitatori, FrancoAngeli, Milano.
2.4. Il bastone bianco
Il bastone bianco rappresenta l’ausilio principale per la mobilità autonoma del soggetto cieco e ipovedente. Esso non è solo un simbolo di indipendenza e autonomia, ma la rende possibile. Non tutti i soggetti comunque (ciechi o ipovedenti) decidono di utilizzarlo; alcuni si affidano all’accompagnatore vedente, al cane guida, a mappe e bussola tattili, ad ausili elettronici e ottici. Inoltre la scelta di un modello di bastone e la durata di utilizzo sono soggettivi.
Le sue funzioni si esplicano correttamente solo se esso presenta le caratteristiche giuste e viene usato correttamente. L’altezza del bastone deve essere adeguata alla statura della persona, ovvero, tenuto verticalmente, deve arrivare all’ascella della persona; il peso deve essere ridotto per non affaticare l’arto; il manico deve essere sufficientemente largo da accogliere tutte le dita, non deve procurare fastidi nell’oscillazione del polso, non deve essere realizzato con materiali termoconduttori (legno e gomma sono ottimali); la sua punta deve essere a calotta o lampadina (per evitare che si incastri in piccole buche) e sostituibile (poiché si consuma); il corpo del bastone deve essere rigido e non cedevole (sono da preferire bastoni a corpo unico o pieghevoli, ma con giunzioni solide); deve essere di colore bianco (sono auspicabili le applicazioni adesive catarifrangenti che lo rendono visibile al buio).
Il bastone assume la fondamentale funzione di protezione del soggetto attraverso due modalità: una passiva ed una attiva. Infatti oltre a segnalare agli altri la presenza di un soggetto cieco o ipovedente (soprattutto agli automobilisti), consente la percezione degli ostacoli. Gli stessi ostacoli possono però diventare dei punti di riferimento, nel momento in cui il soggetto riesce ad identificarli. In questo caso il bastone è utile per l’orientamento: l’attrito che si genera mentre la punta striscia sull’oggetto fornisce informazioni circa la “texture” dell’oggetto; l’eco prodotto dal battito del bastone sull’oggetto è indicativo della sua densità e può essere anche usato per effettuare misure spaziali di profondità, larghezza e altezza. Il bastone quindi svolge compiti sia affidati alla visione, che al tatto.
Il bastone deve cioè divenire un prolungamento del corpo del soggetto. Osserva Berthoz (1998): “il cervello è in grado di costruire un’estensione spazialmente corretta del corpo…” così “l’automobilista sente le ruote al suolo, ed è ben noto che i piloti sentono le ruote dell’aereo all’atterraggio come si trattasse dei loro piedi!”30. Lo strumento diviene cioè parte dello schema corporeo del soggetto e del suo spazio personale.
I limiti di questo ausilio sono i seguenti: esso non protegge il volto e la parte alta del corpo; non rileva gli ostacoli distanti dal corpo; il soggetto deve modulare la sua velocità di cammino ed essere concentrato per poter cogliere in modo attivo ostacoli e punti di riferimento; il bastone anticipa al soggetto la presenza di ostacoli, ma dipende da lui proteggersi.
Come precedentemente osservato, la funzione che il bastone bianco deve svolgere è “anticipatoria”, sostituendosi alla vista. Il bastone deve essere mosso davanti al corpo in modo “pendolare”, sincronicamente al passo, in modo tale che la sua punta tocchi la porzione di spazio davanti al piede, per poi spostarsi verso il lato opposto, descrivendo un arco che va da spalla a spalla. È importante che il bastone non venga sollevato troppo dal suolo nella parte centrale dell’arco, poiché questa trazione affatica il braccio. Questa tecnica è utile per spostarsi rapidamente.
Il bastone può anche strisciare continuamente a terra, rallentando l’andatura del soggetto, ma aumentando le possibilità esplorative. Per salire e scendere le scale, il bastone viene impugnato diversamente ed esso funge da “sonda”, che esplora i confini dei gradini prima che il piede vi si appoggi. Nelle esplorazioni di interni, il bastone può essere tenuto in diagonale davanti al corpo, per proteggerlo (situazioni in cui è garantita l’assenza di dislivelli nel suolo).
Nella tecnica di oscillazione pendolare la mano che lo impugna ha il dorso rivolto verso il ventre; le dita sono in basso; le dita che lo impugnano sono pollice, medio, anulare e mignolo, mentre l’indice è esteso lungo il manico; il polso è il fulcro dei movimenti oscillatori; la mano si trova sopra l’ ombelico e sotto lo sterno, poco distante dal corpo; il braccio è esteso lungo il corpo, l’avambraccio è flesso.
Ci sono pareri contrastanti su quando proporre il bastone ai bambini: dipende in realtà dai bisogni e dalle abilità di ogni singolo bambino. In età prescolare, molti bambini lo rifiutano e difficilmente lo usano con una tecnica precisa. In tale fascia di età, in ambito riabilitativo, è possibile quindi proporre al bambino esperienze di esplorazione dello spazio mediate da oggetti che fungono da pre-bastone. Questi oggetti possono essere giocattoli (come passeggini e carrettini) che il bambino fa avanzare nello spazio davanti a sé e gli anticipano la presenza di ostacoli e variazioni nel suolo. Vi sono anche appositi pre-bastoni, la cui struttura è più simile a quella del bastone, ma più semplice da impugnare e guidare (per esempio un manico a T, o un doppio appoggio a terra con due elementi verticali, o la punta con rotella).
Per il soggetto in età evolutiva può essere particolarmente difficile accettare questo ausilio, poiché vi è la radicata convinzione che esso determini la diversità rispetto ai coetanei. Anche in molte famiglie è presente una riluttanza nel sostenere il figlio all’uso del bastone, nel tentativo di nascondere la disabilità. Così, molti soggetti cadono in comportamenti di passività e dipendenza; si abituano ad essere accompagnati costantemente da qualcuno, per lo più familiari, tenendosi a loro con modalità che denotano altrettanto chiaramente la disabilità; si privano della possibilità di recarsi in determinati luoghi; si isolano; sviluppano sentimenti di vergogna e ridotta autostima. Questa situazione si accentua in fase adolescenziale, fase in cui le spinte verso l’autonomia rischiano di essere soffocate da stereotipi e senso di vergogna, legati all’uso del bastone bianco. Gargiulo (2005) pone ai suoi lettori il seguente quesito a riguardo: “secondo voi appare più connotata negativamente una persona che, con viso incerto, cammina e magari sbatte da qualche parte … o una persona con una espressione serena che cammina dritta e va per la sua strada col suo bastone bianco in mano?”31.
30 Berthoz A. (1998) , Il senso del movimento, McGraw-Hill, Milano.
31 Gargiulo M. L. (2005), Il bambino con deficit visivo. Comprenderlo per aiutarlo. Guida per genitori, educatori, riabilitatori, Franco Angeli, Milano.
3. Le funzioni psicomotorie “schema corporeo” e “spazialità”: la loro centralità nell’orientamento e nella mobilità autonoma del bambino con grave deficit visivo
3.1. Il concetto di schema corporeo secondo i diversi approcci
I primi studi riguardo alla rappresentazione psichica del corpo nascono dalla metà del XIX secolo nel campo della fisiologia e della neurologia. Queste discipline tentano di spiegare le modificazioni della percezione corporea, sulla base delle lesioni cerebrali riportate dai pazienti, individuandone così il substrato neurale. In questo ambito si sviluppano i primi concetti di schema corporeo.
Nel 1905 l’otologo francese Bonnier introduce per primo il termine di schema corporeo ed in particolare di “aschematia” per indicare l’alterazione della sua rappresentazione prodotta da un difetto vestibolare dell’orecchio. L’originalità del suo lavoro consiste nell’aver introdotto un criterio topologico nella nozione che il soggetto si crea del suo corpo: “grazie a questo schema, ci orientiamo oggettivamente nel mondo e soggettivamente sulla localizzazione delle diverse parti del nostro proprio corpo”32.
Pick (1908)33 riprende il criterio topologico, individuato da Bonnier, e ipotizza che le immagini mentali derivate da percezioni tattili, cinestesiche e soprattutto visive del proprio corpo, si integrino per dare vita all’immagine di un corpo staticamente rappresentato nello spazio.
Il neurologo Head (1920)34 specifica come gli impulsi provenienti dalla periferia (visivi, tattili, posturali..) vengano continuamente registrati a livello centrale, e quindi comparati, confrontati ed integrati a pregresse esperienze sensoriali. Essa costituiscono così un prototipo di riferimento inconsapevole che permette al soggetto di muoversi nello spazio e riconoscere le situazioni vissute. Questo modello conoscitivo inconscio – definito appunto schema corporeo – è in continuo divenire. Si aggiunge così, oltre alla dimensione spaziale, anche la dimensione temporale.
In ambito psicologico invece gli studiosi si concentrano sul valore delle esperienze vissute attraverso il corpo e su come queste contribuiscano a determinare non solo una conoscenza di sé e del proprio corpo, ma soprattutto determinino la costituzione della psiche del soggetto. Così, gli psicoanalisti, a partire da S. Freud, identificano lo schema corporeo con l’Io corporeo, entità corporea derivata da sensazioni provenienti dalle varie parti del corpo e primo organizzatore attorno al quale si sviluppa l’Io psichico del soggetto.
Un grande contributo rispetto alla definizione di schema corporeo lo si deve però a Schilder (1886-1940), psichiatra e psicanalista viennese, che tenta di fondere le concezioni neurologiche di schema corporeo con quelle di matrice psicologica, superando il dualismo soma-psiche. Egli concepisce lo schema corporeo come “l’immagine spaziale tridimensionale che ognuno di noi ha di sé e cioè il modo in cui il corpo appare a noi stessi: possiamo anche definirlo immagine corporea. Noi riceviamo delle sensazioni, vediamo parti della superficie del nostro corpo, abbiamo sensazioni termiche, dolorose, sensazioni indicanti le deformazioni del muscolo provenienti dalla muscolatura stessa e dalle guaine muscolari e sensazioni di origine viscerale”35. La novità della definizione schilderiana è data dal fatto che lo schema corporeo non è qui proposto solo come immagine spaziale, ma un costrutto più complesso che contiene variabili affettive, sociali ed emotive individuali. In continuità con il modello posturale di Head, Schilder sottolinea l’importanza della percezione ordinata e unitaria del proprio corpo, nella possibilità di estendere questo schema al mondo circostante: dapprima il bambino si percepisce come un asse, successivamente egli arriva a percepirsi come corpo tridimensionale, dotato di volume e contorni definiti. L’immagine corporea non coincide solo con le impressioni derivate dalle esperienze sensomotorie e nemmeno può essere semplicemente considerata una riproduzione fedele della struttura corporea. Alla strutturazione dell’immagine corporea concorrono anche esperienze affettivo-relazionali ed in particolare quelle vissute con la madre nel primo periodo di vita. In quest’ultimo aspetto si manifesta l’influsso della corrente psicanalitica, che conferisce al concetto di immagine corporea la caratteristica della dinamicità, nonché la sua continua strutturazione-destrutturazione-ristrutturazione nel corso della vita. L’immagine corporea ha dunque una doppia origine, pecettivo-motoria e libidinale-affettiva.
32,33 Tratto da: Dalla Ragione L., Mencarelli S. (2012), L'inganno dello specchio. Immagine corporea e disturbi del comportamento, FrancoAngeli, Milano.
34 Tratto da: Dalla Ragione L., Mencarelli S. (2012), L'inganno dello specchio. Immagine corporea e disturbi del comportamento, FrancoAngeli, Milano.
35 Schilder P. (1986), Immagine di sé e schema corporeo, FrancoAngeli, Milano.
3.2. Lo sviluppo dello schema corporeo nel bambino vedente
Julian de Ajuriaguerra (1911-1993), neuropsichiatra e psicanalista, sulla scia delle teorie di Schilder e Wallon definisce lo schema corporeo come “rappresentazione costante del corpo, più o meno chiara, fermo in una posizione spaziale o in movimento… Lo schema corporeo non è una nozione, ma una pratica che si evolve mediante l’esplorazione e l’imitazione”36. L’autore concepisce lo sviluppo dello schema corporeo in tre fasi, che ricalcano lo sviluppo psicomotorio del bambino: fase del corpo vissuto (periodo senso- motorio), fase del corpo percepito (periodo pre-operatorio) e fase del corpo rappresentato (periodo operatorio). A queste tre fasi, J. Le Boulch ne aggiunge una quarta, quella del corpo subito.
Fase del corpo subito (0-3 mesi): il bambino riceve una grande quantità di stimoli sensoriali che giungono ai suoi sensi, ma che trovano la sua corteccia cerebrale impreparata ad elaborarli. Il bambino non si percepisce ancora come un tutt’uno, ma riceve sensazioni frammentate di sé.
Fase del corpo vissuto (3 mesi-2 anni): inizia con la scomparsa dei riflessi arcaici e la comparsa della motricità volontaria che permettono al bambino di differenziarsi. Il suo corpo diventa strumento di esplorazione, grazie all’acquisizione di diverse posture e della deambulazione. Alla fine di questo periodo e all’inizio del successivo il bambino comincia a nominare le principali parti del corpo (testa, braccia, gambe, pancia, occhi, naso, bocca, capelli, orecchie), ad essere consapevole delle diverse posture assunte, a rappresentare graficamente un abbozzo di figura umana (“omino cefalopode”), comincia ad usare consapevolmente l’espressività facciale.
Fase del corpo percepito (3 anni-6 anni): compaiono le manifestazioni di un’identità maggiormente strutturata, ovvero il “No”, il “Mio”, l’ ”Io”. Il bambino prende infatti coscienza di sé attraverso una rappresentazione mentale del proprio corpo, ovvero egli integra l’immagine visiva del corpo, con le sensazioni tattili e cinestesiche corrispondenti, che raggiungono il livello di coscienza.
In questa fase il soggetto sa indicare le parti del suo corpo e porle in relazione ai concetti spaziali davanti/dietro, aperto/chiuso, vicino/lontano, sopra/sotto, destra/sinistra. Tutto viene però ancora messo in relazione rispetto al proprio corpo, lo spazio circostante è organizzato ancora in modo egocentrico. Così, accanto all’organizzazione dello schema corporeo, emerge anche un’organizzazione spazio- temporale che si esprime nella capacità di percepire forme, dimensioni, distanza, strutture ritmiche, durata temporale.
Alla fine di questo periodo, e all’inizio del successivo, il bambino è in grado di prendere consapevolezza circa la posizione dei diversi segmenti corporei nello spazio, della lateralità (intesa non solo come consapevolezza dei due emisomi, ma anche di una parte anteriore e posteriore del proprio corpo), di riconoscere la propria orientazione spaziale, di rappresentare graficamente il corpo nella sua interezza (cominciano ad essere rappresentate alcune articolazioni), di cominciare ad utilizzare intenzionalmente l’espressività di tutto il corpo e non più solo quella mimica, di proiettare la propria destra-sinistra sull’altro.
Fase del corpo rappresentato (7 anni-12 anni): lo schema corporeo si struttura completamente e vi è il perfetto controllo di tutte le parti del corpo. La percezione del proprio corpo è di tipo tridimensionale: alla lunghezza e all’altezza, si aggiunge la profondità. La rappresentazione del proprio corpo è dinamica, ovvero il bambino riesce a rappresentare il suo corpo in movimento, completo di ogni sua parte. L’azione ora può essere rappresentata graficamente e verbalmente, non è necessario sperimentarla concretamente. L’espressività corporea è consolidata ed utilizzata in modo finalizzato.
36 Estratto da: Dalla Ragione L., Mencarelli S., L'inganno dello specchio. Immagine corporea e disturbi del comportamento, FrancoAngeli, Milano, 2012.
3.3. Schema corporeo nel bambino con grave deficit visivo
Riguardo alla strutturazione dello schema corporeo nel bambino non vedente è famoso lo studio di Stockert37 (1958), il quale chiedeva ai bambini ciechi di rappresentare, con della creta, la figura umana. Dallo studio emergeva che i segmenti corporei venivano riprodotti in modo sufficientemente adesivo al reale, ma con deficit di proporzioni: i volti e le loro parti erano gli elementi più sproporzionati (le bocche molto grandi, gli occhi piccoli, le orecchie localizzate arbitrariamente). Alcuni elementi erano asimmetrici rispetto alla linea mediana del corpo. L’autore attribuisce tale effetto al fatto che il bambino cieco conosce le parti del suo corpo, non attraverso la via visiva, ma attraverso l’impegno funzionale di esso. Secondo lo stesso autore, lo schema corporeo dei non vedenti è quindi disorganico, i diversi elementi che lo compongono non si integrano in un’ unità.
In uno studio simile, Kinsbourne e Lempert38 (1980) confrontano le performance dei bambini ciechi dalla nascita con quelle di bambini vedenti, nel modellare la figura umana con la plastilina: i bambini ciechi dalla nascita si dimostrano meno accurati nella presenza di parti del corpo rappresentate e nella loro localizzazione. Inoltre le parti mobili, quali braccia e collo, vengono da loro rappresentati sovra-dimensionati rispetto ad elementi più statici, quali ad esempio, il tronco. Gli autori ne deducono che i bambini ciechi dalla nascita interiorizzano una rappresentazione del corpo, distorta e impoverita rispetto a quella dei coetanei vedenti. Inoltre gli stessi autori sostengono che l’informazione tattile-cinestesica non può compensare pienamente l’esperienza visiva nella formazione della rappresentazione del corpo.
Secondo gli autori Poek e Orgass39, lo schema corporeo dipende fortemente da dall’apprendimento e dalle esperienze; gli stessi evidenziano che i bambini ciechi sviluppano un’adeguata conoscenza del loro corpo circa alla stessa età dei bambini vedenti. Gli autori inoltre rilevano come in età adulta, i soggetti ciechi effettuino un miglioramento nella consapevolezza e nella conoscenza del corpo.
Un altro studio condotto dagli studiosi Carter e Dodds (1984)40 rivela come i soggetti ciechi dalla nascita siano in grado di riprodurre un movimento del corpo con un minore livello di accuratezza, rispetto ai soggetti vedenti che hanno potuto invece osservarlo. In particolare la maggiore difficoltà riportata dai ciechi consisteva nell’orientazione del movimento nello spazio. Gli autori argomentano che gli indici visivi forniscono un sistema di riferimento grazie al quale il soggetto può organizzare il suo movimento nello spazio.
Si riportano anche le osservazioni di un’indagine empirica osservativa41 condotta nell’anno 2011-2012, su 17 bambini che frequentano la Fondazione Hollman di Padova. La capacità “localizzazione stimoli tattili sul corpo” appare adeguata in tutti i soggetti, ovvero non ci sono zone del corpo meno percepite di altre; nei bambini ciechi totali, di età inferiore ai sei anni, si rilevano difficoltà rispetto ai bambini ipovedenti e ai bambini ciechi (con percezione luce) nel riprodurre posture sperimentate; i dati si invertono sopra i sei anni di età; i bambini ciechi totali riportano difficoltà nell’imitare posture che hanno conosciuto attraverso l’esplorazione tattile di un modello.
Gli studi presenti in letteratura non consentono di tracciare l’evoluzione di questa funzione psicomotoria, quale è lo schema corporeo, nel bambino cieco o ipovedente. Essi analizzano infatti competenze che rappresentano solo una parte del complesso concetto di “schema corporeo”; si soffermano, per esempio, solo sulla capacità di rappresentare la figura umana, oppure sulla capacità di riprodurre movimenti e posture sperimentate, che non possono essere considerati unici criteri nella valutazione del livello di costruzione dello schema corporeo nel bambino.
Una più recente definizione di schema corporeo è quella di Ambrosini e Wille (2010): “è la percezione e la rappresentazione del corpo che consente di usarlo in modo appropriato per i diversi compiti cui è sollecitato. E’ la consapevolezza del corpo là e in un preciso istante, nella risposta adattiva”42. Questa definizione quindi non esaurisce il significato di schema corporeo in una descrizione/rappresentazione delle sue parti, ma lo estende all’uso del corpo e alla consapevolezza di esso, di come poterlo padroneggiare e sfruttare in modo più efficace ed economico possibile nelle azioni quotidiane, nell’espressività e nell’orientamento.
È in quest’ultimo punto - orientamento - che si rinviene la centralità di questa funzione psicomotoria nello sviluppo dell’autonomia di spostamento del bambino con grave deficit visivo. In assenza della funzione visiva il bambino deve acquisire una corretta padronanza nell’uso del suo corpo come strumento per raccogliere i dati sensoriali del mondo esterno e per definire la propria posizione nello spazio in ogni momento.
La costruzione dello schema corporeo è infatti in relazione con la costruzione delle conoscenze spaziali. Il corpo è il primo sistema di riferimento che si definisce nel soggetto. Gli organi sensoriali sono situati nella posizione anteriore del corpo, la vita di relazione del soggetto si svolge nello spazio anteriore rispetto al corpo, la direzione privilegiata dei movimenti e degli spostamenti è in avanti. L’anteriorità si configura come primo riferimento per orientarsi e spostarsi nello spazio; attorno ad essa si sviluppano gli altri riferimenti (posteriorità, lateralità, alto/basso). La percezione degli emisomi destro e sinistro definisce ulteriormente lo spazio attorno al bambino. “La struttura eretta del corpo fornisce l’idea di verticalità, e l’apertura delle braccia a croce quella di orizzontalità, concetti questi indispensabili per la collocazione spaziale degli oggetti” (S. Fraiberg, 1989)43.
37 Tratto da: Russo R. C., Diagnosi e terapia psicomotoria, Ambrosiana, Milano, 2000.
38,39 Per approfondimenti si veda: Berm dez J. L., Marcel A. J., Eilan N. (2001), The body and the self, The Mit Press, Cambridge.
40 Dodds A. G., Carter D. C. (1983), Memory for Movement in Blind Children. The Role of Previous Visual Experience, Journal of Motor Behavior , Volume 15, Issue 4, pag. 343-352.
41 Berto G., Gui A. (2011), L’integrazione tra funzione visiva e funzione motoria: il ruolo della vista nel controllo posturale e nel cammino.
42 Wille A. M., Ambrosini C. (2010), Manuale di terapia psicomotoria dell’età evolutiva, Cuzzolin, Napoli.
43 Tratto da: Mazzeo M. (1998), Il bambino cieco. Introduzione allo sviluppo cognitivo, Anicia, Roma.
3.4. Spazialità: definizione e sviluppo nel bambino vedente
Lo spazio può essere teoricamente distinto in spazio dell’azione e spazio della rappresentazione.
Lo spazio dell’azione deriva dalle proiezioni del corpo verso l’esterno e si articola in spazio personale, extrapersonale e lontano (Grusser, 1991)44. Lo spazio personale è lo spazio di cattura, cioè degli atti volti all’afferramento dell’oggetto; è localizzato entro i confini del corpo, tuttavia può estendersi ad oggetti che prolungano il corpo (trampoli, pattini, bastone bianco…).
Un’altra classificazione organizza lo spazio sulla base dei rapporti tra i punti che lo compongono: topologico, proiettivo ed euclideo. Il primo è definito da rapporti spaziali di unione, disgiunzione, ordine, continuità, interno, esterno, forato, non forato, avvolgimento; il secondo da rapporti quali davanti, dietro, destra, sinistra, sopra, sotto, tra; il terzo include alto, basso, grande, piccolo, lungo, corto …
La natura operativa e attiva dello spazio non consente di separare “spazio d’azione” da “spazio rappresentato”, poiché la rappresentazione dello spazio è possibile solo in virtù delle azioni che in esso si realizzano.
Piaget considera la rappresentazione dello spazio come una costruzione progressiva che evolve in questo modo: fin dai primi mesi di vita il bambino si costruisce uno spazio sensomotorio, legato alla percezione e alla motricità, che non viene però rappresentato mentalmente fino ai due anni, età in cui la funzione simbolica lo consente.
Nei primi quattro mesi di vita manca la coordinazione tra i diversi spazi sensoriali: poiché non c'è coordinazione tra la visione e la prensione, lo spazio visivo e lo spazio tattilo-cinestesico non sono legati tra loro. I rapporti spaziali che possono essere sperimentati sono quelli topologici elementari di vicinanza, separazione, ordine, inclusione, continuità.
Nel periodo successivo tra i 4 mesi e i 12 mesi compare la coordinazione oculo-motoria: la vista guida i movimenti, la manipolazione degli oggetti permette l'analisi delle forme. Caratteristiche di questo periodo sono le acquisizioni relative alla forma e alla dimensione degli oggetti: il bambino giunge cioè alla costanza percettiva delle forme e delle grandezze, nonché alla permanenza dell’oggetto. Questo non può accadere prima dei quattro mesi, perché il bambino non è in grado di cogliere oggetti “stabili”. Si delinea così la percezione di rapporti proiettivi ed euclidei.
Dall'inizio del secondo anno l'attività senso-motoria si arricchisce di condotte di ricerca e compare la funzione simbolica. Ora lo spazio, da puramente percettivo, diventa rappresentativo. Lo spazio rappresentato si sviluppa nello stesso ordine: dai 2 ai 6 anni lo spazio topologico, dai 7 ai 12 anni lo spazio proiettivo ed euclideo.
Lo spazio non può essere separato dai sistemi di riferimento. Il primo a svilupparsi è il corpo, che definisce quindi un sistema egocentrico in cui il soggetto si rappresenta sempre al centro dello spazio; quando i riferimenti sono esterni al corpo si parla di sistemi allocentrici. La possibilità di saper utilizzare un sistema di riferimento allocentrico, prerogativa dei primati e dell’uomo, consente di manipolare mentalmente relazioni spaziali tra oggetti senza dover riferire la loro posizione rispetto al proprio corpo. L’utilizzo di un sistema allocentrico consente poi di simulare internamente gli spostamenti.
I bambini usano principalmente il sistema di riferimento egocentrico, ma attorno ai sette anni diventano in grado di utilizzare anche sistemi allocentrici (Nardini et al, 2006)45.
Le competenze spaziali che il soggetto acquisisce nel tempo consistono quindi nel saper discriminare, riconoscere e riprodurre le forme dello spazio, effettuare misurazioni e soprattutto orientarsi.
L’orientamento è una funzione adattiva, comune a tutte le specie, che consente di spostarsi da un punto ad un altro, senza che tra essi vi sia un allineamento: a questa competenza concorrono quindi una corretta capacità percettiva della realtà sensoriale, la capacità di rappresentarsi lo spazio sottoforma di “mappe” e di saperle utilizzare.
Nella navigazione è possibile procedere secondo una prospettiva definita “route”, oppure secondo una prospettiva definita “survey” (Siegel e White, 1975; Tversky, 1991)46. La prima consiste in una “navigazione a vista”, un tipo di apprendimento e rappresentazione dell’ambiente che deriva dallo spostamento e sull’informazione visiva direttamente accessibile al soggetto, in modo da ottenere sequenze di punti di riferimento. La seconda consiste in una visione dell’ambiente dall’alto, preservando l’informazione relativa alla posizione degli oggetti, le forme e le distanze euclidee tra i posti, utilizzando un sistema di riferimento allocentrico. Nel primo caso si assiste ad una memoria di tipo procedurale, nel secondo visuo-spaziale.
La vista non è comunque l’unico senso coinvolto nella memorizzazione di tragitti: Berthoz (1998) descrive la capacità di memorizzare un breve tragitto, percorso in assenza di riferimenti visivi, basandosi sulla memoria muscolare del movimento. Egli attribuisce un ruolo importante anche alla memoria vestibolare del movimento.
La rappresentazione mentale dello spazio origina quindi da processi percettivi di natura multisensoriale, anche se le informazioni visive sono quelle dominanti.
44 Berthoz A.(1998) , Il senso del movimento, McGraw-Hill, Milano.
3.5. Il bambino cieco e le competenze spaziali
I limiti posti dalla minorazione visiva allo sviluppo del concetto di spazio sono dovuti ad una doppia difficoltà: nel percepirlo e nell’agirlo. Da ciò deriva inevitabilmente una faticosa rappresentazione di esso.
Innanzitutto è stato osservato che i ciechi tardivi (anche i casi in cui la cecità è sopraggiunta dopo soli tre anni di vita) presentano minori ritardi nello sviluppo di competenze spaziali rispetto a ciechi totali. Questo fatto è stato attribuito all’importanza che hanno nei primi anni di vita la afferenze visive nell’integrarsi alle altre informazioni sensoriali e costituire rappresentazioni percettive spaziali multimodali, meglio articolate di quelle di cui dispongono i ciechi dalla nascita.
Inoltre Hatwell (1966) e Fraiberg (1989) concordano nell’affermare che la deprivazione visiva precoce comporta dei ritardi di acquisizione, i quali generalmente si appianano nel tempo, a condizione che non vi siano disabilità concomitanti e che sia presente un ambiente che solleciti uno sviluppo armonico nel bambino.
Le competenze spaziali in cui il bambino cieco rileva maggiori difficoltà sono le seguenti:
- percezione delle proprietà spaziali degli oggetti, in particolare forma, grandezza e localizzazione (le difficoltà diminuiscono nella percezione di forme familiari). Un esperimento condotto nel 1985 da diversi studiosi (Lederman, Klatsky, Barber)47 chiedeva ai soggetti (ciechi dalla nascita, ciechi tardivi, vedenti bendati) di valutare la distanza euclidea tra due punti, dopo aver percorso col dito un tragitto “tortuoso” che univa i due punti. I ciechi dalla nascita mostravano maggiori difficoltà nello stimare la corretta distanza. Ciò indica che l’esplorazione aptica si concentra sul movimento, più che sull’inferire distanze, e che una precedente esperienza visiva sia d’aiuto in questo processo;
- localizzazione e orientamento spaziale, poiché l’utilizzo di dati tattilo-cinestesici costringe il soggetto a mantenere come riferimento il suo corpo, sia nell’atto di conoscere la struttura di un ambiente nuovo, sia nell’atto di memorizzare un percorso effettuato. Questo sistema di riferimento egocentrico viene mantenuto più a lungo nel bambino non vedente (oltre gli 8 anni) e l’elaborazione di mappe allocentriche richiede al cieco un processo di astrazione cognitiva importante;
- operazioni riguardanti lo spostamento (fisico o mentale) di oggetti e le sue conseguenze. Queste operazioni rimangono, nel cieco, difficili fino ai 10-11 anni (Hatwell, 1966)48 . Successivi studi dimostrano che le rotazioni mentali degli oggetti, soprattutto quelle di 180°, richiedono tempi maggiori di elaborazione, nel momento in cui il soggetto dispone di immagini aptiche e non visive (Marmor e Zabak, 1976; Carpenter e Eisenberg, 1978)49;
- operazioni logiche di classificazione e seriazione basate sulla manipolazione degli oggetti (ritardo da 1 a 3 anni nei ciechi dalla nascita rispetto ai vedenti; Hatwell,1966), diversamente rispetto alle operazioni logiche fondate sul sistema linguistico, in cui dimostrano competenze analoghe ai vedenti.
45,46 Tratto da: Palmiero M. (2011), La cognizione spaziale: uno sguardo alla rappresentazione dello spazio e delle modalità di navigazione, Giornale Italiano di Ortottica 4, pag. 41-48.
47 Tratto da: Galati D. (1996), Vedere con la mente. Conoscenza, affettività, adattamento dei non vedenti, FrancoAngeli, Milano.
48 Tratto da: Mazzeo M. (1998), Il bambino cieco. Introduzione allo sviluppo cognitivo, Anicia, Roma.
49 Galati D. (1996), Vedere con la mente. Conoscenza, affettività, adattamento dei non vedenti, FrancoAngeli, Milano.
PARTE PRATICA
4. Materiali e metodi
4.1. Introduzione
La letteratura esaminata consente di attribuire un ruolo centrale alle funzioni psicomotorie "schema corporeo" e "spazialità" nella costruzione dell'autonomia di spostamento e orientamento del bambino cieco. Sebbene lo sviluppo di tali funzioni si realizzi con dei ritardi (più marcati inizialmente nel soggetto cieco dalla nascita) in esse è racchiusa la possibilità di percepire la posizione ed il movimento del corpo nello spazio, utilizzandolo come fonte di informazioni privilegiate e primo riferimento spaziale: le esperienze senso-motorie che il bambino cieco vive attraverso il corpo si organizzano, generano memorie e conoscenze che ampliano gradualmente la possibilità per il bambino di muoversi nella realtà fisica. La rilevazione delle caratteristiche dello spazio attraverso i sensi vicarianti la vista, la comprensione e la memorizzazione delle relazioni che intercorrono tra diversi punti dello spazio concorrono in modo altrettanto fondamentale alla generazione di mappe mentali spaziali, essenziali nella funzione di orientamento.
Alla luce di quanto appena osservato, nella seguente sezione dell'elaborato si procederà ad analizzare la correlazione tra le suddette funzioni psicomotorie e l'autonomia di orientamento e mobilità, per mezzo di un' indagine empirica. Tale ricerca prevede l'analisi di sei casi a cui viene proposto un protocollo di valutazione delle suddette competenze.
4.2. I casi
I casi selezionati sono sei bambini, di età compresa tra i 7 e i 10 anni, con grave deficit visivo, che frequentano la Fondazione Hollman di Padova. I bambini, oltre alla disabilità visiva, non presentano problematiche neuromotorie, né cognitivo-relazionali. Il motivo di tale scelta consiste nella necessità di concentrarsi sugli effetti della patologia visiva.
I nomi dei bambini sono stati sostituiti (per garantire la privacy) da sigle che riportano informazioni circa la disabilità visiva e l’età. Il gruppo di bambini è composto da due bambine cieche totali dalla nascita e quattro bambini che hanno perso la vista progressivamente e che conservano un minimo residuo visivo (pur appartenendo alla categoria “ciechi”).
Nome | Età | Sesso | Diagnosi | Residuo visivo |
---|---|---|---|---|
CN1 | 7 anni | F | Cecità Totale dalla nascita | / |
CN2 | 7 anni | F | Cecità Totale dalla nascita | Luce |
CT7 | 7 anni | M | Cecità Totale progressiva | OD: meno di 1/50 (non accertato), bianco-nero, campo visivo ridotto OS: luce |
CP7 | 7 anni | F | Cecità Parziale | OS: 1/20, colori, campo visivo ridotto OD: / |
CT9 | 9 anni | M | Cecità Totale progressiva | OO: moto manu, colori, contrasti, fotofobia, campo visivo ridotto |
CP10 | 10 anni | M | Cecità Parziale | OS: 1/50, colori, contrasti, campo visivo ridotto OD: luce |
Nella sezione B. degli Allegati sono contenute sei schede “Anamnesi” complete per ciascun bambino.
4.3. Gli strumenti
L’ applicazione del protocollo è avvenuta tra Aprile e Giugno 2015 presso gli ambienti della Fondazione Hollman di Padova. Essa è stata preceduta da un periodo osservativo, dedicato alla conoscenza dei bambini in attività individuali e di gruppo (“Cucina”,
“Modellaggio”, “Percezione Corporea”, “Prerequisiti orientamento e mobilità”) che si svolgono presso la Fondazione.
Il protocollo è stato costruito tentando di formulare proposte adatte al bambino con grave deficit visivo e facendo riferimento a più manuali: Brambring (2004)50; Russo (2000)51; Wille (2010)52. Il materiale grafico utilizzato in alcuni items del protocollo è stato appositamente costruito per questo protocollo e per renderlo fruibile al bambino con grave deficit visivo.
Ci si è serviti anche dell’osservazione del comportamento spontaneo dei bambini in momenti “non strutturati”, per esempio in sala d’attesa o negli spostamenti da uno spazio all’altro della Fondazione... Tali momenti hanno contribuito ad arricchire le osservazioni registrate nel protocollo e ampliare la conoscenza del “bambino globale”. Gli spostamenti dei bambini nei corridoi della Fondazione sono stati filmati con la videocamera e quindi analizzati, per trarre le osservazioni ed i punteggi riportati nella sezione del protocollo ‘Orientamento e Mobilità’.
Il protocollo (riportato nella sezione Allegati) si compone di 63 items, suddivisi in due sezioni principali ‘Orientamento e mobilità’ (26 items) e ‘Funzioni psicomotorie’ (37 items). Ognuna è a sua volta suddivisa in due sottosezioni, rispettivamente:
- ‘Spostamento con bastone’ (14 items) e ‘Spostamento senza bastone’ (12 items);
- ‘Spazialità’ (16 items) e ‘ Schema corporeo’ (21 items).
Ad ogni item viene attribuito un punteggio (1- 0,5 - 0), sulla base delle competenze dimostrate dal bambino.
Per la sezione ‘Orientamento e mobilità’ è stato scelto di chiedere ai bambini di percorrere un tragitto “standard”, che compiono da tempo. Il percorso segue il perimetro interno della Fondazione: esso comincia da una delle stanze di terapia, percorre i tre corridoi principali del piano terra (disposti come i lati di un triangolo) e ritorna alla stessa stanza. Lungo le pareti dei tre corridoi si trovano punti di riferimento specifici per i non vedenti: segnali tattili in corrispondenza di ogni porta, costituiti da un oggetto- simbolo e dal nome in Braille della stanza.
Il percorso viene compiuto sia con il bastone bianco, che senza, per valutare eventuali differenze apportate dall’utilizzo di questo ausilio. Mentre i bambini procedono si decide di intervenire in loro aiuto, solo nel caso sia necessario o lo richiedano.
Alla fine vengono giudicate, secondo un punteggio le competenze del bambino: il modo di utilizzare il bastone, la capacità di cogliere ostacoli e riferimenti (con il bastone o con i sensi), la modulazione della velocità di spostamento, il mantenimento di una traiettoria dritta, l’utilizzo di strategie per proteggere il corpo, il tipo di aiuti necessari (verbali/fisici/il tenere la mano appoggiata alla parete).
La sezione successiva, denominata ‘Funzioni psicomotorie’, valuta il livello di strutturazione delle suddette funzioni attraverso una serie di prove, suddivise in gruppi, sulla base delle principali competenze richieste. Le singole prove vengono di seguito spiegate.
FUNZIONI PSICOMOTORIE |
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Spazialità |
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Percezione dello spazio |
Le prove di questa sezione valutano la capacità di percepire le caratteristiche dello spazio e dei suoi elementi, attraverso i sensi. I bambini che conservano un residuo visivo (anche minimo) sostengono tali prove ad occhi chiusi (eccetto nella prova S7). |
S1. Discriminare al tatto 6 figure geometriche (2D) |
Il materiale usato è rappresentato da un foglio A4 sul quale sono state realizzate 6 figure geometriche: quadrato, triangolo, cerchio, rettangolo, esagono, ottagono (immagine A, sottostante). I contorni delle figure sono stati delineati con una gomma adesiva, in rilievo rispetto al piano del foglio, che li rende facilmente percepibili in assenza della vista. Viene chiesto al bambino di esplorare il foglio con le mani e quindi di trovare le figure richieste, una dopo l’altra.
|
S2. Discriminare al tatto linee spezzate (2D): verticale/orizzontale/ obliqua/curva |
Il materiale usato è rappresentato da un foglio A4 contenente la rappresentazione “in rilievo” di uno scenario (immagine B., sottostante). Al fine di rendere la prova più motivante per il bambino si è deciso di utilizzare tale scenario, come sfondo per una breve storia. Il bambino può scegliere un personaggio che diviene il protagonista della narrazione: il personaggio deve compiere un percorso per tornare alla sua casa che si trova in cima ad un monte. Il personaggio parte dalla sommità di un muretto, quindi deve calarsi da esso fino a raggiungere una fune sospesa nel vuoto. Il protagonista comincia a percorrere la fune, ma ad un certo punto cade. Per fortuna, sotto la fune, qualcuno ha messo un ponticello che unisce il muretto alla collina. Una volta raggiunta la collina il personaggio la risale e finalmente arriva alla sua casa. Mentre si racconta la storia al bambino, lo si guida nell’esplorare con le dita il percorso. Alla fine della narrazione si chiede al bambino di ripercorrere con le mani il tragitto fatto e di individuare in che punto del disegno il personaggio si muova seguendo una linea verticale/orizzontale/curva/obliqua.
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S3. Identificare al tatto i cambi di direzione di una linea continua (2D) S4. Discriminare al tatto dimensioni spaziali (2D) |
Il materiale usato è un foglio A4 sul quale è rappresentato un percorso “ad anello”, realizzato con una gomma adesiva. Nello scenario sono rappresentati con altri materiali (pannolenci, bastoncini di legno, carta adesiva lucida) alberi, un fiume e una casa. Questi dettagli sono usati per valutare la competenza dell’item S4. La prova S3 e S4 possono infatti essere proposte assieme (immagine C., sottostante). Come per l’item S4, è possibile inserire la prova all’interno di una narrazione che viene co-costruita col bambino e che ha per “scenario” il percorso tattile. Mentre il bambino segue con le dita il percorso, gli si chiede di denominare in che direzione dello spazio si stia spostando (in verticale/orizzontale/obliquo, verso il basso/l’alto/destra/sinistra). Inoltre nel percorso si possono compiere delle “soste” per scoprire i dettagli dello scenario. Viene chiesto al bambino di trovare l’albero con la chioma grande/piccola/media, quindi l’albero con il tronco più lungo/corto, ed infine il tratto di fiume più largo/stretto.
|
S5. Ordinare sulla base delle dimensioni crescenti quattro oggetti (simili nella forma, diversi in altre caratteristiche) |
In questa prova vengono usati oggetti (tridimensionali), simili nella forma (sono tutti sferici), ma diversi nel peso, nelle dimensioni, nella struttura della superficie. Gli oggetti sono una biglia, un sasso sferico, una pallina da ping pong, un gomitolo (qui nominati secondo il diametro crescente). Al bambino viene richiesto di porre in ordine di dimensioni crescenti gli oggetti esplorati tattilmente. Si tratta di una prova di seriazione in cui la difficoltà consiste nel non confondere il concetto di dimensione con il concetto di peso (caratteristica degli oggetti che spicca nell’esplorazione tattile). |
S6. Ordinare sulla base delle dimensioni crescenti quattro oggetti (identici nella forma, diversi in altre caratteristiche) |
In questa prova vengono usati oggetti (tridimensionali), identici nella forma (sono tutti sferici) e nel tipo di materiale (palline di pongo), ma diversi nel peso e nelle dimensioni (palline di peso e dimensioni crescenti). Al bambino viene richiesto di porre in ordine di dimensioni crescenti gli oggetti esplorati tattilmente. Si tratta di una prova di seriazione, in cui la difficoltà percettiva è rappresentata dalla lieve differenza di dimensione dei quattro oggetti. |
S7. Stimare visivamente la distanza di tre oggetti (“più vicino a te”-“più lontano da te”-“a metà”) Non valutabile per alcuni bambini |
Questa prova viene effettuata solo sui bambini che possiedono un residuo visivo e che affermano di percepire i tre oggetti posti davanti a loro, ad una distanza di 1,5m/ 2,5 m/ 3,5 m (rispettivamente una palla, una sedia e cuscino). I tre oggetti sono circa delle stesse dimensioni e posti in modo da sovrapporsi parzialmente uno con l’altro. I bambini affetti da grave deficit visivo hanno generalmente una stereopsi assente. Così, per interpretare le informazioni visive residue, devono integrarle con inferenze cognitive. La percezione della diversa profondità si baserà quindi su indizi monoculari o pittorici (diversa intensità del colore, sovrapposizione degli oggetti, maggiore/minore altezza rispetto alla linea di orizzonte, ombre…). |
S8. Percepire cambiamenti di pendenza del terreno |
Questa prova viene effettuata negli spazi esterni della Fondazione, in particolare su una piccola collina erbosa del giardino. Il bambino viene guidato in un punto della collina dall’esaminatore. Lì, l’esaminatore gli fa compiere delle rotazioni attorno al proprio asse corporeo, in modo che il bambino non possa ricordare la direzione di provenienza (il bambino che conserva un residuo visivo ha comunque gli occhi chiusi). Quindi l’esaminatore chiede al bambino di procedere in avanti e di dire se si stia muovendo in salita o in discesa. Si ripete più volte tale esperienza, prima di dare il punteggio. Il test viene effettuato nella zona meno pendente della collina, in modo da stimare le capacità di percepire lievi variazioni. In questa prova si indaga la sensibilità propriocettiva, nonché la percezione della gravità. |
S9. Dirigersi verso la fonte sonora (registratore) |
Questa prova viene effettuata in un ambiente interno, preferibilmente isolato da rumori disturbanti. All’interno della stanza viene collocato un registratore che emette un suono continuo (una canzone). Quindi il bambino viene fatto entrare nella stanza e gli viene chiesto di cercare il registratore in funzione. Questa prova prevede l’allineamento sensoriale dei recettori uditivi verso la fonte e la coordinazione di schemi motori globali per raggiungerla. |
S10. Indicare con la mano/il braccio la direzione di provenienza di uno stimolo sonoro |
Anche questa prova, come la precedente, viene effettuata in un ambiente interno, preferibilmente isolato da rumori disturbanti. Il bambino viene posto al centro della stanza e attorno a lui l’esaminatore si sposta, occupando 4 posizioni diverse. Una volta occupata una posizione, l’esaminatore batte le mani. Il bambino deve indicare con il braccio la direzione di provenienza del suono. Questa prova prevede l’allineamento sensoriale dei recettori uditivi e dell’arto superiore verso la fonte sonora, nonché l’uso della memoria sensoriale-uditiva. Oltre alla correttezza “sostanziale” delle risposte, si valuta anche la precisione della direzione del braccio nello spazio. |
Memoria spaziale |
In queste prove si richiede al bambino di memorizzare strutture e percorsi spaziali, esplorati attraverso il movimento. |
S11. Dopo aver toccato un modello spaziale composto da 4 oggetti uguali, saperlo riprodurre |
Questa prova viene eseguita “a tavolino”. Ai bambini che possiedono un minimo residuo visivo viene chiesto di chiudere gli occhi. Davanti al bambino, viene disposto un modello spaziale di quattro oggetti identici (cubi) collocati in corrispondenza dei quattro punti cardinali, ma con distanze diverse tra uno e l’altro. Dopo aver toccato i quattro oggetti, il modello spaziale viene scomposto e si chiede al bambino di riprodurlo, tenendo conto dei rapporti spaziali e delle distanze. La memoria tattilo-cinestesica dello spostamento fatto con l’arto superiore consente al bambino di riprodurre la struttura spaziale. |
S12. Riprodurre gli spostamenti nello spazio sperimentati attraverso guida fisica |
In questa prova il bambino si trova in piedi, di fronte all’esaminatore che tiene le mani sulle spalle del bambino. Anche in questo caso, i bambini che conservano un residuo visivo minimo hanno gli occhi chiusi. L’esaminatore comunica al bambino che verrà guidato nel fare tre spostamenti nello spazio e che ogni spostamento si compone di due passi. La prima prova si compone di: - 2 passi avanti, 2 passi a destra, 2 passi indietro. La seconda prova si compone di: - 2 passi avanti, 2 passi indietro, 2 passi a sinistra. Questa prova richiede memoria cinestesica. |
S13. Realizzare mappa Hollmann |
In questa prova, al bambino viene fornito un foglio bianco A4 sul quale è rappresentato (con dello scotch nero-lucido) il perimetro del piano inferiore della Fondazione Hollman. Quindi gli vengono forniti dei cartoncini (di diverse forme, colori e materiali) che simboleggiano le stanze da collocare sul perimetro. Si decide di orientare il foglio nel modo corretto di fronte al bambino e di collocare un segnalino di riferimento iniziale, ovvero la porta di ingresso della Fondazione. Le altre stanze dovrà collocarle il bambino. Le stanze vengono fornite una alla volta al bambino e si decide di non aiutarlo, anche nel caso in cui compia errori. Viene valutata come “parzialmente corretta” (0,5 punti) la disposizione delle stanze nel corridoio giusto, ma nell’ordine scorretto le une rispetto alle altre. Viene valutata come “scorretta” (0 punti) la disposizione delle stanze nei corridoi errati. Questa prova riflette la capacità dei bambini di costruirsi una mappa spaziale degli spazi che da anni frequentano. In assenza di informazioni visive sufficienti a garantire una rappresentazione simultanea delle relazioni spaziali tra i diversi punti dello spazio, il bambino dovrà appoggiarsi ad una memoria sequenziale delle informazioni sensoriali raccolte durante gli spostamenti. Potrebbe entrare in gioco anche una memoria verbale che raggruppa le stanze appartenenti ad uno stesso corridoio sulla base di categorie: è presente infatti il “corridoio delle maestre” ed il “corridoio delle terapiste”. L’immagine D., sottostante, mostra la corretta disposizione delle stanze. |
LEGENDA segnalino marrone con freccia = porta ingresso quadrato verde = stanza di attesa rettangolo blu = piscina rettangolo rosso = terapista S. triangolo azzurro = terapista N. rettangolo marrone = laboratori/cucina rettangolo giallo = sala da pranzo cerchio viola = “pallestra” rettangolo rosa = reception/segreteria |
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Relazioni spaziali |
In questi items viene valutata la capacità del bambino di individuare relazioni spaziali tra il proprio corpo e gli oggetti, e tra gli oggetti. Queste prove vengono effettuate ad occhi aperti in tutti e sei i bambini. |
S14. Definire la collocazione nello spazio di un oggetto rispetto a sé |
Il bambino si trova seduto su una sedia. L’esaminatore sposta nello spazio attorno al bambino un oggetto e gli chiede di riferire la posizione dell’oggetto rispetto a lui. Nei bambini che non possiedono residuo visivo, l’oggetto viene fatto toccare. I punti dello spazio in cui viene collocato l’oggetto sono: davanti-dietro-destra-sinistra-sopra-sotto-vicino-lontano. Si indaga quindi la capacità di individuare semplici relazioni spaziali di tipo egocentrico (cioè riferite al proprio corpo). |
S15. Individuare i rapporti spaziali proiettivi tra un pupazzo (orientato come il bambino) e una palla |
In questa prova viene usato un pupazzo, orientato come il bambino e posto davanti a lui. Attorno al pupazzo, nei quattro punti cardinali, viene posta una palla. Si chiede al bambino di definire la posizione della palla rispetto al pupazzo (davanti- dietro-destra-sinistra), ovvero di stabilire relazioni spaziali allocentriche. Anche in questo caso, nei bambini che non possiedono residuo visivo, l’oggetto viene fatto toccare. |
S16. Individuare i rapporti spaziali proiettivi tra un pupazzo (orientato di fronte al b.no) e una palla. |
In questa prova la complessità, rispetto al precedente item, aumenta. Il bambino deve individuare i rapporti che intercorrono tra una palla e un pupazzo, posto davanti al suo corpo e orientato frontalmente (specularmente) rispetto a sé. Ancora una volta si tratta di individuare relazioni allocentriche (davanti-dietro-destra-sinistra), ma l’orientazione speculare del corpo del pupazzo rispetto al corpo del bambino richiede di saper effettuare rotazioni mentali degli oggetti. Anche in questo caso, nei bambini che non possiedono residuo visivo, l’oggetto viene fatto toccare. |
Schema corporeo |
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Consapevolezza parti del corpo |
Gli items di questa sezione valutano il grado di conoscenza e percezione delle varie parti del corpo. |
C1. Indicare/toccare la parte del corpo richiesta |
In questa prova il bambino si trova in piedi, gli viene chiesto di indicare con la propria mano la parte del corpo che l’esaminatore nomina. Le parti del corpo di cui si richiede una conoscenza verbale, sono le seguenti: testa-viso-collo-spalla-gomito-braccio-mano- polso-dita della mano-petto-pancia-schiena-gamba-ginocchio- caviglia-piede-dita dei piedi |
C2. Denominare la parte del corpo che viene toccata |
In questa prova il bambino si trova in piedi, gli viene chiesto di indicare verbalmente la parte del suo corpo toccata dall’esaminatore. Le parti del corpo di cui si valuta la percezione del contatto sono le seguenti: testa-viso-collo-spalla-gomito-braccio-mano-polso-dita della mano-petto-pancia-schiena-gamba-ginocchio- caviglia-piede-dita dei piedi. |
C3. Indicare la parte del viso richiesta |
In questa prova il bambino può trovarsi in piedi, seduto o disteso. Viene denominata una parte del viso ed il bambino deve toccarla con la sua mano. Le parti del viso di cui si richiede la conoscenza sono le seguenti:-fronte-occhi-naso-bocca-orecchie-mento-guance- labbra-sopracciglia-narici |
C4. Denominare parte del viso toccata |
In questa prova il bambino può trovarsi in piedi, seduto o disteso. Viene toccata una parte del suo viso ed il bambino deve nominarla. Le parti del viso di cui si valuta la percezione del contatto sono le seguenti:-fronte-occhi-naso-bocca-orecchie-mento-guance- labbra-sopracciglia-narici |
Controllo tonico delcorpo e modulazione del movimento |
In questi items si valuta la consapevolezza e la percezione del corpo in movimento, nonché il saperlo modulare su richiesta, sia a livello settoriale che globale. |
C5. Mobilizzare le parti del corpo richieste |
Il bambino si trova disteso, supino. Su richiesta dell’esaminatore il bambino muove la parte o le parti del corpo nominate. In questa prova si valuta la capacità di combinare il movimento di due parti del corpo, dissociandolo dal resto che rimane fermo. (Si è deciso di non inserire parte destra/sinistra del corpo e di non richiedere movimenti specifici, per non immettere ulteriori complessificazioni). Le combinazioni richieste sono: gamba (intesa come “arto inferiore”) – braccio (inteso come “arto superiore”); piede – mano; gamba - mano; braccio – piede; testa – gamba; testa – braccio; testa – mano; testa – piede . Le combinazioni vengono richieste in ordine sparso. |
C6. Modulare la voce su richiesta |
Al bambino viene richiesto di modulare la voce, mentre pronuncia una parola che lui stesso può scegliere. Per rendere questa prova più coinvolgente si chiede al bambino di immaginarsi nei panni di personaggi e/o di situazioni in cui la voce verrebbe modulata nel modo richiesto. Per esempio: nel riprodurre la parola a basso volume, si dice al bambino che nessuno, a parte lui e l’esaminatore, dovranno sentire la parola richiesta. Oppure, nel riprodurre la parola con tono basso, si dice al bambino di immaginarsi di essere un personaggio “cattivo” che fa la voce “grossa”. E così via. Questa prova può essere valutata anche in situazione di gruppo, dove i bambini si ”esibiscono” a turno. Le dinamiche di rispecchiamento che si creano nella situazione di gruppo rafforzano l’adesione del bambino alla proposta. Le parole vengono modulate nel tono (acuto/basso) e nel volume (alto/basso). L’obiettivo di tale prova è quello di verificare il livello di consapevolezza dello strumento espressivo “voce” e la padronanza di semplici variazioni. Vale la pena ricordare che la voce, pur non facendo parte dello “schema” del corpo in senso stretto, è parte integrante nella costruzione della consapevolezza di sè e si rivela fondamentale per il bambino cieco, poiché consente di “sondare” lo spazio. |
C7. Modulare il movimento delle mani |
Questa prova viene effettuata “a tavolino” o seduti a terra. Essa diventa più coinvolgente potendo disporre di un tamburo o di uno strumento a percussione sul quale il bambino possa imprimere diversa intensità e velocità al movimento delle sue mani. La difficoltà consiste nel tradurre la richiesta verbale in movimento, non confondendo i concetti di “velocità” e “intensità”. Il bambino viene invitato a battere le mani variando: - Velocità (veloce - lento - fermo) - Intensità (forte – piano) Le richieste vengono formulate in ordine sparso ed in sequenze sempre più veloci. |
C8. Combinare velocità e intensità del movimento delle mani |
Questa prova può essere compiuta di seguito alla precedente, in quanto richiede al bambino di combinare velocità e intensità del movimento delle mani che battono a terra/su un tavolo/su un tamburo. Le combinazioni richieste sono le seguenti: Veloce e forte; veloce e piano; lento e forte; lento e piano. Le richieste vengono formulate in ordine sparso. |
C9. Modulare la velocità del cammino |
Questa prova deve essere effettuata in uno spazio molto ampio e privo di ostacoli (per garantire la sicurezza del bambino non vedente). Su richiesta verbale, il bambino deve modulare la velocità della sua andatura: corsa - cammino veloce - cammino lento - fermarsi. Anche in questo, caso le richieste vengono formulate in ordine sparso ed in sequenze sempre più veloci. |
Riproduzione diposture-gesti-andature- espressioni facciali |
La padronanza delle competenze indagate in questi items si riflette nella capacità del bambino di utilizzare il suo corpo in modo finalizzato ed espressivo. |
C10. Riprodurre una postura sperimentata Abbreviazioni: a.s. = arto superiore a.i. = arto inferiore aa.ss.= arti superiori aa.ii.= arti inferiori |
Questa prova si svolge in uno spazio ampio, in cui il bambino può assumere diverse posture. I bambini che possiedono un minimo residuo visivo tengono gli occhi chiusi. I bambini sperimentano 5 posture diverse, una per volta. L’esaminatore posiziona il bambino in ognuna di esse, quindi gli chiede di riproporla. Tale richiesta valuta la memoria muscolare e propriocettiva del corpo. Postura 1 (disteso supino, aa.ss. abdotti di 90°, aa.ii. abdotti a 45°) Postura 2 (in piedi, aa.ss. abdotti di 90°, aa.ii. divaricati) Postura 3 (in piedi, a.s. destro abdotto di 90°, a.s. sinistro flesso di 90°, aa.ii. paralleli e vicini) Postura 4 (disteso supino, a.s. destro abdotto di 90°, a.s. sinistro lungo il tronco, aa.ii. abdotti di 45°) Postura 5 (disteso supino, aa.ss. abdotti di 90°, a.i. destro disteso, a.i. sinistro sovrapposto al destro) |
C11. Imitare la postura del modello dopo averlo toccato |
In questo item l’esaminatore funge da modello che assume 5 diverse posture. Il bambino deve esplorare con il tatto (e con la vista, chi la possiede) la postura del modello, quindi riprodurla. La difficoltà, rispetto al precedente item, consiste nel costruire una rappresentazione mentale della postura conosciuta attraverso il tatto e non sperimentata. Postura 1 (disteso supino, aa.ss. abdotti a 90°, a.i. sinistro disteso, a.i. destro sovrapposto al sinistro) Postura 2 (aa.ii. a “cavalier servente”, a.s. destro abdotto di 90°, a.s. sinistro flesso di 90°) Postura 3 (disteso supino, aa. ii. abdotti di 45°, a.s. destro lungo il corpo, a.s. sinistro abdotto di 90°) Postura 4 (disteso supino, aa. ss. abdotti di 90°, aa.ii. abdotti di 45°) Postura 5 (in piedi, aa.ii. divaricati, aa.ss. abdotti di 90°) |
C12. Riprodurre la posizione delle mani sperimentata |
Le mani del bambino vengono posizionate in 4 modi diversi (uno per volta). Dopo ogni posizione, si chiede al bambino di rifarla. Ai bambini che conservano un residuo visivo si chiede di chiudere gli occhi. Posizione 1 (mano destra aperta, parallela al piano frontale del corpo, con palmo rivolto verso l’esterno; mano sinistra chiusa a pugno) Posizione 2 (entrambe le mani aperte sul piano frontale, destra con palmo rivolto all’esterno, sinistra con palmo rivolto verso l’interno) Posizione 3 (mano destra aperta sul piano frontale, eccetto pollice e indice che si toccano; mano sinistra chiusa a pugno eccetto il pollice che è sollevato) Posizione 4 (mani unite con dita di una mano che si interpongono a quelle dell’altra) |
C13. Riprodurre le andature di alcuni animali |
In questa prova viene chiesto al bambino di riprodurre con il corpo le andature di alcuni animali. Viene qui valutata l’espressività corporea, e modo minore la qualità dello schema motorio. La proposta, per il gruppo di bambini di 7 anni viene calata all’interno di un gioco nel quale si danno ai bambini degli indizi verbali circa l’animale da rappresentare. Quando i bambini indovinano l’animale, si chiede loro di rappresentarlo. La difficoltà, per il bambino con grave deficit visivo, consiste nel tradurre la sola conoscenza verbale (e non visiva) dell’animale, in rappresentazione motoria/non verbale di esso. Gli animali richiesti sono i seguenti: gatto (andatura quadrupedica), elefante (andatura quadrupedica con ginocchia sollevate da terra), serpente (striscio), canguro (salti in avanti a piedi uniti), ape (agitare le braccia nello spazio). |
C14. Riconoscere espressioni mimiche sul viso del modello |
In questa prova il bambino, toccando il viso del modello, deve riconoscere l’espressione mimica da lui assunta. Ai bambini che conservano un residuo visivo non si chiede di chiudere gli occhi, poiché non si valuta qui nello specifico la competenza tattile, quanto piuttosto la “familiarità” del soggetto con questo tipo di espressività corporea, ovvero la capacità di riconoscere i tratti distintivi del viso che denotano un preciso stato affettivo. Le espressioni mimiche da riconoscere sono le seguenti: gioia, tristezza, rabbia, stupore. |
C15. Riprodurre le espressioni mimiche richieste |
In questa prova il bambino deve riprodurre quattro espressioni mimiche su richiesta verbale: gioia, tristezza, rabbia, stupore. Si valuta qui la capacità di recuperare un’immagine mentale che guidi l’espressività facciale in modo corretto. Le espressioni mimiche da riprodurre sono le seguenti: gioia, tristezza, rabbia, stupore. |
Percezione e conoscenza della lateralità |
I due items di questa sezione indagano la consapevolezza dell’asse corporeo che suddivide il corpo in due emisomi, in una parte anteriore ed una posteriore. |
C16. Saper dire dove si trova la parte corporea toccata |
In questa prova il bambino si trova in piedi. L’esaminatore chiede al bambino di chiudere gli occhi (in caso di residuo visivo conservato) e tocca una parte del corpo del bambino. Quest’ultimo deve indicare dove essa si trovi: davanti/dietro/destra/sinistra. |
C17. In posizione supina, sollevare solo l’arto o il segmento corporeo richiesto |
In questa prova al bambino, che si trova disteso supino, si chiede di sollevare solo l’arto o il segmento richiesto: braccio destro, braccio sinistro, gamba destra, gamba sinistra, mano destra, mano sinistra, piede destro, piede sinistro. |
Percezione dell’ orientazione |
L’item di questa sezione indaga l’orientazione, nonché laconsapevolezza del modo in cui il corpo si pone nei confronti dei punti cardinali (Ambrosini C., Wille A.M., 2010) |
C18. In seguito a rotazioni di 90°-180°- 270°-360°, indicare dove si trovi l’oggetto rispetto a sé |
Il bambino si trova in piedi. Di fronte a lui viene posto un oggetto che viene fatto toccare al bambino. (I bambini che hanno un residuo visivo possono tenere gli occhi aperti per conoscere la posizione dell’oggetto rispetto al loro corpo, poi si chiede loro di chiuderli). Quindi il bambino viene accompagnato fisicamente nel ruotare di 90°, attorno al proprio asse corporeo, in senso orario: si chiede ora al bambino di indicare con la mano la posizione dell’oggetto rispetto a sé. Si torna alla posizione di partenza e si fa compiere al bambino una rotazione di 180°, ripetendo la richiesta. Lo stesso si fa per i 270° e i 360°. Si indaga qui la capacità di percepire la rotazione del proprio corpo attorno all’asse principale e quindi di saper identificare nuovamente la propria posizione nello spazio. E’ richiesta quindi, non solo la percezione delle rotazioni corporee, ma anche la capacità di rappresentarsele |
Lateralizzazione |
Nelle due prove di questa sezione si indaga la capacità del bambino di proiettare la propria parte destra/sinistra, anteriore/posteriore sull’altro. |
C19. Saper indicare su un pupazzo posto di fianco sé, le parti anteriore/posteriore/ destra/sinistra |
Il bambino si trova seduto a terra. Di fianco a lui si trova un pupazzo. Si chiede al bambino di esplorare tattilmente e/o visivamente l’oggetto e quindi di indicarne parte anteriore/posteriore/destra/sinistra. |
C20. Saper indicare su un pupazzo posto di fronte a sé, le parti anteriore/posteriore/ destra/sinistra |
Il bambino si trova seduto a terra. Di fronte a lui si trova un pupazzo. Si chiede al bambino di esplorare tattilmente e/o visivamente l’oggetto e quindi di indicarne parte anteriore/posteriore/destra/sinistra. |
C21. Rappresentazionedella figura umana con il pongo |
In questa prova, che si compie “a tavolino”, si valuta la capacità di rappresentare il corpo nelle sue parti, nelle sue proporzioni e nei suoi rapporti spaziali. Il materiale usato è il pongo, facilmente plasmabile con le mani. I criteri con cui vengono valutate le rappresentazioni sono molteplici (presenza delle parti del corpo, rispetto delle proporzioni, collocazione delle parti del corpo): per questo si decide di attribuire a ciascuno di essi un punteggio e poi di ricavarne la media. |
50 Brambring M. (2004), Lo sviluppo nei bambini non vedenti. Osservazione ed intervento precoce, Francoangeli, Milano.
51 Russo R. C. (2000), Diagnosi e terapia psicomotoria., Ambrosiana, Milano.
52 Wille A. M., Ambrosini C. (2010), Manuale di terapia psicomotoria dell’età evolutiva, Cuzzolin, Napoli.
RISULTATI E CONCLUSIONI
5. Risultati e considerazioni
Questa sezione del protocollo contiene una discussione dei dati raccolti attraverso l’applicazione del protocollo, suddivisa in una prima parte, riguardante l’obiettivo dell’elaborato e una seconda parte che analizza più dettagliatamente le competenze dei bambini nelle principali sezioni del protocollo.
5.1. Risultati e considerazioni relativi alla correlazione tra ‘Orientamento e mobilità’ e ‘Funzioni psicomotorie’
Al fine di valutare la presenza di una correlazione tra la capacità di orientarsi e spostarsi autonomamente del bambino con disabilità visiva e le funzioni psicomotorie - spazialità e schema corporeo - sono state elaborate le medie dei punteggi, relative alle due aree citate.
Il punteggio medio in ‘Orientamento e mobilità’ risulta dalla media dei punteggi ottenuti nelle due sezioni del protocollo definite: ‘spostamento con bastone’ e ‘spostamento senza bastone’. Il punteggio medio in ‘Funzioni psicomotorie’ deriva dalla media dei punteggi in ‘spazialità’ e ‘schema corporeo’. Questa analisi mira ad individuare la presenza o l’assenza di uno scarto significativo tra ‘Orientamento e mobilità’ e ‘Funzioni psicomotorie’.
CN1 |
CN2 |
CT7 |
CP7 |
CT9 |
CP10 |
|
media Orientamento e mobilità |
0,574 |
0,479 |
0,925 |
0,869 |
0,904 |
0,964 |
media Funzioni psicomotorie |
0,672 |
0,693 |
0,903 |
0,835 |
0,856 |
0,927 |
Differenza: Orientamento e mobilità – Funzioni psicomotorie |
-0,097 |
-0,214 |
0,021 |
0,033 |
0,048 |
0,037 |
Grafico 1.
Il grafico 1 è stato elaborato confrontando la media dei punteggi ottenuti in ‘Orientamento e mobilità’ con la media dei punteggi ottenuti in ‘Funzioni psicomotorie’. Si è considerato significativo uno scarto superiore a 0,05.
Dal confronto emerge una corrispondenza tra le due medie per quattro bambini su sei, mentre in due casi (CN1 e CN2) vi è una differenza superiore a 0,05.
Pur non avendo valore statistico, per l’esiguità del campione, tali dati sembrano confermare l’ipotesi di partenza, secondo la quale, ad un migliore livello di strutturazione dello schema corporeo e di competenze spaziali corrisponde una migliore autonomia di spostamento.
E’ significativo notare che l’assenza di corrispondenza tra le due medie si verifichi nei due casi di cecità totale e assenza di residuo visivo, dalla nascita, ovvero in CN1 e CN2. In particolare, la media dei punteggi ottenuti nell’area ‘Funzioni psicomotorie’ supera la media dei punteggi ottenuti nell’area ‘Orientamento e mobilità’.
Questa situazione potrebbe essere interpretata desumendo che la deprivazione visiva totale che accompagna le bambine dalla nascita, non abbia impedito la strutturazione di uno schema corporeo e di alcune abilità in ambito di spazialità, ma renda più complessa l’integrazione e l’utilizzo di queste acquisizioni psicomotorie al servizio dell’orientamento e della mobilità autonoma.
Come osservato da Brambring e Troster (2004), l’acquisizione di un’autonomia nell’orientamento spaziale è un processo lento e difficile, per il bambino cieco e che implica l’acquisizione di specifiche strategie.
I punteggi ottenuti possono quindi indicare come, per CN1 e CN2, questo processo sia ancora in atto e necessiti di tempo per completarsi. In quest’ottica dunque l’ipotesi iniziale rimarrebbe confermata, considerando però come il fattore “tempo” incida.
Gli altri quattro casi sono accomunati da una perdita progressiva della funzione visiva e dalla conservazione di un minimo residuo visivo. Gli stessi quattro bambini ottengono punteggi significativamente superiori a quelli di CN1 e CN2 in tutti gli ambiti valutati dal protocollo.
Potrebbe a questo punto sorgere il dubbio che sia esclusivamente la funzione visiva (residua) a determinare migliori capacità di spostarsi autonomamente e che le suddette funzioni psicomotorie non abbiano peso sull’autonomia di spostamento.
Se così fosse la bambina con residuo visivo maggiore (CP7) dovrebbe effettuare punteggi maggiori, non solo rispetto alle due bambine con residuo visivo assente dalla nascita, ma anche rispetto ad CT7 (paragonabile a lei per età e progressione nella perdita della funzione visiva, ma con visus attuale inferiore al suo, cieco totale secondo la legge). E’ solo in parte così. Infatti CP7 ottiene punteggi superiori (scarto superiore a 0,05) in ambito di ‘Orientamento e mobilità’ a CN1 e CN2, e questo dato mette in luce l’importanza fondamentale della conservazione di un minimo residuo visivo per spostarsi nello spazio in modo autonomo. Inoltre la perdita progressiva della funzione visiva si traduce nella conservazione di un’immagine visiva della realtà. Quest’ultimo fattore probabilmente si rivela fondamentale nel guidare il bambino nelle sue azioni, consentendogli di associare ciò che percepisce attraverso altri sensi ad immagini visive, conservate in memoria. Indubbiamente questo può essere utile nell’affrontare uno dei compiti più complessi per il soggetto non vedente: l’orientamento e la mobilità autonoma.
Tuttavia CP7 ottiene punteggi inferiori (scarto superiore a 0,05) a quelli di CT7. E’ proprio il caso di CT7 che pone in luce come non siano solo le informazioni visive a guidare il bambino con grave deficit visivo nello spostamento autonomo, ma siano anche altre competenze, ascrivibili alle aree ‘Schema corporeo’ e ‘Spazialità’ le quali vanno ad integrare informazioni visive parziali e/o distorte. In ambito di ‘Schema corporeo’ e ‘Spazialità’ CT7 ha infatti sviluppato maggiori competenze rispetto a CP7 e ciò gli consente di bypassare il deficit visivo in modo più efficace e spostarsi in modo lievemente più autonomo.
Più in generale, se fosse esclusivamente il residuo visivo ad incidere sulla mobilità e sull’orientamento autonomo, dovrebbe essere visibile un andamento di questo tipo: all’aumentare del residuo visivo, crescono anche le medie dei punteggi ottenuti dai bambini nell’area ‘Orientamento e mobilità’. Non è così.
Ponendo in ordine di ‘visus residuo crescente’ i quattro bambini ciechi progressivi, si ottiene questa successione: CT7/CT9 (assimilabili come funzionalità visiva), CP10, CP7. Ponendo in ordine crescente i punteggi relativi all’area ‘Orientamento e mobilità’, l’ordine è il seguente: CP7, CT9, CT7, CP10. Tale ordine rispecchia cioè l’andamento della media dei punteggi relativa a ‘funzioni psicomotorie’.
Analizzando ancora il grafico 1. è possibile notare come i punteggi di CP7 e CT7- entrambi nella fascia di età 7 anni - siano simili a quelli di CT9 e CP10 - rispettivamente 9 e 10 anni- .
Non avendo a disposizione un campione numeroso di bambini con grave deficit visivo sul quale effettuare osservazioni più ampie, è difficile affermare se siano CT7e CP7 a dimostrare maggiori competenze per l’età o se CP10 e CT9 dimostrino competenze ridotte per l’età. Tuttavia una possibile interpretazione di questa situazione può risiedere nell’andamento della perdita del residuo visivo. Per CT7e CP7 la perdita è stata graduale, ma entrambi hanno avuto dei periodi di stabilità relativamente lunghi che possono aver garantito un migliore adattamento alla disabilità visiva.
La condizione di CT9 e CP10 è assimilabile invece per una perdita visiva progressiva e continua nel tempo che può aver pertanto reso più complesso lo sviluppo di competenze in grado di “stare al passo” con la progressiva riduzione della funzionalità visiva.
CN1 |
CN2 |
CT7 |
CP7 |
|
media Orientamento e mobilità |
0,574 |
0,479 |
0,925 |
0,869 |
media Funzioni psicomotorie |
0,672 |
0,693 |
0,903 |
0,835 |
Grafico 2.
Il grafico 2. soprastante (derivato dal grafico 1.) evidenzia anche che i punteggi medi delle competenze di CN1 e CN2 in ambito di “Funzioni psicomotorie” (spazialità e schema corporeo) sono significativamente ridotti (scarto > 0,05) rispetto a quelle dei due coetanei CP7 e CT7, pur mantenendosi al di sopra dei valore medio 0,5. Questo dato conferma i dati presenti in letteratura, ovvero che la deprivazione visiva totale dalla nascita rallenta anche il processo di costruzione dello schema corporeo e delle competenze in ambito di spazialità, rispetto alla perdita progressiva della funzione visiva.
CT9 |
CP10 |
|
media Orientamento e mobilità |
0,904 |
0,964 |
media Funzioni psicomotorie |
0,856 |
0,927 |
Grafico 3.
Confrontando poi sulla base dell’età anche CP10 e CT9, (rispettivamente 10 e 9 anni, e per questo assimilabili come fascia evolutiva) è possibile notare - grafico 3 - come CP10 ottenga punteggi significativamente superiori (scarto > 0,05) rispetto ad CT9, soprattutto nell’area relativa delle funzioni psicomotorie. Questa situazione potrebbe indurre a pensare che i punteggi inferiori di CT9 siano attribuibili esclusivamente al suo visus (ridotto rispetto a quello di CP10) e che quindi sia unicamente la funzione visiva a determinare l’autonomia di spostamento.
Ci sono altri fattori in gioco: le funzioni psicomotorie (alla base dello spostamento autonomo) di CT9 sono inferiori rispetto a quelle di CP10, consentendogli quindi in modo minore di appoggiarsi a competenze alternative a quelle visive. Inoltre, analizzando il percorso riabilitativo di CT9, emerge come la sua problematica visiva sia stata sottostimata dall’ambiente familiare fino all’età di 5 anni. La presa in carico tardiva potrebbe aver influito negativamente sullo sviluppo di competenze integranti la funzione visiva ridotta e progressivamente calante.
5.2. Risultati e considerazioni relativi alle diverse sezioni del protocollo
Legenda:
- CB = spostamento con bastone
- SB = spostamento senza bastone S
- = spazialità
- C = schema corporeo
CN1 |
CN2 |
CT7 |
CP7 |
CT9 |
CP10 |
|
media CB |
0,607 |
0,5 |
0,892 |
0,821 |
0,892 |
0,928 |
media SB |
0,541 |
0,458 |
0,958 |
0,916 |
0,916 |
1 |
media S |
0,733 |
0,766 |
0,966 |
0,968 |
0,875 |
0,937 |
media C |
0,611 |
0,620 |
0,841 |
0,702 |
0,837 |
0,916 |
differenza SB - CB |
-0,065 |
-0,041 |
0,065 |
0,095 |
0,023 |
0,071 |
differenza S - C |
0,122 |
0,145 |
0,125 |
0,266 |
0,037 |
0,020 |
Grafico 5.
Il Grafico 5 mostra le medie dei punteggi ottenuti dai bambini nelle quattro sezioni in cui è suddiviso il protocollo: Spostamento con bastone bianco (CB), Spostamento senza bastone bianco (SB), Spazialità (S), Schema corporeo (C).
Si è stabilita una suddivisione dei punteggi medi in tre range, ai quali corrisponde una valutazione del livello competenze raggiunte dal bambino:
- punteggio medio compreso tra 0 e 0,33 = livello insufficiente
- punteggio medio compreso tra 0,34 e 0,66 = livello sufficiente
- punteggio medio compreso tra 0,67 e 1 = livello buono
Area ‘Orientamento e mobilità’: spostamento con bastone bianco (CB) e senza (SB)
I grafico 5 mette in luce il fatto che CN1 e CN2 si spostano meglio con bastone, invece che senza. Al contrario i quattro bambini che possiedono un residuo visivo ottengono punteggi superiori nello ‘Spostamento senza bastone’. Questo quadro indica come, per le due bambine cieche dalla nascita, il bastone esplichi degli effetti positivi sulla loro autonomia di spostamento.
E’ utile ricordare che il bastone bianco è stato proposto a CN1 e CN2 alcuni anni prima, rispetto agli altri quattro. Le due bambine hanno cominciato ad usare un pre-bastone attorno ai due anni e mezzo, ma lo hanno rifiutato, perché significava impiegare le mani e non poterle utilizzare per sostenersi. CN1 poi usa il bastone bianco, presso la Fondazione dai 4 anni di età. Gli altri quattro bambini cominciano ad utilizzarlo da Novembre 2014.
Esaminando il protocollo di CN1 e CN2, emerge che il bastone non viene impugnato ed usato sempre correttamente per percepire ostacoli e punti di riferimento: le due bambine si spostano infatti con aiuti verbali e fisici, mantenendo spesso il contatto della mano sulla parete, sia con bastone, che senza. Le bambine rilevano gli ostacoli in modo prevalentemente “casuale” attraverso il bastone, cioè quando esso si imbatte in ostacoli: dimostrano comunque di non ignorare quell’informazione, se aiutate nel “decifrarla”.
Tuttavia esso facilita il mantenimento di una traiettoria dritta (per CN1 è così, CN2 procede in modo abbastanza dritto sia con bastone, che senza) e una migliore modulazione della velocità di spostamento (che altrimenti sarebbe troppo elevata e porterebbe le bambine, soprattutto CN2, a percorrere lo spazio in modo incauto).
Negli altri quattro casi la situazione appare invece opposta, ovvero non ci sono differenze significative tra i due tipi di spostamento o, addirittura, lo spostamento con bastone avviene in modo qualitativamente peggiore: ciò può essere letto non tanto come “inutilità” dell’ausilio per loro, ma come espressione di una loro ridotta competenza nell’utilizzo di questo ausilio e soprattutto del loro servirsi di altre strategie per spostarsi, in primis il residuo visivo. I quattro bambini si spostano infatti senza bastone mantenendo una certa distanza dalla parete ed avvicinandosi ad essa solo di fronte alla necessità di percepire i riferimenti tattili presenti vicino alle porte; rilevano spesso ostacoli e punti di riferimento, necessitano di aiuti per lo più verbali da parte dell’adulto e non fisici. Questa situazione non si modifica in presenza del bastone, il quale rileva gli ostacoli altrettanto casualmente di quanto avviene nelle bambine cieche dalla nascita.
Va puntualizzato tuttavia che in CT9, l’utilizzo dell’ausilio comporta una positiva riduzione della velocità di spostamento (come per CN1 e CN2), anche se questo non genera una differenza significativa sui punteggi medi ottenuti.
Le differenze maggiori tra i due spostamenti (SB - CB) si riscontrano in CP7 e CP10, ciechi parziali. Ciò può confermare come, in presenza di residuo visivo (anche minimo), il soggetto tenda a sfruttare quello per spostarsi e quindi a non percepire ancora il bisogno di un ausilio esterno. In particolare CP7 (con visus maggiore rispetto agli altri) impugna il bastone in modo inadeguato, usa spesso due mani e lo agita in aria per giocarci, altre volte lo porta in braccio. Questi comportamenti indicano comunque il positivo familiarizzare della bambina con l’ausilio.
Se nei bambini con residuo visivo (sia ciechi totali, che ciechi parziali) il bastone non apporta sostanziali miglioramenti nello spostamento, non significa che non esso non potrà divenire ausilio utile in futuro. Nei quattro casi sopra citati, infatti, la patologia tende a peggiorare nel tempo e quindi in ottica preventiva è opportuno proporlo. Inoltre, i familiari di CT9 e CP10 riferiscono che il bastone è diventato in pochi mesi (da Novembre 2014 ad Aprile 2015) parte integrante dei loro spostamenti, soprattutto quelli fuori casa (a scuola e per strada) e che i bambini lo utilizzano con motivazione.
La letteratura (Gargiulo, 2005) riporta però anche casi di ipovedenti che decidono di spostarsi senza bastone bianco. E’ impossibile comunque determinare sin da ora chi di loro deciderà di servirsene e chi no.
Sulla base dei pochi dati raccolti in questo studio, non è possibile affermare con certezza se abbia senso o meno proporre precocemente questo ausilio e se vi sia un’età “standard” in cui introdurlo. CN1 e CN2 (le uniche ad aver già familiarizzato con esso) dimostrano di spostarsi meglio con bastone invece che senza. Tuttavia questo effetto sembra non essere direttamente attribuibile al passato uso del bastone, quanto piuttosto ad un “effetto immediato” che il bastone ha sulle loro modalità di spostamento. Inoltre CN1 lo usa dai 4 anni, ma non lo impiega ancora in modo più funzionale rispetto agli altri e non ha esteso il suo uso ad ambienti esterni alla Fondazione. Gargiulo (2005) riporta tuttavia il rischio che il bambino a cui non viene data precocemente questa occasione per l’autonomia si abitui al “non fare”, ad essere cioè passivo o completamente dipendente dagli altri negli spostamenti. L’introduzione precoce del bastone si rivela utile poi in termini di accettazione della disabilità da parte della famiglia e del bambino stesso.
Ciò che differenzia i punteggi più alti da quelli più bassi (tra i quattro bambini che hanno un residuo visivo) è la modulazione della velocità di spostamento: CT7 e CP10 sono in grado di regolarla, dimostrando cioè maggiore consapevolezza delle proprie capacità percettive e dunque anche uno sviluppato senso del pericolo. Se in CP10 questo può essere giustificabile in funzione della maturità psicologica data dall’età, colpisce che CT7 dimostri questa competenza.
Anche per CN1 e CN2, come per CP7 e CT9, non sempre è facile mantenere una velocità regolare ed adeguata alle loro capacità di percepire gli ostacoli e punti di riferimento. Osservando muoversi CP7 e CT9 (anche in altre situazioni, oltre a quella dell’applicazione del protocollo) appare evidente che il loro percorrere lo spazio velocemente è dettato da una forte fiducia nel loro residuo visivo e, in buona parte, anche dal desiderio di dimostrare a loro stessi e agli altri di “essere capaci”. Entrambi infatti non parlano mai direttamente delle loro difficoltà, cercano di evitare le attività in cui temono di fallire (o di riuscire in modo parziale) e spesso mostrano all’adulto di saper fare qualcosa. In questo caso probabilmente i due bambini ritengono che lo spostarsi in modo costantemente veloce (e con una velocità più adatta ad un “normo- vedente”) sia sinonimo di destrezza.
In CN1 e CN2, la stessa caratteristica dello spostamento (per altro non sempre presente) potrebbe essere determinata proprio dall’assenza completa di indizi visivi. Questi ultimi, se fossero percepiti, potrebbero fungere da “freno” al movimento e indicare in anticipo al soggetto quando e quanto sia necessario rallentare.
In accordo a questa caratteristica del loro modo di procedere nello spazio, è riscontrabile anche una parziale capacità dei sei bambini di proteggere il loro corpo da eventuali ostacoli durante gli spostamenti, con e senza bastone. Nessuno di loro mette in atto specifiche strategie, tuttavia CP10 e CT7 procedono con le mani davanti al corpo, quando non percepiscono visivamente lo spazio frontale e procedono più lentamente/rallentano/si fermano per darsi il tempo di conoscere lo spazio.
Area ‘Funzioni psicomotorie’: Spazialità (S) e Schema corporeo (C)
Dal grafico 5 è possibile osservare che in tutti e sei i casi, i punteggi medi relativi alla sezione ‘Spazialità’ (S) sono superiori a quelli della sezione ‘Schema corporeo’ (C); in particolare nei quattro bambini di 7 anni la differenza è significativa (> di 0,05), mentre in CT9 e CP10 non lo è. Questo fatto potrebbe essere causato da una sproporzione nella difficoltà degli items: ovvero gli items della sezione “C” potrebbero essere lievemente più difficili rispetto a quelli della sezione “S”, per la fascia di età 7 anni o viceversa gli items della sezione “S” più facili rispetto a quelli della sezione “C”. Il ridotto numero di casi studiati non consente di dare una risposta a riguardo.
Un’altra considerazione da fare, in merito a questa sezione del protocollo, è che i punteggi ottenuti si differenziano nettamente tra le due bambine cieche dalla nascita e i quattro bambini ciechi progressivi (come precedentemente osservato). Ciò conferma la centralità della funzione visiva nella costruzione di competenze spaziali e dello schema corporeo.
Tuttavia tra i quattro bambini ciechi progressivi non si rileva una corrispondenza tra i punteggi medi ottenuti nelle due sezioni e l’acuità visiva residua. Questo fatto (come nel caso della sezione ‘Orientamento e mobilità’) dimostra la centralità, ma la non esclusività della funzione visiva nel determinare le competenze del soggetto.
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Spazialità |
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Percezione dello spazio (S1-S10) |
Memoria spaziale (S11-S13) |
Relazioni spaziali (S14-S16) |
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A. Media 6 bambini |
0,947 |
0,694 |
0,833 |
B. Media 2 bambine cieche |
0,861 |
0,417 |
0,750 |
C. Media 4 ciechi progressivi |
0,987 |
0,833 |
0,875 |
differenza (B-C) percentuale |
-13% |
-42% |
-13% |
Tabella 1.
Per quanto riguarda la sezione ‘Spazialità’, come si evince dalla tabella 1, in tutte le sottosezioni del protocollo vi sono delle differenze significative tra i punteggi delle bambine cieche dalla nascita e quelli dei bambini ciechi progressivi. I punteggi più bassi sono realizzati dalle bambine cieche dalla nascita.
In particolare, in riferimento alla sottosezione ‘Percezione dello spazio’, (items S1, S2, S3, S4, S5, S6, S7, S8, S9, S10) i sei bambini possiedono nel complesso delle buone competenze di discriminazione e riconoscimento dello spazio attraverso l’esplorazione aptica, la sensibilità propriocettiva e l’udito, realizzando un punteggio medio di 0,947. L’unico item che pone tre bambini in maggiore difficoltà rispetto agli altri è S3: CN1, CN2 e CT9 compiono alcuni errori nel discriminare al tatto i cambiamenti di direzione di una linea, in particolare quando gli angoli da essa formati non sono di 90°, ma sono inferiori o superiori.
Nell’item S8, invece, che richiede di stimare visivamente la distanza degli oggetti, CP10, CP7 e CT9 realizzano il punteggio massimo. Tale richiesta non è valutabile per CN1 e CN2 (per ovvie ragioni), e nemmeno per CT7, il quale riferisce di non percepire gli oggetti posti a tali distanze. È interessante notare che nei tre bambini sopra menzionati la stereopsi sia valutata assente: ciò significa che tutti e tre si affidano ad indizi monoculari (nonché indizi “pittorici”). CT9, in particolare, dimostra spesso “competenze visive” qualitativamente e quantitativamente superiori a quello che il residuo visivo farebbe ipotizzare. Per rendere più esplicita questa affermazione si riporta
la descrizione di un episodio significativo, durante una terapia: il bambino sta svolgendo l’attività di “Prerequisiti Orientamento e Mobilità” nel giardino della Fondazione. In lontananza (ad una distanza di almeno 10 m dal punto in cui si trovano CT9 e la terapista) un cane esce solitario e silenzioso dalla Fondazione. Non è accompagnato dal padrone, non si può udirlo abbaiare, anche perché è una giornata molto ventosa che nasconde molti rumori. CT9 lo nota ugualmente e afferma “un cane!”. Il bambino può aver compreso che si trattava di un cane solo facendo delle inferenze: il ridotto visus conservato (moto manu) non gli avrebbe infatti permesso di comprendere esattamente cosa fosse. Egli ha correttamente integrato l’informazione visiva (ridotta e distorta) con dati derivanti dall’esperienza quotidiana.
Rispetto alle prove riguardanti la ‘memoria spaziale’ (items S11, S12, S13) i quattro bambini ciechi progressivi ottengono un punteggio medio “buono” (0,833), le due bambine cieche un punteggio “sufficiente” (0,417). Le prove che risultano più complesse per loro sono quelle riguardanti la memoria tattilo-cinestesica (item S11) e quella del breve percorso fatto camminando (item S12). La prova di memoria spaziale in cui tutti e sei i bambini ottengono punteggi più elevati è quella dell’ item S13 che richiede di disporre le stanze della Fondazione Hollman nella piantina cartacea (Allegato D.) L’errore più frequente che si riscontra nelle produzioni dei bambini è l’invertire due stanze poste nello stesso lato del perimetro, ma tutti sanno collocare la maggior parte delle stanze nel lato corretto del perimetro, comprese CN1 ed CN2. Se è più facile attendersi dei buoni risultati in questa prova nei bambini che hanno conservata una memoria visiva della realtà o che conservano un residuo visivo, è sorprendente che anche CN2 arrivi a rappresentare correttamente la mappa e che in quella di CN1 vi siano solo errori di inversione delle stanze. Per potersi rappresentare lo spazio percorso, il soggetto che non dispone di immagini visive deve fare affidamento su una memoria sequenziale delle percezioni tattili-uditive (nonché ricordare cosa abbia incontrato prima/dopo nel suo percorso). Inoltre, ad intervenire sulla memorizzazione dell’organizzazione spaziale, può essere la memoria verbale: ai bambini viene spesso ricordato dagli operatori dove si stiano spostando (“siamo nel corridoio delle maestre, se andiamo avanti incontriamo il corridoio delle stanze di terapia”..). E’ probabile che CN1 ed CN2 utilizzino anche questo tipo di informazioni. Un altro fattore che può incidere sul positivo esito di questa prova è rappresentato dalla familiarità dei bambini con questo tipo di attività, che viene proposta loro presso la Fondazione.
Vale la pena di notare anche il fatto che CN1 e CN2, a fronte di una buona memoria degli spazi della Fondazione, dimostrano una parziale autonomia di spostamento. Questo fatto può essere indicativo (ancora una volta) del fatto che in assenza di informazioni visive non è sufficiente ricordare la collocazione dei diversi luoghi che si stanno per percorrere, ma bisogna saper utilizzare questa rappresentazione mentale in modo funzionale, nonché sfruttarla per reperire i punti di riferimento e gli ostacoli (tastando, ascoltando..), regolare la velocità della propria andatura, compiere rotazioni sul proprio asse corporeo e cambiare direzione... Si tratta cioè di integrare le competenze, fatto che probabilmente non avviene ancora nelle bambine.
Rispetto alle prove riguardanti l’individuazione di relazioni spaziali (items S13, S14 e S15) i sei bambini realizzano un punteggio medio “buono” (0,833).
Tutti sono mediamente in grado di individuare relazioni spaziali di tipo egocentrico (tra sé e gli oggetti) e allocentrico (tra gli oggetti). Tuttavia quando il loro corpo è orientato in modo diverso rispetto agli oggetti (o viceversa), è difficile per loro proiettare la destra e la sinistra sull’oggetto. Sanno invece individuare cosa ci sia “davanti” e “dietro” agli oggetti, anche quando orientati diversamente rispetto al loro corpo. Quest’ultima difficoltà non è presente in CP10. CN1 invece riporta sempre l’orientazione complessiva del suo corpo sugli oggetti.
Ciò può essere attribuito, non solo al fattore età (infatti CP10 il più grande dei sei, non presenta difficoltà), ma anche al fattore visivo: il soggetto vedente può imparare ad effettuare operazioni mentali di rotazione degli oggetti a partire dall’esperienza visiva che fa normalmente di questi eventi. Al contrario, il soggetto non-vedente percepisce per lo più gli oggetti fermi in una posizione; a meno che non lo tocchi, egli non può percepire il movimento di un oggetto che ruota attorno ad un’ asse e ne conoscerà solamente la posizione di partenza e quella di arrivo, ne farà cioè un’esperienza “frammentata”. Questo è molto evidente in CN1, per la quale è come se gli oggetti non avessero una propria orientazione, ma possedessero quella del suo corpo e non vi fosse possibilità per questi di ruotare attorno ad un’asse. Gli altri bambini comprendono invece che gli oggetti hanno una loro orientazione e che l’orientamento di questi può variare nello spazio: individuano infatti correttamente l’orientazione fronto-posteriore dell’oggetto, ma non quella laterale.
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Schema corporeo |
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Consapevolezza parti corpo (C1-C4) |
Controllo tonico e modulazione (C5-C9) |
Riproduzione posture, gesti, andature, espressioni facciali (C10-C15) |
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A. Media 6 bambini |
0,854 |
0,793 |
0,625 |
B. Media 2 bambine cieche |
0,813 |
0,722 |
0,417 |
C. Media 4 ciechi progressivi |
0,875 |
0,825 |
0,729 |
differenza % (B-C) |
-6% |
-10% |
-31% |
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Percezione e conoscenza della lateralità (C16-C17) |
Percezione orientazione (C18) |
Lateralizzazione
(C19-C20) |
Rappresenta zione con pongo (C21) |
A. Media 6 bambini |
1,000 |
0,667 |
0,750 |
0,583 |
B. Media 2 bambine cieche |
1,000 |
0,000 |
0,625 |
0,375 |
C. Media 4 ciechi progressivi |
1,000 |
1,000 |
0,813 |
0,687 |
differenza % (B-C) |
0% |
-100% |
-19% |
-31% |
Tabella 2.
Anche nella sezione ‘Schema corporeo’, come illustrato nella tabella 2, vi sono differenze significative nei punteggi ottenuti dalle due bambine cieche dalla nascita e tra i quattro ciechi progressivi.
L’unica sottosezione in cui dimostrano pari competenze è ‘percezione e conoscenza della lateralità’, nella quale ottengono il massimo punteggio entrambi i gruppi.
Un’altra sezione in cui le competenze tra i due gruppi non si discostano molto è ‘consapevolezza delle parti del corpo’. Tutti e sei possiedono un’adeguata sensibilità tattile del viso ed una conoscenza dettagliata delle sue parti (items C4, C3).
A fronte di una buona conoscenza delle principali parti del corpo (item C1), tutti mediamente hanno una ridotta sensibilità tattile di polso e caviglia che vengono chiamate rispettivamente “braccio” e “gamba” (item C2). Solo CT7 e CN1 li percepiscono correttamente. Una spiegazione di questo potrebbe risiedere nel fatto che il polso e la caviglia si trovano in contiguità della mano e del piede. Mano e piede, attraverso il palmo e la pianta, sono fondamentali veicoli di conoscenza sensopercettiva della realtà nel bambino con grave deficit visivo. Si può ipotizzare così che l’assoluta dominanza che il palmo e la pianta esercitano sul campo percettivo tattile, “riduca le competenze” percettivo-tattili di polso e caviglia.
Dalla sezione ‘controllo tonico e modulazione del movimento’ emerge che mediamente i sei bambini hanno buone capacità di controllo tonico sia a livello settoriale, che globale (items C5, C6, C7, C8, C9). Tuttavia, differenze significative si rilevano in questo caso, non solo tra due gruppi ‘ciechi progressivi e ciechi dalla nascita’, ma anche sulla base dell’ età: i due bambini più grandi ottengono punteggi stabilmente superiori a quelli di sette anni.
Un’altra sottosezione in cui i bambini ottengono punteggi mediamente elevati è ‘lateralizzazione’ (items C19 e C20), tuttavia emergono maggiori differenze tra le bambine cieche e i bambini ciechi progressivi. L’unico bambino in grado di proiettare l’orientazione del suo corpo su oggetti orientati diversamente rispetto a lui, è CP10. La maggior parte di loro (compreso CT9, 9 anni) infatti sa individuare sempre “fronte” e “retro” di un pupazzo/persona, ma non la “destra” e “sinistra” , se questo/a si trova orientato diversamente rispetto a loro. Come precedentemente osservato, questo fatto è riconducibile alla difficoltà di immaginare rotazioni degli oggetti in presenza di immagini visive della realtà distorte, ridotte o assenti. Questo fatto è particolarmente evidente in CN1.
Punteggi mediamente più bassi (rientranti nel range di “sufficienza”) sono presenti nelle sottosezioni: ‘percezione dell’orientazione’, ‘riproduzione di posture-gesti-andature- espressioni facciali’, ‘rappresentazione della figura umana con il pongo’. In questi ambiti di competenza si rilevano anche le maggiori discrepanze tra le due bambine cieche dalla nascita e i quattro ciechi progressivi.
Nell’item C18 si osserva in CN1 ed CN2 l’incapacità di definire la posizione dell’oggetto rispetto al proprio corpo in seguito a ciascuna delle rotazioni. Questa difficoltà sembra attribuibile non tanto alla mancata percezione della rotazione, ma (ancora una volta) alla difficoltà di immaginare la rotazione del proprio corpo rispetto allo spazio circostante. Le bambine cieche dalla nascita indicano infatti la posizione dell’oggetto nello stesso punto in cui si trovava prima della rotazione. Questo conferma anche le difficoltà riportate dalle bambine nelle lateralizzazione e nel cogliere rapporti spaziali allocentrici.
Per quanto concerne la sottosezione ‘Riproduzione di posture-gesti-andature-espressioni facciali’ i bambini dimostrano di avere una buona memoria muscolare del proprio corpo: sono in grado di percepire, riprodurre e ricordare la postura in cui sono stati posizionati (item C10). Questo vale anche per la posizione delle mani (item C12). Pur riproponendo le posture sperimentate in modo corretto, tutti sono imprecisi nel riprodurre l’angolo formato dall’articolazione della spalla (ovvero non è mai 0° o 90° esatti). Questo indica una minore memoria propriocettiva a livello di questa articolazione, la quale in effetti possiede molti gradi di libertà e richiede una memoria percettiva “più fine”. Anche in questa attività CN1 si dimostra in maggiore difficoltà riproducendo in modo inesatto le posture più asimmetriche del corpo e delle mani. Al contrario CN2 realizza le richieste in modo corretto.
I sei bambini realizzano punteggi elevati anche nell’item C11 che richiede di imitare la postura corporea del modello, percepita attraverso il tatto e/o la vista. I punteggi sono tuttavia leggermente inferiori all’item C10. Questo fatto appare imputabile alla parziale adeguatezza del tatto nel cogliere le relazioni spaziali e ad una sommaria esplorazione tattile sul corpo del modello effettuata dai bambini. CT9, invece, non potendo contare su un residuo visivo sufficiente, adotta una buona strategia: man mano che tocca il modello, sovrappone i suoi arti ai suoi, per memorizzare passo per passo la postura complessiva.
Gli items in cui tutti i bambini dimostrano competenze ridotte sono quelli in cui è richiesto di riconoscere quattro espressioni del viso sul modello (per mezzo del tatto e della vista, per chi la possiede) e di riprodurre le stesse quattro espressioni (rispettivamente items C14 e C15).
Sono tutti e sei in grado di riconoscere l’espressione “gioia”; tre dei bambini ciechi progressivi ne riconoscono altre due. Questa situazione appare abbastanza indicativa della ridotta e/o distorta esperienza visiva che questi bambini fanno dei dettagli della realtà, e quindi anche dei dettagli del viso (altrui e proprio). È tuttavia rilevante che anche nelle bambine cieche dalla nascita vi sia la possibilità di recuperare una rappresentazione mentale (in questo caso, su base “tattile”) dell’emozione “gioia”.
Può apparire sorprendente che anche CP7, con visus maggiore rispetto agli altri, riconosca solo l’espressione “gioia”. Durante l’applicazione del protocollo è stato chiesto a CP7 di spiegare cosa significassero per lei quelle espressioni mimiche, per escludere una mancata conoscenza dei significati di “gioia”, “tristezza”, “rabbia”, “stupore”. Le sue risposte sono state indicative di una buona conoscenza. Inoltre si è notato come CP7, non volesse esplorare il viso del modello tattilmente, ma preferisse avvicinare molto il suo viso a quello del modello ed utilizzare la vista. Quest’ultimo fatto può spiegare come in assenza di informazioni visive esatte, è necessario per il soggetto integrarle con quelle provenienti da altri canali sensoriali al fine di conoscere la realtà. Per questo sia CT9, che CT7, appoggiandosi al canale tattile, ottengono maggiori informazioni rispetto a lei.
Nel produrre le espressioni del viso, CP10 è l’unico ad essere in grado di riprodurre le espressioni “rabbia” e “stupore”, ma non “gioia” e “tristezza”; CP7, CT7, CN2 e CN1 riproducono solo l’espressione “gioia”, mentre CT9 nessuna. Non si può affermare che i loro volti siano amimici in situazioni di spontaneità, ma su richiesta rispondono producendo espressioni prevalentemente amimiche, indistinguibili l’una dall’altra. Inoltre modificano solo la posizione delle labbra e mai quella delle sopracciglia o del resto della muscolatura facciale. Questa situazione può essere tradotta come difficoltà nel recuperare dalla memoria una rappresentazione mentale che guidi l’esecuzione dell’azione. Va tenuto presente infatti che la decodifica di uno stato emotivo altrui passa soprattutto attraverso la percezione visiva (che si palesa nella mimica, nelle posture, negli sguardi), la quale viene dunque scarsamente colta dal soggetto con deficit visivo grave. La rappresentazione mentale che questi bambini si costruiscono delle varie emozioni deriverà per lo più da informazioni uditive (variazioni nel tono e nel volume di voce), tattili-propriocettive (aumento/calo del tono muscolare, sudorazione, temperatura..) e solo in minima parte (o per nulla) visive (sia derivanti da sé, che degli altri).
La lieve differenza che porta i bambini a saper meglio riconoscere le espressioni mimiche che a riprodurle, può essere spiegata dal fatto che nella prima richiesta si tratta di recuperare una rappresentazione mentale sulla base di alcuni indizi sensoriali (o solo visivi, o solo tattili, o tattili e visivi), nella seconda richiesta la rappresentazione mentale deve essere evocata a partire da un vocabolo. Quest’ultima situazione risulta più difficile per loro.
Come ci si potrebbe attendere, è nella sottosezione ‘Rappresentazione della figura umana con il pongo’ che i sei bambini dimostrano le competenze minori, tuttavia il punteggio medio ricade nel range di “sufficienza”: sanno cioè realizzare un “omino” di pongo contenente le principali parti del corpo (testa, collo, tronco, arti superiori e inferiori, mani, piedi) e del viso(occhi, naso bocca,orecchie); sanno collocare correttamente le principali parti del corpo e del viso le une rispetto alle altre, rispettano le proporzioni anatomiche in modo parziale (Allegato E).
Le sei rappresentazioni, pur diversificandosi in fatto di precisione esecutiva, sono tutte riconducibili alla figura umana; questo significa che, anche nel caso di cecità completa dalla nascita, il soggetto è in grado di costruirsi una rappresentazione mentale dell’unità del suo corpo e delle sue parti, simile a quella di un vedente, pur partendo da informazioni alternative a quelle visive. Anche la rappresentazione più “sommaria” ed imprecisa, ovvero quella di CN1, si qualifica come “figura umana”, poiché la bambina rappresenta le principali parti del corpo (testa-tronco-arti) nel corretto ordine e nei corretti rapporti spaziali.
Inoltre, anche le bambine cieche dalla nascita rappresentano gli omini in prospettiva frontale, al pari degli altri quattro che vedono ancora o che hanno una memoria visiva della “figura umana”. Tuttavia CN2 e CN1 necessitano di essere maggiormente guidate nell’esecuzione, soprattutto quando non sanno come rappresentare determinate parti. In questi momenti le bambine esplorano tattilmente la parte corporea rappresentata, ma la prospettiva con cui realizzano quella parte anatomica non rimane necessariamente quella frontale: ne è un esempio il collo dell’omino di CN2 (rappresentato dall’alto); la “coda di cavallo” del suo omino, pur trovandosi dietro la testa, viene rappresentata al di sopra; CN1 afferma inizialmente di dover rappresentare solo una gamba, poiché toccandola lateralmente (come fa lei) se ne può sentire solo una (adotta momentaneamente una prospettiva laterale).
Tutti cominciano a rappresentare prima la testa, poi il tronco e poi gli arti, quindi i dettagli del viso e del corpo, passando cioè dallo “schema” globale del corpo ai suoi particolari. Solo CT9 rappresenta gli elementi del viso, subito dopo aver modellato la testa.
Tutti fanno spesso riferimento a forme geometriche nel rappresentare gli omini, in particolare CN1 e CN2. Le bambine cieche dalla nascita chiedono spesso a cosa assomigli una porzione corporea, ovvero cercano di identificare una “forma” che conoscono e che possa guidare la loro rappresentazione.
L’aspetto che appare più “critico” nelle sei rappresentazioni è la sproporzione che caratterizza alcune parti del corpo rispetto alle altre. Questo fatto è in larga parte dovuto alla difficoltà nel monitorare visivamente ciò che si sta realizzando con le mani e adattarlo allo spazio disponibile. Se fosse però solo il fattore visivo ad incidere, si dovrebbe notare una netta differenza tra le produzioni delle due bambine cieche totali dalla nascita rispetto a quelle degli altri quattro bambini. In parte è così: all’aumentare del residuo visivo si notano una maggiore precisione esecutiva, una maggiore simmetria, una maggiore presenza di elementi anatomici. Tuttavia ciò che rimane impreciso in tutti e sei gli “omini” di pongo sono le proporzioni; in particolare ogni bambino rappresenta alcuni elementi corporei sovradimensionati o sottodimensionati, rispetto al resto delle parti e questo fa pensare che non sia solo un problema di “esecuzione” e di abilità manuali, ma che entrino in gioco anche fattori riguardanti il singolo bambino, il suo mondo interiore, il modo in cui egli percepisce ed usa il suo corpo, le sue proiezioni ed i suoi desideri. Allo stesso modo l’omissione di alcuni elementi anatomici può essere ricca di significati.
Pur non volendo avventurarsi in “facili simbolismi”, nelle rappresentazioni dei bambini è possibile cogliere alcuni elementi comuni.
In particolare è possibile osservare che gli elementi del viso sono in tutti gli omini molto grandi rispetto allo spazio disponibile sulla faccia. Il volto è sede di numerosi recettori di senso (visivi, olfattivi, gustativi, uditivi, tattili) attraversati da un grande flusso di informazioni sensoriali, fonti preziose di informazioni alternative a quelle visive per il soggetto con grave deficit visivo. È ipotizzabile che il bambino che non dispone di immagini visive del volto altrui o del proprio (o comunque ne disponga in modo parziale e distorto) traduca in “dimensioni aumentate” le sedi del viso che percepisce maggiormente. La bocca dei sei omini è molto grande, addirittura nelle rappresentazioni di CN2 e CN1 non può essere contenuta nel volto, ma fuoriesce. La cavità orale e le labbra sono dotate di una fine sensibilità e per lungo tempo rimangono luogo di investimento corporeo privilegiato per il bambino non vedente.
Riguardo alla rappresentazione degli occhi, essi non vengono realizzati né da CN1, né da CN2 (lei li rappresenta dopo che le è stato fatto notare che erano assenti). Negli altri quattro bambini che hanno perso la vista progressivamente, gli occhi sono il primo elemento del viso ad essere rappresentato, sono due palline di pongo grandi e sporgenti. L’assenza degli occhi nelle produzioni delle due bambine cieche dalla nascita e al contrario la loro presenza nelle produzioni di CP7, CT7, CT9 e CP10 possono essere interpretate così: nel primo caso l’impossibilità di cogliere stimoli visivi rende gli occhi organi di senso poco investiti e per questo anche meno conosciuti; nel secondo caso gli occhi, pur fornendo informazioni ridotte e distorte, rimangono un veicolo fondamentale di conoscenza sensoriale della realtà (probabilmente il principale).
E’ possibile poi riscontrare altre “sproporzioni” che possono avere un significato interessante. CT7si serve in modo molto evidente di dati sensoriali alternativi che vanno a completare la minima percezione visiva: le dimensioni degli occhi del suo omino sono ridotte rispetto a quelle degli altri omini. Il suo omino inoltre possiede mani, piedi ed orecchie particolarmente grandi: tatto e udito sono infatti modalità sensoriali vicarianti che il bambino sfrutta appieno.
Mani (nell’omino di CN2 in particolar modo) e piedi sono molto grandi anche negli omini di CN2 e CN1. Per un soggetto cieco dalla nascita il tatto e gli indici cinestesici risultano fondamentali per conoscere e per spostarsi. Inoltre nei dati anamnestici di CN1 è riportato che per lungo tempo la bambina ha usato i piedi come “seconde mani”, per esplorare il terreno nello spostamento da seduta.
Un elemento poi che stupisce sono le orecchie: negli omini di CN2 e CN1 non vengono rappresentate (pur facendo notare loro che “manca qualcosa”); CT9, CP7 e CP10 ricordano di averle dimenticate solo dopo un suggerimento. Ci si può chiedere come mai degli organi così fondamentali per il soggetto con grave deficit visivo, non vengano rappresentati. Anche nel disegno del bambino vedente, spesso le orecchie vengono tralasciate. Trovandosi ai lati della testa e coperte (del tutto o in parte) dai capelli, esse non vengono sempre percepite visivamente (e/o tattilmente) ed il bambino finisce per dimenticarle.
Un elemento che viene rappresentato da tutti è il collo, ma non senza difficoltà. In particolare CN2 e CN1 non sanno che forma esso abbia, così lo tastano per conoscerlo meglio: la prima percepisce la circolarità che lo caratterizza e lo rappresenta quindi come un “anello”; la seconda percepisce la differente misura tra le due dimensioni (lunghezza e larghezza) affermando che si tratta di un “rettangolo”. Negli omini di CP7 e CT9 il collo è molto lungo (come il tronco), in quello di CP10 esso è largo quanto il tronco. Un’ipotesi è che la grande mobilità (e la relativa percezione) del collo probabilmente venga tradotta in “sovradimensioni”, non avendo a disposizione sufficienti dettagli visivi che guidino una sua rappresentazione proporzionata.
Gli omini di CP7, CT9 e CP10 sono poi accomunati da dimensioni della testa aumentate rispetto a quelle del tronco; probabilmente si tratta ancora una volta di un fattore percettivo: la testa si muove nello spazio in modo ampio e possiede numerosi organi sensoriali, il tronco invece rimane più statico e attraverso esso avviene uno scambio minore di informazioni con l’esterno.
Le rappresentazioni degli omini, in conclusione, rispecchiano ciò che emerge dagli studi citati nella parte teorica dell’elaborato: essi sono realizzati a partire da una rappresentazione mentale molto “soggettiva” del corpo, basata sulle sensazioni e sulle esperienze corporee, meno legata al reale, poiché svincolata dal controllo della vista.
6. Conclusioni
I dati raccolti attraverso la somministrazione del protocollo consentono di indagare la correlazione tra le funzioni psicomotorie - ‘Schema corporeo’ e ‘Spazialità’- e la capacità di spostarsi ed orientarsi in modo autonomo, nel bambino con grave deficit visivo.
La presenza di correlazione, per quattro bambini su sei, consente di confermare l’ipotesi iniziale: la possibilità di poter contare su buone competenze spaziali e uno schema corporeo adeguatamente strutturato, in presenza di informazioni visive ridotte e distorte, si riflette sulla possibilità di percorrere lo spazio con maggiore autonomia. Questa situazione appare verificata nei bambini che hanno perso la vista progressivamente e che attualmente conservano un minimo residuo visivo (due ciechi totali e due ciechi parziali).
Al contrario di quanto ci si potrebbe attendere, le suddette funzioni psicomotorie appaiono “slegate” dalla competenza ‘Orientamento e mobilità’ nelle due bambine cieche dalla nascita: le due bambine si spostano negli ambienti della Fondazione Hollman con ridotta autonomia, rispetto alle loro competenze in ambito di ‘Spazialità’ e ‘Schema corporeo’.
Una spiegazione di questo fatto potrebbe risiedere nel carattere complesso della competenza ‘Orientamento e mobilità’, che non è una semplice somma di competenze, ma un’integrazione di queste. Il protocollo testa infatti singole competenze, ma nell’esperienza concreta di orientarsi il bambino cieco deve padroneggiare simultaneamente tali competenze ed utilizzarle in modo consapevole, mettendo in atto cioè apposite strategie che gli consentano di bypassare il deficit visivo. Così, nonostante le due bambine cieche dalla nascita abbiano costruito uno schema corporeo e competenze spaziali sufficienti, essi non bastano a compensare efficacemente il deficit visivo: le suddette funzioni psicomotorie si confermano essere unicamente dei pre- requisiti all’orientamento e alla mobilità autonoma. L’acquisizione di specifiche strategie per orientarsi e spostarsi autonomamente richiede invece, per il soggetto cieco dalla nascita, più tempo ed un training specifico, come confermato dai dati presenti in letteratura.
I bambini che hanno perso la vista progressivamente dimostrano invece di sviluppare, in modo più autonomo e veloce, strategie per spostarsi ed orientarsi: sfruttano il minimo residuo visivo, integrandolo con dati sensoriali extra-visivi, con immagini visive derivate da passate esperienze, ma soprattutto appoggiandosi ad inferenze cognitive. La funzione visiva si riconferma essere centrale nei processi di orientamento.
Le implicazioni di questi risultati, in ambito riabilitativo, sono rappresentate dalla necessità di lavorare in parallelo sia sui pre-requisiti, che sulle strategie per spostarsi ed orientarsi, soprattutto con il bambino cieco. Per quest’ultimo sarà fondamentale, non solo sviluppare un’adeguata percezione e conoscenza del proprio corpo, nonchè competenze di percezione e rappresentazione spaziale, ma anche sperimentare precocemente situazioni in cui gli viene richiesto di integrare le singole competenze e costruire strategie, attraverso esperienze significative e globali.
Ulteriori considerazioni che emergono dall’elaborazione dei dati raccolti attraverso il protocollo sono le seguenti:
- il livello di autonomia di spostamento raggiunta dai due bambini ciechi totali, che hanno perso la vista progressivamente e che conservano un minimo residuo visivo, consente di equipararli ai bambini ciechi parziali, diversamente dalle due bambine cieche totali dalla nascita, le quali raggiungono un livello di autonomia inferiore al loro;
- i quattro bambini con minimo residuo visivo conservato dimostrano di sfruttarlo in modo ottimale e preponderante (rispetto agli altri sensi), per orientarsi. Le bambine cieche dalla nascita si affidano principalmente ad indicazioni verbali ed aiuti fisici di chi è con loro, mantengono il contatto della mano sulla parete e rilevano parzialmente la presenza di ostacoli lungo il percorso;
- il bastone bianco non è ancora usato in modo funzionale per percepire ostacoli e punti di riferimento da nessuno dei sei bambini, tuttavia per le due bambine cieche dalla nascita, il bastone esplica degli effetti “immediati”: una regolazione della velocità di progressione ed un’andatura più dritta;
- ciò che, sorprendentemente, accomuna le modalità di procedere di alcuni bambini è la velocità di spostamento: nei due bambini, CP7 e CT9 essa appare dovuta ad un eccesso di fiducia nella loro competenza visiva e dal desiderio di “mostrarsi capaci”; nelle due bambine cieche dalla nascita essa appare dovuta alla difficoltà di rappresentarsi lo spazio e di non trovare quindi “freni” all’andatura;
- la cecità totale dalla nascita implica un rallentamento nella costruzione dello schema corporeo e di competenze spaziali, rispetto alla perdita progressiva della Il bambino che conserva un residuo visivo, o un ricordo visivo della realtà, raggiunge le stesse competenze in modo più sincrono al bambino vedente;
- dimostrano tutti buone competenze nel percepire le caratteristiche dello spazio, attraverso i sensi vicarianti la vista. Sanno individuare relazioni spaziali egocentriche, ma non ancora quelle allocentriche (solo il bambino di 10 anni). Tale difficoltà appare dovuta alla complessità di immaginare la rotazione del proprio corpo o degli oggetti nello spazio. Questa ipotesi viene confermata dai simili risultati ottenuti nelle prove di lateralizzazione e di percezione dell’orientazione, in cui le bambine cieche dalla nascita si trovano a compiere maggiori errori rispetto agli altri. Risultati equiparabili tra i sei bambini si ottengono invece nella riproduzione della mappa Hollman, in cui anche le due bambine cieche dimostrano di aver interiorizzato una mappa di tale spazio;
- i sei bambini dimostrano buone competenze di percezione e conoscenza del corpo, delle sue parti e della lateralità, una buona memoria muscolare delle posture sperimentate. Indipendentemente dal visus, difficilmente riconoscono e riproducono espressioni mimiche;
- la prova che pone tutti i bambini in maggiore difficoltà e nella quale si rilevano notevoli discrepanze tra i due gruppi, è quella concernente la rappresentazione della figura umana con il pongo. Le sei rappresentazioni si diversificano in termini di precisione esecutiva, crescente (come è logico pensare) all’aumentare del visus residuo. Tutte comunque sono riconducibili alla figura umana. Durante l’esecuzione, le bambine cieche dalla nascita si avvalgono molto dell’esplorazione tattile del loro corpo. Tutti fanno riferimento a forme geometriche per rappresentare le varie parti. Diverse parti del corpo sono sovra/sottodimensionate, alcune sono omesse. In accordo con gli studi di Kinsbourne, Lempert (1958) e Stockert (1980), le rappresentazioni realizzate hanno un forte carattere soggettivo: svincolate dal controllo “oggettivante” della vista, i corpi e le loro parti vengono rappresentati in funzione della qualità e della quantità del loro
ALLEGATI
A. Il Protocollo di valutazione
Items |
Punteggi |
Note |
||
1 |
0,5 |
0 |
||
O RIENTAMENTO E MOB ILITA’ AUTO NO MA |
||||
Spostamento autonomo in uno spazio conosciuto
(con bastone) |
||||
CB1. Impugna il bastone in modo corretto; l’oscillazione è sincrona col passo; nell’oscillazione descrive il giusto raggio |
Si |
Parziale |
No |
|
CB2. Il bastone gli è utile per percepire ostacoli e punti di riferimento |
Spesso |
A volte |
Mai |
|
CB3. Evita ostacoli |
Spesso |
A volte |
Mai |
|
CB4. Rallenta in prossimità di ostacoli |
Spesso |
A volte |
Mai |
|
CB5. Modula la velocità di spostamento sulla base delle sue capacità percettive |
Spesso |
A volte |
Mai |
|
CB6. Mantiene il contatto con la parete per mezzo della mano |
No |
A volte |
Si |
|
CB7. Necessita di aiuto verbale per compiere l’intero percorso |
Mai |
A volte |
Spesso |
|
CB8. Necessita di aiuto fisico per compiere l’intero percorso |
Mai |
A volte |
Spesso |
|
CB9. Cambia direzione in corrispondenza degli angoli del corridoio |
Spesso |
A volte |
Mai |
|
CB10. Protegge il corpo da eventuali ostacoli |
Si |
Parzialmente |
No |
|
CB11. Utilizza i riferimenti tattili al bisogno |
Da solo |
Con aiuto |
Non in grado |
|
CB12. Mantiene una traiettoria dritta nel cammino |
Si |
Parzialmente |
No |
|
CB13. Discrimina ambienti diversi sulla base di suoni/rumori |
La maggior parte |
Solo alcuni |
Non in grado |
|
CB14. Individua porte e sa aprirle |
Da solo |
Con aiuto |
Non in grado |
|
Spostamento autonomo in uno spazio conosciuto
(senza bastone) |
||||
SB1. Evita ostacoli |
Spesso |
A volte |
Mai |
|
SB2. Rallenta in prossimità di ostacoli |
Spesso |
A volte |
Mai |
|
SB3. Modula la velocità di spostamento sulla base delle sue capacità percettive |
Spesso |
A volte |
Mai |
|
SB4. Mantiene il contatto con la parete per mezzo della mano |
No |
A volte |
Si |
|
SB5. Necessita di aiuto verbale per compiere l’intero percorso |
Mai |
A volte |
Spesso |
|
SB6. Necessita di aiuto fisico per compiere l’intero percorso |
Mai |
A volte |
Spesso |
|
SB7. Cambia direzione in corrispondenza degli angoli del corridoio |
Spesso |
A volte |
Mai |
|
SB8. Protegge il corpo da eventuali ostacoli |
Si |
Parzialmente |
No |
|
SB9. Utilizza i riferimenti tattili al bisogno |
Da solo |
Con aiuto |
Non in grado |
|
SB10. Mantiene una traiettoria dritta nel cammino |
Si |
Parzialmente |
No |
|
SB11. Discrimina ambienti diversi sulla base di suoni/rumori |
La maggior parte |
Solo alcuni |
Non in grado |
|
SB12. Individua porte e sa aprirle |
Da solo |
Con aiuto |
Non in grado |
|
FUNZIONI PSICOMOTORIE |
||||
Spazialità |
||||
Percezione dello spazio |
|
|
|
|
S1. Discriminare al tatto 6 figure geometriche (2D) |
In grado |
Compie errori, poi
si corregge |
Non in grado |
|
S2. Discriminare al tatto linee spezzate (2D) |
In grado |
Compie errori, poi
si corregge |
Non in grado |
|
S3. Identificare al tatto i cambi di direzione di una linea continua (2D) |
In grado |
Compie errori, poi si corregge |
Non in grado |
|
S4. Discriminare al tatto dimensioni spaziali (2D) |
In grado |
Compie errori, poi
si corregge |
Non in grado |
|
S5. Ordinare sulla base delle dimensioni crescenti quattro oggetti (simili nella forma, diversi in altre caratteristiche) |
In grado |
Compie errori, poi si corregge |
Non in grado |
|
S6. Ordinare sulla base delle dimensioni crescenti quattro oggetti( identici nella forma) |
In grado |
Compie errori, poi si corregge |
Non in grado |
|
S7. Stimare visivamente la distanza di tre oggetti (“più vicino a te”-“più lontano da te”-“a metà”) (non valutabile per alcuni) |
Corretta |
Parzialmente corretta |
Scorretta |
|
S8. Percepire cambiamenti di pendenza del terreno |
In grado |
Compie alcuni
errori |
Non in grado |
|
S9. Dirigersi verso la fonte sonora (registratore) |
Compie il percorso
più diretto e impiega poco tempo |
Compie il percorso
meno diretto e/o impiega abbastanza tempo |
Impiega molto
tempo e/o non arriva alla fonte sonora |
|
S10. Indicare con la mano/il braccio la direzione di provenienza di uno stimolo sonoro |
In grado, con buona
o sufficiente precisione della direzione spaziale dell’arto |
Compie alcuni errori |
Non in grado |
|
Memoria spaziale |
|
|
|
|
S11. Dopo aver toccato un modello spaziale composto da 4 oggetti uguali, saperlo riprodurre |
-Rispetta distanze
in modo preciso o abbastanza preciso -Rispetta rapporti spaziali tra gli oggetti in modo preciso o abbastanza preciso |
Rispetta distanze o rapporti spaziali |
Non rispetta né distanze, né rapporti spaziali |
|
S12. Riprodurre gli spostamenti nello spazio sperimentati attraverso guida fisica |
2 corretti |
1 corretto o 2 parzialmente corretti |
2 scorretti o non in grado |
|
S13. Realizzare mappa Hollmann |
La maggior parte
delle stanze è collocata correttamente (ordine e lato del perimetro) |
Alcune stanze sono collocate in ordine errato, ma nel lato giusto del perimetro |
La maggior parte delle stanze sono collocate in ordine errato e nel lato errato |
|
Relazioni spaziali |
|
|
|
|
S14. Definire la collocazione nello spazio di un oggetto rispetto a sé |
0 errori |
1 o 2 errori |
3 o più errori |
|
S15. Individuare i rapporti spaziali proiettivi tra un pupazzo (orientato come il bambino) e una palla |
Individua i 4 rapporti correttamente |
1 o 2 errori |
3 o più errori |
|
S16. Individuare i rapporti spaziali proiettivi tra un pupazzo (orientato di fronte al bambino) e una palla. |
Individua i 4 rapporti correttamente |
1 o 2 errori |
3 o più errori |
|
Schema corporeo |
||||
Consapevolezza varie parti
del corpo |
|
|
|
|
C1. Indicare/toccare la parte del corpo richiesta |
Sa indicare tutte le parti |
Sa indicare quasi tutte le parti |
Non sa indicare la
maggioranza delle parti corporee |
|
C2. Denominare la parte del corpo che viene toccata |
Sa denominarle tutte |
Sa denominare quasi tutte le parti |
Non sa
denominare la maggioranza delle parti toccate |
|
C3. Indicare la parte del viso richiesta |
Sa indicare tutte le parti |
Sa indicare quasi tutte le parti |
Ha difficoltà ad
indicare le parti principali (occhi- naso-bocca- orecchie) |
|
C4. Denominare parte del viso toccata |
Sa denominarle tutte |
Sa denominare quasi tutte le parti |
Ha difficoltà a
denominare le parti principali |
|
Controllo tonico del corpo e modulazione del movimento |
|
|
|
|
C5. Mobilizzare le parti del corpo richieste |
Sa muovere solo le parti richieste in modo preciso |
Muove le parti
richieste ma alcune in associazione ad altre parti |
Ha difficoltà ad isolare i movimenti |
|
C6. Modulare la voce su richiesta |
Modula
adeguatamente sia tono, che volume |
Modula in modo
parziale tono e/o volume |
Non modula né tono, né volume |
|
C7. Modulare il movimento delle mani |
Varia
adeguatamente velocità e intensità del movimento |
Commette alcuni errori ma si corregge |
Confonde velocità e intensità stabilmente |
|
C8. Combinare velocità e intensità del movimento delle
mani |
In grado, con precisione |
In grado, conimprecisioni |
Non in grado |
|
C9. Modulare la velocità de l cammino |
In grado, con precisione |
In grado, con imprecisioni |
Non in grado |
|
Riproduzione di posture-gesti-andature-espressioni facciali |
|
|
|
|
C10. Riprodurre una postura sperimentata
Imprecisioni = angoli delle articolazioni imprecisi, ma conservata nel complesso la corretta direzione degli arti Scorrettezza = direzione degli arti o del tronco nello spazio completamente scorretta |
Ne riproduce 4 o 5, corrette o con imprecisioni |
Ne riproduce 2 o 3 corrette o con imprecisioni |
Ne riproduce 1 corretta o con imprecisioni, o nessuna |
|
C11. Imitare la postura del modello dopo averlo toccato (occhi aperti per chi ha residuo visivo): Imprecisioni = angoli delle articolazioni imprecisi, ma conservata nel complesso la corretta direzione degli arti Scorrettezza = direzione degli arti o del tronco nello spazio completamente scorretta |
Ne riproduce 4 o 5, corrette o con imprecisioni |
Ne riproduce 2 o 3 corrette o con imprecisioni |
Ne riproduce 1 corretta o con imprecisioni, o nessuna |
|
C12. Riprodurre la posizione delle mani sperimentata |
Le riproduce tutte e
4 in modo corretto o con imprecisioni |
Ne riproduce 2 o 3
corrette o con imprecisioni |
Ne riproduce 1 o nessuna corretta |
|
C13. Riprodurre le andature di alcuni animali |
Sa riprodurre le
diverse andature con buona espressività |
Sa riprodurre le
andature con espressività sufficiente |
Non sa riprodurre le andature |
|
C14. Riconoscere espressioni mimiche sul viso del modello |
Le riconosce tutte e
4 |
Ne riconosce 3 o 2
su 4 |
Ne riconosce una
o nessuna |
|
C15. Riprodurre le espressioni mimiche richieste
Correttezza= bocca e sopracciglia orientate in modo “significativo” |
Le riproduce tutte e 4 correttamente |
Ne riproduce 3 o 2 su 4 correttamente |
ne riproduce una o nessuna
correttamente/
non sa come fare |
|
Percezione e conoscenza
della lateralità |
|
|
|
|
C16. Saper dire dove si trova la parte corporea toccata |
In grado per tutte e quattro |
In grado, ma solo
“davanti” e “dietro”; “destra” e “sinistra” ancora confuse |
Non in grado per nessuna delle parti |
|
C17. In posizione supina, sollevare solo l’arto o il segmento corporeo richiesto |
In grado con precisione |
Alcuni errori tra
destra e sinistra, poi si corregge |
Stabile confusione
tra destra e sinistra |
|
Percezione dell’
orientazione |
|
|
|
|
C18. In seguito a rotazioni di 90°-180°-270°-360°, indicare dove si trovi l’oggetto rispetto a sé |
In grado con precisione |
Alcuni errori, poi si corregge |
Non in grado |
|
Lateralizzazione |
|
|
|
|
C19. Saper indicare su un pupazzo posto di fianco sé, le parti anteriore/ posteriore/destra/sinistra |
In grado |
Compie 1 o 2 errori |
Compie 3 o più errori |
|
C20. Saper indicare su un pupazzo posto di fronte a sé, le parti anteriore/ posteriore/destra/sinistra |
In grado |
Compie 1 o 2 errori |
Compie 3 o più errori |
|
C21. Rappresentazione della
figura umana con il pongo (indicare la media ottenuta dalla somma dei successivi items=…) |
|
|
|
|
Presenza delle principali parti del corpo |
Testa - tronco - 2
braccia - 2 gambe - collo - capelli - articolazioni (alcune)-2 mani -2
piedi-5 dita per mano -eventuali altri particolari |
Testa-tronco-2 braccia- 2 gambe-2 mani-2 piedi |
Testa-tronco-2 braccia-2 gambe |
|
Presenza delle principali parti del viso |
Occhi-naso-bocca-
orecchie, eventuali altri particolari |
Mancanza di una o
più delle precedenti parti |
Assenza di dettagli del viso |
|
Rispetto delle proporzioni del corpo |
-testa e tronco
hanno proporzioni esatte -lunghezza del tronco superiore a sua larghezza -lunghezza del collo inferiore a quella del tronco -lunghezza arti superiori e inferiori simile a quella del tronco o superiore -dimensioni mani proporzionata rispetto a quella delle braccia |
-Testa e tronco hanno proporzioni esatte -lunghezza arti superiori e inferiori simile a quella del tronco o superiore |
Mancano le precedenti due condizioni |
|
Rispetto delle dimensioni
degli elementi del viso (occhi- naso-bocca-orecchie) |
Rispettate per 4 elementi su 4 |
rispettate per 2 o 3 su 4 |
Rispettate per un
elemento o nessuno |
|
Collocazione delle parti del corpo nella corretta posizione rispetto alle altre |
La maggior parte degli elementi del corpo è collocata correttamente |
Alcuni elementi sono collocati in modo scorretto |
La maggior parte
degli elementi del corpo ha una collocazione difficilmente riconducibile a quella reale |
|
Collocazione delle parti del viso nella corretta posizione rispetto alle altre |
La maggior parte
degli elementi del viso sono collocati correttamente |
Alcuni elementi del
viso sono collocati in modo scorretto |
La maggior parte
degli elementi del viso ha una collocazione
difficilmente riconducibile a quella reale |
|
B. Anamnesi
CN1, 7 anni
Diagnosi attuale: prematurità, ROP V° stadio, cecità totale.
Valutazione ortottica e del comportamento visivo: assenza di percezione luce bilaterale, portatrice di protesi oculare.
Eventi pre/peri/post natali significativi: nascita prematura alla 29 s.g. da gravidanza tri-gemellare. Intubata per diversi giorni. Diagnosi di ROP di grado V°, plurioperata.
Elementi salienti dello sviluppo psicomotorio del bambino dalla nascita ad oggi: a 10 mesi predilige la postura supina e non cambia postura da come viene messa. A 16 mesi rotola e sta seduta con sicurezza. A 20 mesi la marcia autonoma è in via di acquisizione, predilige comunque spostarsi sul sedere ed utilizzare i piedi per esplorare. Attualmente la bambina presenta uno sviluppo globale in linea con l’età, valutato per mezzo della Reynell Zinkin Scale. La motricità globale nel complesso risulta ora organizzata. La fluidità e la coordinazione del movimento non sono perfette. Il tono corporeo di base è alto. Si muove prevalentemente su richiesta. Nei momenti di gioco libero con i coetanei rimane in disparte, per la difficoltà nell’affrontare lo spazio senza vedere, ma partecipa molto verbalmente. Possiede una buona capacità aptica di esplorazione degli oggetti, anche se vi è ancora un’imperfetta coordinazione bimanuale. Racconta di sé ed è consapevole della disabilità visiva, tuttavia appare serena e sempre motivata nei confronti delle attività. Teme i rumori forti (temporale), sconosciuti e le situazioni caotiche.
Percorso riabilitativo eseguito fino ad ora: la presa in carico presso la Fondazione Hollman avviene a un anno di età e si protrae fino ad oggi, con un percorso ricco di attività educative e terapeutiche (individuali e di gruppo).
Uso del bastone: le viene proposto un pre-bastone a due anni e mezzo, ma lo rifiuta. Dall’età di 4 anni lo usa alla Fondazione Hollman.
CN2, 7 anni
Diagnosi attuale: disfonia da paralisi cordale, cecità totale.
Valutazione ortottica e del comportamento visivo: percezione luce conservata.
Eventi pre/peri/post natali significativi: nascita prematura alla 24 s.g; il peso alla nascita è di 630g. Sono presenti inoltre ROP di grado III; difficoltà respiratorie da granulomi della glottide; ipomobilità cordale destra e blocco della sinistra; IVH 4° (emorragia intraventricolare); malattia delle membrane jaline.
Elementi salienti dello sviluppo psicomotorio del bambino dalla nascita ad oggi: fin dai primi mesi di vita la bambina presenta una marcata ipotonia assiale che persiste fino agli 8 mesi di vita. A 15 mesi consolida la postura seduta, ma mantiene capo e tronco in flessione. Cammina a 20 mesi. Lo sviluppo globale della bambina nonostante il ritardo iniziale, procede col tempo in modo sempre più armonico.
Attualmente la motricità globale è caratterizzata da un tono prevalentemente alto e da una ridotta fluidità e coordinazione. E' evidente una rapidità del movimento globale che spesso la fa “sbattere” contro le cose. Vi è una tendenza a tenere il capo flesso. Usa entrambe le mani spesso in modo ancora troppo rapido e sommario per esplorare gli oggetti. E’ una bambina intelligente e socievole. E' però necessario riportarla spesso all’attività in corso: spesso infatti si immerge nell’esplorazione tattile o uditiva degli oggetti, oppure manifesta oppositività. Manifesta piacere nelle attività in cui può utilizzare il corpo in modo globale. E’ evidente nella bambina la difficoltà nell’accettare la disabilità visiva. Fino all’anno scorso affermava di essere vedente.
Percorso riabilitativo eseguito sino ad ora: comincia all’età di 8 mesi un percorso di fisioterapia (presso l’ulss della sua zona) che prosegue fino ai quattro anni con la collaborazione "a distanza" della Fondazione Hollman; quindi viene presa in carico stabilmente fino ad oggi presso la Fondazione, con percorsi educativi di gruppo e riabilitativi individuali.
Uso del bastone: comincia ad usare un pre-bastone a quasi due anni di età, ma lo rifiuta. Attualmente usa il bastone bianco, solo alla Fondazione Hollman da novembre 2014.
CT7, 7 anni
Diagnosi attuale: glaucoma congenito bilaterale, plurioperato, cecità totale. Valutazione ortottica e del comportamento visivo: dopo l'ultimo intervento chirurgico, verificatosi ad Aprile 2015, è difficile definire l’entità del residuo visivo in “acuità”, sembra plausibile che sia inferiore a 1/50 nell' OD. Inoltre non percepisce i colori, ma solo i contrasti bianco-nero e la luce. Il campo visivo periferico è di 5° concentrici. Nell' OS vi è solo percezione luce. Questa situazione si è mantenuta abbastanza stabile dall'età di 5 anni ad oggi.
Eventi pre/peri/post natali significativi: nasce alla 41 s.g. da gravidanza regolare. All’età di 3 mesi viene formulata la diagnosi di glaucoma congenito di Peters. Dai 9 mesi di età fino ai 7 anni il bambino viene operato nove volte.
Elementi salienti dello sviluppo psicomotorio del bambino dalla nascita ad oggi: a 4 mesi sostiene il capo in asse per pochi secondi. A 8 mesi compaiono rotolo, pivoting, striscio, controllo assiale di cape e tronco. A un anno e mezzo cammina a base allargata. Sviluppa la pinza secondaria e la bimanualità. Viene descritto anche negli anni successivi come uno sviluppo armonico per l’età.
Attualmente presenta un’organizzazione motoria adeguata, il tono corporeo è ben modulato, i passaggi posturali sono veloci e fluidi, ha un buon equilibrio statico e dinamico e una buona coordinazione. È sempre molto motivato nei confronti delle attività, è in grado di stabilire relazioni positive con i pari e con gli adulti. E’ molto accondiscendente. E’ consapevole del problema visivo, ma anche delle sue capacità compensatorie. Dimostra ottime capacità cognitive.
Percorso riabilitativo eseguito fino ad ora: comincia il suo percorso alla Fondazione Hollman all’età di 4 mesi con l’esperienza del baby-massage (esperienza proposta alla coppia genitore-bambino). Quindi prosegue fino ad oggi con attività individuali e di gruppo a carattere multidisciplinare.
Uso del bastone: lo usa prevalentemente alla Fondazione Hollman, da novembre 2014.
CP7, 7 anni
Diagnosi attuale: glaucoma congenito di Peters bilaterale, plurioperata, cecità parziale. Valutazione ortottica e del comportamento visivo: dall’età di 4 anni ad oggi il visus dell’OS si mantiene 1/20 (con correzione), il campo visivo si restringe progressivamente arrivando ai 10° concentrici attuali, percepisce i colori e i medi contrasti, nell’OD vi è assenza di percezione luce, la stereopsi è assente , indossa gli occhiali che hanno funzione protettiva da traumi e aumentano l’acuità visiva (non oltre 1/20). La perdita significativa della vista si è realizzata entro il primo anno e mezzo di vita.
Eventi pre/peri/post natali significativi: nasce alla 38 s.g. da parto eutocico. Alla nascita viene riscontrato glaucoma congenito bilaterale. Operata più volte (dal 7° giorno di vita, al 2010).
Elementi salienti dello sviluppo psicomotorio dalla nascita ad ora: a 6 mesi la bambina non presenta il controllo completo del capo; non esegue passaggi posturali. A 14 mesi padroneggia la postura seduta ed il pivot come modalità di spostamento. A 16 mesi compie alcuni passi laterali con sostegno e alcuni passi in autonomia. A quest’età tutti gli altri ambiti di sviluppo hanno uno scarto (in difetto) di un mese o due rispetto all’età anagrafica.
Attualmente si presenta curiosa, intelligente e socievole. Ricerca molto il movimento e spesso le risulta difficile inibirlo; vi è una tendenza a mantenere il capo anteposto per sfruttare il residuo visivo presente. Vi è una discreta coordinazione del movimento globale e un discreto equilibrio dinamico. La motricità fine è adeguatamente sviluppata per l’età, esegue diversi schemi motori (anche complessi, come tagliare con le forbici). È una bambina con un mondo immaginativo molto ricco che spesso condivide, sia con le terapiste, sia con i coetanei e che esprime nella realizzazione di disegni colorati con diversi materiali (“le mie creazioni artistiche”, le chiama). Spesso emergono vissuti di insoddisfazione legati al non riuscire a fare ogni cosa in modo “perfetto”. Il linguaggio verbale è sviluppato per l’età, usa spesso vocaboli ricercati e l’ironia, con l’intento di conquistarsi le simpatie e la compiacenza dell’adulto.
Percorso riabilitativo eseguito fino ad ora: dall'età di 8 mesi ad oggi è seguita presso la Fondazione Hollman in modo continuativo.
Rapporto con il bastone: comincia ad usare il bastone da novembre 2014, lo usa solo presso la Fondazione. Lo porta spesso in braccio e ci gioca chiamandolo “il mio cane al guinzaglio”.
CT9, 9 anni
Diagnosi attuale: glaucoma congenito bilaterale, subatrofia ottica bilaterale; cecità totale.
Valutazione ortottica e del comportamento visivo: il residuo visivo si riduce gradualmente nel tempo, passando da 1/20 all’età di 5 anni, al “moto manu” attuale (ovvero percezione dei movimenti della mano davanti a sè); fotofobia media (motivo per cui indossa gli occhiali); campo visivo tubulare (5° restringimento concentrico); sensibilità ai contrasti; percezione cromatica; stereopsi assente; motilità oculare nella norma.
Eventi pre/peri/post natali significativi: nasce alla 42 s.g. con parto indotto. Non si verificano complicanze post natali. A 3 mesi viene diagnosticato il glaucoma congenito bilaterale e viene operato.
Elementi salienti dello sviluppo psicomotorio dalla nascita ad ora: lo sviluppo psicomotorio del bambino viene riferito dai familiari in linea con l’età. Tuttavia fino ai 5 anni, viene sottostimata dall’ambiente familiare l’entità della problematica visiva, non vengono quindi presi in considerazione trattamenti riabilitativi, né strumenti compensativi. All’età di 5 anni il bambino dimostra di avere buone capacità adattive e assenza di ritardi psicomotori in rapporto all’età.
Attualmente la motricità globale del bambino si presenta adeguata, ma caratterizzata da un tono prevalentemente basso e una lieve goffaggine. Ricerca il movimento anche se si affatica facilmente e l’inibizione del movimento spesso è difficile. Presenta delle buone capacità di organizzare il movimento fine delle mani, anche se a volte le usa troppo frettolosamente.
Utilizza molto il linguaggio verbale, per controllare l’altro e per “deviare” dai compiti che preferirebbe evitare. Non racconta di sé, ma parla piuttosto di ciò che è presente. Chiede spesso all’adulto di descrivere ciò che non riesce a percepire visivamente o attraverso il tatto.
Percorso riabilitativo eseguito fino ad ora: arriva alla Fondazione Hollman all’età di 5 anni. Compie da quel momento un percorso continuativo fino ad oggi.
Uso del bastone bianco: lo usa da novembre 2014, ovunque (a casa, al centro, a scuola). La nonna (che lo accompagna sempre) riferisce che il bambino sta cominciando a considerare la sua importanza per spostarsi in luoghi meno conosciuti.
CP10, 10 anni
Diagnosi attuale: glioma ipotalamo-chiasmatico, atrofia ottica bilaterale, strabismo divergente, nistagmo, cecità parziale.
Valutazione ortottica e del comportamento visivo: attualmente l' OD presenta solo percezione luce; l' OS possiede un' acuità visiva di 1/50, percepisce i colori ed è sensibile ai contrasti, il campo visivo è ristretto (nasale 10°, temporale 20°); la stereopsi è assente, l' inseguimento lento ed i movimenti saccadici sono assenti, è presente nistagmo e deviazione dello sguardo in alto. La perdita visiva più significativa si è realizzata entro i primi due anni di vita per poi proseguire, senza periodi di stabilità, fino ad oggi.
Eventi pre/peri/post natali significativi: nato a termine di gravidanza normodecorsa, al terzo mese viene fatta diagnosi di neoplasia ipotalamo-chiasmatica, inoperabile. Viene intrapresa chemioterapia fino ai 17 mesi di età, con netta riduzione del volume tumorale. Attualmente non c’è progressione tumorale.
Elementi salienti dello sviluppo psicomotorio del bambino dalla nascita ad oggi: lo sviluppo è normale prima dei tre mesi di vita. Segue un ritardo nelle prime acquisizioni motorie: a due anni si sposta seduto. A 3 anni si riducono le difficoltà rispetto al movimento globale, si sposta col cammino autonomo sfruttando il residuo visivo. Presenta invece difficoltà rispetto alla motricità fine. Non vi sono ritardi da un punto di vista cognitivo. Attualmente il bambino presenta una motricità globale adeguata anche se caratterizzata da un tono molto basso, facile affaticabilità e scarsa agilità. E’ presente un' imperfetta coordinazione, ma buon equilibrio statico. Negli ultimi due anni il bambino dimostra una maggiore motivazione ad un uso più ampio e preciso delle mani (maggiore coordinazione e tono nell’azione) nella realizzazione di lavoretti creativi, di cui è molto orgoglioso.
E’ un bambino socievole, rispettoso delle regole e degli altri. Racconta di sé e delle sue esperienze, soprattutto quelle più difficili, legate alle frequenti visite mediche. Tuttavia dimostra di saper gestire il carico emotivo legato a queste, utilizzando spesso l’ironia. È molto consapevole della sua disabilità (anche se non ne parla direttamente) e per questo “si concede pochi errori”, sia rispetto all’andamento scolastico, sia rispetto alle azioni della quotidianità.
Percorso riabilitativo eseguito fino ad ora: fino ai tre anni di vita viene seguito presso strutture riabilitative territoriali, poi presso la Fondazione Hollman sino ad oggi.
Uso del bastone: lo usa da novembre 2014, alla Fondazione, a scuola, in luoghi meno conosciuti. In poco tempo diventa per lui, ausilio utile nella quotidianità. Si dimostra motivato al suo utilizzo.
C. Risultato applicazione protocollo per ogni bambino
ITEMS |
CN1 |
CN2 |
CT7 |
CP7 |
CT9 |
CP10 |
CB1 |
0,5 |
0,5 |
0,5 |
0 |
0,5 |
0,5 |
CB2 |
0,5 |
0,5 |
0,5 |
0,5 |
0,5 |
0,5 |
CB3 |
0,5 |
0,5 |
1 |
1 |
1 |
1 |
CB4 |
0,5 |
0,5 |
1 |
1 |
1 |
1 |
CB5 |
1 |
1 |
1 |
0,5 |
1 |
1 |
CB6 |
0,5 |
0 |
1 |
1 |
1 |
1 |
CB7 |
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SB8 |
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SB11 |
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1 |
1 |
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1 |
1 |
ITEMS |
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1 |
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D. Mappe Hollman (item S13)
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||
mappa realizzata da CN1 | mappa realizzata da CN2 |
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mappa realizzata da CT7 | mappa realizzata da CP7 |
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mappa realizzata da CT9 | mappa realizzata da CP10 |
E. Omini (item C21)
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CN1 | CN2 | CT7 |
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|||
CP7 | CT9 | CP10 |
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