SVILUPPO NEURO E PSICOMOTORIO: Concetto, Approcci Teorici, Scale di Sviluppo; Metodologia; Strumenti e Ambienti di lavoro; Campione con sviluppo tipico e atipico

IL CONCETTO DI SVILUPPO

METODOLOGIA DI LAVORO

INDICE PRINCIPALE

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IL CONCETTO DI SVILUPPO

Approcci teorici al concetto di sviluppo

Data la natura complessa dell'argomento, più volte il concetto di sviluppo è stato ripreso ed approfondito in vari ambiti, dallo scientifico al letterario, passando per quello psicologico. Ne sono derivati diversi approcci teorici, ognuno dei quali presenta un quadro concettuale di riferimento in cui si collocano teorie e studiosi. Ogni teoria, affermano Camaioni e Di Blasio (2007), cerca di rispondere alle seguenti tre domande-chiave:

  1. qual è la natura del cambiamento che caratterizza lo sviluppo? Rispetto a questo punto ci sono correnti di pensiero, si veda il comportamentismo, che sostengono che il cambiamento sia di natura quantitativa, un graduale accumulo di competenze nel tempo; altre, le cosiddette teorie organismiche, scelgono l'opzione qualitativa, per cui lo sviluppo implica la comparsa di nuove abilità o la trasformazione di quelle già presenti;
  2. quali processi causano questo cambiamento? Le teorie si differenziano per il ruolo attribuito ai fattori genetici e ambientali;
  3. si tratta di un cambiamento continuo e graduale o viceversa discontinuo e improvviso?

La letteratura scientifica (Uzgiris, Hunt, 1979; Camaioni, Di Blasio, 2007) individua tre grandi approcci teorici al tema dello sviluppo; secondo l'approccio comportamentistico "l'organismo è un individuo docile e plasmabile" il cui cambiamento evolutivo "non proviene dall'interno dell'individuo ma è l'ambiente a imporlo dall'esterno" secondo rinforzi positivi e negativi. L'approccio organismico considera l'individuo come "un organismo attivo, spontaneo e teso a realizzare le proprie potenzialità […] guidato da leggi che regolano la sequenza e l'organizzazione dei cambiamenti". Le nuove acquisizioni sono il "risultato del modo in cui individuo e ambiente giungono a coordinarsi l'uno con l'altro". Infine, l'approccio psicoanalitico "considera l'individuo come un organismo simbolico, capace di attribuire significati a sé stesso e al mondo. Il cambiamento è visto come l'esito di conflitti interni."

Le teorie di Piaget, sulle quali si basano gli strumenti e l'orientamento teorico di questo lavoro, sono riconducibili all'approccio organismico, che ai tre quesiti fondamentali posti in partenza risponde nei modi seguenti: la natura del cambiamento è di tipo qualitativo; lo sviluppo è frutto dell'interazione tra un organismo dotato di determinate competenze e particolari condizioni ambientali; ci sono funzioni che rimangono invarianti nel corso dello sviluppo (continuità), mentre altre, come le strutture cognitive, cambiano tra uno stadio e l'altro (discontinuità). Una concezione dello sviluppo nei termini appena descritti porta inevitabilmente con sé delle conseguenze; infatti, una concezione dello sviluppo come trasformazione di competenze, sottolinea le distinzioni tra gli stati e, in particolare, tiene conto dei livelli intermedi. Inoltre, il cambiamento tra gli stati viene visto in modo tale da implicare l'integrazione delle nuove acquisizioni con le precedenti e una riorganizzazione dell'intera rete di competenze dell'organismo. Rispetto alla questione natura-cultura come responsabile dello sviluppo, la posizione adottata non è di compromesso, ma "ipotizza di fatto un processo di regolazione nell'adattarsi delle condizioni ambientali al livello di organizzazione dell'organismo, nel quale sia l'organismo che le condizioni contribuiscono alla regolazione". Lo sviluppo dipende in tal modo dalla disponibilità delle opportunità ambientali e dalla plasticità dell'organismo nell'adattarsi alle variazioni ambientali.

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Lo sviluppo psicomotorio e i marcatori psicomotori

Un discorso a parte merita lo sviluppo psicomotorio, un concetto cui è difficile dare una definizione precisa, ma rispetto al quale sono state elaborate diverse formulazioni. Chi prova a darne una definizione è Sattler (1979): "[…] il processo attraverso il quale avviene l'organizzazione progressiva delle funzioni, che conferiscono al soggetto la capacità di adattamento alle richieste ambientali, capacità questa che si manifesta nei vari comportamenti.". Julien de Ajuraguerra (1981) afferma che "lo sviluppo psicomotorio passa schematicamente attraverso diverse fasi: 1) organizzazione della struttura motoria […] 2) organizzazione del piano motorio […] 3) automatizzazione dell'acquisito."

Il contributo di Ajuraguerra è prezioso in quanto riconduce lo sviluppo psicomotorio alla motricità, termine con cui si indica "la capacità del sistema nervoso di comandare la contrazione muscolare" (Wille, Ambrosini, 2010); da questo concetto discendono i seguenti termini:

  • atto, che indica l'effetto della contrazione muscolare;
  • azione, che rinvia ad un'organizzazione interna;
  • movimento, "il modo peculiare di percepire il cambiamento di posizione" (Wille, Ambrosini, 2010).

Quest'ultimo è il nodo centrale della psicomotricità ed è di conseguenza anche il punto di partenza di questo lavoro. Emerge chiaramente che il movimento è innanzitutto una funzione psichica (Wallon, 1970) determinante per l'adattamento (Piaget, 1968) ed in psicomotricità è un marcatore che permette di individuare i passaggi evolutivi (Ambrosini, Pellegatta, 2012). Considerare lo sviluppo in un'ottica psicomotoria significa dunque prestare molta attenzione al movimento e osservare le funzioni dinamico-posturali della Motricità di Posizione (MP) e gli spostamenti conseguenti alle coordinazioni cinetiche della Motricità di Spostamento (MS). "Il movimento di un bambino ci informa rispetto al suo stadio evolutivo […], alla componente neurologica dello sviluppo, alle modalità con cui quella coordinazione viene eseguita, alla Qualità Motoria (QM) e all'Organizzazione Motoria (OM)" (Ambrosini, Pellegatta, 2012).

La metodologia dello sviluppo psicomotorio basata sul rapporto tra MS e MP individua quattro settori per mezzo dei quali valutare l'adattamento:

  • postura e dinamicità posturale;
  • cambi posturali e spostamenti, derivabili dalle modificazioni toniche;
  • coordinazioni oculo-manuali e altre funzioni motorio-percettive;
  • espressione corporea.

Quelli appena elencati si definiscono marcatori psicomotori dello sviluppo, cioè "composti distintivi facilmente riconoscibili che si colorano a certe età". La loro colorazione permette di "dedurre la salute motoria e corporea, che è il risultato dell'evoluzione del bambino fino a quel momento"(Wille, Ambrosini, 2010). I parametri psicomotori dello sviluppo sono individuabili per ogni età o, meglio, fascia d'età; in questo lavoro sono risultati particolarmente utili per stabilire, a partire dall'osservazione psicomotoria del comportamento spontaneo, il livello in cui collocare le abilità presenti nei soggetti presi in esame. Ciò ha permesso di verificare se la fascia d'età in cui si collocavano i bambini fosse in linea con la loro età anagrafica; inoltre, ha facilitato un confronto in termini quantitativi tra questo range d'età e quello ricavato dalle risposte fornite alle situazioni stimolo delle scale ordinali Uzgiris-Hunt.

Un altro parametro utile a valutare lo sviluppo psicomotorio è la Qualità Motoria (QM) che informa sulle modalità in cui si presentano e vengono utilizzate coordinazioni cinetiche e posture; essa è costituita da quattro parametri: equilibrio, inteso come l'abilità di rimanere in un ristretto raggio d'azione; scioltezza, che caratterizza il tono muscolare; dissociazione, che informa rispetto all'economia dell'atto; regolarità, si riferisce a parametri temporali e quindi alla successione del movimento.

Nella valutazione dello sviluppo psicomotorio, è da tenere in considerazione l'Organizzazione Motoria (OM) che "sceglie gli atti e li ordina in funzione del raggiungimento dello scopo" (Wille, Ambrosini, 2010); trattasi quindi di un parametro che coinvolge la sfera cognitiva con compiti di progettazione e programmazione motoria.

L'osservazione psicomotoria del comportamento spontaneo (OPMS) è lo strumento adottato in questo lavoro per svolgere le valutazioni necessarie: prende in considerazione infatti tutti i parametri esposti.

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Scale di sviluppo tradizionali e ordinali

Una caratteristica delle scale di sviluppo Uzgiris-Hunt impiegate in questo lavoro è quella di essere scale ordinali. Questo implica un modo differente di considerare la natura del cambiamento che si verifica nel corso dello sviluppo; se infatti, i test tradizionali si basano sull'assunzione di un processo di accrescimento e non danno molta importanza all'interdipendenza tra le acquisizioni dei vari livelli, "le scale ordinali, invece, implicano una relazione gerarchica tra le acquisizioni che si verificano a livelli diversi di modo che in linea di principio, le acquisizioni del livello più alto non seguono incidentalmente ma sono intrinsecamente derivate da quelle del livello precedente […]" (Uzgiris, Hunt, 1979). Inoltre, in contrasto con i test tradizionali sullo sviluppo infantile, basati su una concezione unitaria dell'intelligenza, le scale ordinali sono costruite sul presupposto che le competenze cognitive infantili siano costituite da varie serie di abilità e che la natura di queste abilità sia diversa a diversi livelli di sviluppo.

Le differenze teoriche si riflettono anche a livello pratico:

  • è diverso il metodo utilizzato per determinare il livello di sviluppo di un bambino: infatti, nei test tradizionali si ricorre all'età mentale, accertata rispetto al numero di items superati e si ricava da questo punteggio l'età media corrispondente. "Tuttavia, poiché questo metodo di punteggio si basa su un modello compensatorio dei dati, il significato esatto dell'età mentale è oscuro" (Dunst et al., 1983). Cioè, nell'accertare l'età mentale, gli items superati possono essere sostituiti da altri arrivando ad un certo livello di funzionamento. Così, individui con la stessa età mentale potrebbero aver superato items differenti e quindi avere differenti repertori di competenze cognitive. Lo stadio di sviluppo sulle scale ordinali è invece determinato dall'item più alto passato per ogni scala somministrata. Data la natura ordinale, il massimo punteggio raggiunto su una scala specifica quel particolare punto in cui il bambino sta funzionando.
  • Sono diverse le procedure di somministrazione: i test tradizionali presentano procedure standard e materiali standardizzati, giustificate dal fatto che lo scopo di queste valutazioni è il confronto tra le prestazioni della persona sottoposta al test e quella degli individui inclusi nel campione di standardizzazione. Al contrario, le procedure di prova suggerite per le scale ordinali sono più flessibili e consentono all'esaminatore di utilizzare materiali e situazioni che soddisfino lo scopo di queste valutazioni: ottenere livelli ottimali di prestazioni (Dunst et al., 1983).

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METODOLOGIA DI LAVORO

Gli strumenti di lavoro: storia e costruzione delle scale

Le scale ordinali Uzgiris-Hunt sono 6 scale che indagano sei differenti settori dello sviluppo psicologico in bambini di età compresa tra 0 e 24 mesi. L'obiettivo dell'ideazione di queste scale da parte di Uzgiris e Hunt è stato quello di avere uno strumento che studiasse l'influenza che ambienti diversi hanno sullo sviluppo dei bambini. Si tratta di un lavoro ampio ed approfondito che, come affermano gli stessi autori nel manuale pubblicato nel 1979, "è incompleto, nel senso che non abbiamo ancora intrapreso gli studi longitudinali nei quali speravamo di usare le scale per rilevare gli effetti di pratiche diversi di allevamento dei bambini […]. È incompleto nel senso che non abbiamo tentato di standardizzare le scale […] in quanto riteniamo che i diversi livelli di organizzazione seriati nelle scale hanno un significato psicologico per sé stessi e vanno assunti come tali". Nonostante rimanga aperta a correzioni e rivalutazioni, quella presentata è comunque la versione definitiva che è stata costruita seguendo tre tappe principali:

  • la prima versione dello strumento non è altro che un elenco delle situazioni utilizzate da Jean Piaget nell'evocare le azioni caratteristiche dei diversi stadi di sviluppo e denominate dagli studiosi "azioni critiche". Il campione adottato per questo primo strumento è composto da 42 bambini, sia maschi che femmine, di età compresa tra 1 e 22 mesi. A seguito della presentazione, in base allo stadio di sviluppo raggiunto, viene effettuata una divisione secondo i 6 stadi di Piaget.
  • La seconda tappa pone il problema dell'accordo tra gli osservatori circa le azioni critiche. Viene quindi addestrato un altro esaminatore, Tam Wei, e su un campione di 23 bambini di età compresa tra 1 e 23 mesi vengono compiute le osservazioni prima da un esaminatore, poi dall'altro, a distanza di 48 ore. Quello che ne risulta è un sostanziale accordo sullo stadio di sviluppo del bambino osservato, ma cambia il tipo di azione su cui basano questo giudizio.
  • La terza fase del lavoro vuole: determinare l'accordo tra gli osservatori riguardo le azioni del bambino; determinare la stabilità tra le sedute; determinare una suddivisione in scale; determinare la scalabilità delle azioni del bambino all'interno di ciascuna scala. Cambia anche il metodo di lavoro: gli osservatori lavorano a coppie e vedono ogni bambino due volte; la prima volta uno fa da esaminatore e l'altro da osservatore, la seconda volta viceversa. Lo strumento viene somministrato a un campione di 84 bambini di età compresa tra 1 e 24 mesi. Il passo successivo è stato quello di determinare il grado di accordo tra gli osservatori, inteso come "tutti quei casi in cui entrambi gli osservatori indicano la presenza o l'assenza di una data azione". Infine, il grado di stabilità, considerando che "vi sia stabilità tra le sedute ogni qualvolta un osservatore registra la presenza o l'assenza di una particolare azione in entrambe le sedute".

Da queste revisioni derivano le situazioni stimolo e le azioni critiche che sono state suddivise in sei scale ordinali, che riguardano:

  • Lo sviluppo del concetto di oggetto e la sua permanenza
  • Lo sviluppo di mezzi per ottenere eventi ambientali desiderati
  • Lo sviluppo dell'imitazione vocale (IIIa) e gestuale (IIIb)
  • Lo sviluppo della causalità operazionale
  • Lo sviluppo della costruzione di rapporti spaziali tra gli oggetti
  • Lo sviluppo di schemi di relazione con gli oggetti

Presentazione delle scale

Di seguito vengono presentate le 6 scale inserite nella versione definitiva del manuale del 1979, stessa versione adottata come strumento in questo lavoro:

Scala I: capacità di seguire con lo sguardo oggetti in movimento e permanenza dell'oggetto

Si tratta di una serie di situazioni che indagano lo sviluppo di quella che Piaget (1973) definisce permanenza dell'oggetto. Parte da uno schema precostituito, quello del guardare e da questo inserisce cambiamenti accomodativi rispetto a: il movimento dello sguardo, l'ampiezza e la velocità di tale movimento, la coordinazione della vista con la prensione. I passaggi successivi prevedono la scomparsa degli oggetti: dapprima parziale, poi totale, con più schermi, con spostamenti visibili e infine invisibili. La ricerca dell'oggetto desiderato e la rimozione dello schermo che lo sottrae completamente alla vista indica l'inizio della permanenza dell'oggetto nel bambino e "la persistenza di processi centrali che permettono una parziale costruzione degli eventi attualmente non percepibili" (Uzgiris, Hunt, 1979).

Scala II: sviluppo dei mezzi per ottenere eventi ambientali desiderati

Le situazioni raccolte in questa scala si riconducono al binomio mezzo-fine e alla differenziazione che il bambino inizia a compiere tra i due. Una delle più rudimentali è l'attività del guardarsi delle mani, nella quale "il bambino sembra muovere le mani al fine di creare uno spettacolo interessante ai suoi occhi" (Uzgiris, Hunt, 1979). In seguito, impiegherà schemi d'azione ben sviluppati per mantenere il contatto percettivo con eventi interessanti, per poi applicarli anche in circostanze nuove che richiedono modificazioni accomodative degli schemi stessi. I tentativi accomodativi divengono poi impliciti con la comparsa dell'anticipazione.

Scala III: sviluppo dell'imitazione

Questa scala è suddivisa in due serie: una relativa all'imitazione vocale (IIIa), l'altra all'imitazione gestuale (IIIb). La scala IIIa inizia con uno schema precostituito, quello della vocalizzazione; la ripetizione, da parte del bambino stesso o di altri, porta questi modelli di vocalizzazione a diventare famigliari e riconoscibili e di conseguenza interessanti per il bambino. In seguito, i bambini imitano anche modelli sonori meno famigliari, dapprima con approssimazione graduale, poi direttamente fino ad arrivare a produrre parole e frasi.

Simile è la sequenza con cui si sviluppa l'imitazione gestuale. I bambini imitano inizialmente gesti semplici, che fanno parte dei loro schemi motori più primitivi, per poi passare ad azioni più complesse che richiedono una qualche modificazione accomodativa. La tappa successiva è l'imitazione di gesti che possono vedersi eseguire ed infine dei gesti facciali non visibili che richiede una certa capacità di rappresentazione del viso e dei suoi lineamenti.

Scala IV: lo sviluppo della causalità operazionale

"Con l'inizio del comportamento di guardarsi le mani e dell'afferrare oggetti interessanti, i bambini cominciano a manifestare un certo controllo, mediante i movimenti delle loro mani, di ciò che vedono con gli occhi" (Uzgiris, Hunt, 1979). Il passaggio successivo consiste in quelle che Piaget (1968) ha denominato procedure, ossia delle generalizzazioni di alcune azioni a circostanze diverse. Si tratta di fonti di causalità ancora interne al bambino che anticipano l'azione diretta sulla fonte dell'evento interessante o la richiesta di intervento di un'altra persona; tali azioni possono essere più o meno adeguate in quanto dipendono dalla conoscenza dei meccanismi. Ciò che considera importante questa scala è comunque il tentativo di trovare cause obiettive e non l'appropriatezza dei tentativi stessi.

Scala V: la costruzione di relazioni spaziali tra gli oggetti

Le situazioni raccolte in questa scala iniziano con l'osservazione da parte del bambino di due oggetti alternativamente; in seguito, la vista si coordina prima con l'udito e guida il bambino nella localizzazione di un oggetto sonoro e poi con l'afferramento. Le tappe successive coinvolgono la ricostruzione di traiettorie di oggetti, anche quando è visibile solo una parte di esse.

Scala VI: lo sviluppo di schemi di relazione con gli oggetti

Nelle prime fasi dello sviluppo i bambini si dedicano all'esercizio di schemi noti indipendentemente dalle caratteristiche degli oggetti che li evocano. Gradualmente si verifica un accomodamento che contribuisce allo sviluppo di schemi nuovi e all'interesse per gli oggetti stessi. Da questo deriva dapprima lo schema dell'esaminare gli oggetti, poi la considerazione del significato sociale degli oggetti che porta agli schemi del mostrare e del nominare.

Per ciascuna scala sono previste alcune situazioni da presentare al bambino in esame; il numero di situazioni varia a seconda della scala, nel seguente modo: 15 situazioni per la scala I; 12 per la scala II; 6 per la scala IIIa e 4 per la scala IIIb; 7 per la scala IV; 11 per la scala V; 3 per la scala VI.

Per ciascuna situazione è indicato un numero di ripetizioni necessario affinché possa essere ritenuta attendibile la risposta del bambino; sono inoltre indicate le risposte possibili del bambino, in un numero variabile da 2 risposte a 6 (sono prese in considerazione 10 possibili risposte solamente per l'ultima situazione della scala VI, strutturata diversamente dalle altre). L'azione svolta dal bambino in risposta allo stimolo presentato può essere ritenuta critica; con questo termine sono indicate quelle azioni che forniscono indicazioni utili circa l'acquisizione di una tappa di sviluppo; inoltre, tra le azioni critiche, quelle riscontrate con una maggior frequenza sono state utilizzate per un'analisi scalare al fine di produrre un'indicazione dell'ordinalità della sequenza ottenuta. Per la registrazione dei risultati durante lo svolgimento delle indagini sono state utilizzate le tabelle di registrazione costruite dagli stessi autori delle scale e riportate in allegato (vedi ALLEGATO A).

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Gli strumenti di lavoro: osservazione psicomotoria del comportamento spontaneo

Il termine osservazione ha un significato molto ampio: può essere inteso come "riconoscimento", "constatazione", "accertamento" (Wille, Ambrosini, 2010). L'origine del metodo osservativo e dell'interesse per lo sviluppo infantile si collocano tra il Settecento e l'Ottocento: è in questo periodo che nascono infatti le cosiddette biografie dei bambini, ossia diari in cui noti studiosi annotavano, giornalmente, comportamenti e cambiamenti dei propri figli; l'esempio più noto è l'elaborato di Charles Darwin del 1840. Da quel momento il metodo osservativo conosce grande fortuna in Italia, grazie all'opera di Maria Montessori, e nel resto del mondo, fino al 1931, anno in cui viene pubblicato il primo grande manuale americano sulla psicologia dello sviluppo ad opera di Murchison: vengono prese le distanze dai metodi osservativi per sottolineare l'importanza delle sperimentazioni in laboratorio. Per una trentina d'anni si assiste quindi all'affermarsi incontrastato del metodo sperimentale fino a che nuovi approcci, quali i metodi etologici ed ecologici, e la disponibilità di nuove tecniche di registrazione, raccolta ed analisi dei dati contribuiscono a rendere le metodologie osservative più semplici all'uso e raffinate.

"L'osservazione è un'attività complessa e impegnativa che richiede non soltanto tempo, distensione e libertà intellettuale, ma anche la capacità di non coinvolgersi troppo e di sospendere il giudizio su quanto si osserva, e una buona consapevolezza di sé". (Camaioni, Aureli, Perucchini, 2004). Nell'osservazione, e ancora di più in quella di altri esseri umani, è quindi importante tenere in considerazione anche l'osservatore: non è infatti possibile osservare eventi esterni senza che vi sia l'intervento di processi interni, percettivi o cognitivi. Si tratta di un'attività inevitabilmente esposta ai rischi della soggettività, ma non per questo non può diventare obiettiva, se svolta secondo procedure sistematiche, ripetibili e comunicabili.

Perché sia il più possibile adeguata, è importante che l'osservatore stabilisca che cosa osservare, come osservare, dove, per quanto tempo e con quale fine. Questo, indipendentemente dal tipo di osservazione che si va ad adottare; esistono infatti diverse forme di osservazione. Una prima distinzione viene effettuata sulla base del luogo in cui si tiene l'osservazione: si distingue quindi quella naturalistica, condotta nell'ambiente naturale del soggetto osservato, da quella da laboratorio che si caratterizza per la creazione di condizioni specifiche per la rilevazione dei dati. In base poi alla presenza o meno dell'osservatore nell'ambiente; quando quest'ultimo si trova in loco si parla di osservazione diretta, quando invece si basa su quanto una terza persona o una videoregistrazione riferiscono è indiretta.

Ambrosini e Wille (2010), all'interno dell'osservazione diretta, propongono un'ulteriore classificazione: la forma distaccata si caratterizza per l'assenza di scambi comunicativi tra l'osservatore e il soggetto osservato; quella partecipante prevede un coinvolgimento diretto dell'osservatore nel mondo dell'osservato; quella critica "è guidata da ipotesi che sono formulate per essere verificate".

L'osservazione psicomotoria del comportamento spontaneo (OPMS) si configura per essere un'osservazione diretta che si può compiere sia in un ambiente naturale sia in un "laboratorio", come potrebbe essere l'ambiente psicomotorio. Presuppone inoltre diversi livelli di interazione tra osservatore ed osservato.

In questo lavoro gli ambienti in cui le osservazioni sono state condotte sono due: la stanza di psicomotricità e gli ambienti esterni degli asili nido. Quest'ultimo può essere considerato come un ambiente naturale in quanto le osservazioni sono state svolte a partire dal mese di maggio e quindi i bambini frequentano da almeno 8 mesi l'asilo nido; inoltre, gran parte del campione è composto da bambini di 24 mesi che non sono nuovi iscritti e frequentano quindi da 2 anni gli stessi ambienti.

"L'OPM ha lo scopo di rilevare le potenzialità evolutive e le caratteristiche adattive del bambino tramite l'analisi delle sue azioni" (Ambrosini, Pellegatta, 2012). Rilevare i dati è solamente uno degli obiettivi di questa osservazione. Un altro, molto importante per questo lavoro, è quello di conoscere e farsi conoscere dai bambini, creare quindi un contatto che consenta la rilevazione dei dati e la successiva somministrazione delle prove previste.

Proprio per la duplice funzione si è scelto di riservare un periodo ben definito esclusivo per l'osservazione psicomotoria, ossia quello dei primi incontri, sia nei servizi educativi che in quelli riabilitativi. Questo ha permesso di iniziare quel contatto che è risultato poi fondamentale per la relazione necessaria che si è andata a stabilire successivamente con ciascun bambino; ha permesso, inoltre, di rilevare il comportamento più spontaneo possibile, non influenzato né dal ruolo dell'osservatore né dalla relazione. Come guida nell'osservazione è stato seguito il modello illustrato in figura 1.

Figura 1 Classificazione della motricità (MS=Motricità di Spostamento; MP=Motricità di Posizione) (Ambrosini, Pellegatta, 2012)

Il punto di partenza è stato inevitabilmente, come prescrive il ruolo professionale del TNPEE, il movimento; sono state prese in considerazione la Motricità di Posizione (MP) e la Motricità di Spostamento (MS) e il rapporto esistente tra esse in ciascuno dei bambini. In ognuna delle due condizioni sono poi stati rilevati gli atti manuali, in termini di preferenza di lato e tipo di prensione; durante l'esecuzione di tali atti è stata posta l'attenzione sulla temporalità e la direzione dello sguardo, oltre che sul capo, le zone del volto e le produzioni vocali. Connessa agli atti manuali è stata la considerazione degli schemi d'azione, in termini di quantità e qualità.

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Gli ambienti di lavoro

Le osservazioni e le somministrazioni delle scale Uzgiris-Hunt sono avvenute in cinque differenti servizi, tra clinici ed educativi: Fondazione Don Carlo Gnocchi Onlus (ambulatorio di Nerviano) e Consorzio SIR di Milano per quanto riguarda i primi; gli asili nido Fantanido (Fagnano Olona), Il Grillo Parlante (Busto Arsizio) e Camminiamo Insieme a Piccoli Passi (Busto Arsizio) per i secondi. Posta come premessa la peculiarità di ciascuno di questi ambienti, data dalla loro funzione e dalla cultura dei servizi in cui si trovano, è possibile individuare 3 macroambienti:

  • gli spazi esterni degli asili nido; le osservazioni sono state condotte nei mesi tra maggio e luglio, motivo per il quale le attività dei bambini venivano svolte negli spazi esterni che ciascun asilo ha a disposizione. In tutti e tre i casi si tratta di ambienti poco strutturati, caratterizzati dalla presenza di pochi oggetti (scivoli, altalene, palloni, tricicli) e nei quali non vengono organizzate attività dalle educatrici, quanto piuttosto viene lasciato spazio al gioco libero. Per queste caratteristiche gli spazi esterni si sono rivelati ottimali per l'osservazione psicomotoria del comportamento spontaneo permettendo la rilevazione delle tendenze ludiche e comportamentali dei bambini e stimolando, allo stesso tempo, il settore di primario interesse nell'osservazione: la motricità.
  • Gli spazi interni degli asili nido; svolgendosi le attività negli spazi esterni, è stato possibile sfruttare quelli interni per creare un setting adeguato alla somministrazione delle situazioni stimolo delle scale Uzgiris-Hunt. Sono state scelte stanze ampie, per due motivi: la necessità di spazi in cui potersi muovere, in quanto previsto da alcune situazioni; la possibilità di lavorare contemporaneamente con due bambini, senza che ci fosse un'invasione reciproca degli spazi. Le stanze sono state impiegate sgombre da ogni materiale che non fosse utile per le prove, mentre quelli necessari sono stati posizionati in spazi sopraelevati e lungo le pareti in modo da: non distrarre i bambini con la vista di materiali nuovi; avere la parte centrale della stanza libera per lavorare.
  • La stanza di neuropsicomotricità; si tratta di un ambiente in cui si legge il comportamento del bambino attraverso gli strumenti scelti e si caratterizza per essere costruito secondo specifiche finalità perseguite tramite la tipologia e l'ubicazione degli oggetti. Secondo la definizione di Wille e Ambrosini (2010) all'interno di ogni stanza tendono ad essere presenti: uno scenario stabile definito dalle caratteristiche architettoniche necessarie all'intervento; uno scenario d'accoglienza che risponde agli obiettivi del terapista; uno scenario mutante, che deriva dall'interazione tra bambino e operatore, venendo trasformato da uno o dall'altro. Entrambe le stanze in cui è stata svolta parte di questo lavoro si caratterizzano per essere ambienti ampi, conosciuti dai bambini e con una disposizione periferica degli oggetti; è stato possibile svolgere sia un'osservazione del comportamento spontaneo che una rilevazione del livello di sviluppo cognitivo dei bambini, predisponendo il setting prima del loro ingresso in stanza.

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Il campione

Il campione di bambini scelto per questo lavoro è composto da 34 bambini, suddivisi in due gruppi: 30 bambini di età compresa tra i 14 e i 24 mesi, senza alcuna segnalazione di anomalie nello sviluppo con i quali l'indagine è stata svolta all'interno degli asili nido; 4 bambini di età compresa tra 14 e 36 mesi, con uno sviluppo atipico diagnosticato, inseriti all'interno di servizi terapeutici di neuropsicomotricità.

Il campione di bambini con sviluppo tipico

Il lavoro ha quindi assunto finalità differenti a seconda del campione; nel caso dei 30 bambini, il cui unico criterio di inclusione è stata l'età compresa tra 0 e 24 mesi, gli scopi perseguiti sono stati i seguenti:

  • testare su un campione di bambini nella norma gli strumenti, sia nel loro impiego singolo, sia in quello combinato; specialmente per quanto riguarda le scale ordinali dello sviluppo Uzgiris-Hunt si rendeva necessario verificare l'impiego di uno strumento poco in uso sia nei servizi riabilitativi che educativi;
  • raccogliere i risultati di questo campione di bambini per avere un punto di riferimento rispetto ai risultati attesi nello sviluppo nella norma, da confrontare in seguito con quelli del campione di bambini con anomalie nello sviluppo;
  • verificare l'impiego di questa metodologia di lavoro a scopo preventivo e rilevare eventuali segni di difficoltà nello sviluppo psicomotorio.

I 30 componenti di questo gruppo sono stati ulteriormente suddivisi in sottogruppi, a seconda dell'età anagrafica: sottogruppo A, composto da 3 bambini di 14 mesi; sottogruppo B, composto da 1 bambino di 16 mesi; sottogruppo C, composto da 6 bambini di 18 mesi; sottogruppo D, composto da 5 bambini di 20 mesi; sottogruppo E, composto da 15 bambini di 24 mesi. Seppur nelle intenzioni iniziali di questo lavoro ci fosse la volontà di includere anche bambini più piccoli, questo non è stato possibile, principalmente a causa del periodo in cui le rilevazioni sono state svolte: si è trattato infatti dei mesi tra maggio e luglio, periodo in cui la maggior parte dei bambini ha già compiuto almeno l'anno di età.

Il campione di bambini con sviluppo atipico

Per quanto riguarda i restanti 4 bambini, sono necessarie alcune specificazioni: il campione è ridotto, data la difficoltà ad intercettare la loro presenza nei servizi accanto a possibili maggiori resistenze delle famiglie; il ritardo nello sviluppo presentato da questi bambini non presenta un criterio comune, in quanto la finalità del lavoro è indagare le correlazioni tra sviluppo motorio e cognitivo in situazioni di sviluppo atipico, non in una sindrome o condizione specifica; il criterio di inclusione dell'età è stato dilatato a 36 mesi per le caratteristiche del ritardo nello sviluppo dei bambini; è stata adottata come criterio di esclusione la diagnosi di disturbo dello spettro autistico.

Gli scopi perseguiti con questo campione di bambini sono stati:

  • valutare il tipo di correlazione tra sviluppo motorio e cognitivo, confrontandolo con i dati raccolti nel campione di bambini nella norma;
  • verificare l'impiego di questa metodologia di lavoro all'interno di servizi riabilitativi di psicomotricità, specialmente per quanto riguarda la fase di valutazione.

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