Il modello PACT per l’Autismo (fondamenti teorici e struttura) e il coinvolgimento del genitore nel trattamento del Disturbo dello Spettro Autistico

La metodologia PACT (fondamenti teorici e struttura) e il coinvolgimento del genitore nel trattamento del Disturbo dello Spettro Autistico

La metodologia PACT: fondamenti teorici e struttura

Il coinvolgimento del genitore nel trattamento del Disturbo dello Spettro Autistico

INDICE PRINCIPALE

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La metodologia PACT (Pre-school Autism Communication Therapy) nacque nei primi anni 2000 in Inghilterra dall’esigenza di sviluppare un modello di intervento per il Disturbo dello Spettro Autistico da rendere oggetto di studi sistematici, sempre più ampi e approfonditi. Questo per muoversi maggiormente nella direzione di una medicina dell’evidenza. Il PACT è un approccio terapeutico psicosociale per il trattamento degli aspetti socio-comunicativi del Disturbo dello Spettro Autistico (DSA in italia o ASD, acronimo inglese di “Autism Spectrum “Disorder“) teoricamente fondato. Le ricerche presenti in quest’area erano poche, spesso con campioni ridotti e, nella maggior parte dei casi, consistevano in studi non randomizzati che perciò non fornivano prove di validità a sostegno di tali trattamenti (5). Ciò spinse Catherine Aldred e Jonathan Green, ricercatori con una lunga esperienza nel campo dell’autismo, a progettare e valutare sistematicamente il metodo PACT con l’obiettivo di verificarne la sua efficacia e validità e contribuire così all’intensa ricerca che ci immerge nella complessità fenomenologica del Disturbo dello Spettro Autistico. Questa metodologia si caratterizza per essere un intervento indirizzato a soggetti in età prescolare la cui colonna portante è la mediazione dei genitori. Nel 2004 fu pubblicato il primo studio pilota (6) indirizzato a valutare se l’aggiunta della metodologia PACT al trattamento tradizionale abitualmente ricevuto dai bambini inglesi con ASD comportasse un ulteriore miglioramento nella sintomatologia autistica. I risultati di questo trial randomizzato si dimostrarono a favore del nuovo trattamento proposto e permisero di ipotizzare la sua potenziale efficacia. Ciò costituì la valida base degli studi successivi. In particolare, a differenza del gruppo di controllo, i soggetti con ASD del campione assegnati al gruppo di trattamento evidenziarono miglioramenti nei punteggi ADOS soprattutto nei valori di interazione sociale reciproca. Inoltre, l’effetto risultò più efficace nel sottogruppo più giovane (24-47 mesi di età).

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Obiettivi dell’intervento

Attenzione congiunta e intersoggettività

Lo scopo del trattamento PACT è andare ad intervenire e riabilitare le competenze comunicative dei bambini con ASD in età prescolare. In particolare, si concentra su quelli che sono gli aspetti maggiormente interazionali e sociali fondamentali per una comunicazione funzionale. Mira perciò a potenziare non soltanto le abilità linguistiche, ma anche l’intenzionalità comunicativa e la competenza pragmatica. Il fine ultimo quindi, è l’utilizzo spontaneo e generalizzato della comunicazione. Perché emerga un’azione intenzionale a scopo comunicativo è necessario che il bambino percepisca sé stesso, il proprio interlocutore e la loro possibilità di interfacciarsi all’interno di una matrice intersoggettiva [Stern sosteneva che la nostra vita mentale (pensieri, sentimenti, azioni) fosse co-determinata da un continuo dialogo tra la mente nostra e altrui da lui chiamato matrice intersoggettiva (D. STERN, Il momento presente, Raffaello Cortina Editore, 2005)]. Ciò è possibile soltanto se vi è un bagaglio comune di significati di cui entrambi gli interlocutori hanno fatto esperienza. Come può costruirsi questo bagaglio? I bambini a sviluppo tipico iniziano già dal settimo- nono mese a comprendere che i loro contenuti soggettivi sono potenzialmente condivisibili (7). È in questo periodo che compaiono manifestazioni intenzionali di una compartecipazione dell’attenzione e delle intenzioni. Il bambino comincia a puntare il dito per direzionare l’attenzione della mamma e alterna il suo sguardo tra l’oggetto e il volto dell’adulto. Ciò è possibile perché nei mesi precedenti ha avuto accesso a numerosissime esperienze di attenzione congiunta all’interno di scambi significativi con le proprie figure di attaccamento. Studi confermano che le prime competenze di risposta all’attenzione congiunta emergono già a partire dal secondo mese di vita (8). È questa capacità a costituire il nucleo fondante che permette lo scambio di informazioni, il quale va a determinare la base dell’intersoggettività. Ed è proprio l’attenzione congiunta il deficit nucleare del ASD sul quale l’intervento PACT in primis va specificatamente ad agire. Peter C. Mundy, professore ordinario dell’UC Davis e del MIND Institute con lunga esperienza nella ricerca nel campo dell’autismo, ha pubblicato un interessante libro che affronta in maniera ampia e dettagliata le conoscenze attuali dell’attenzione congiunta nel ASD (8). L’attenzione congiunta viene così definita:

la componente essenziale dell’attenzione congiunta prevede la condivisione di un comune punto di riferimento (o punto di vista) con un’altra persona, nei confronti di un terzo oggetto fisico, mentale o di un evento. In altre parole, lo studio dell’attenzione congiunta è lo studio della capacità cognitiva e neuro- cognitiva umana di effettuare il riferimento sociale

Nel Disturbo dello Spettro Autistico i soggetti pongono maggiormente attenzione sul proprio focus piuttosto che su quello altrui o quello comune. Questo perché le altre persone non sono per loro intrinsecamente gratificanti e motivanti, sicuramente meno di quanto lo è il mondo degli oggetti. In uno studio di Sigman et al. (9) sono stati messi a confronto soggetti con ASD con soggetti a sviluppo tipico o con Ritardo Intellettivo (RI). L’età del campione era compresa tra 34 e 75 mesi. In particolare, sono state analizzate le interazioni con il proprio caregiver per la durata di 12 minuti. I risultati mostrarono come i soggetti con autismo manifestassero un numero notevolmente minore di iniziative di attenzione congiunta sia rispetto al gruppo di controllo che al gruppo di soggetti con RI. Ciò che si può osservare in questi bambini è una mancanza di un adeguato sguardo reciproco, di comportamenti come mostrare o indicare, di una vera e propria volontà nella condivisione del loro piacere e del loro interesse. Stern (10) descrisse l’intersoggettività stessa come un sistema motivazionale fondamentale che muove le azioni del soggetto ed è basilare per la sopravvivenza della specie. Il bambino a sviluppo tipico cioè, è naturalmente spinto alla condivisione dei propri stati e delle proprie esperienze. In più, la percezione di avere l’attenzione su di sé è un ulteriore spinta motivazionale alla ricerca dell’interazione. Ciò nel ASD non avviene e si assiste a quella che le recenti teorie definiscono come una ‘diminuzione della motivazione sociale’ (11). La motivazione, la consapevolezza della propria e altrui intenzionalità, e l’abilità di percezione ed elaborazione di informazioni che vengono da sé e dall’altro, sono gli elementi necessari per sviluppare un’adeguata competenza di attenzione congiunta. Ognuno di questi elementi potrebbe costituire una difficoltà per un soggetto con ASD. Questo deficit nelle abilità di attenzione congiunta determina una difficoltà nei meccanismi di apprendimento sociale che vanno a definire quelle che sono le disfunzioni interazionali tipiche dell’autismo. È perciò di fondamentale importanza andare ad agire in modo efficace e intensivo su questa abilità e sostenerla continuamente durante la crescita in quanto permette l’elaborazione attiva delle informazioni provenienti dal contesto interattivo anche in fase adolescenziale e adulta (12). Avere una buona capacità di attenzione congiunta permette di porre la base dell’intero sviluppo e soprattutto delle competenze in cui i soggetti autistici trovano maggiori difficoltà. Per esempio, permette di migliorare la cognizione sociale ovvero la maggior comprensione della mente altrui e quindi di progredire nella padronanza delle funzioni sociali. È inoltre evidente come porre l’attenzione sul medesimo referente sia fondamentale nei processi di apprendimento implicito o esplicito. Per i fini del metodo PACT, e quindi di uno sviluppo di una comunicazione funzionale, lavorare sull’attenzione congiunta permette anche di avere accesso al simbolo. È facendo esperienza di situazioni di attenzione condivisa che il bambino impara a coordinare la propria attenzione con l’interlocutore su un referente mentale e non più solamente fisico. Questo è il principio base dell’utilizzo della parola. Le abilità di risposta e l’iniziativa di attenzione congiunta sono considerevoli predittori delle capacità di comprensione ed espressione linguistica dei bambini con autismo (13,14). Tutti questi motivi supportano la fondamentale necessità di lavorare precocemente sulle abilità di attenzione congiunta con bambini con ASD. Non prendere in considerazione questo aspetto causerebbe un inevitabile effetto a cascata sullo sviluppo delle altre abilità e un consistente ostacolo all’interiorizzazione e generalizzazione delle competenze che si cercano di potenziare con l’intervento terapeutico.

Intenzionalità comunicativa, linguaggio e comunicazione

Come riportato dal DSM 5, uno dei due criteri per la diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico è la compromissione dell’interazione e della comunicazione sociale. Queste caratteristiche infatti, con la loro variabilità fenomenologica, si presentano in tutti i soggetti con autismo. È l’aspetto che emerge più precocemente e porta ad ipotizzare la presenza di deviazioni dalla tipica linea di sviluppo. Dalla pratica clinica tuttavia emerge che una consistente percentuale di genitori e caregiver percepisce in modo marcato e quasi esclusivo le difficoltà a livello linguistico e di espressione verbale. In alcuni casi i bambini giungono all’attenzione del servizio di Neuropsichiatria Infantile (NPI) proprio per l’evidente ritardo o compromissione nel linguaggio. Spesso è necessaria un’accurata diagnosi differenziale tra il ASD e altre patologie che presentano un deficit in quest’area come il Disturbo socio-pragmatico comunicativo o un Disturbo del linguaggio. Questo sicuramente in parte può essere spiegato con un iniziale difficoltà di accettazione della diagnosi e di comprensione di ciò che determina questa tipologia di disturbo. Anche dopo un processo di rielaborazione e di spiegazione da parte del terapista tuttavia, nelle stanze di terapia non è insolito sentire con una certa frequenza la frase “Quando riuscirà a parlare mio figlio?”. Si sa purtroppo che le traiettorie di sviluppo del linguaggio nel ASD sono molto differenti e non tutti i soggetti con autismo raggiungono un’adeguata competenza a livello verbale, alcuni permangono in uno stadio non verbale (15). La domanda “quando parlerà?” tuttavia, è uno specchio efficace di una realtà assolutamente gravosa vissuta dai soggetti e dalle loro famiglie. Non è difficile comprendere come i genitori di questi bambini siano affranti dal non riuscire a comunicare e comprenderli. Immaginate cosa comporti non ricevere risposta quando si chiama il proprio figlio, non essere cercati, non ricevere le tipiche dimostrazioni di affetto che ci si aspetta, non riuscire a condividere i momenti più salienti e costituitivi di una tipica coppia genitore-bambino. Anche laddove si instaura un’interazione è spesso evidente come questa non assuma una reale valenza affettiva. Senza parlare delle giustificate preoccupazioni di quella che sarà la vita di un figlio che non riesce a connettersi e comunicare con il mondo. Il linguaggio verbale è solo l’apice di una consistente difficoltà di comunicazione che determina un adattamento più complicato nella vita quotidiana e che porta ad un ulteriore isolamento di questi soggetti. Gran parte del lavoro del PACT si concentra su questo aspetto. I primi interventi sulla comunicazione e sul linguaggio erano di stampo comportamentale ma studi hanno confermato che i risultati ottenuti da questi approcci non sono generalizzabili a tutti i soggetti con ASD (16). Inoltre, non affrontavano l’aspetto pragmatico e sociale della comunicazione, fondamentale per lo sviluppo di adeguate competenze relazionali. Il PACT mira da un lato potenziare l’iniziativa comunicativa del bambino e dall’altro abilitare sempre più il genitore a rispondere ed inserirsi adattandosi in modo da amplificare esponenzialmente queste dinamiche. Il genitore viene guidato dal terapista per sincronizzarsi con il proprio figlio al fine di:

  • riconoscere i suoi segnali e le sue intenzioni
  • condividere il suo focus attentivo
  • adeguarsi ai suoi tempi e le sue modalità di risposta
  • ridurre il proprio intervento per lasciare spazio all’emergere della sua iniziativa
  • fornire risposte e commenti contingenti all’attività che sta svolgendo

Quello a cui si assiste è un aumento sia a livello quantitativo che qualitativo delle sequenze di scambio e interazione. Nel migliore dei casi il bambino raggiunge un’adeguata padronanza anche del linguaggio verbale utilizzandolo in maniera adattata e non stereotipata.

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Principi dell’intervento: precoce, evolutivo e naturalistico

Negli ultimi anni si è assistito a una crescita esponenziale dell’attenzione e della ricerca sulle patologie del neurosviluppo, in particolare sul Disturbo dello Spettro Autistico. Il progredire delle conoscenze e l’evoluzione dei criteri diagnostici hanno permesso di abbassare sempre più l’età di diagnosi. Negli studi pubblicati tra il 2012 e il 2019 su bambini di età inferiore o uguale a 10 anni, che quindi rappresentano meglio la condizione dell’ultimo periodo, l’età media di diagnosi di ASD è di 43,18 mesi (range: 30,90-74,70) (17). La maggior parte delle diagnosi si colloca quindi nella fascia d’età prescolare ed è evidente come emerga la necessità di interventi altrettanto precoci che forniscano una valida efficacia. Il PACT, come tante altre metodologie sviluppate, si rivolge a bambini in età prescolare in modo da garantire, immediatamente dopo la diagnosi, il sostegno necessario all’apprendimento e all’adattamento. È possibile così prevenire anche le inevitabili ripercussioni che un mancato o inadeguato intervento porterebbero sul successivo sviluppo del bambino. Un appropriato e tempestivo trattamento precoce permette di ridurre lo sviluppo di comportamenti devianti e modificare l’espressività della sintomatologia autistica. Secondo lo studio fatto, il PACT si rivela una risorsa utile anche nella riabilitazione precoce e nella prevenzione in bambini identificati a rischio ASD (vedi discussione caso clinico nel capitolo 3). Come visto nei paragrafi precedenti, il punto di partenza del lavoro è un potenziamento e consolidamento dell’attenzione congiunta, competenza precoce nello sviluppo tipico.

La metodologia PACT rientra nelle modalità di intervento ad orientamento evolutivo che mirano perciò a sostenere l’acquisizione delle competenze secondo la linea evolutiva normotipica e riconoscono la fondamentale importanza di partire dagli interessi del bambino per promuovere l’interazione e l’apprendimento (18). Ciò rende questo approccio terapeutico assolutamente adatto ad un intervento tempestivo su bambini anche molto piccoli. Il principio basilare di tale trattamento è la costruzione di un contesto interazionale adattato al bambino. Per fare ciò, la metodologia PACT si fonda su un approccio naturalistico. Si va ad agire sulle naturali interazioni che si costituiscono tra genitore e bambino nel corso di ogni contatto all’interno del contesto quotidiano. Inoltre, è fortemente calato sulle caratteristiche del bambino, del genitore e del loro stile interattivo in modo da costituire il vestito più confortevole e adeguato alla loro evoluzione. È in questo modo che si può ottenere la consolidazione e generalizzazione della abilità acquisite e l’effettiva modifica nella sintomatologia autistica.

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Strumenti dell’intervento

Video-feedback

La metodologia PACT si basa sul fondamentale utilizzo del video-feedback come strumento di mediazione tra il terapista e il genitore. Infatti, il clinico utilizza materiale video per guidare l’attenzione del genitore su particolari aspetti della propria interazione con il figlio e sottolineare le strategie comunicative efficaci. L’impiego di questo strumento ha dimostrato in più occasioni di essere valido nel migliorare sia le competenze di sviluppo del bambino sia l’abilità di prendersene cura del genitore anche in patologie del neuro-sviluppo (19). In particolare, il video-feedback negli interventi per ASD mediati dai genitori ha avuto esiti interessanti riguardo il miglior adattamento dello stile interattivo del caregiver e un aumento del senso di autoefficacia. È perciò evidente come l’utilizzo di materiale video, correttamente impiegato, si riveli estremamente utile nella persecuzione degli obiettivi del PACT e, più in generale, nel lavoro terapeutico con bambini che presentano un Disturbo dello Spettro Autistico. Il video-feedback emerge tra tutti gli altri strumenti potenzialmente disponibili poiché permette un’azione fondamentale non solo sulla sintomatologia autistica del bambino ma anche sul modellamento del genitore. È infatti una delle metodologie più efficaci nell’apprendimento in età adulta e viene utilizzata in vari campi di interesse: clinico, lavorativo, sportivo ecc... Potersi rivedere inoltre, favorisce un processo di consapevolezza dello stato di realtà del genitore e gli restituisce il proprio senso di efficacia educativa e genitoriale. Questo aspetto spesso è compromesso in genitori di bambini con disabilità, ancora di più nei casi di ASD, ed è uno dei punti primari da potenziare per rendere efficace e valido il lavoro terapeutico.

Mediazione dei genitori

La metodologia PACT si fonda sulla necessità di una mediazione da parte del genitore nel trattamento e prevede, pertanto, un’assenza totale di intervento del terapista diretto sul bambino. Il coinvolgimento attivo e preponderante della figura parentale porta con sé numerosi vantaggi. In primis, è globalmente riconosciuta l’efficacia di interventi mediati dai genitori. Le linee guida stesse riportano la raccomandazione all’utilizzo di questo approccio soprattutto per la riabilitazione degli aspetti comunicativo- interazionali del ASD (3). È chiaro poi, come questo tipo di lavoro permetta di fornire gli strumenti adeguati al genitore per approcciarsi al proprio figlio. La mancanza di un adeguata collaborazione e partecipazione del genitore potrebbe portare alla costituzione di un legame di dipendenza nei confronti del servizio di riabilitazione. L’obiettivo di una terapia riabilitativa, invece, dovrebbe essere quello di fornire al paziente le strategie e gli strumenti necessari per garantire il proprio adattamento e migliorare la sua qualità di vita. Ecco perché, davanti ad un funzionamento atipico persistente come quello del Disturbo dello Spettro Autistico, il genitore costituisce una grande risorsa. La partecipazione attiva del care-giver con il proprio bambino guidata dal terapista permette di fare esperienza delle proprie capacità e rinforza così il senso di autostima e autoefficacia. L’empowerment del genitore è fondamentale e permette un lavoro intensivo costante nei contesti quotidiani nei quali il bambino vive. Ciò comporterebbe potenzialmente la possibilità di ridurre notevolmente anche il numero di terapie necessarie con un carico minore sulla famiglia e sul sistema sanitario. Bisogna ricordare inoltre che, se non si porta avanti un lavoro in parallelo con la famiglia, le competenze acquisite dal bambino difficilmente si mostreranno generalizzate. La sintomatologia autistica determina nella maggior parte dei casi l’instaurarsi di uno stile genitoriale maggiormente direttivo ed una riduzione della reattività e sincronia nelle risposte del bambino. Vi è una concentrazione maggiore sulla performance e le iniziative di interazione finalizzate all’esecuzione di un compito sono più numerose rispetto a quelle finalizzate al gioco (20). La metodologia PACT mira a potenziare le competenze comunicative che il genitore già possiede ma che, ripetute esperienze di interazioni difficili con il proprio bambino hanno portato a modificarsi. Attraverso la guida del terapista e l’impiego dell’utile strumento del video-feedback, il genitore acquisisce una maggior sensibilità e sincronia e sviluppa così uno stile interattivo maggiormente adattato al proprio figlio.

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Struttura dell’intervento

L’intervento PACT (21) si struttura lungo un periodo di un anno. Nei primi 6 mesi la seduta di terapia si svolge ogni 2 settimane mentre per i successivi mensilmente. L’intero percorso si attua quindi con un totale di 18 sedute: 12 di trattamento e 6 di mantenimento. Tra una terapia e l’altra, ai genitori è chiesto di dedicare 30 minuti giornalmente al lavoro con il proprio bambino. L’attività quotidiana a casa si basa sugli obiettivi che la coppia genitoriale si è prefissata durante il confronto con il terapista. Prima di cominciare il percorso terapeutico, il clinico svolge una visita domiciliare atta a presentare la metodologia e valutare lo stato della famiglia: aspettative dei genitori, conoscenza del ASD, presenza di un luogo adatto per il gioco, possesso di materiale adatto ecc… La seduta è strutturata in tre fasi. Inizialmente vi è una sequenza di dieci minuti di gioco genitore-bambino con materiali adatti forniti dal terapista. Questa viene filmata e la registrazione viene successivamente utilizzata per portare un feedback ai genitori. Nel mentre, il clinico può far uso della scheda di annotazione fornita dal manuale per segnare episodi e fattori significativi. Il terapista mostra particolari spezzoni rilevanti ai genitori e stimola la riflessione portandoli anche alla selezione autonoma di determinate sequenze di video per loro importanti e positive. Sollecita i commenti e sottolinea gli scambi e le strategie efficaci e quelle invece disfunzionali. Questo permette di favorire una presa di consapevolezza da parte del genitore e rinforza la reiterazione degli atteggiamenti vantaggiosi. Come ultima fase, il terapista compila la scheda del programma da svolgere a casa costruendo assieme al genitore gli obiettivi di lavoro sulla base di quanto emerso. La metodologia di intervento si struttura su sei livelli differenti che ricalcano il processo di sviluppo:

  1. Instaurare l’attenzione condivisa
  2. Sincronismo e sensibilità
  3. Prestare attenzione all’input linguistico
  4. Instaurare le routine e favorire l’anticipazione
  5. Ampliare le funzioni comunicative
  6. Ampliare il linguaggio e la conversazione

Il passaggio da un livello all’altro è legato alle competenze manifestate dalla coppia genitore-bambino in interazione. Sono definiti precisi criteri misurabili che permettono di identificare oggettivamente la presenza o meno di tali caratteristiche. Non tutti i bambini raggiungono i livelli più alti che rispecchiano competenze linguistiche non sempre accessibili. È possibile tornare su livelli precedenti se si evidenzia la necessità di un rinforzo. In particolare, i primi due livelli sono quelli che caratterizzano maggiormente lo stile interattivo abitualmente tenuto dai genitori di bambini con ASD, costano maggior fatica e vanno continuamente ripotenziati.

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Il coinvolgimento del genitore nel trattamento del Disturbo dello Spettro Autistico

Una speranza, che può divenire concreta nel momento in cui i genitori si rendono conto che il proprio figlio - anche se lentamente – comincia a dare risposte e che queste risposte possono dipendere anche dall’intervento dello stesso genitore che ritrova così il modo per poter essere di nuovo utile per il proprio bambino.” Documento di Bioetica e Riabilitazione 2006

Sappiamo che il fine ultimo di un’attività di riabilitazione è quello di garantire il miglior livello di vita del soggetto su tutti i piani: fisico, sociale, emotivo ecc… In linea con il modello bio-psico-sociale sul quale si fonda l’ICF-CY (International Classification of Functioning, Disability and Health version for Children e Youth), la disabilità di un bambino non è determinata solamente dal livello delle sue competenze fisiche o psichiche ma dall’interazione di esse con i contesti ambientali nei quali queste si esercitano. È fondamentale perciò, nell’approcciarsi ad un intervento diretto ad un bambino con qualsiasi tipo di disturbo, costruire una rete tra il servizio riabilitativo e i contesti di vita del piccolo paziente. Il primo e centrale ambiente nel quale il bambino si sperimenta è la famiglia. È all’interno di questo ambito che vengono acquisiti e consolidati i principali apprendimenti sui quali si fonda l’intero sviluppo. Ed è proprio questo l’ambito da andare maggiormente a rinforzare e con cui è necessario costruire un’alleanza terapeutica fin dal primo momento.

Nel caso specifico della metodologia PACT da noi presa in esame, il processo di potenziamento e rinforzo della famiglia è estremamente favorito e sembra essere un risultato costante che si presenta se si seguono le procedure proposte. Fin dal primo studio randomizzato pubblicato nel 2010 (22) inerente questo approccio metodologico, nonostante non vi fossero ancora esiti significativi sulla sintomatologia dell’autismo, si sono potuti osservare i consistenti effetti avuti sul genitore. Le valutazioni che le madri e i padri di questi bambini hanno svolto dopo aver ricevuto il trattamento PACT erano considerevolmente differenti rispetto alle famiglie trattate con l’intervento tradizionale. Si è rilevato un miglioramento nelle interazioni genitore-figlio con una maggior sincronizzazione e iniziative di comunicazione dal bambino. Quello che questo studio avvalora è che il PACT si dimostra particolarmente efficace nel potenziare la sensibilità dei genitori alle necessità comunicative e comportamentali del proprio bambino. In questo modo si modificano anche le percezioni che hanno della propria interazione con il figlio e ciò li porta ad un cambiamento di atteggiamento funzionale all’evoluzione di sé e del bambino.

Questo capitolo ha l’obiettivo di approfondire i motivi, i meccanismi e gli effetti di una presa in carico genitoriale nel trattamento di un bambino con ASD proponendo il PACT come strumento valido per ovviare alle necessità che emergono.

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Il carico della diagnosi di Disturbo dello Spettro Autistico sui genitori

Avere un figlio con Disturbo dello Spettro Autistico pone la coppia genitoriale davanti a numerose sfide. Innanzitutto, il percorso per arrivare alla diagnosi spesso è tortuoso, ricco di turbamenti emotivi, di confusione. Può capitare che i genitori non si sentano seguiti e ascoltati. Attraversino stati d’animo altalenanti passando da momenti di negazione ad altri in cui il senso di sopraffazione gli dà la sensazione di una totale incapacità di gestione (23). Bisogna tenere conto che il tempo che intercorre tra le prime preoccupazioni manifestate in merito allo sviluppo del bambino e la diagnosi vera e propria il più delle volte dura anni. Nel frattempo, il genitore rimane, spesso, in balia degli eventi senza una guida a cui affidarsi. Nel periodo fondamentale dello svolgersi dei processi di attaccamento, i genitori si ritrovano ad affrontare situazioni interazionali atipiche. La loro tendenza naturale a stringere un determinato tipo di legame non trova spazio e le loro aspettative di risposta dal proprio bambino vengono disattese. Arriva poi il momento della diagnosi. Il momento in cui si va incontro a quella che viene definita “ferita narcisistica”. Il momento in cui tutti i sogni e il futuro immaginato per il proprio bambino crollano e viene buttata addosso al genitore una realtà diversa che spesso ancora non comprende del tutto. Nel caso del ASD, questa realtà comporta una condizione cronica che determinerà fatiche lungo tutto l’arco di vita del soggetto. I genitori dovranno imparare a vivere in questo modo, a “innamorarsi di un bambino che, con la sua disabilità, sembra aver “deluso” i loro progetti e desideri […] nel continuo confronto con gli altri bambini, lo “specchio” che ricorda il sogno e ne sottolinea la distanza dalla realtà” (24). Inoltre, la mancanza di una storia clinica definita del disturbo e di una modalità di trattamento sicura ed efficace disorienta e incrementa ulteriormente il carico emotivo e psicologico su queste famiglie. Questo costituisce uno dei motivi più validi che avvalora l’utilizzo di una metodologia di trattamento mediata dai genitori che intervenga fin dai primi anni e che possa accompagnare l’intero nucleo familiare nel suo percorso. Va considerato anche, che numerosi studi correlano negativamente il livello di stress parentale con l’efficacia dell’intervento somministrato (25,26). Aumentare il benessere del genitore sarebbe quindi funzionale e propulsivo al miglioramento dei sintomi del bambino. Il clinico costituisce così un punto saldo per la coppia genitoriale che deve gestire non solo le difficoltà del figlio ma anche le proprie.

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Genitore come mediatore della realtà: rispecchiamento e sintonizzazione

Abbiamo già esposto come le caratteristiche e i comportamenti del bambino possono determinare specifiche condizioni emotivo-psicologiche nella coppia È importante tuttavia, fare luce anche su quelli che possono essere i cambiamenti indotti dal genitore quale punto di riferimento essenziale per il figlio. La letteratura conferma come nei primissimi periodi di vita di un soggetto l’azione del genitore sia basilare nella strutturazione della personalità e ciò determina la necessità di un intervento da parte di questo nel processo riabilitativo (27). Ma come avviene questa strutturazione? Un ruolo essenziale è svolto dalle capacità di rispecchiamento del genitore nei confronti del figlio. Le reazioni contestuali delle figure di attaccamento modulano in maniera decisiva lo sviluppo della psiche e del Sé del bambino.

Stern (7) tra gli elementi costitutivi della capacità di rispecchiamento propone una funzione fondamentale nell’approcciarsi all’intervento riabilitativo del ASD: la sintonizzazione. Attraverso questo complesso processo il genitore è in grado di modulare l’esperienza che il bambino fa della realtà. È fondamentale ricordare che la sintonizzazione non si può esprimere se non all’interno di uno scambio intersoggettivo. Uno dei primi punti perciò di cui tener conto in un modello di intervento mediato dai genitori è quello di cercare di rimuovere tutte quelle preoccupazioni legittime che potrebbero tuttavia distogliere l’adulto e impedirgli di essere ‘con’ il piccolo. È fondamentale far fare al bambino, soprattutto quello con ASD, esperienze di intersoggettività (vedi cap.1). Un soggetto a sviluppo tipico, nei primi anni di età, costruisce la propria concezione e conoscenza della realtà sulla base del proprio riferimento sociale. Nel momento in cui si approccia ad un nuovo stimolo si rivolge alla figura di attaccamento che gli propone un modello. Lo stato affettivo del genitore plasma così quello del bambino in relazione al presente stimolo. Questo processo e l’esperienza che ne deriva non avvengono nella maggior parte dei casi di bambini ASD. Il piccolo non cerca il riferimento nell’altro che non può quindi fungere da mediatore del mondo. Lo strumento elettivo del caregiver per svolgere un’azione modellante della realtà del bambino perciò è la sintonizzazione. L’utilizzo variabile di questa funzione determina risposte differenti. Una sintonizzazione selettiva su specifici stati affettivi del bambino porta ad escludere il resto delle esperienze dal campo della realtà condivisibile e partecipabile. Definisce così i limiti della sfera interpersonale. Allo stesso modo agiscono le sintonizzazioni imperfette o mancate. Una persona attiva in modo inconsapevole processi di sintonizzazione su alcune selezionate esperienze e attraverso questi trasmette contenuti e significati. Compito del clinico e della metodologia utilizzata è rendere il genitore consapevole delle modalità e dei momenti nei quali si sintonizza con il proprio figlio.

L’approccio PACT, ponendosi questo come obiettivo, potenzia la maggior comprensione degli stati del bambino con ASD, atipici rispetto a quanto abitualmente atteso, favorendo la capacità delle madri e dei padri di porsi al suo livello e sintonizzarsi. In questo caso è fondamentale ricordarsi che la sintonizzazione è una funzione che si esprime a livello transmodale. Non basta perciò che l’adulto condivida sul piano verbale l’attività e lo stato affettivo del figlio ma che si connetta su tutti i livelli esperienziali.

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Rappresentazioni mentali e comportamenti manifesti nelle interazioni genitore-bambino

Dalle considerazioni fin ad ora esposte e dal codice deontologico del TNPEE (28) appare evidente come un clinico che svolge questa professione non possa esimersi dall’affrontare le problematiche interazionali del bambino con Disturbo dello Spettro Autistico. È necessario mantenere tuttavia un’attenzione clinica anche al contesto in cui queste si esprimono e andare ad agire su di esso laddove sia necessario. Può essere dunque utile eseguire un’analisi ipotetica di un prototipo standard dell’andamento delle interazioni tra un bimbo con ASD e la propria madre. Ponendo come base della nostra analisi il modello di interazione dinamica tra genitore e bambino descritto da Stern (29), l’interazione viene suddivisa in quattro elementi:

  • Il comportamento interattivo manifesto del bambino (Cb)
  • Il comportamento interattivo manifesto della madre (Cm)
  • La rappresentazione materna dell’interazione (Rm)
  • La rappresentazione del bambino dell’interazione (Rb)

Figura 1 Elementi del modello di base (Stern D N. Le interazioni madre-bambino. Milano: Raffaello Cortina Editore. 1998. p.276)

Figura 1 Elementi del modello di base (Stern D N. Le interazioni madre-bambino. Milano: Raffaello Cortina Editore. 1998. p.276)

Questi quattro fattori non sono indipendenti l’uno dall’altro ma si co-determinano. Sono in costante interazione dinamica e ciascuno è soggetto a modificazioni dipendenti dall’input dell’altro. Dati questi presupposti, se si prova a calare sul presente modello le manifestazioni sintomatologiche dell’autismo si possono facilmente trarre delle utili ipotesi di funzionamento. Nelle caratteristiche interazionali del soggetto con ASD sappiamo che vengono a mancare i presupposti base di un’interazione efficace come ad esempio lo sguardo reciproco, l’orientamento posturale, l’attenzione condivisa. Tutti quei comportamenti, soprattutto non verbali, che indicano una disponibilità a comunicare ed interagire. È perciò desumibile che esperienze ripetute di interazioni inefficaci portino alla costituzione di rappresentazioni materne disfunzionali sia del proprio bambino sia di sé stessa nel ruolo di genitore. Questo trova conferma nei numerosi studi che riportano un maggior carico di stress e senso di inefficacia nei genitori di bambini con Disturbo dello Spettro Autistico rispetto ad altre patologie (30) e studi che correlano la gravità della sintomatologia del bambino con il livello di stress genitoriale (31,32). Sempre secondo il modello di Stern, la presenza di queste rappresentazioni materne andrà quindi ad influenzare significativamente il comportamento manifesto della madre, il quale causerà modifiche anche nel bambino. Sappiamo quindi che le rappresentazioni materne che si vanno a creare portano ad atteggiamenti educativi incoerenti e a volte rigidi. Queste determineranno il consolidamento di modalità comportamentali disfunzionali del bambino fin dalla prima infanzia ma eserciteranno poi un’influenza lungo tutto il periodo di vita del figlio.

Una ricerca del 2004 dell’università di Wisconsin-Madison (33) ha fatto un’analisi comparativa di studi i quali andavano ad indagare fattori psicologici nelle madri di soggetti affetti da Disturbo dello spetto Autistico, Sindrome dell’X fragile e Sindrome di Down di età compresa tra i 10 e 23 anni con una media intorno ai 16 anni. Sono stati analizzati vari aspetti: i sintomi depressivi materni, il pessimismo percepito sull’individuo, la vicinanza della relazione madre-figlio e la capacità di coping e di far fronte ad eventi stressanti. L’analisi di questi aspetti genitoriali è stata poi correlata ad un’analisi comportamentale dell’adolescente. Questo articolo evidenzia come nelle madri di soggetti con ASD e con Sindrome dell’X fragile il pessimismo immediato e futuro circa le prospettive del bambino di raggiungere l'autosufficienza sia maggiore rispetto alle madri di soggetti con Sindrome di Down e soprattutto che questo fattore sia correlato con la presenza di sintomi comportamentali nel figlio. È presente quindi una particolare preoccupazione sul futuro determinata dalla rappresentazione che negli anni queste madri si sono costruite del loro figlio. Sarebbe interessante indagare perciò se le rappresentazioni materne hanno un’influenza sulle effettive possibilità di vita di un ragazzo, sulle strade e attività a cui gli viene dato accesso, se queste rappresentazioni possano costituire un limite alle potenzialità del soggetto. Se così fosse, un intervento che coinvolga anche il caregiver si renderebbe ancora più determinante e necessario.

Da queste considerazioni emerge innanzitutto l’esigenza, da parte degli operatori che si interfacciano con una famiglia, di approfondire la conoscenza del vissuto genitoriale. Vi è inoltre la necessità di agire su più fronti affinché l’intervento sia efficace e possa portare ad una reale capacità di adattamento del soggetto con Disturbo dello Spettro Autistico.

È possibile dunque chiedersi in che punto del modello interazionale che si è preso in considerazione possa inserirsi l’intervento del TNPEE. Escludendo la possibilità di un intervento diretto sulle rappresentazioni mentali perché esce dal suo campo di competenza, la sua area di intervento si limita ai comportamenti manifesti. In questo ambito rientra sia un trattamento diretto a potenziare le capacità interattive del bambino ma, in un’ottica di intervento mediato dai genitori, è di fondamentale importanza andare anche a rinforzare i comportamenti interattivi materni che si sono dimostrati efficaci. Per fare ciò, il modello di intervento proposto dalla metodologia PACT si dimostra particolarmente utile e vantaggioso in quanto permette al genitore, non solo di sperimentare interazioni funzionali guidato dal terapista, ma anche di prenderne estrema consapevolezza potendosi rivedere. In questo modo si andranno a modificare indirettamente le rappresentazioni materne del bambino e del sé genitoriale aumentando così le possibilità evolutive del figlio e l’autostima e il senso di efficacia del genitore.

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Percezione dei genitori nell’intervento PACT

Nei paragrafi precedenti abbiamo approfondito teoricamente le motivazioni e i meccanismi che si mettono in atto durante un approccio terapeutico mediato dai genitori per il Disturbo dello Spettro Autistico come il PACT. Uno studio svolto dall’Università di Manchester pubblicato a luglio 2020 (34) espone i risultati di un’indagine qualitativa sulla percezione dei genitori coinvolti in questa tipologia di intervento. Ciò che è emerso appare molto interessante per avere un feedback pratico e concreto dell’effetto del PACT sulla coppia genitoriale, sulle loro percezioni e la loro qualità di vita. È stata somministrata un’intervista semi-strutturata alle madri e ai padri dei bambini sottoposti all’intervento. Gli argomenti delle domande trattavano varie tematiche.

In accordo con quanto visto fin ora, nella prima sezione emerge uno stato emotivo dei genitori precedente all’intervento molto vario, con la forte necessità di una guida nella comprensione e nell’aiuto del loro bambino. La maggior parte delle famiglie si approcciava all’intervento PACT come prima esperienza terapeutica dopo la diagnosi.

Per quanto riguarda i processi terapeutici, hanno riportato tutti un forte apprezzamento nei confronti della figura del clinico che li faceva sentire validi nel loro ruolo di genitori e costruiva una situazione non giudicante. L’utilizzo del video-feedback è stato riconosciuto come estremamente funzionale per portare all’attenzione elementi importanti che altrimenti sarebbero stati persi. Il peso psicologico dell’essere registrati si è sempre diluito con il passare del tempo. Un fattore potenzialmente stressante è la necessità di ‘occupare’ il bambino durante la condivisione tra genitore e terapista. Emerge anche, come il PACT abbia agito nel modificare le idee pregresse dei genitori e la loro visione del proprio figlio. Ha permesso una maggior comprensione del bambino e un aumento della sensibilità e reattività alle possibilità comunicative che si presentavano. Ciò che risulta essere di particolare rilevanza è il fatto che molti genitori abbiano riportato un’integrazione dei contenuti del PACT nel proprio stile interattivo. Queste tecniche sono state talmente incorporate da permettere una generalizzazione in tutte le interazioni che si instauravano tra genitore e bambino anche nel contesto quotidiano e un mantenimento costante nel tempo degli effetti della terapia. In sintesi, il PACT ha avuto il merito di consegnare ai genitori gli strumenti su misura per loro adatti all’interazione con il proprio figlio nel corso di tutta la vita. In questo modo si fornisce anche maggior indipendenza del nucleo famigliare dal servizio riabilitativo e si garantiscono degli effetti a lungo termine. Non tutti però, hanno trovato semplice mantenere un lavoro costante a casa, indice di un bisogno di un supporto variabile da parte del terapista a seconda delle necessità.

Per quanto riguarda la percezione dell’effetto del PACT sulla sintomatologia del bambino, i risultati sono molto differenti, dipendenti anche da quelle che erano le aspettative iniziali. In molti casi, appare tuttavia una modifica sostanziale nella rappresentazione del bambino nella mente dei genitori che, dopo il trattamento, viene percepito come più comunicativo, più partecipe e più coinvolto emotivamente dalla loro presenza. Ciò dà prova dell’efficacia della metodologia nell’agire sul rapporto comportamento manifesto/rappresentazione mentale esposto nel paragrafo precedente.

Infine, tutte le risposte sottolineano come attraverso il PACT fosse restituito all’intera famiglia un senso di fiducia garantendo un netto miglioramento della qualità di vita percepita.

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Questionario: “L’intervento con i genitori nella presa in carico del Disturbo dello Spettro Autistico”

Introduzione e obiettivi

Data la validità sostenuta di interventi per il Disturbo dello Spettro Autistico che coinvolgano il genitore come parte attiva ed integrante del trattamento terapeutico, si è voluto indagare come ciò si esplichi nella realtà italiana. È stato steso dunque un questionario (appendice 1) indirizzato ai TNPEE italiani che fornisse i necessari chiarimenti su come avviene il processo di presa in carico dei genitori di bambini con ASD nei servizi riabilitativi. Si sono volute approfondire le modalità di incontro tra terapista e genitore, le finalità e l’eventuale utilizzo di protocolli strutturati appartenenti ad una specifica metodologia.

Destinatari e campione

Il questionario è stato distribuito ai TNPEE tramite Internet attraverso le principali piattaforme e con la collaborazione dell’Associazione Tecnico Scientifica ANUPI TNPEE che lo ha diffuso tra i suoi iscritti. Le risposte sono state raccolte nel periodo tra il 4 novembre 2020 e il 14 marzo 2021. Dalla partecipazione volontaria dei terapisti si è formato un campione di 119 soggetti attivi sul territorio italiano nella professione di Terapisti della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva. Di questi il 2,5%. corrispondente a tre soggetti, ha compilato unicamente la prima sezione del questionario perché nella propria attività lavorativa non ha mai preso in carico individui con ASD e non può quindi rispondere alle successive domande. La totalità delle domande è stata dunque compilata da 116 soggetti.

Presentazione dello strumento

L’indagine è stata svolta attraverso un questionario creato con l’utilizzo della funzione ‘moduli’ della piattaforma Google e distribuito tramite collegamento ipertestuale. È composto da 22 domande (8 a risposta multipla, 9 si/no e 5 a risposta aperta) suddivisibili in quattro sezioni di interesse:

  • Informazioni generali
  • Utilizzo di metodologie specifiche nel trattamento dei ASD
  • Modalità di incontro con i genitori
  • Conoscenza della metodologia PACT

Presentazione e discussione dei risultati

Informazioni generali

Analizzando la prima sezione del questionario ‘informazioni generali’ si possono trarre utili considerazioni sulla rappresentatività del campione. Per quanto riguarda gli anni di attività professionale dei terapisti che hanno risposto si è ottenuta una buona distribuzione nelle quattro fasce considerate (Fig. 2).

 Figura 2 Durata dell'attività lavorativa dei TNPEE intervistati

Figura 2 Durata dell'attività lavorativa dei TNPEE intervistati

In riferimento invece alla responsività da parte dei terapisti di diverse regioni è doveroso segnalare una maggior partecipazione delle province del Nord Italia soprattutto della Lombardia nonostante vi sia una buona rappresentanza anche degli altri territori (Fig. 3). Tuttavia, essendo i risultati del questionario abbastanza uniformi nelle risposte è assumibile che le considerazioni tratte da tali esiti siano estendibili alla maggior parte dei TNPEE italiani indipendentemente dalla provincia nella quale svolgono la propria attività lavorativa.

Dall’indagine inerente alla tipologia di struttura nella quale lavorano i TNPEE che hanno fornito risposta, si evidenzia una netta prevalenza del settore privato con il 36,1% dei soggetti che lavora in un centro privato e il 43,7% in un centro privato convenzionato. Questi dati possono fungere da specchio della realtà lavorativa del TNPEE che si esplica raramente nei centri territoriali pubblici.

Dei terapisti che hanno trattato l’autismo nella propria carriera professionale, il 91,4% ha identificato la fascia d’età tra i 2 e i 5 anni come quella predominante al momento della presa in carico. Questo elemento si pone in linea con l’età media di diagnosi ed evidenzia come in Italia, in accordo alle Linee Guida, venga prevalentemente svolto un intervento precoce che si concentra in età prescolare e sono dunque necessari approcci appositi a tale epoca di sviluppo.

 Figura 3 Luogo di lavoro dei TNPEE intervistati

Figura 3 Luogo di lavoro dei TNPEE intervistati

Utilizzo di metodologie specifiche nel trattamento del Disturbo dello Spettro Autistico

Con la seconda sezione del questionario la volontà era quella di andare ad approfondire quanto è diffuso l’utilizzo di metodologie strutturate nella presa in carico del ASD e come queste prevedano eventualmente un coinvolgimento genitoriale. L’ipotesi iniziale era che, nonostante più volte ripetuta l’eterogeneità fenomenica del disturbo, l’impiego di tecniche specifiche in riferimento a determinate metodologie fosse molto diffuso. In accordo con tale supposizione, il 66,4% dei TNPEE ha indicato di utilizzare metodologie specifiche nell’approcciarsi al paziente. Tuttavia, è importante sottolineare che ciò non indichi necessariamente che le strategie d’intervento strutturate secondo la metodologia utilizzata vengano impiegate indistintamente con tutti i soggetti con ASD presi in carico. Si auspica che la scelta di un determinato trattamento sia sempre postuma alla valutazione del profilo e delle necessità del bambino e della famiglia. È di rilevanza in questo ragionamento evidenziare anche che 12 terapisti intervistati hanno riportato di essere formati e utilizzare più tecniche metodologiche nella loro pratica clinica. Gli approcci terapeutici utilizzati sono sotto riportati nella fig. 4.

Figura 4 Metodologie presenti nella pratica clinica della coorte

Figura 4 Metodologie presenti nella pratica clinica della coorte

Secondo le risposte raccolte il 90,6% di tali approcci prevede un coinvolgimento parentale seguendo differenti modalità.

Nella maggior parte dei casi si ha un’attività di counseling al genitore attraverso colloqui. Prevista spesso anche la partecipazione attiva o solo in osservazione di una parte o la totalità della terapia. Lo strumento del video-feedback viene utilizzato nello specifico dalla metodologia PACT e da pochi altri casi isolati per la gestione della routine quotidiana.

Modalità di incontro con i genitori

La totalità dei terapisti intervistati ritiene utile incontrare i genitori di bambini con ASD per una moltitudine di ragioni:

  • Condivisione degli obiettivi di lavoro
  • Avere una coerenza educativa nei vari ambienti di vita che favorisca la generalizzazione
  • Ascoltare e consigliare
  • Aiutare il genitore a trovare una modalità interattiva con il proprio figlio
  • Aiutare a comprendere il funzionamento del proprio figlio
  • Definire quali sono le necessità della famiglia e del bambino

Per fornire un indice numerico che possa restituire maggiormente l’entità dei riscontri, i termini esatti ‘generalizzazione’ o ‘generalizzare’ sono presenti 16 volte nelle risposte date.

Nel 50% dei casi i genitori incontrano il TNPEE sia in colloqui individuali, sia in presenza del medico. Il 12,9% dei terapisti non ha uno spazio di tempo in programma dedicato al confronto con la famiglia. Il 37,1% incontra personalmente i genitori ma non in presenza di altri professionisti dell’equipe. Il bambino è presente al colloquio tra clinico e genitore nel 38,8% dei casi.

È possibile osservare la frequenza con la quale si svolgono questi incontri strutturati tra genitore e TNPEE nella fig. 5.

 Figura 5 Frequenza d'incontro strutturato tra TNPEE e genitore

Figura 5 Frequenza d'incontro strutturato tra TNPEE e genitore

I risultati indicano che, nel Sistema Sanitario Italiano, c’è nella maggior parte dei casi un adeguato accompagnamento della famiglia in termini di modalità e frequenza di incontro da parte del TNPEE all’interno del percorso terapeutico di un soggetto con ASD. Importante segnalare tuttavia che il 36,73% dei terapisti incontra in maniera programmata i genitori due volte l’anno o meno.

In merito ai contenuti di tali colloqui si è ritenuto necessario un ulteriore approfondimento (fig. 6). La quasi interezza del campione ha valutato fondamentale utilizzare questi spazi di incontro con i genitori di bambini con ASD per esporre gli obiettivi del lavoro terapeutico e per condividere strategie educative.

Figura 6 Argomenti trattati durante i colloqui tra TNPEE e genitore

Figura 6 Argomenti trattati durante i colloqui tra TNPEE e genitore

Una ridotta parte dei terapisti intervistati pari al 12,9% incontra nella sua pratica clinica genitori di bambini con ASD che non hanno in carico in un percorso di terapia neuropsicomotoria. Di questi il 38,75% è motivato da valutazioni di controllo o sostituzione di personale. La restante parte pari soltanto al 6,89% del campione svolge attività con i genitori al di fuori della stanza di terapia estranee al percorso terapeutico tradizionalmente inteso. Ciò potrebbe essere un interessante indicatore per ragionare su quanto la pratica del TNPEE attualmente sia estremamente limitata alla terapia diretta sul bambino con disturbi dello sviluppo e trovino minor spazio attività come il parent-training o progetti di prevenzione e ricerca dove le capacità di tale figura professionale potrebbero esprimersi con altrettanto valore. In questo senso, la metodologia PACT si pone come una delle possibilità esterne ad un percorso di neuropsicomotricità tradizionale all’interno del quale il TNPEE possa perseguire le finalità terapeutiche del bambino mettendo in campo le sue competenze tecnico- professionali.

Conoscenza della metodologia PACT

Ritenendo l’approccio PACT uno strumento valido per il TNPEE nel trattamento del Disturbo dello Spettro Autistico che coinvolga attivamente il genitore, si è voluta approfondire la conoscenza di tale metodo tra i terapisti italiani. Il 58,6% dei testati ha riportato di avere notizia della metodologia PACT ma il 77,6% ritiene di non saperne a sufficienza. Una grande parte non possiede quindi le adeguate informazioni in merito a questo strumento. Dei clinici che hanno ritenuto di conoscere in modo approfondito tale metodologia, il 79,5% ha indicato che potrebbe essere utile per la propria pratica terapeutica. È assumibile quindi che, se la preparazione e l’informazione in merito all’approccio PACT fossero più diffuse e accessibili ai terapisti, un numero maggiore potrebbe ritenerlo adatto alla propria attività clinica e adottarlo eventualmente nel trattamento dei bambini con ASD. Un’implementazione a livello italiano risponderebbe anche alla richiesta dei TNPEE che ritengono di non essere adeguatamente informati, in quanto il 93,9% di loro ha indicato di volerne sapere di più e conoscere più approfonditamente lo strumento PACT.

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Conclusioni

Il questionario sottoposto ai TNPEE italiani ha confermato che il coinvolgimento del nucleo familiare nello svolgimento del trattamento di un bambino con ASD sia di fondamentale importanza e sia un fattore preso in considerazione nella totalità dei casi.

Un numero consistente di terapisti ha evidenziato che in questa tipologia di disturbo più che in altre è fondamentale un’uniformità di strategie educative finalizzata soprattutto alla generalizzazione degli effetti terapeutici.

Gli esiti indicano che è necessario un investimento netto sul genitore che possa essere inteso come fattore proattivo in grado di mediare efficacemente gli obiettivi terapeutici.

Tuttavia, è emerso che gli incontri avvengono in un buon numero di casi con una bassa frequenza e alcuni terapisti, seppur pochi, non hanno uno spazio dedicato al confronto con i genitori. Anche nelle occasioni in cui si tenga un colloquio alla necessità della famiglia, mantenere una costanza nel confronto è assumibile possa essere maggiormente funzionale. Vi è quindi una grande variabilità nelle modalità di presa in carico del genitore che può essere determinata sia da scelte personali che del servizio.

Si ritiene che una proposta come il PACT, in accostamento ad un percorso neuropsicomotorio tradizionale, possa essere una risorsa nel fornire un aiuto concreto per favorire un adeguato coinvolgimento parentale in quanto presenta materiali che possono fungere da guida per il genitore nello strutturare un approccio adattato al proprio bambino.

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