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LE FORME SPASTICHE - La tetraplegia, La diplegia (Segni clinici caratteristici, Forme cliniche), L'emiplegia (Segni clinici caratteristici, Forme cliniche)

La tetraplegia

Nelle forme tetraparetiche il disturbo del tono e del movimento è di solito molto grave, interessa in egual modo sia gli arti inferiori che quelli superiori e si rende manifesto fin dalla nascita.Lo sviluppo posturo-motorio presenta un notevole ritardo e la prognosi è sfavorevole. Sono frequenti i disturbi visivi ( agnosia visiva, paralisi di sguardo, strabismo e riduzione dell'acuità visiva) e forme generalizzate secondarie di epilessia ( sindrome di West, sindrome di Lennox-Gastaut). E' presente un ritardo mentale, spesso importante, dovuto sia al danno lesionale sia al precoce disturbo della motricità che rende difficile l'acquisizione delle fondamentali tappe dello sviluppo posturo-motorio. Come effetto della spasticità si verificano contratture muscolari diffuse, deformità articolari e di assetto del rachide.

Le lesioni cerebrali più frequenti sono rappresentate da quadri diffusi di leucomalacia periventricolare o di sofferenza multicistica con atrofia cerebrale importante.

(La tetraplegia non viene trattata in maniera approfondita in quanto non è stata presa in considerazione nel nostro campione a causa della gravità del disturbo motorio che la caratterizza e che non avrebbe reso possibile l'esecuzione della prova).

La diplegia

La diplegia costituisce il 44% di tutte le PCI ed è la più frequente delle forme bilaterali. Indica una condizione nella quale gli arti inferiori sono maggiormente colpiti rispetto a quelli superiori. Tuttavia, la valutazione della sola topografia motoria non è sufficiente per formulare una diagnosi di diplegia in quanto ci possono essere delle difficoltà a separare i confini con l'altra forma bilaterale, la tetraplegia.

Per delimitare le diplegie occorre adottare perciò altri criteri differenziali.

Segni clinici caratteristici

  • Difficoltà nel controllare i generatori di azione (central pattern generators)

Una volta che la sequenza motoria è stata attivata, risulta difficile interromperla per scomporre, selezionare, singolarizzare ed invertire il movimento. E' quindi compromessa l'attitudine a rimodellare il programma in corso d'opera mentre il ritmo, la fluenza cinetica e la capacità di controllo sequenziale sono relativamente conservate.

  • Ridurre la velocità

I pazienti diplegici incontrano in genere minori difficoltà ad imparare a camminare velocemente che a farlo lentamente ed a continuare a marciare piuttosto che a restare fermi 12 sul posto.

  • Coordinare i quattro arti

I soggetti diplegici trovano difficile coordinare, durante la marcia, i movimenti degli arti superiori con quelli degli arti inferiori e, quando utilizzano ausili per gli arti superiori, distribuire correttamente il carico fra i quattro arti (soppesamento).

  • Stabilizzare la reazione positiva di sostegno e raggiungere la fissazione prossimale

Questo si traduce nella difficoltà a rendere stabile la reazione antigravitaria, a trasferire la fissazione da distale a prossimale, a mantenere un corretto allineamento del corpo nello spazio (raddrizzamento) ed a conservare l'equilibrio complessivo (bilanciamento), a cui può conseguire una compromissione del controllo posturale.

  • Moduli e prassie

I soggetti diplegici posseggono una buona disponibilità di moduli, combinazioni e sequenze motorie; hanno un buon grado di indipendenza da pattern primitivi e patologici all'atto di associare tra loro moduli motori diversi.

  • Sensazioni e percezioni

Nei soggetti diplegici sono abbastanza comuni le paralisi di sguardo, specie nell'esotropia (strabismo convergente) che aggravano l'espressività dei pattern motori patologici, specie durante la locomozione e la manipolazione.

A parte l'equilibrio, le altre funzioni sensoriali non risultano in genere compromesse. Sono però spesso presenti problemi dispercettivi (orientarsi nello spazio e dirigere correttamente la propria traiettoria di avanzamento, specie in assenza di adeguate mire visive; coordinare i movimenti dello sguardo con gli spostamenti del capo; tollerare il vuoto e la profondità circostante;...)

  • Funzioni corticali superiori

Quasi tutti i bambini diplegici arrivano a raggiungere un linguaggio accettabile, almeno dopo la prima infanzia.

Nella diplegia, rispetto alle altre forme di PCI, sono decisamente meno frequenti ritardo mentale ed epilessia: questa forma è però più vulnerabile a problemi di tipo psicopatologico (conflittualità esasperata, depressione, ansia, fobie,...) perchè in genere sostenuti da un profilo cognitivo migliore rispetto alle altre forme di PCI.

  • Manipolazione

I diplegici raggiungono una discreta competenza nella manipolazione, specie in posizione seduta, eccetto nel caso in cui siano presenti elementi discinetici; tuttavia la competenza nella manipolazione non corrisponde sempre all' acquisizione di una buona autonomia, poiché possono essere presenti problemi disprattici e dispercettivi in grado di limitare i risultati raggiungibili.

  • Retrazioni muscolari e deformità

Nei diplegici è molto frequente il riscontro di deformità torsionali delle ossa lunghe con conseguenti alterazioni dell'angolo del passo. I più comuni problemi scheletrici sono l'intrarotazione femorale, l'extrarotazione tibiale e lo sfondamento dell'articolazione astragalo-scafoidea, con piede valgo-abdotto. Tutti i diplegici comunque arrivano a camminare in modo più o meno funzionale; tuttavia, per la gravità raggiunta dalle deformità secondarie, la precoce affaticabilità e la scarsa motivazione di molti pazienti (soprattutto della I e II seconda forma) è possibile una successiva perdita del cammino, in genere verso l'inizio dell''adolescenza.

Forme cliniche

Il criterio utilizzato per classificare le varie forme di diplegia è quello di analizzare la prestazione più caratteristica dei diplegici, il cammino, tenendo conto sia della fascia di età attraversata dal soggetto sia dei cambiamenti eventualmente prodotti dagli interventi terapeutici praticati.

Inoltre, viene indagato il ruolo che assumono i seguenti elementi nell'architettura del cammino:

  • utilizzo degli arti superiori e degli ausili per la marcia
  • atteggiamento del capo e del tronco • movimenti pendolari del tronco sul piano frontale e sagittale
  • movimenti del bacino (traslazione orizzontale e basculamento antero-posteriore)
  • meccanismi di progressione
  • sequenza di appoggio e di sollevamento del piede
  • scelta dei fulcri

In base a questi elementi è possibile identificare nel bambino quattro forme forme cliniche di diplegia.

I forma- I “propulsivi”

  • con necessità di ausili per gli arti superiori ( ad anca flessa o ad anca estesa)
  • senza necessità di ausili per gli arti superiori

II forma- I “gonna stretta”

  • con necessità di ausili per gli arti superiori (quadripodi per direzione)
  • senza necessità di ausili per gli arti superiori

III forma- I “funamboli”

  • con necessità di ausili per gli arti superiori (quadripodi come bilancieri)
  • senza necessità di ausili per gli arti superiori

IV forma-I “temerari”

  • forma generalizzata
  • forma prevalentemente distale
  • forma asimmetrica (doppia emiplegia)

(Classificazione Ferrari-Cioni, 2005)

L'emiplegia

L'emiplegia indica una condizione nella quale un emicorpo è più compromesso rispetto all'altro a seguito di una lesione cerebrale nella maggior parte dei casi unilaterale. L'emiplegia costituisce circa il 30% di tutte le forme di PCI e colpisce nel 50% dei casi i nati a termine e nel 20% i pretermine. Per quanto riguarda i nati a termine, in molti casi (30-40% dei casi, Hagberg) non sono rintracciabili nella storia personale o familiare del bambino i fattori eziopatogenetici che hanno determinato l'insorgere della lesione cerebrale mentre nei bambini nati pretermine, che hanno poi sviluppato un'emiplegia, vengono frequentemente riportati fattori pre- o perinatali significativamente correlati con il danno.

Tra i fattori di rischio prenatali rivestono una certa importanza le malattie croniche materne, lo IUGR e parti gemellari mentre tra quelli perinatali si annoverano le distocie, il distress fetale acuto, lo stroke e in ultimo, la sepsi neonatale.

Si distingue una forma congenita di emiplegia (70-90%), quando la lesione responsabile si verifica prima della fine del periodo neonatale (entro le prime quattro settimane di vita) da una forma acquisita, quando la lesione avviene successivamente, entro comunque i primi tre anni di vita.

Segni clinici caratteristici

La caratteristica clinica prevalente dell'emiplegia, riscontrabile già precocemente, è sicuramente la riduzione del repertorio motorio dell'emilato affetto nei suoi aspetti di dotazione di moduli ( componenti elementari del movimento di cui è dotato il bambino), di combinazioni (possibilità di aggregare singoli moduli in schemi diversi secondo nuove relazioni spaziali) ed infine di sequenze (capacità di assemblare singoli moduli secondo relazioni temporali differenti.

Un altro segno clinico presente nelle forme emiplegiche è la presenza di movimenti associati che esprimono la relazione e l'influenza reciproca esistenti tra l'emilato conservato e l'emilato plegico. I movimenti associati vengono distinti in sinergie ( quando l'attivazione di un modulo motorio a livello distale fa esprimere interamente la combinazione e la sequenza all'interno dell'arto) e in sincinesie (movimenti involontari prodotti nella mano plegica nel momento in cui vengono compiuti movimenti volontari dalla mano conservata).

I difetti sensoriali e percettivi non sono frequenti e comunque sono di lieve entità; piuttosto frequenti invece sono i disturbi della stereognosia, presenti, almeno nella metà dei bambini emiplegici (Fedrizzi et al. 2003). I disturbi dell'attenzione possono condurre ad un mancato utilizzo dell'arto plegico da parte del bambino, cioè ad un non impiego funzionale del repertorio motorio che comunque conserva.

La presenza di epilessia nell'emiplegia è frequente, come i disturbi delle funzioni corticali superiori, intesi come alterazioni di specifiche funzioni : il ritardo mentale invece è raro in questo tipo di PCI.

Forme cliniche

L'approccio eziopatogenetico è stato recentemente riproposto per la classificazione dell'emiplegia spastica e si è rivelato particolarmente utile in tale forma di PCI, in quanto offre una chiave di lettura per l'interpretazione dei quadri clinici, dell'evoluzione funzionale individuale e per la progettazione di nuove metodiche di intervento, anche alla luce delle più recenti concettualizzazioni sui fenomeni di plasticità e riorganizzazione neurale (Cioni, 1999; Ferrari e Cioni, 2005). Sulla base del timing e del tipo di lesione cerebrale, sono state individuate quattro forme principali di emiplegia.

1. I forma (malformativa precoce)

Il danno si verifica nel corso del I-II trimestre di gravidanza, la lesione può essere di origine infettiva, malformativa o vascolare ed è bilaterale nel 50% dei casi. In questa forma è frequente sia il ritardo mentale (1/3 dei casi) che l'epilessia (½ dei casi).

2. II forma (prenatale)

Il danno si verifica nel corso del III trimestre di gravidanza nei nati a termine, in epoca perinatale nei pretermine; le lesioni sono riconducibili ad infarto venoso secondario ad emorragia intraventricolare, ad emorragie parenchimali e a leucomalacia periventricolare e sono bilaterali nel 50% dei casi. Lo sviluppo cognitivo che ne consegue è buono e la presenza di epilessia è rara.

3. III forma (connatale)

Il danno si verifica nel corso del III trimestre di gravidanza o nel periodo perinatale. La lesione è riconducibile ad infarto arterioso ( arteria cerebrale media) e comporta un importante interessamento cortico-sottocorticale. Come nella prima forma, anche in questa la presenza di ritardo mentale e di epilessia è importante.

4. IV forma ( acquisita)

Il danno è tardivo (entro comunque la prima-seconda infanzia) ed è generalmente di natura vascolare, infettiva, tumorale o traumatica. In questa forma, contrariamente alle precedenti, la lesione produce una perdita di funzioni già acquisite piuttosto che la mancata acquisizione: è perciò più vicina all'emiplegia dell'adulto che a quella del bambino. L'epilessia e il ritardo mentale sono meno frequenti rispetto alle altre forme; al contrario, i problemi di apprendimento, l'eminnatenzione e l'emisomatognosia sono presenti in una buona percentuale dei casi.

Indice

  INTRODUZIONE
   
Capitolo 1

1. LA PARALISI CEREBRALE INFANTILE

  1.1 DEFINIZIONE
  1.2 EPIDEMIOLOGIA
  1.3 DIAGNOSI DI LESIONE
  • 1.3.1 Il neonato pretermine
  • 1.3.2 Il neonato a termine
 

1.4 CLASSIFICAZIONI

  • 1.4.1 Hagberg e al. (1975)
  • 1.4.2 Rosembaum e al.(2007)
  • 1.4.3 Ferrari-Cioni (2010)
 

1.5 LE FORME SPASTICHE

  • 1.5.1 La tetraplegia
  • 1.5.2 La diplegia (Segni clinici caratteristici, Forme cliniche)
  • 1.5.3 L'emiplegia (Segni clinici caratteristici, Forme cliniche)
  1.6 DISTURBI E FATTORI ASSOCIATI - Ritardo mentale, Epilessia, Disturbi della funzione visiva, Disturbi psichiatrici
Capitolo 2 2. FUNZIONI NON VERBALI
  2.1 FUNZIONI NON VERBALI
  2.1.1 Le funzioni visuo-percettive
 

2.1.2 Le funzioni visuo-spaziali

2.1.2.1 I disturbi visuo-spaziali

  • Disturbi dell'esplorazione visiva
  • Disturbi della percezione spaziale
  • Disturbi del pensiero spaziale
  • Disturbi visuo-costruttivi
 

2.2 ASPETTI EVOLUTIVI

  • 2.2.1 Prima infanzia
  • 2.2.2 Seconda infanzia
  • 2.2.3 Terza Infanzia
  2.3 Vie anatomo-funzionali di elaborazione visiva:le vie del "What" e del "Where"
Capitolo 3 3. LA MEMORIA DI LAVORO
  3.1 LA MEMORIA E LE SUE SOTTOCOMPONENTI
 

3.2 LA MEMORIA DI LAVORO

  • 3.2.1 I modelli teorici
    • Il modello di Cornoldi e Vecchi (2003)
  • 3.2.2.1 La memoria di lavoro visuo-spaziale (MLVS), La MLVS nel bambino
  • 3.2.3 Aree cerebrali coinvolte nella memoria di lavoro
Capitolo 4 4. LO SPAZIO E IL MOVIMENTO
  4.1 LO SPAZIO
  4.2 Il movimento - LA NAVIGAZIONE
 

4.3 DUE TIPI DI STRATEGIE PER LA CODIFICA SPAZIALE

  • 4.3.1 Le strategie egocentriche
  • 4.3.2 Le strategie allocentriche
  4.4 ASPETTI EVOLUTIVI
 

4.4.1 ASPETTI EVOLUTIVI

  • 4.4.2 Il neonato e lo spazio, Il bambino e lo spazio
 

4.5 STUDI RECENTI

  • 4.5.1 Aree cerebrali coinvolte nella codifica spaziale
Capitolo 5 5. LO STUDIO: MATERIALI E METODI - Introduzione allo studio
  5.1 IL CAMPIONE
 
  • 5.1.1 Caratteristiche del campione
  • 5.1.1.1 Età gestazionale
  • 5.1.1.2 Lesione cerebrale
  • 5.1.1.3 Livello cognitivo
  • 5.1.1.3.1 Profilo cognitivo
 

5.2 IL "WALKED CORSI TEST"

  • 5.2.1 Apparato sperimentale
  • 5.2.2 Svolgimento della prova
  • 5.2.3 Le sequenze
  5.3 ANALISI DEI DATI
  6. LO STUDIO: RISULTATI
   
  7. DISCUSSIONI
  7.1 CONSIDERAZIONI
  CONCLUSIONI
   
  Tesi di Laurea di: Ylenia Capuzzo

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