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L’osservazione neuropsicomotoria, l'intervento precocee e il ruolo del Terapista della Neuro e Psicomotricità dell'Età Evolutiva (TNPEE)

CAPITOLO III: L’osservazione neuropsicomotoria e il ruolo del tnpee

  1. L’Osservazione neuropsicomotoria
  2. L’Intervento precoce

 

INDICE PRINCIPALE

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CAPITOLO III: L’osservazione neuropsicomotoria e il ruolo del Terapista della Neuro e Psicomotricità dell'Età Evolutiva (TNPEE)                                

L’Osservazione neuropsicomotoria

L’invio di un bambino a rischio di un ritardo o disordine del suo processo evolutivo

per la presa in carico riabilitativa necessita di un percorso diagnostico finalizzato all’elaborazione di una diagnosi clinica e funzionale per poter mettere a punto il progetto ri-abilitativo individualizzato e condiviso con la famiglia. (Fedrizzi 2009).

La valutazione degli aspetti neuropsichici nella loro globalità è cruciale ai fini diagnostici e soprattutto a fini riabilitativi dal momento che il processo riabilitativo, volto al potenziamento della funzionalità del bambino per garantire il miglior adattamento all’ambiente, è il fine a cui si tende nella presa in carico. L’iter di valutazione avviene in un contesto multi e interdisciplinare dove accanto alle diverse figure professionali che compongono l’equipe, quella del terapista della neuropsicomotricità ha il compito di individuare il profilo funzionale del bambino esito della valutazione delle diverse funzioni adattive in senso quantitativo e qualitativo. (Fedrizzi, 1999, 2004).

La prima è necessaria per aiutare il clinico a comprendere il livello di acquisizione raggiunto dal soggetto in relazione alla sua età, ottenendo dei punteggi precisi e condivisibili. Si avvale di strumenti standardizzati quali scale o test di varia natura necessari per descrivere in modo obiettivo le competenze del bambino, in un linguaggio omogeneo e condivisibile, e per poter quantificare in modo più corretto l’evoluzione del bambino durante l’iter riabilitativo e/o i suoi cambiamenti funzionali in relazione all’intervento terapeutico. (Cianchetti et al., 2006).

La valutazione degli aspetti qualitativi ci permette, invece, di acquisire informazioni sulla natura del disordine grazie all’osservazione neuropsicomotoria del comportamento spontaneo del bambino.

Nel contesto neuropsicomotorio, così come nel contesto del linguaggio scientifico, la parola osservazione ha un senso molto vasto ma fa fede ad un unico scopo: rilevare dati utili alla conoscenza di qualche aspetto del mondo reale. (Wille e Ambrosini, 2010).

L’osservazione neuropsicomotoria risulta finalizzata ad analizzare il comportamento spontaneo e le azioni che il bambino mette in atto in relazione allo ambiente esterno in un’ottica adattiva, al fine di poter rilevare le potenzialità evolutive e le caratteristiche adattive proprie del soggetto.

Wille e Ambrosini (2010), a tal proposito, spiegano come il comportamento psicomotorio si riferisca all’insieme di azioni di cui non si possono scindere gli aspetti della motricità da quelli delle funzioni cognitive ed emotive; mentre definiscono spontaneo gli atti che il bambino compie sulla base delle proprie condizioni interne, dei propri desideri ed interessi. Durante l’osservazione il terapista deve cercare di promuovere l’emergere di tale spontaneità, cercando di ridurre le influenze da parte dell’ambiente esterno e del suo comportamento.

In tale ottica, diventa necessario, pertanto, definire il contesto spazio-temporale dell’osservazione, l’atteggiamento dell’osservatore, le sue azioni, e ciò che dev’essere rilevato.

L’osservatore conscio di diversi aspetti, primi tra i quali l’età, la condizione patologica e le caratteristiche personologiche del soggetto, deve allestire uno scenario psicomotorio in cui possano emergere le capacità adattive e relazionali del bambino, in uno scambio dinamico con l’adulto.

Per adattamento si intende il frutto di un aggiustamento intelligente, della ricerca di equilibrio tra la propria condizione neuropsichica e l’ambiente sociale con le sue richieste e pressioni. (Wille e Ambrosini, 2010).

Diventa fondamentale, pertanto, curare e predisporre un setting capace di promuovere il movimento e l’esplorazione di spazi e oggetti, scelti sulla base dell’età, della patologia e delle caratteristiche proprie del bambino, e, nel corso dell’osservazione, agire su di essi per poter far emergere strategie individuali, atte a risolvere eventuali problemi, oltre che l’intenzionalità motoria, relazionale e comunicativa propria del piccolo. (Wille e Ambrosini, 2010; Pierro, Fedrizzi 1997; GIPCI, 2009-2019).

La stanza psicomotoria rappresenta uno spazio accogliente, privo di elementi stressanti, in cui si realizza uno scambio interattivo tra bambino e terapista, grazie ad oggetti per lo più neutri e simbolici, atti a far emergere la spontaneità del piccolo, avendo cura di ridurre il più possibile le influenze da parte dell’ambiente esterno.

Il terapista ha l’importante compito di stabilire un clima relazionale capace di mettere a proprio agio il bambino e di favorire l’emergere della sua unicità, e deve assumere una postura congrua alle richieste dell’altro e alle proprie emozioni, in un atteggiamento accogliente, di dialogo e sintonia. (Wille e Ambrosini, 2010).

Risulta, così, inscindibile dall’osservazione la componente dell’intersoggettività: il terapista si relaziona al piccolo tramite il proprio corpo e attraverso di esso deve cogliere i segnali comunicativi propri del bambino. È per tale ragione che tutte le riflessioni insite nella valutazione non possono verificarsi in modo strettamente obiettivo, ma occorre considerare l’obiettività fondata sull’intersoggettività. (Chiavazza, 2009).

L’atteggiamento posturo-motorio si esprime attraverso i canali della comunicazione verbale e non e orienta l’attenzione all’immagine del terapista e alla sua compatibilità con l’ambiente, all’ubicazione nello spazio, alla postura e alle posizioni, alle modificazioni della postura in relazione all’attività del bambino, alle modificazioni della posizione o della distanza in base al comportamento del bambino, alla voce e al linguaggio.

L’osservazione viene, dunque, considerata come un atto non neutro ma comunicativo. (Ambrosini, Cartacci, Gison, 2013).

In questo clima relazionale e di scambio, il terapista deve, però, porre particolare attenzione alla modalità di interazione, di proposta di giochi e/o situazioni e di coinvolgimento delle figure genitoriali. (Fedrizzi, 2000). È necessario, ad esempio, promuovere l’iniziativa del piccolo, lasciare il tempo necessario affinché processi correttamente gli input ed elabori una risposta adeguata, garantendo la sua libertà d’azione, condizione essenziale per poter entrare in relazione con lui.

Si rende evidente, pertanto, come l’osservazione psicomotoria non assuma un carattere distaccato, ma al contrario, richieda un coinvolgimento attivo dell’operatore che interagisce avanzando proposte diversificate di gioco, necessarie ad osservare la modificabilità del piccolo nei confronti di un contesto mutevole, cercando il più possibile, pur mantenendo la sua spontaneità, di non modificare il corso normale degli eventi. (Wille e Ambrosini, 2010).

Si parla, dunque, di osservazione partecipata, che ha per oggetto l’osservatore stesso e l’attenzione viene orientata alle sensazioni, alle emozioni, alle immagini e ai pensieri di chi osserva, i quali, resi consapevoli, potranno divenire utili elementi di lettura e di orientamento, mentre se verranno semplicemente ignorati e scotomizzati intralceranno lo sguardo decentrato rivolto al paziente.

L’osservazione si conferma così diretta, cioè centrata sulle azioni dei soggetti, bambino e terapista, e si svolge in un ambiente a metà strada tra quello naturalistico e di laboratorio. (Wille e Ambrosini, 2010).

Nell’atto osservativo, inoltre, si confrontano in modo dinamico il punto di vista dell’osservatore, l’oggetto osservato e il contesto in cui tale ascolto si effettua, nel fine ultimo di poter cogliere le capacità e le fragilità, le funzioni adattive emergenti, i bisogni e le necessità del bambino, ma anche la condizione che evoca una modificabilità di tutti questi aspetti necessari per individuare gli obiettivi terapeutico-riabilitativi ed elaborare un progetto ri-abilitativo “su misura” del piccolo e della sua famiglia. (Fedrizzi, 2009; Ambrosini, Cartacci, Gison, 2013).

L’impegno alla valutazione del bambino che abbiamo di fronte non si esaurisce, tuttavia, nella fase iniziale, ma accompagna tutta la presa in carico del paziente. (Cartacci, 2013).

È importante, infatti, poter rivalutare nel corso del tempo il soggetto al fine di documentare i suoi cambiamenti in relazione al percorso riabilitativo effettuato e di poter definire nuovi obiettivi.

La valutazione si può avvalere anche della videoregistrazione essenziale per una miglior analisi dell’osservazione, in collaborazione con l’equipe multidisciplinare, per un confronto attivo con la famiglia, componente essenziale per la presa in carico del bambino, ma anche per poter aiutare il terapista nella rilevazione nel corso del tempo delle modificabilità del piccolo. (Fedrizzi, 2000).

È per tale ragione, che anche noi ci avvaliamo di tale strumento, sulla base dell’importante esempio offertoci dal GIPCI.

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L’Intervento precoce

Come ben sappiamo, i neonati alla nascita godono della plasticità neuronale, ovvero della capacità del sistema nervoso centrale di riorganizzare i propri circuiti neuronali e andare incontro a fenomeni di sinaptogenesi e potatura neuronale, tali da definire dei periodi sensibili (Ammaniti e Ferrari, 2020).

In questo periodo l’ambiente svolge un ruolo determinante sullo sviluppo del piccolo: differenti studi hanno mostrato come i fattori ambientali coordinano i tempi e il modello dell’espressione genica, che a sua volta definisce l’architettura iniziale del cervello. (Sharon E. et al, 2010).

Esperienze precoci possono potenziare o al contrario inibire la connettività neuronale nelle fasi chiave dello sviluppo (Hess, 1973; Knudsen, 2004), specialmente nei primi mille giorni. (Berg, 2016).

Nei soggetti con deprivazione visiva, la ricerca ha dimostrato che le aree dell’encefalo normalmente associate al senso perduto subiscono dei cambiamenti neuroplastici per cui vengono reclutate da altre modalità sensoriali. (Merabet e Pascual-Leone, 2009).

Tradizionalmente, la vita senza un senso particolare è stata vista come "impoverita" e molte prime teorie postulavano che la deprivazione sensoriale avrebbe effetti devastanti sullo sviluppo, l'apprendimento e le prestazioni cognitivo-comportamentali (Merabet e Pascual-Leone, 2009). Ricerche successive hanno dimostrato come gli stimoli ambientali, di cui il sistema nervoso centrale è particolarmente permeabile, evochino dei cambiamenti a più livelli del cervello: non vengono coinvolte solo le aree deputate all’elaborazione delle informazioni provenienti dai sensi non coinvolti dalla lesione, ma anche le aree responsabili del processamento degli input del senso perso. (Rauschecker, 1995).

Studi di neuroimaging illustrano questa forma di plasticità cross-modale, evidenziando come aree occipitali, deputate in soggetti normo vedenti all’elaborazione di input visivi, sono reclutate funzionalmente per elaborare informazioni non visive ottenute da modalità sensoriali intatte. Questo fenomeno si registra sia in compiti di elaborazione tattile quali la lettura del Braille o di riconoscimento tattile degli oggetti, sia in compiti uditivi come compiti di discriminazione della sorgente sonora, la percezione del movimento uditivo, il rilevamento del cambiamento uditivo e nella localizzazione del suono.

Figura 6: Riepilogo dei cambiamenti della neuroplasticità crossmodale a seguito di perdita sensoriale. (Merabet e Pascual-Leone, 2009)

Figura 6: Riepilogo dei cambiamenti della neuroplasticità crossmodale a seguito di perdita sensoriale. (Merabet e Pascual-Leone, 2009)

Questi cambiamenti neuronali spiegano come i soggetti siano capaci di svolgere efficientemente compiti richiesti dall’ambiente, sottolineando un’abilità comportamentale e livelli di prestazione paragonabile a quella dei soggetti privi di tali deficit o addirittura superiori.

Tutte queste evidenze scientifiche aiutano il clinico a comprendere quanto i cambiamenti neuroplastici sono fondamentali per i soggetti, sostenendo ancora una volta l’importanza di un intervento precoce in età evolutiva. (Merabet e Pascual-Leone, 2009).

Linee guida nazionali per le attività di riabilitazione (1998) definiscono, pertanto, un intervento riabilitativo come efficace se si verifica tempestivamente, intensivamente, in modo globale e continuativo. (Fedrizzi, 2009).

L’intervento ri-abilitativo per poter garantire una maggiore modificabilità nel soggetto e promuovere l’emergere delle funzioni adattive non ancora espresse, dev’essere, difatti, precoce, come supportato sia da teorie neurobiologiche, relative ai concetti di plasticità cerebrale e “recovery”, che da teorie dello sviluppo di Sameroff & Chandler, 1975; Vjigotsky, 1979. (Luparia, 2017).

Diventa, dunque, essenziale poter comprendere i meccanismi coinvolti nella neuroplasticità in relazione ad esperienze ambientali positive o negative, al fine di fornire potenziali indicazioni per promuovere la traduzione di tali principi nell’attuazione di interventi precoci e maggiormente efficaci, per poter così ridurre l’impatto della disabilità dello sviluppo neurologico in una serie di condizioni cliniche. (Guzzetta et al., 2019).

Figura 7: Arricchimento ambientale. (Morgan C., Novak I, Badawi N., 2013)

Figura 7: Arricchimento ambientale. (Morgan C., Novak I, Badawi N., 2013)

Ricordiamo come, a tal proposito, l’ambiente può determinare non solo dei cambiamenti adattivi e positivi per lo sviluppo del bambino, ma al contrario può, in alcune circostanze, quali l’assenza di esperienze arricchenti, determinare dei cambiamenti irreversibili. Si parla, per questa ragione, non solo di un periodo sensibile che caratterizza la crescita del piccolo, ma anche di periodo critico in riferimento a questa fase delicata dello sviluppo. (Newport et al., 2001; Trachtenberg & Stryker, 2001).

Autori quali Merabet e Pascual-Leone (2009) riportano nel loro studio come gli sforzi riabilitativi nel tentativo di ripristinare la funzione sensoriale dopo che è stata persa o non si è sviluppata possono evidenziare dei cambiamenti neuroplastici disadattivi. Ragion per cui, avanzano la richiesta di una maggiore comprensione di questi cambiamenti neuroplastici per poter garantire migliori ripercussioni sulle future strategie riabilitative, secondo loro mostrate dalla possibilità di promuovere primariamente l’esposizione a stimoli sensoriali vicarianti quali tatto e udito in presenza di deprivazione visiva. (Merabet e Pascual-Leone, 2009). Questa affermazione, che personalmente richiede ulteriori approfondimenti a riguardo, avvalora maggiormente il nostro sforzo di individuare target specifici che possano promuovere l’espressione di indicatori sociali capaci di promuovere nello scambio con l’altro lo sviluppo globale del bambino.

Il trasferimento di questi risultati sperimentali nell’intervento riabilitativo nei primi anni di vita suggerisce l’importanza di attuare interventi precoci che mirino ad arricchire l’ambiente di vita di opportunità, esperienze di interazione sociale e di occasioni di sperimentazione attiva di problemi in contesti variati.

Alla luce di tutte queste teorie, si mostra ancora una volta evidente come l’intervento ri-abilitativo dev’essere precoce al fine di poter garantire al piccolo tutte quelle esperienze definite positive capaci di determinare una migliore spinta evolutiva e promuovere il suo sviluppo. L’intervento, sfruttando le possibilità di “recovery” e la plasticità del Sistema Nervoso nelle prime epoche della vita, deve evocare, attraverso l’esperienza, la mediazione del caregiver e l’arricchimento ambientale, l’emergenza di capacità utilizzabili e significative nell’interazione con il mondo degli oggetti e delle persone con lo scopo di evocare nuove possibilità di interazione tra l’individuo e l’ambiente in cui vive. (Luparia, 2017).

Si rende così rilevante poter ricorrere nell’ambito terapeutico alla creazione di ambienti arricchiti che possano, come dimostrato da Maffei (2004, 2007) Sale (2004) Cancedda (2004) Riva et al (2009), favorire la riorganizzazione di funzioni complesse e riaprire periodi critici.

L’esposizione ad ambienti arricchiti permette di ottenere un miglioramento dell’apprendimento e della memoria e di promuovere la riorganizzazione strutturale nel cervello, specialmente nella corteccia visiva. (Rosenzweig e Bennett, 1996Rampon et al., 2000van Praag et al., 2000Mohammed et al., 2002).

Uno studio condotto su animali inseriti in condizioni di arricchimento ambientale ha evidenziato come esso favorisca uno sviluppo dell’acuità visiva, un’apertura precoce degli occhi e livelli più elevati di comportamento di leccamento materno. (Maffei, 2004).

A tal proposito, ricordiamo gli studi condotti da Guzzetta et al. (2009) in cui viene sottolineata l’importanza di tale arricchimento come possibilità di un’accelerazione nello sviluppo cerebrale. Gli studiosi hanno considerato il massaggio infantile come espressione di un ambiente arricchito capace di migliorare e promuovere la maturazione dell'attività elettroencefalografica e della funzione visiva, in particolare dell'acuità visiva.

L’autore Montagu si esprime a questo proposito riportando una contrapposizione nel panorama scientifico, necessario di approfondimento, manifestata dalla considerevole variabilità nello sviluppo della sensibilità cutanea nei ciechi: alcuni autori, al contrario di altri, sostengono che in questi soggetti è possibile riscontrare un aumento di tale sensibilità.

Dinanzi a queste evidenze scientifiche, consapevoli dell’importanza della scelta e della selezione del materiale e della creazione del setting riabilitativo al fine di promuovere e sostenere le esperienze sensoriali capaci di influenzare positivamente la relazione e lo sviluppo cerebrale e del comportamento, ci siamo interrogati su quali possano essere i target sensoriali capaci di evocare delle risposte adattive soprattutto in termini relazionali.

Più precisamente, lo scopo del nostro studio sperimentale è quello di guidare il terapista nelle prime fasi di osservazione del bambino per analizzare quali possano essere gli strumenti che dovranno poi comporre l’ambiente arricchito specifico per ogni bambino, utili per ottenere delle risposte sociali e motorie, di cui esso ne è espressione, che possano favorire la sua apertura verso il mondo e promuovere il suo sviluppo globale.

Guzzetta et al., inoltre, relativamente alla neuroplasicità, sostengono l’importanza delle interazioni sociali, in riferimento maggiore alla precoce relazione madre-bambino, nella modulazione delle esperienze infantili.

È per tale ragione che i loro studi si sono indirizzati sull’analisi delle possibili conseguenze della deprivazione sociale sullo sviluppo psichico e comportamentale, sia a breve che a lungo termine, sulle differenze nella struttura del cervello e sui cambiamenti dei marcatori a livello cellulare e molecolare.

Le loro recenti scoperte mostrano come la qualità dell’interazione madre-bambino, in relazione sia ai comportamenti infantili che genitoriali, fosse compromessa e alterata in presenza di bambini con deficit del neurosviluppo. Secondo gli autori, si verifica un abbassamento dei meccanismi di rispecchiamento ed una difficoltà del genitore a cogliere e rispondere positivamente i segnali sociali del proprio piccolo, che a sua volta fatica a manifestare.

Il ruolo delle interazioni madre-bambino nelle popolazioni a rischio è stato indirettamente confermato dallo studio di G. Sgandurra et al. che ha mostrato come un intervento precoce che coinvolga i genitori, come nel modello CareToy, sembra essere efficace nel ridurre il disagio materno, rispetto alle cure standard per i neonati pretermine. (G. Sgandurra et al., 2017).

Si rende ancora una volta evidente l’importanza di un intervento precoce soprattutto indirizzato sulla possibilità di sostenere la relazione madre-bambino e guidare il genitore

nella comprensione delle risposte sociali messe in atto dal piccolo, particolarmente in caso di soggetti con deficit visivo.

Come sostiene Monti Civelli (1983) e, più recentemente Montirosso (2020), la capacità della madre di comprendere e dare significato ai comportamenti del bambino, generando delle risposte adeguate, in un rispecchiamento imperfetto, è estremamente importante per la formazione di un attaccamento sicuro e per la promozione dello sviluppo psichico, sociale e motorio del bambino stesso.

 

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INTRODUZIONE
 

N.B.

Per questioni di tempi è probabile che per il momento la presente tesi sia stata inserita parzialmente o in formato immagine. Al più presto completeremo l’inserimento rispettando i canoni da noi prefissati e cioè editando direttamente il testo nei diversi articoli del portale.

18/03/2022 - Redazione web

 
CONCLUSIONI
 
BIBLIOGRAFIA
 
Tesi di Laurea di: Sara RINALDI 
 

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