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L’IDROTERAPIA - Cenni Storici; Vita fetale e competenze in liquido amniotico; Acquaticità e importanza dell’acqua; Principi di trattamento; La terapia in acqua e aspetti generali

L’IDROTERAPIA: Cenni Storici, Vita fetale: competenze in liquido amniotico, Acquaticità e importanza dell’acqua

 

INDICE PRINCIPALE

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Cenni Storici

Le tappe della filogenesi umana cominciano dall’acqua, da questo elemento così diffuso, necessario per la vita e per vivere.

Così dall’anfiosso al feto umano, seguendo le leggi dell’antropologia fisica, della chimica, delle “scienze” in genere e rifacendosi alla antropologia culturale, non è presuntuoso affermare che è inscindibile il binomio che unisce l’acqua alla vita. L’acqua infatti è presente nelle tappe importanti della vita dell’uomo: veniamo al mondo dopo essere stati immersi per mesi nell’acqua e nasciamo alla vita cristiana nel battesimo che in origine veniva fatto con la totale immersione in acqua, mentre oggi la chiesa cattolica battezza i bambini bagnandoli solo il capo.

Dalle più antiche sorgenti termali Greche alle citazioni nella Bibbia e nel Vangelo, l’acqua è descritta come possibile principio di guarigione per i mali del corpo e dello spirito. A volte considerata come una manifestazione divina, altre come panacea, da sempre l’uomo sa che l’immersione nell’acqua calda attenua i suoi dolori.

Nel 375 a.C. Ippocrate usava l’acqua calda e fredda nel trattamento delle malattie ed i Romani realizzarono in tutte le loro città, terme con la duplice valenza di stabilimenti di cura e di luoghi di esercizio, di rilassamento ed incontro.

Alcune di queste terme erano vaste e complesse, ad esempio le terme dell’imperatore Caracalla coprivano circa un miglio quadrato e al loro interno c’era una piscina che misurava 320 x 424 metri! Queste terme come le altre sparse nell’impero venivano usate anche dalla gente comune.

Intorno al 500 d.C. con la caduta dell’impero l’uso delle terme pubbliche per scopi igienici  e curativi cominciò a diminuire a causa della caduta politica ed economica della civiltà romana ma soprattutto perché i cristiani consideravano questi luoghi usanze tipicamente pagane e ben presto furono messe al bando.

Inoltre con le pestilenze del XVI secolo diventava assolutamente necessario evitare i bagni, a quel tempo infatti si credeva che il calore e l’acqua potessero aprire fessure nella pelle e da lì sarebbe entrata nel corpo la temutissima malattia.

Le precauzioni da prendere, vista la permeabilità della pelle e la fragilità dei corpi, non erano mai troppe, specialmente per i bambini.

Queste credenze del tempo, unite ai secoli bui della Santa Inquisizione portarono ad una costante sfiducia nelle qualità curative dell’acqua, nonché alla mortificazione del corpo e di tutte le pratiche ad esso correlate.

Successivamente intorno al XVIII secolo, si è assistito allo sbocciare di una concezione terapeutica dell’idroterapia.

Considerando l’acqua minerale come un medicamento, si cominciò ad analizzare e codificare la sua utilizzazione, si pubblicarono osservazioni e parallelamente si prescrissero bagni di mare nel quadro di una climatoterapia marina agli albori.

A metà del XX secolo lo sviluppo della cinesiterapia evidenzia l’interesse per le proprietà fisiche dell’acqua per trattare le affezioni dell’apparato locomotore ed in particolare, a quest’epoca, i postumi della poliomielite.

Il progressivo sviluppo e le conseguenti ricerche nel campo di quella ancor giovane branca della medicina che è la riabilitazione, hanno rilevato, in modo sempre più convincente l’importanza dell’acqua come approccio terapeutico, sia nelle patologie del sistema nervoso centrale, sia dell’apparato locomotore, attribuendo quindi al mezzo acqua una connotazione importante, quale supporto e facilitatore della terapia in stanza.

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Vita fetale: competenze in liquido amniotico

L’acqua come culla naturale, ambiente ideale nel quale prende forma e si sviluppa la vita.

Il primo approccio con il mondo avviene attraverso l’acqua, la stessa ci accompagnerà per tutta la nostra esistenza, dal momento del concepimento a quello della morte.

Veniamo concepiti dall’amore, cullati dall’acqua materna che gelosamente ci custodisce e ci prepara in ogni singola, piccolissima e perfettissima parte.

Osservando direttamente la complessità dell’attività fetale nell’ambiente uterino, si resta sorpresi dalla varietà di patterns motori, dalla precocità e compiutezza delle competenze sensoriali e percettive fetali, che portano l’attenzione sull’insieme di esperienze che il feto vive nel periodo prenatale.      

Molte competenze osservabili nel neonato etichettate come “innate” hanno in realtà inizio nella vita prenatale e la loro estrinsecazione è il frutto di una meticolosa preparazione che si realizza attraverso tappe ben definite nel corso della gestazione.

Il feto possiede un ampio repertorio di funzioni motorie e sensoriali che maturano con il progredire della gravidanza ed il cui interesse non è solo di ordine speculativo­ ma finalizzato anche alla possibilità di una sua utilizzazione clinica quale indice di benessere fetale.

Anche se organizzazione, controllo e coordinazione dei movimenti si completano nella vita neonatale, la dotazione motoria di base è già completa a metà del secondo trimestre; l’ecografia permette di osservare il comportamento del feto nel suo habitat naturale indagando i fenomeni dinamici che caratterizzano le varie epoche della vita intrauterina tanto da consentire una catalogazione dettagliata dei molteplici pattern motori secondo l’ordine cronologico di comparsa.

Il sistema nervoso è il primo ad organizzarsi, tra le due e le tre settimane postconcezionali, e la sua entrata in funzione è graduale: si verifica dapprima la proliferazione neuronale, quindi la migrazione nelle specifiche aree ed infine le connessioni sinaptiche che continueranno a svilupparsi e a plasmarsi anche dopo la nascita. I movimenti appaiono molto precocemente, quando l’embrione è lungo meno di un centimetro; dapprima occasionali e rudimentali, evolvono gradualmente in pattern motori più complessi fino ad assumere dignità di funzioni. La loro osservazione consente di valutare il grado di sviluppo e l’integrità del sistema nervoso attraverso la più esplicita delle sue manifestazioni, forse l’unica indagabile in utero.

Tra la 6ª e la 7ª settimana si evidenziano i primi movimenti, sporadici ed irregolari, di breve durata, definiti “vermicolari”, che interessano tutto il corpo e possono anche essere evocati da un lieve scuotimento dell’addome materno. Ad 8 settimane si possono osservare movimenti generalizzati e di breve durata che partendo dalle gambe si trasmettono al collo e alla testa (movimenti tipo startle).

Alla 9ª settimana compaiono movimenti di estensione che interessano il tronco e movimenti di flessione del polo craniale e caudale verso il centro del corpo. Si alternano a scatti che permettono piccoli spostamenti nel liquido amniotico e a movimenti di parziale rotazione del capo. Gli arti si muovono dall’alto verso il basso e viceversa, senza incrociare mai la linea mediana.

A 10 settimane sono presenti movimenti mano-testa, movimenti indipendenti di flesso-estensione degli arti, di rotazione sull’asse longitudinale, di apertura della bocca con protrusione della lingua, di deglutizione. È presente inoltre il movimento di propulsione: il feto punta i piedi contro la parete uterina, estende gli arti inferiori ed il tronco, spinge la testa contro la parete opposta. Questo, come anche la locomozione, cioè la possibilità per il feto di “camminare” all’interno dell’utero, è un pattern motorio che si ritrova subito dopo la nascita e ciò dimostra l’insorgenza molto precoce di alcune competenze postnatali che sono primitivamente finalizzate al raggiungimento della posizione ideale per il parto.

Tra la 15ª e la 26ª settimana si manifestano il singhiozzo, lo sbadiglio, il sorriso ed i movimenti oculari. Questi ultimi sono dapprima incoordinati ed intermittenti (IEM), poi diventano regolari e rapidi (REM). Raggiungono la massima espressione i movimenti respiratori, espansioni e retrazioni del torace e dell’addome accompagnate da escursioni del diaframma: è ovvio che non servono al feto per gli scambi gassosi ma preparerebbero i polmoni e le strutture connesse alle necessità postnatali.

L’attività motoria raggiunge la massima espressione tra la 28ª e la 32ª settimana per ridursi drasticamente nell’imminenza del travaglio. Il III trimestre è caratterizzato da una più evidente funzione di controllo da parte del SNC con modulazione dei movimenti e abitudine alla stimolazione: a 32 settimane il feto è capace di inibire la risposta a scatto evocata da ripetuti stimoli acustici esterni.

Caratteristica della vita fetale e dei primi mesi dopo la nascita è la ciclicità, cioè l’alternarsi di periodi di attività motoria (veglia) a periodi di immobilità assoluta (sonno). Si tratta di “stati comportamentali”, già evidenti a 28 settimane ma con massima maturità espressiva a 36 settimane e definiti dalla particolare correlazione di tre parametri: movimenti oculari, movimenti corporei, frequenza cardiaca.

Parallelamente allo sviluppo delle vie nervose motorie si verifica quello delle vie sensitive e degli organi di senso.

La sensibilità tattile viene acquisita molto precocemente e già dalla 9ª settimana le mani fetali esplorano le pareti della cavità amniotica. Il feto risponde alle sollecitazioni tattili con movimenti corporei e attraverso il tatto è anche in grado di percepire i suoni prima che si sviluppi l’organo dell’udito.

Dopo il tatto si sviluppano l’olfatto ed il gusto, più tardivamente l’udito e la vista.

Le papille gustative sono ben sviluppate sin dall’11ª settimana. Il feto ingurgita liquido amniotico ed è probabile quindi che i primi sapori che percepisce siano legati alle caratteristiche organolettiche di tale liquido. Alle sensazioni gustative si assocerebbero da subito quelle olfattive.

Il feto all’interno del sacco amniotico non è acusticamente isolato e tra la 26ª e la 28ª settimana è in grado di percepire i suoni che gli giungono dalla madre e, attraverso il corpo materno, dal mondo esterno. Se gli stimoli acustici sono sufficientemente intensi è facile osservare una chiara reazione motoria. Sebbene una sorta di percezione acustica è possibile già nel II trimestre, solo dopo la 32ª settimana la funzione uditiva raggiunge i livelli della vita post-natale. L’udito necessita di stimolazioni adeguate per completare il proprio corretto sviluppo nei tempi previsti dal programma genetico. Questo concetto ha una particolare rilevanza se si considera che la funzione uditiva è certamente la più direttamente connessa con lo sviluppo equilibrato del sistema nervoso e, molto probabilmente, della sfera psichica dell’individuo. Il flusso ininterrotto di stimoli sonori che raggiunge il feto guida l’ulteriore maturazione delle strutture preposte alla funzione, modella le vie nervose in crescita, sviluppa le capacità reattive. Attraverso la funzione uditiva, dunque, il feto si apre al mondo esterno, fa esperienza, comincia ad apprendere e a ricordare.

Pure le sensazioni visive influenzano in vario modo l’attività motoria fetale. Le palpebre tendono a schiudersi nel corso del settimo mese. Le sensazioni visive dovrebbero quindi essere possibili e aumentare man mano che la gravidanza si avvia al termine, quando il grande assottigliamento della parete addominale materna rende la cavità uterina sempre meno buia riuscendo a far filtrare una luce rosea.

Il feto, dunque, partecipa in maniera diretta o indiretta, ma sempre molto attivamente, all’ambiente. Durante la gestazione si prepara a ciò che lo aspetta dopo la nascita ma al tempo stesso non perde proprio nulla, per quel che gli consentono i suoi mezzi, di ciò che lo circonda.

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Acquaticità e importanza dell’acqua a fini terapeutici nel bambino

Nell’acqua il bambino ricrea l’ambiente acquatico del ventre materno e si rilassa dimostrando le sue tendenze naturali che sono principalmente emozionali.

Tutto il complesso di azione-reazione che testimoniano una condizione di serenità e agiatezza nell’’acqua viene identificato con il termine di “Acquaticità”.

Attraverso un percorso di adattamento, si accompagnerà il neonato dal primo approccio dell’elemento fluido, alle immersioni ed ai tuffi, nel rispetto dei tempi e dei desideri del piccolo, cercando di evitare tutte le sensazioni di tensione che potrebbero influire negativamente nel suo rapporto con l’acqua e con il suo personale percorso di crescita psicofisica.

L’acquaticità per i bambini è un modo di:

  • provare sensazioni piacevoli in ambiente a lui familiare
  • prendere coscienza del proprio corpo attraverso la stimolazione del sistema propriocettivo
  • imparare nuovi movimenti
  • arricchire schemi di postura e modelli di spostamento nello spazio
  • migliorare il controllo respiratorio

L’acqua inoltre:

  • favorisce il rilassamento e quindi i sonno
  • accresce le capacità di adattamento alle novità
  • contribuisce alle sviluppo delle capacità psicomotorie

L’acquaticità non si pone come obiettivo l’apprendimento del nuoto, perché lo scopo non è istruire al gesto o alla tecnica del movimento, ma “educare all’acqua attraverso la consapevolezza del corpo quale veicolo di piacere e benessere”.

Per i bambini stare in acqua significa soprattutto giocare, divertirsi, scoprire e sperimentare ed all’interno di un contesto privilegiato si proporrà la presenza dei genitori che sono i loro interlocutori preferiti.

Il contatto corporeo, pelle a pelle e l’essere avvolto, contenuto dall’acqua fra le braccia dei genitori favorirà nella triade gli scambi affettivi ed emozionali, e permetterà al bambino di sentirsi particolarmente gratificato condividendo con mamma e papà le piccole acquisizioni e le nuove esperienze.

L’inserimento in vasca è possibile fino ai 4 anni, ma è preferibile cominciare precocemente fin dal 3° mese.

Riavvicinare il neonato all’acqua senza remore e con naturalezza può rappresentare un valido aiuto non solo a ricomporre quella frattura originaria, quel trauma sofferto al momento della nascita ma anche a stabilire un’armonia e un equilibrio interiore e a sviluppare tutta la motricità e quindi l’intelligenza percettivo-sensoria e preverbale da un patrimonio costituito sostanzialmente da meccanismi riflessi.

Si tratta di un ritorno alle origini ossia sfruttare la possibilità  di richiamare o ripristinare alcuni riflessi primordiale al fine di ottenere una serie di movimenti adatti allo spostamento in immersione e di arricchire il bagaglio in dotazione al momento della nascita.

Molti studiosi che si sono occupati delle innate capacità natatorie dei lattanti sono pronti a giurare che esistono dei veri e proprio schemi motori natatori di base che se non sono richiamati sono destinati a perdersi.

Più che di schemi motori è forse più corretto parlare di riflessi primitivi, ovvero di movimenti riflessi natatori degli arti (M.R.N.A.) e il riflesso di apnea (R.A.)

I primi consistono in veri e propri movimenti natatori presenti già in utero e richiamabili nel neonato se messo in posizione prona.

Il piccolo mostrerà ancora il movimento delle gambe a rana, lo sgambettamento a cagnolino, ed i movimento della colonna a delfino. Questa straordinaria capacità svanisce però assai presto: già a quattro mesi, i bambini normalmente hanno perduto la loro automatica reazione natatoria.

Il “riflesso di apnea”, invece, consiste nella chiusura involontaria dell’ epiglottide (valvolina sita nella faringe che connette la bocca con il condotto respiratorio) ogni volta che l’acqua entra nella bocca del bambino, evitando così che l’afflusso finisca nei polmoni. In questo caso la bocca può rimanere aperta sott’acqua senza alcun rischio.

Questo riflesso sparisce di solito verso il dodicesimo mese di vita.

 

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La terapia in acqua: aspetti generali

Leggi fisiche dell’acqua

L’idrokinesiterapia sfrutta le proprietà fisiche dell’acqua, a scopo terapeutico e riabilitativo; è per questo motivo che l’acqua viene considerata sia strumento di lavoro che di valutazione delle potenzialità residue di un soggetto.

Il vantaggio più grande che offre l’acqua, come ambiente in cui lavorare, è la parziale assenza di gravità, un parametro che può essere graduato modulando i livelli o scegliendo il più appropriato ausilio galleggiante fisso a volume variabile.

L’acqua rallentando il movimento, facilita l’apprendimento o il riapprendimento, di schemi o immagini di movimenti persi, dimenticati o mai avuti. Se utilizzata alla temperatura idonea ha di per sé un effetto rilassante e antalgico, che per alcune condizioni patologiche è spesso l’unica area dove poter lavorare.

Per ultimo ma non per questo meno importante, l’acqua ha in sé dei contenuti ricreativi, ludici e sociali che permettono di proporre dei nuovi indirizzi riabilitativi, senza annoiare.

L’idrokinesiterapia, presuppone solo l’utilizzo delle leggi e principi fisici dell’acqua senza avvalersi pertanto di utilizzo di pesi o schemi di tecniche o metodiche riabilitative note per essere utilizzate in gravità.

Le condizioni basilari per un corretto lavoro in acqua per il T.N.P.E.E. sono:

  • conoscenza delle leggi dei corpi in immersione
  • valutazione funzionale, se possibile comparativa, delle possibilità motorie sia a terra che in acqua.
  • Conoscenza dei principi neuromotori, ontogenetici, della biomeccanica e della globalità del movimento del corpo.
  • Come il corpo si relaziona nell’ambiente microgravitario
  • Conoscenze dello specifico patologico delle principali affezioni neuromotorie ed ortopediche
  • Una buona acquaticità

Leggi fisiche

Il prodotto tra il peso e il volume di un oggetto, può essere considerato come la densità dell’oggetto stesso, per cui al variare dell’uno o dell’altro si avrà una diversa risposta del mezzo liquido in rapporto alla sua densità (due oggetti con uno stesso peso, ma con volume diverso, avranno una diversa densità).

Densità idrostatica: è il rapporto tra la massa di un corpo e il suo volume; i liquidi, come i solidi, sono incomprimibili, e questo e riferito sia ai liquidi del nostro corpo che a quelli del mezzo utilizzato. L’85% del nostro corpo è formato da liquidi, la parte restante è formato dall’apparato muscolare, scheletrico, splancnico e da gas ( nei polmoni, nei seni paranasali e frontali)

La densità di un liquido rimane costante nonostante la profondità; la densità dell’acqua salata è di 1.025 kg per litro, la densità dell’acqua dolce, invece, è di 1 kg per litro.

Riferendo la densità di una sostanza alla densità dell’acqua pura si ottiene un altro parametro molto importante che è quello del peso specifico: è il rapporto del peso del corpo e il suo volume. Il peso specifico relativo di un corpo è il rapporto tra la sua densità e quello dell’acqua. Alcune sostanze come il piombo, sono più dense, ed è per questo che affondano, altre come il sughero sono molto meno dense e quindi galleggiano.

Perciò quello che cambia è la composizione della materia e questo significa che non bisogna mai considerare che tutti i pazienti messi in acqua sono uguali.

La viscosità: è data dall’attrito delle molecole dell’acqua e crea resistenza al movimento. Questa resistenza, garantisce un’esecuzione rallentata del movimento ed acquisisce le caratteristiche di importante informazione nell’apprendimento dello stesso e nell’ottimizzazione delle residue possibilità motorie.

Tra le proprietà fisiche che vengono sfruttate in idrokinesiterapia ne consideriamo fondamentalmente tre, che sono:

  • il galleggiamento;
  • la resistenza all’avanzamento;
  • la pressione dell’acqua.

Dal momento che in acqua è possibile ricreare un ambiente in parziale assenza di gravità, il concetto di forza non sarà mai più legato al peso, ma alla resistenza idrodinamica e alla spinta idrostatica. Ricordiamo che, in ogni caso, il vantaggio più grande è proprio l’ambiente microgravitario in sé, che fa dell’acqua non solo uno strumento terapeutico, ma anche uno strumento di valutazione.

Principio di Archimede: un corpo immerso in un liquido, riceve una spinta idrostatica verticale dal basso verso l’alto, pari al peso del liquido spostato ( detta anche forza di galleggiamento). Il corpo risulta quindi tanto più leggero. Quanto è più immerso, per cui qualunque movimenti degli arti fuori dall’acqua, comporta una diminuzione del volume d’acqua spostato e quindi un minor galleggiamento.

Peso acquatico in relazione al livello di immersione:

ALTEZZA ACQUA         PESO ACQUATICO

Immersione totale         3% del peso terrestre

Fino al collo                  7% del peso terrestre

Alle spalle                    20% del peso terrestre

Al petto                        33% del peso terrestre

All’ombelico               50% del peso terrestre

Al bacino                     66% del peso terrestre

A metà coscia              80% del peso terrestre

Al polpaccio                95% del peso terrestre

Il galleggiamento: è la forza che permette agli oggetti di galleggiare, siano essi  oggetti come il sughero o imbarcazioni di acciaio.

Questo è reso possibile grazie al principio di Archimede. La spinta del galleggiamento di un fluido dipenderà dalla sua densità. L’acqua salata, ad esempio, ha una spinta leggermente maggiore di quella dell’acqua dolce, e questo è il motivo per cui un corpo galleggia di più. I fattori che determinano il galleggiamento sono fondamentalmente due, che sono:

  • la massa;
  • il volume.

La massa di un corpo eserciterà una forza negativa ( cioè che fa affondare un oggetto); il volume dell’oggetto sposterà un uguale volume di liquido, il cui peso eserciterà una forza positiva sull’oggetto.

La differenza tra queste due forze determinerà se l’oggetto galleggerà (galleggiamento positivo) o se l’oggetto affonderà ( galleggiamento negativo), o se sarà neutro.

L’assetto: è la posizione che un corpo assume in acqua.

In acqua si possono manifestare tre tipi di assetto:

  • neutro (pesce)
  • negativo (pietra)
  • positivo (legno)

Resistenza all’avanzamento: è la forza che si oppone al nostro movimento in acqua ed agisce in modo contrario allo stesso; è strettamente connessa con un altro fattore  molto importante, che è l’angolo di attacco, ovvero l’angolo che si forma tra l’asse longitudinale del nostro corpo e la direzione del nostro moto. Se camminiamo in acqua avremo un angolo di attacco pari a 90’, se nuotiamo sarà più o meno pari a 0’.

La resistenza all’avanzamento è quindi notevolmente influenzata da questo coefficiente angolare.

Alcuni autori affermano che la resistenza all’avanzamento è uguale al quadrato della forza che utilizziamo per provare a spostarci, a parità di angolo di attacco.

La pressione idrostatica (principio di Pascal): è una forza esercitata da un liquido in quiete, per effetto del suo peso, sull’unità delle superficie delle pareti del recipiente che lo contiene o dei corpi in esso immersi. La sua intensità aumenta con la profondità e dipende dalla sua densità.

È un principio molto sfruttato per la rieducazione in acqua dell’apparato vascolare e viscerale: la pressione dell’acqua si distribuisce in modo uniforme su tutte le superficie del corpo.

I solidi hanno una pressione nel senso della gravità e sono incomprimibili. I liquidi e i gas hanno invece una pressione uniforme in tutte le direzioni, anche se i liquidi sono incomprimibili mentre i gas sono comprimibili. La pressione varia e si distribuisce differentemente sulle superfici solo in relazione alla profondità.

Effetto della pressione idrostatica: l’acqua esercita una pressione di 1 mmhg ogni 1,36 cm di profondità. Un corpo immerso fino a 120 cm è soggetto ad una pressione sugli arti inferiori o pari a 88,9 mmhg. Questo valore garantisce una compressione venosa e linfatica e sposta 700 cc di sangue dalle estremità e dai vasi addominali nei grandi vasi del torace e del cuore. Il risultato è una riduzione degli edemi ed un aumento della gittata cardiaca, con aumento del flusso ai muscoli e diminuzione nel rischio di insorgenza di crampi (Stivino).

Si può quindi fare cenno al Principio di Boyle e Mariott:

P x V= K

Dove P= pressione

         V= volume

         K= costante

Quindi per un volume (gas) immerso in profondità l’equazione sarà P > V= K, mentre per un corpo prossimo alla superficie l’equazione sarà P  <  V=  K.

Per queste proprietà fisiche l’acqua può essere utilizzata quale mezzo ideale per  l’ottimizzazione di una risposta motoria, mirata sia a uno specifico lavoro muscolare, sia soprattutto al recupero di “ schemi “ ed “immagini” di movimenti che, pur parzialmente evocabili sono stati persi, dimenticati, oppure sono rimasti assopiti (schema corporeo e propriocettività).

Principi di trattamento

La riabilitazione in acqua va considerata parte di un programma riabilitativo ed è quindi, complementare a tutte le altre metodiche indicate dallo specialista, secondo le diverse patologie.

Il lavoro in acqua garantisce al paziente un’esperienza di tipo globale che coinvolge la sfera intellettiva, quella psicologica, quella sensoriale e quella motoria. Questo perché in acqua può sperimentare una diversa modalità sensoriale ed una motricità molto diversa da quella a cui è abituato a terra in presenza di gravità: una situazione avvolgente che favorisce l’ascolto del proprio corpo, una facilitazione motoria e il rilassamento possono portare il paziente a vivere l’esperienza in acqua come fonte di piacere e di benessere.

L’obiettivo che ci si deve porre iniziando un trattamento in acqua è di portare il paziente attraverso le varie attività in acqua a trarre benefici anche sulla terra. Lo scopo dell’attività motoria in acqua è l’adattamento del paziente alla forza di gravità, armonizzando gradualmente in una visione globale tutte le forze che determinano la sua statica. L’intervento, quindi, deve ricercare attraverso un percorso di adattamento alla situazione di immersione, ovvero confrontandosi con le proprietà fisiche dell’acqua e con le costrizioni che ne conseguono, i presupposti affinchè il paziente si muova meglio nella quotidianeità. In altre parole, egli può utilizzare le facilitazioni e le difficoltà che l’attività in acqua gli propone per recuperare progressivamente le migliori condizioni motorie sulla terra. E’ evidente dunque la differenza di obiettivi tra il nuoto e la riabilitazione in acqua: nel primo si ricerca il miglioramento della prestazione in acqua e si privilegia quindi la posizione orizzontale e l’idrodinamicità, mentre nella seconda si utilizza l’esercizio in acqua per raggiungere una migliore condizione neuromotoria sulla terra. Di conseguenza per la rieducazione in acqua non vi è una posizione considerata prominente: qualsivoglia modo di stare in acqua può essere utilizzato per raggiungere l’obiettivo prefissato, utilizzando come parametri per la scelta del tipo di intervento la patologia, le condizioni psicologiche, l’età, il momento riabilitativo del paziente.

Per seguire un percorso di adattamento all’immersione, superare le difficoltà e ottenere risultati terapeutici soddisfacenti è necessario proporre lavori specifici che utilizzano le caratteristiche fisiche dell’acqua e le conseguenti reazioni del corpo umano immerso. Risulta assolutamente inutile l’impiego di protocolli di esercizi abitualmente utilizzati al lettino o in palestra, ciò significa porsi mentalmente in una “logica acquatica” che può essere definita “pensare acquatico”.

L’attività in acqua è soprattutto per i bambini un’esperienza globale che favorisce tutti i livelli di sviluppo, che fa vivere avvenimenti di successo favorendo in sé l’autostima. In acqua è possibile raggiungere apprendimenti che vengono impartiti attraverso proposte ludiche senza porsi in modo direttivo, strutturando il meno possibile l’attività e favorendo la spontaneità dei piccoli pazienti. Le ampie possibilità di movimento offerte dall’ambiente acquatico favoriscono lo sviluppo psicomotorio e intellettuale in quanto l’acqua induce una maggiore partecipazione di tipo spontaneo e predispone il bambino a maggiori acquisizioni. L’incontro in acqua consente il confronto, sia con i coetanei che con l’adulto, ma anche con l’acqua, che rappresenta il mediatore affettivo che permette di agire la propria curiosità a nuove esperienze. Un obiettivo importante è favorire l’autonomia, l’integrazione e l’aggregazione a diversi livelli per migliorare la qualità della vita dei bambini e permettere loro l’integrazione all’interno di una realtà più ampia. Il percorso terapeutico non dovrà essere inteso solo come “riabilitazione” ovvero attivare schemi motori ma attivare e potenziare i circuiti di vita secondo le potenzialità di ognuno di loro, rispettando il loro mondo forse più ristretto, forse più grande, più accelerato, più lento, più sfuocato. Un mondo che viene dalle loro mani che a volte coordinano male, dal loro movimento che a volte è troppo lento o troppo veloce, dai loro occhi che a volte hanno dei problemi. Un mondo che viene dal loro vissuto che è quasi sempre meno ricco e che sta a noi scoprire perché si esprime sovente senza concetti o parole.

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