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Trattamento del bambino con Paralisi Cerebrale Infantile (PCI) - Esercizio Terapeutico Conoscitivo

Trattamento del bambino con Paralisi Cerebrale Infantile (PCI)

“La riabilitazione ha come obiettivo la promozione dell’adattamento del bambino al proprio ambiente di vita e come fine ultimo il raggiungimento della migliore qualità di vita possibile del bambino e della sua famiglia.”

Tale definizione del termine “riabilitazione” è in linea con il “Manifesto per la riabilitazione del Bambino” sottoscritto dai medici e dai terpisti che appartengo al Gruppo Italiano Paralisi Cerebrali Infantili (GIPCI) e con le Raccomandazioni sulle paralisi cerebrali infantili redatte nel 2002 e aggiornate nel 2005 – 2006 e ancora nel 2013.

Negli ultimi anni si è verificata una evoluzione significativa della prassi riabilitativa. Al giorno d’oggi si riconosce la fondamentale importanza dell’ambiente di vita del bambino per le sue condizioni di salute e di benessere e per la riorganizzazione neuronale e il recupero legato alla ormai conosciuta plasticità neuronale. Il coinvolgimento diretto della famiglia, della scuola, degli ambienti che il bambino è solito frequentare durante la vita quotidiana risulta infatti la chiave di volta per il successo di un trattamento.

Presupposto fondamentale al percorso riabilitativo risulta quindi un modello centrato sulla famiglia con gli obiettivi di migliorare non solo la qualità di vita del bambino, ma di tutto il nucleo familiare.

L’intervento riabilitativo del bambino con PCI si può distinguere in:

  1. Abilitativo: finalizzato alla promozione di abilità e competenze che, in potenza, sono presente nel patrimonio comportamentale del bambino, ma che a causa del danno neurologico potrebbero non emergere. Questo tipo di intervento è utilizzato di solito nelle prime fasi di sviluppo, prima ancora che le abilità emergano, per promuoverle e indirizzarle nella direzione più funzionale.
  2. Riabilitativo: finalizzato al recupero di funzioni che a causa del danno neurologico si sono sviluppate in maniera disfunzionale rendendo difficile l’adattamento del bambino al proprio ambiente. L’intervento riabilitativo viene usato quando il bambino ha già trovato e messo in atto le sue strategie di adattamento all’ambiente, ma queste risultano faticose e difficoltose e possono farlo andare incontro a deformità e maggiore disabilità.

Il progetto riabilitativo deve adeguarsi ad ogni fase di sviluppo del bambino, questo fa si che i diversi percorsi riabilitativi possano essere molto diversi tra loro nel rispetto delle caratteristiche specifiche di ogni bambino. Deve essere discusso e condiviso con la famiglia e deve inoltre prevedere un approccio interdisciplinare che coinvolga figure professionali diverse:

  • Neuropsichiatra infantile: responsabile della diagnosi e della coordinazione degli interventi a favore del bambino;
  • Fisiatra: responsabile delle problematiche motorie e posturali del bambino;
  • Psicologo: impegnato nel riconoscimento dei bisogni del bambino e della famiglia;
  • Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva e Fisioterapista: che in equipe si occupano della riabilitazione di tutte le componenti funzionali, motorie, percettive, cognitive e affettive del bambino;
  • Logopedista: impegnato nella riabilitazione delle funzioni comunicative e cognitive;
  • Tecnico ortopedico: responsabile degli ausili e delle ortesi che possono essere utili al bambino;
  • Educatore: sostenitore dell’integrazione scolastica e sociale;
  • Insegnante di sostegno: che modula i programmi ai ritmi di apprendimento del bambino.

Il progetto riabilitativo può essere stipulato solo in seguito a una valutazione funzionale accurata di tutte le funzioni adattive tale da rendere chiari gli obiettivi raggiungibili e gli strumenti utilizzabili per quel bambino.

L’aspetto più importante della riabilitazione è la coerenza tra le attività svolte in ambulatorio e le attività svolte a domicilio, risulta infatti fondamentale per il bambino avere la possibilità di generalizzare ciò che apprende in situazioni terapeutiche, anche in contesti di vita quotidiana.

L’intervento riabilitativo mira quindi a favorire lo sviluppo globale del bambino, tenendo conto sia della sua storia clinica, sia la sua storia esistenziale e in generale si pone come obiettivi:

  • Promuovere lo sviluppo di abilità e/o strategie funzionali per migliorare l’autonomia e l’integrazione sociale;
  • Prevenire, contenere, correggere eventuali deformità e disfunzioni associate alla paralisi;
  • Minimizzare la sensazione di dolore e raggiungere il miglior grado di benessere possibile.

Per poter raggiungere tali obiettivi, l’intervento riabilitativo deve essere precoce, interdisciplinare, intensivo, centrato sulla famiglia e sul bambino e attento al contesto.

 

CENNI STORICI

Affinché il risultato ottenuto venga considerato Terapeutico, deve essere migliorativo sia per la qualità di vita del bambino che della famiglia. L’approccio riabilitativo ai disordini dello sviluppo motorio per decenni è stato caratterizzato da disomogeneità e incertezze, sempre rifacendoci al libro scritto da E. Fedrizzi, I Disordini dello sviluppo motorio, andiamo ad esaminare nel dettaglio le varie scuole che dal 1950 ad oggi, hanno preso piede nell’ambito della riabilitazione.

Nel decennio che va dal 1950 al 1960, gli interventi riabilitativi erano mirati a migliorare le funzioni del sistema muscolare e osteoarticolare con il fine dichiarato di prevenire deformità e retrazioni muscolari. Il trattamento dei bambini iniziava dopo il 3° anno di vita in quanto le tecniche di rinforzo muscolare si basavano sulla collaborazione attiva del paziente.

Il decennio successivo (1960 – 1970), i disordini dello sviluppo motorio diventano un argomento di interesse per la neurologia infantile. In questi anni infatti troviamo una grande quantità di studi sulla clinica delle PCI e un numero sempre crescente di tecniche riabilitative, basate per lo più su facilitazioni neuromuscolari (Doman – Delacato, concetto Bobath, metodo Vojta).

  • Il metodo Doman è basato su una valutazione diagnostica tramite l’analisi di 7 livelli maturativi del Sistema Nervoso (SN), ossia midollo – ponte – mesencefalo – 4 stadi corticali, e su un trattamento tramite stimolazioni passive, intense e ripetute. Questo metodo fu molto criticato sia in America, sia in Europa.
  • Il concetto Bobath parte dalla convinzione che il difetto motorio, presente nella paralisi cerebrale, è dovuto ad un disordine a livello del normale controllo posturale antigravitario e che la lesione cerebrale determina la persistenza di patterns neuronali primitivi (come il grasping, Riflesso tonico asimmetrico e simmetrico del collo) e abnormi che prendono il controllo e vanno a condizionare le posture. Il trattamento secondo Bobath viene effettuato tramite facilitazione di posture e passaggi di posizione corretta e tramite l’inibizione di posture abnormi per mezzo di punti chiave da stimolare.
  • Il Metodo Vojta ipotizza l’esistenza di un blocco dell’ontogenesi posturale con persistenza di stadi di locomozione uguali a quelli del neonato (riflessi). Tramite la stimolazione di alcune zone grilletto, si può attivare il sistema nervoso e dunque l’ontogenesi posturale.

Il decennio che va dal 1970 al 1980, risulta caratterizzato da un forte impulso al prevenire fattori di rischio. Il trattamento dei bambini a rischio in questo periodo, inizia precocemente, cosa che però porta a un numero elevato di falsi positivi a causa dell’uso indiscriminato degli strumenti diagnostici e di trattamento.

È in questi anni che si inizia a delineare un approccio al bambino più globale.

Gli anni tra il 1980 e il 1990 vedono come protagonisti Prechtl e Touwen che rivoluzionano l’ottica di sviluppo del bambino. Questi infatti considerano lo sviluppo motorio del bambino, sia esso normale o patologico, come frutto dell’interazione tra schemi sensomotori innati ed esperienze ambientali sulle quali questi schemi vengono modulati. La differenza sta solo nel fatto che nel bambino normale, l’apprendimento avviene con un’ampia libertà di scelta e risulta quindi variabile, mentre nel bambino patologico, a causa della fissità e dell’anormalità di schemi, tale scelta risulta stereotipata e povera.

In questo periodo, gli approcci riabilitativi sono:

  • L’educazione conduttiva in cui si prende in considerazione il fatto che la natura del disordine della PC non coinvolge solo l’attività motoria, ma anche la ricezione e l’elaborazione di informazioni, le funzioni espressive e i sistemi di controllo. l’educazione conduttiva si pone come obiettivi 1) sollecitare movimenti finalizzati all’apprendimento, 2) favorire le abilità che si trovano alla base di una performance (come l’attenzione, la coordinazione, 3) analizzare i compiti, sia quello semplici che quelli complessi, 4) rinforzare il controllo del comportamento tramite il linguaggio.
  • L’apprendimento motorio nel gioco guidato, che nasce dalle intuizioni della Colli – Grisoni. Questo indirizzo ha anticipato di anni le concezioni relative alla propositività del bambino e al ruolo del soggetto dell’azione. L’obiettivo terapeutico è dato dall’apprendimento delle performances qualitativamente migliori, in contesti significativi.
  • L’approccio riabilitativo secondo Perfetti (che approfondiremo più avanti) , considera la riabilitazione come un processo di apprendimento in condizioni patologiche.

“Il recupero della funzione dopo lesione del sistema nervoso centrale deve coincidere con l’acquisizione di schemi comportamentali evoluti, che implicano la capacità di elaborare sequenze significative, cioè tali da permettere la verifica di ipotesi percettive” (Perfetti,1981).

Di fronte ad un compito, il sistema nervoso deve porsi delle domande, deve creare ipotesi percettive da verificare e tramite opportune afferenze che permettono la formulazione e la verifica di ipotesi percettive (esercizi conoscitivi) vengono favorite forme di controllo del movimento e viene guidato il recupero dell’atto comportamentale adattivo.

 

NUOVI APPROCCI

Gli avanzamenti delle neuroscienze hanno messo in discussione tecniche di facilitazione neuromuscolare usate in passato che si basavano sulla stimolazione di riflessi o sull’attivazione dall’esterno di schemi motori che poi il bambino non era in grado di usare in maniera autonoma per soddisfare i propri bisogni.

Gli approcci terapeutici attualmente accreditati dai Servizi di riabilitazione si basano sull’evidenza scientifica e fanno riferimento alle teorie di apprendimento motorio ( Motor Learning ) che si basano su alcuni presupposti come la centralità del bambino, che ha come bisogno fondamentale quello di sentirsi attivo e partecipe dell’ambiente, la proposta di attività funzionali su misura del singolo bambino, la personalizzazione del contesto e la salvaguardia della dimensione emotivo-relazionale e affettiva del bambino.

Fedrizzi, in collaborazione con la GIPCI, ha descritto come segue i nuovi approcci terapeutici ispirati alle più recenti scoperte in neuroscienze come il Motor Learning, la Constraint – Induced Movement Therapy, il Training intensivo bimanuale, l’Action Observation Therapy, la Realtà Virtuale e la Robotica.

Nell’approccio di tipo Motor Learning il requisito più importante affinché il bambino acquisisca maggior controllo di sequenze motorie e apprenda competenze più evolute in ogni ambito della sua vita è la propositività. Il bambino deve quindi essere sollecitato ed eventualmente guidato a formulare progetti su azioni per risolvere i problemi posti dall’ambiente e dal terapista, il quale dovrà inizialmente creare un contesto di tipo giocoso che evochi attività della vita quotidiana e valutare le modalità con le quali il bambino elabora un piano d’azione, un programma motorio o uno schema esecutivo. Sarà compito del terapista far emergere tramite modifiche del contesto, la “best performance” di quel bambino, è importante infatti tenere presente che i bambini usano spesso schemi rigidi e stereotipati che hanno già memorizzato ma che tramite proposte e oggetti diversi possono modificarsi in competenze più evolute.

Nel Motor Learning il terapista diventa quindi un “motor Teacher”, una guida attenta e flessibile che, conoscendo le caratteristiche del singolo bambino, ne favorisce l’iniziativa, lo aiuta nella scelta di un piano di azione, lo guida nel controllo delle diverse fasi dello svolgimento di un’attività.

La terapia con costrizione indotta dell’arto sano è una delle metodologie d’intervento riabilitativo maggiormente discusse oggi ed è rivolta al bambino con quadro di emiplegia. La CIMT si concentra sull’incremento dell’utilizzo dell’arto colpito in attività monomanuali al fine di evitarne l’apprendimento al non-uso. Lo scopo principale è la modifica del comportamento appreso da non- uso in modo che l’arto plegico sia “contro-condizionato” ad agire.

Tale intervento risulta efficace per migliorare le abilità di raggiungimento e di presa della mano paretica.

Nella prassi della terapia occupazionale, il training bimanuale per il bambino emiplegico è stato utilizzato abitualmente sin dagli anni ‘70 per favorire l’apprendimento di schemi prassici nelle attività della vita quotidiana. Tuttavia solo negli ultimi anni, in relazione al diffondersi della Constraint Therapy, sono stati pubblicati alcuni studi sperimentali controllati (trial) che riportano i risultati di training bimanuali nei bambini. Il primo trial intensivo bimanuale per il bambino con emiplegia è stato pubblicato da Gordon e collaboratori (Gordon et al.,2007). I bambini trattati per un breve periodo (10 giorni) dimostrarono un miglioramento significativo attraverso diverse Scale che analizzavano le attività bimanuali.

L’osservazione e l’imitazione motoria rappresentano un tipo di approccio riabilitativo in grado di agire anche sulla riorganizzazione dei circuiti neuronali (il sistema dei “neuroni specchio”). L’imitazione motoria può facilitare un recupero dei circuiti neuronali e motori compromessi, promuovendo la plasticità cerebrale mediante l’utilizzo di più afferenze sensoriali. Il nuovo approccio terapeutico della Action Observation Therapy (AOT), tuttora in fase sperimentale, si basa sul concetto che la semplice osservazione di un’altra persona che svolge una certa azione sia in grado di facilitare l’apprendimento della sua esecuzione (apprendimento per imitazione) (Parente et al., 2011). L’AOT appare uno strumento di riabilitazione promettente per bambini con PC, ben radicato nella neurofisiologia e facile da applicare; è stato inoltre dimostrato che svolge un ruolo importante nel recupero delle funzioni motorie dell’arto superiore in bambini affetti da PC in età scolare (Buccino et al., 2012; Sgandurra et al., 2013)

Per quanto riguarda la realtà virtuale, si tratta di una interfaccia col paziente che può utilizzare strumenti diversi (Tablet, pedane posturali, giochi come Wii o Kinect) e che si rapporta con immagini virtuali proiettate su schermi di varie dimensioni.

Nell’esecuzione del compito il bambino interagisce con un contesto strutturato prevalentemente come un gioco che restituisce al paziente un feedback immediato. Questi sistemi sono molto efficaci per i bambini che si dimostrano molto motivati al trattamento vissuto come un gioco. Esistono poi sistemi all’avanguardia di realtà virtuale immersiva con schermo avvolgente (GRAIL), attraverso i quali il paziente effettua la sua riabilitazione interagendo con facilitazioni multimodali (percettivo-motorie, sensoriali, visive, acustiche, vestibolari).

Per Robotica si intendono tutte le di apparecchiature ad alta tecnologia che permettono ai pazienti di effettuare movimenti passivi o attivi assistiti (arti superiori e cammino) con esoscheletri (apparecchi esterni in grado di potenziare le capacità fisiche di chi ne viene rivestito e costituiscono una sorta di “muscolatura artificiale”) appositamente predisposti, in grado di interfacciarsi con sistemi di realtà virtuale. È considerata un’opzione terapeutica nel trattamento dei pazienti con disabilità motoria ad eziologia neurologica. I sistemi robotici sono particolarmente adatti al training delle funzioni motorie perché permettono di produrre e controllare con alta precisione alcune variabili del movimento, consentendo però anche una personalizzazione dell’intervento riabilitativo. I robot forniscono un training riproducibile, impossibile da ottenere col fisioterapista, aspetto essenziale per la valutazione dell’efficacia riabilitativa. Infine i sistemi robotici, registrando la performance del paziente, permettono la misurazione oggettiva dei deficit presenti e il monitoraggio dei risultati progressivamente ottenuti.

Ci sono inoltre interventi mirati a gestire i danni secondari che potrebbero insorgere nel bambino con PCI. Tali interventi sono rivolti a gestire la salute del bambino e le condizioni associate che possono essere disabilitanti tanto quanto gli aspetti motori. Per “condizioni associate” si intendono la gestione della spasticità, la sorveglianza delle articolazioni e della funzionalità dei distretti corporei con l’uso di ortesi e ausili, la gestione della disfagia e delle problematiche correlate alle funzioni di alimentazione e deglutizione.

Per ridurre la spasticità generalizzata, si ricorre di solito a farmaci di tipo “miorilassanti” somministrabili anche per bocca. I più utilizzati sono quelli ad azione generale quali GABA agonisti, agonisti α2-adrenergici, rilassanti muscolari e antiepilettici. Il Baclofene, il Diazepam, il Dantrolene e la Tizanidina sono quelli più comunemente impiegati nella fascia pediatrica anche se presentano notevoli effetti collaterali tra cui sedazione e un aumento del senso di affaticamento complessivo del paziente. La sospensione di questi farmaci in seguito ad un uso prolungato può determinare inoltre convulsioni, irritabilità muscolare e, non ultime, allucinazioni. Nei primi anni di vita si utilizzano prevalentemente farmaci ad azione locale come la Tossina Botulinica (nei bambini di età superiore ai 2 anni è la più utilizzata), l’alcool etilico o il fenolo. Iniettati rispettivamente sul tessuto muscolare, sulla placca neuromuscolare o sul nervo motorio, producono una paralisi periferica transitoria del distretto muscolare interessato che può durare da 4 a 6 mesi. L’inibizione transitoria della spasticità del muscolo, permette al soggetto di imparare a riorganizzare tramite l’intervento riabilitativo il movimento in modo diverso.

La gestione della spasticità, al giorno d’oggi avviene tramite l’utilizzo della “Tossina Botulinica”: la tossina botulinica è un farmaco per iniezioni intramuscolari a effetto locale: iniettata in muscoli iperattivi, in seguito ad anestesia locale, induce una riduzione selettiva della contrattilità muscolare,

variabile in base alla dose iniettata e comunque sempre reversibile. La Neurotossina Botulinica (BTX), per via intramuscolare provoca una denervazione chimica selettiva della placca neuromuscolare. Il meccanismo di azione della BTX è legato ai meccanismi di formazione delle vescicole sinaptiche che contengono l’acetilcolina e la loro successiva fusione con il recettore dell’acetilcolina a livello della membrana post-sinaptica. Vi è una famiglia di proteine dette proteine “SNARE” ( SNAP-25, sinaptobrevina e sintassina) necessaria per la formazione (sinaptobrevina) e la successiva fusione ( SNAP-25 e sintassina) delle vescicole sinaptiche di acetilcolina. La BTX agisce rompendo le catene proteiche della SNAP-25 e inattivandola, ma non solo, rompono anche le catene della sinaptobrevina e della sintassina, cosa che porta alla mancata formazione o fusione di vescicole di acetilcolina che dunque, non può essere rilasciata all’interno del bottone sinaptico. L’assenza di acetilcolina porta a una paralisi di tipo flaccido. La BTX è ampliamente usata nel trattamento focale della spasticità dovuta a PCI. Nei bambini con diplegia o con emiparesi, la BTX facilita il conseguimento di un obiettivo riabilitativo integrato in un trattamento rieducativo complessivo, comprendente fisioterapia, ortesi e interventi chirurgici. Il blocco causato dall’inoculazione di BTX si manifesta dopo circa 24-75 ore dall’inoculazione del farmaco. Il recupero della funzione avviene dopo 6-8 settimane e l’effetto terapeutico ha una durata di 3-4 mesi. L’uso di ortesi associato al trattamento motorio, facilita il controllo richiesto e aumenta l’efficacia della prestazione. La quantità di tossina botulinica da iniettare nei singoli muscoli dipende dalla grandezza del muscolo, dal numero di placche neuromuscolari presenti in quel muscolo, e dall’altezza e dell’età del bambino che viene sottoposto al trattamento. La tossina botulinica va ad indurre nei muscoli in cui viene iniettata una “debolezza” sufficiente ad abolirne la spasticità senza provocare una completa paralisi.

La tossina botulinica ha principalmente 2 obiettivi:

  1. Funzionale: andare a migliorare uno o più movimenti che in situazioni di normalità sono ostacolati da muscoli eccessivamente attivi. Un esempio è quello della tossina iniettata a livello del gastrocnemio per andare a migliorare il movimento del piede.
  2. Posturale: ovvero andare a migliorare la mobilità di una parte del corpo come gambe o braccia e permettere un migliore posizionamento e/o accudimento. Per ottenere benefici in questo caso, il trattamento va necessariamente ripetuto nel tempo a intervalli regolari. L’indicazione per questo tipo di trattamento viene data solitamente dallo specialista (fisiatra, ortopedico, neurologo, neuropsichiatra infantile) e dal terapista che collegialmente vanno a discutere dei pro e dei contro in seguito ad una accurata valutazione funzionale.

Al termine del trattamento con tossina botulinica, se gli obiettivi sono di tipo funzionale, è necessario effettuare un training intensivo di tipo motorio finalizzato al recupero ottimale delle funzioni interessate. Se gli obiettivi sono invece di tipo posturale, è necessario attuare un programma di gestione posturale volto a facilitare l’allungamento dei muscoli inoculati. In entrambi i casi possono essere indispensabili ausili e ortesi che vadano ad aiutare nel miglioramento delle funzioni e nel mantenimento dei muscoli trattati in allungamento, sia manovre specifiche di stretching, da condividere e insegnare ai genitori per consentirne la ripetizione anche nell’ambiente familiare, più volte durante la giornata per almeno 3 mesi consecutivi.

 

LA CHIRURGIA

Per un’elevata percentuale di bambini affetti da PCI, a differenti epoche del loro sviluppo, sono indicati degli interventi chirurgici. È necessaria una approfondita valutazione del paziente da parte dell’équipe medico – riabilitativa prima di formulare un’indicazione a intervenire chirurgicamente. I possibili interventi sono:

  1. Chirurgia ortopedica: si tratta di interventi su parti molli (tendini o muscoli) e/o sull’osso. Questo tipo di intervento ha come obiettivo quello di migliorare l’allineamento dei segmenti, la funzionalità, correggere retrazioni o malposizioni, ridurre il dolore, migliorare le posture e le possibilità di accudimento. Il post – operatorio può richiedere un periodo di immobilizzazione gessata e un trattamento intensivo di fisioterapia per garantire il massimo recupero. La chirurgia ortopedica, interviene nel progetto terapeutico del soggetto con PCI quando le retrazioni muscolo-tendinee e le deformità articolari instauratesi in maniera definitiva, non possono essere trattate in altro modo che garantisca una performance adeguata da parte del soggetto o un controllo della sintomatologia dolorosa associata. Nella maggior parte dei casi non si ricorre alla chirurgia nei primissimi anni di vita e le complicanze che più frequentemente richiedono un intervento chirurgico riguardano le deformità dell’anca, del ginocchio, del piede e, in età più avanzata, del rachide. L’intervento di chirurgia ortopedica, che risulta spesso multidistrettuale, deve essere parte di un progetto di tipo riabilitativo multidisciplinare e deve essere preceduto da una valutazione globale del bambino e dei compensi adottati da quest’ultimo al fine di ovviare problematiche di vita quotidiana. Questo tipo di chirurgia non ha come fine la correzione di una deformità, ma il recupero di un’attività funzionale che permetterà l’uso più appropriato di un segmento e dell’intero sistema di cui fa parte. L’indicazione chirurgico/ortopedica riguarda quasi esclusivamente le forme spastiche.
  2. Neurochirurgia / Baclofen intratecale: con questo intervento viene applicata nella cavità addominale una pompa collegata con il canale midollare che garantisce l’erogazione continua e programmata di un farmaco (Baclofen) che riduce la spasticità. È un intervento che richiede tempi successivi di gestione (ricariche periodiche della pompa ), in grado di risolvere situazioni di spasticità fortemente accentuata e di grave interferenza sulla funzione. Il Baclofen è un GABA-agonista che lega i recettori presinaptici GABA-β, localizzati soprattutto a livello della 2° ,3° e 4° lamina delle corna posteriori del midollo spinale. Inibisce il rilascio di neurotrasmettitori eccitatori quali aspartato e glutammato che svolgono un ruolo fondamentale nella genesi della spasticità. Il Baclofen causa inibizione dei riflessi spinali monosinaptici e polisinaptici. È un farmaco caratterizzato da scarsa liposolubilità quindi se somministrato per bocca attraversa difficilmente la barriera emato-encefalica e anche a dosi molto elevate raggiunge livelli nel liquor cefalorachidiano, inoltre presenta un’emivita molto breve. Per questi motivi si preferisce utilizzare un sistema di infusione continua intratecale. Le principali complicanze del Baclofen intratecale sono causate dall’impianto stesso della pompa o dal catetere.
  3. Rizotomia selettiva posteriore: con questo trattamento si interviene sulle radici nervose posteriori del midollo spinale che trasmettono impulsi eccitatori che aumentano la spasticità dei muscoli del bambino soprattutto a livello degli arti inferiori. È un intervento molto delicato riservato a bambini con un buon funzionamento generale; tale trattamento può migliorare ulteriormente le loro possibilità di cammino attraverso la riduzione della spasticità. Si tratta di una metodica neurochirurgica che viene usata per ridurre la spasticità tramite meccanismi di bilanciamento delle informazioni di tipo facilitatorio e del controllo inibitorio mediate dal midollo spinale. La metodica consiste nella stimolazione e in seguito nella transezione selettiva di alcune radici posteriori del midollo spinale o di una transezione arbitraria di gruppi interi di radici nervose. Le radici nervose (sensitive) comprese tra L1-S2 vengono scoperte tramite laminotomia, vengono eliminate le faccette articolari per evitare successivi fenomeni di instabilità tra midollo spinale e colonna vertebrale e quindi deformità secondarie. Per identificare le radici nervose si utilizza un monitoraggio EMG, attraverso questo le radici vengono sezionate in una percentuale variabile tra il 25 e l’80%. In questo modo si riduce la spasticità. Questa tecnica risulta efficace soprattutto per i pazienti deambulanti con difficoltà causate dalla spasticità in assenza di ipostenia, distonia, atetosi, atassia e rigidità associate. Non vi sono dati sull’età ottimale per l’intervento. A livello empirico si consiglia solitamente di applicarlo in età comprese tra i 2-4 anni e i 6-8 anni. Questo tipo di intervento crea una lesione permanente e irreversibile. Nei 6 mesi successivi all’intervento è necessaria quindi una riabilitazione intensiva per favorire un corretto training al cammino e un buon rinforzo muscolare.

 

CHIRURGIA PERCUTANEA FIBROTOMICA.

La cura della spasticità può richiedere trattamenti chirurgici, spesso in più sedi (anca, ginocchio, piede), che prevedono la resezione di uno o più tendini (tenotomie) o l'allungamento di muscoli spastici retratti. Questi interventi vengono comunemente eseguiti con tecnica a cielo aperto oppure mininvasiva, con un’incisione cutanea di dimensione variabile, ma che spesso rappresenta un disagio aggiuntivo per il paziente con conseguente ritardo nella ripresa funzionale. Tali interventi sono generalmente seguiti da immobilizzazioni in gesso e comportano una gestione postoperatoria ortopedica e fisioterapica dedicata. Alla luce dell'esperienza maturata e dei dati della letteratura, è emersa la necessità di eseguire trattamenti chirurgici conservativi, in grado di ridurre il disagio post operatorio e di accelerare la ripresa funzionale del paziente. Il gruppo della Neuro Ortopedia dell'Ospedale Bambino Gesù ha sviluppato pertanto una tecnica chirurgica mininvasiva con l'utilizzo di microbisturi (fig 2.1) che permettono, senza ricorrere ad incisioni cutanee, di eseguire un progressivo sfibramento delle fasce e delle fibre muscolari affette da spasticità, fino ad ottenere la correzione desiderata.

Figura 2.1: Microbisturi a confronto con bisturi classico

Figura 2.1: Microbisturi a confronto con bisturi classico

Gli accessi cutanei così eseguiti non richiedono alcun punto di sutura, contrariamente alle tecniche percutanee precedentemente applicate e possono essere eseguiti contemporaneamente in più sedi degli arti superiori ed inferiori. Inoltre la resezione parziale di fibre e fasce muscolari, consente di ridurre la necessità di immobilizzazione con apparecchi gessati permettendo di iniziare il trattamento riabilitativo fin dal giorno successivo all'intervento chirurgico.Nell'immediato post operatorio vengono utilizzate, delle docce di posizione inizialmente in gesso e poi in polipropilene che vengono rimosse per alcune ore fin dal giorno dopo l'intervento per iniziare il percorso fisioterapico. La gestione post operatoria del paziente è meno complessa rispetto alla chirurgia tradizionale: non c'è necessità di utilizzare analgesici maggiori e la dimissione dall'ospedale avviene il giorno dopo l'intervento chirurgico.

I criteri individuati per la valutazione dei risultati si sono basati sull'impiego di scale pre e post operatorie per confrontare:

  • Il grado di flessibilità articolare (Grado di movimento articolare - ROM dall'inglese Range Of Motion);
  • a capacità motoria (GMFCS dall'inglese Goss Motor Function Classification System);
  • Il controllo del dolore post operatorio (VAS score dall'inglese Visual Analogue Scale);
  • Il controllo della Gait Analysis nei pazienti deambulanti (analisi computerizzata del movimento);
  • La registrazione di eventuali complicazioni o recidive a breve e medio termine legate all'intervento.

I risultati sono stati molto incoraggianti, la tecnica mininvasiva descritta sembra dare risultati funzionali sovrapponibili alla tecnica tradizionale a cielo aperto, con una significativa riduzione del dolore post operatorio e l'ulteriore vantaggio di una gestione post operatoria più rapida e semplice anche a domicilio, con significativo beneficio per il paziente e i suoi familiari. ( Costici F., 2018) .

Per il presente studio è stato preso in considerazione un bambino che ha subito questo tipo di intervento

 

ESERCIZIO TERAPEUTICO CONOSCITIVO

L’esercizio terapeutico conoscitivo (ETC) è un metodo riabilitativo che considera la riabilitazione come un processo di apprendimento in condizioni patologiche (Perfetti,1981). È un tipo di approccio che consiste nel proporre al paziente un compito di tipo conoscitivo che egli deve risolvere attraverso un determinato comportamento sensomotorio, significativo ai fini del recupero della funzione. Perfetti è il fondatore di questo tipo di approccio riabilitativo cognitivo. Il metodo è considerato un approccio sistemico in cui il corpo viene visto nella sua globalità, non intesa come somma di analitica di elementi, ma come insieme strutturato le cui proprietà derivano dalle relazioni dei diversi elementi e che vengono definite proprietà emergenti. Il corpo si muove grazie alle proprietà che emergono dall’organizzazione dei singoli elementi che lo compongono. Perfetti ritiene errato e impossibile, in un comportamento motorio, dissociare il versante dell’informazione dal versante motorio poiché, per ottenere un apprendimento motorio, occorre ricorrere alle informazioni più consapevoli e precise possibili. Il movimento infatti viene visto come originato dalla necessità di dare un’interpretazione delle realtà con le quali il sistema deve entrare in relazione.

Da queste premesse deriva l’impalcatura dell’esercizio, il paziente infatti deve essere posto in una situazione nella quale abbia come compito l’estrazione di determinate informazioni dall’ambiente circostante, per ottenere le quali, deve cercare di organizzare relazioni tra sé e l’ambiente.

Per costruire queste relazioni tra l’ambiente e sé stesso è indispensabile l’attivazione di contrazioni muscolari la cui sequenza deve essere caratterizzata da uuna corretta coordinazione e da una buona interazione ipotizzata con gli scopi previsti. È la situazione cognitiva che deve essere programmata con mezzi linguistici ed extra-linguistici in maniera tale da richiedere al soggetto di organizzare una ben precisa azione ritenuta significativa per un corretto recupero.

La teoria neurocognitiva si basa su diversi principi:

  1. Il corpo è una superficie recettoriale in grado di dare senso al mondo, elaborando informazioni di vario genere: tattili, cinestesiche, pressorie, visive, acustiche, di attrito, di peso, etc. Nell’agire umano, la norma è integrare le diverse modalità informative costruite. Ogni azione è un atto di conoscenza e in quanto tale comporta la costruzione di informazioni e la loro integrazione. Le informazioni non sono già presenti nel soggetto che agisce e neppure nell’oggetto. È l’interazione tra il soggetto e l’oggetto che permette la costruzione di una informazione piuttosto che di un’altra che viene selezionata in base alle intenzioni del soggetto.
  2. Il movimento/azione è il mezzo per la conoscenza. Il corpo si frammenta per conoscere e la frammentazione del corpo è legata all’intenzione e alla necessità informativa. La contrazione muscolare rappresenta l’ultimo anello di un complesso processo (l’azione) messo in atto da un sistema intenzionale che interagisce con l’ambiente, secondo le proprie necessità, dando senso a questa interazione nei suoi significati fisici e relazionali.
  3. Il recupero è un processo di apprendimento in condizioni patologiche. È attraverso il processo di apprendimento, ovvero dell’attivazione, con determinate modalità, di processi cognitivi quali la percezione, l’attenzione, la memoria, l’immagine motoria, la risoluzione di problemi che avvengono le modificazioni biologiche plastiche a livello del sistema nervoso centrale. Nel caso del soggetto sano si parla di apprendimento, nel soggetto con patologia si parla di recupero.

Tale metodica utilizza strumenti terapeutici che coinvolgono prevalentemente la corteccia cerebrale in modo da far apprendere al paziente le variazioni comportamentali conseguibili durante il trattamento. Perfetti parla infatti di esercizio terapeutico conoscitivo che tende in primis a ricreare nel malato schemi di motricità evoluta per poi automatizzarli per formare nel paziente una nuova esperienza motoria che si realizza in seguito alla somma di operazioni successive come: osservazione, esplorazione e confronto.

L’esercizio deve avere due caratteristiche fondamentali:

  1. Deve essere finalistico, ossia deve interagire con l’ambiente;
  2. Deve riprodurre una gestualità funzionale tenendo in considerazione a) a quale distretto corporeo è rivolto l’esercizio, b) quale tipo di contributo da quel distretto corporeo al sistema funzionale, c) in quale modo da questo contributo.

La dottoressa Paola Puccini è una fisioterapista che ha applicato gli studi del Professor Carlo Perfetti alle patologie dell’età evolutiva. L’approccio conoscitivo considera il bambino come un sistema complesso intendendo come sistema un insieme strutturato di relazioni che regolano l’interazione tra diversi elementi. Il soggetto con patologia neurologica è visto come un sistema che in seguito alla lesione ha viste ridotte in diversa misura le sue possibilità di organizzarsi nell’interazione con il mondo. Secondo la dottoressa Puccini, il movimento, non può avere valore come somma di parti ( muscolo, articolazione, riflesso) ma come insieme di elementi utili all’interazione con la realtà, per questo motivo il movimento deve essere studiato sotto ogni aspetto se si vuole avere una visione completa in tutta la sua complessità andando ad indagare sugli aspetti intenzionali e finalizzati al raggiungimento di un risultato. Per il riabilitatore, in questo modo, diventa fondamentale l’analisi delle relazioni tra movimento/fenomeno e movimento/Azione e dunque all’analisi dell’interazione con l’oggetto sottoforma di sussidio.

Nell’ETC un’importanza fondamentale la riveste il sussidio terapeutico che viene considerato l’elemento di riproduzione e semplificazione della realtà che risulta estremamente utile al paziente per offrirgli un contesto costantemente adeguato alle difficoltà del momento e alla fase di recupero funzionale.

Il metodo Puccini-Perfetti si propone di recuperare quei processi che il bambino non è in grado di mettere in atto al fine di produrre comportamenti che abbiano le caratteristiche di variabilità ed adattabilità e quindi di recuperare processi che il bambino non può o non è più in grado di mettere in atto, di andare ad operare qualitativamente sui comportamenti del bambino sfruttando la capacità del bambino stessi di risolvere i problemi attraverso l’uso dei processi cognitivi. La teoria cognitiva sostiene che il recupero, sia spontaneo sia guidato, dipende dai processi cognitivi attivati e dalle modalità della loro attivazione. Sono processi cognitivi la percezione, l’attenzione, la memoria, la visione, il linguaggio e la capacità di risolvere i problemi. In quest’ottica diventa fondamentale all’interno dell’esercizio, l’analisi di come il bambino percepisce, come usa l’immaginazione, come usa l’attenzione, la memoria e come usa il proprio linguaggio.

Gli esercizi che si mettono in pratica per riabilitare usufruiscono di sussidi.

I sussidi possono essere distinti in sussidi fissi e sussidi mobili, e in base al tipo di informazione che contengono possono ancora essere divisi in :

  1. Sussidi a prevalente interazione tattile; (Fig. 3.1)
  2. Sussidi a prevalente interazione cinestesica;
  3. Sussidi a prevalente interazione frizionale;
  4. Sussidi a prevalente interazione pressoria.

Il metodo Puccini-Perfetti  - Figura 3.2: Vari tipi di sussidi

Figura 3.2: Vari tipi di sussidi

 Il metodo Puccini-Perfetti  - Figura 3.1: sussidi a prevalente interazione tattile

Figura 3.1: sussidi a prevalente interazione tattile

In via del tutto ipotetica è possibile descrivere tre gruppi di strategie di esercizio. Un primo gruppo di esercizi diretti a ricostruire soprattutto la motilità distale attraverso il controllo sulle componenti elementari di sottofondo e il superamento dei disturbi della sensibilità quando presenti; un secondo gruppo dedicato ad esercizi che richiedono un contributo, esplicito o implicito, modesto. Tramite questi esercizi si rende più complessa la catena cinetica introducendo richieste di frammentazione e di organizzazione variabile attraverso sussidi che richiedono soppesamento, bilanciamento e riconoscimento di attriti; infine un terzo gruppo di esercizi volto ad estendere la catena cinetica fino a comprendere l’organizzazione della base d’appoggio. Si tratta di esercizi che possono essere svolti sia in posizione seduta che in stazione eretta. I sussidi in questo caso hanno il compito di richiedere in maniera esplicita coordinazione per organizzare un’adeguata base di appoggio.

Andrò ora a descrivere nel dettagli i vari ausili che sono stati utilizzati nel mio studio:

  • Tavolette con diverse superfici: sono delle tavolette di legno rivestite di materiali diversi, con una diversa consistenza ( più lisci, più ruvidi, più soffici o più duri). Queste sono utili per fornire al paziente le diverse sensazioni che dovrà poi riconoscere, senza guardare, con la pianta del piede dopo averle precedentemente sentite a occhi aperti. Una funzione simile è svolta dai sacchetti con diversi contenuti, il bambino tramite la pianta del piede dovrà cercare di capire cosa è contenuto nel sacchetto. Questi sono esercizi che stimolano le afferenze sensitive della pianta del piede e inducono quest’ultimo a compiere dei movimenti o degli adattamenti che gli permettano di esplorare al meglio la superficie da riconoscere.
  • Piattaforme rettangolari con cunei: sono utilizzate con il paziente in posizione seduta, con il ginocchio flesso a 90° e il piede in appoggio. Il cuneo al di sotto della tavoletta permette a quest’ultima di oscillare in senso trasversale o longitudinale e che dunque permette il bilanciamento da parte del bambino tramite movimento di flesso-estensione o prono-supinazione. Nella fase iniziale il paziente dovrà solo mantenere il supporto in equilibrio evitando che si sbilanci in una direzione in particolare. Una volta acquisito il controllo della piattaforma, si potrà passare a esercizi di soppesamento nei quali, sopra la tavoletta vengono posti pesi di diversa consistenza che il bambino dovrà definire tenendo gli occhi chiusi.
  • Tavolette basculanti: funzionano in maniera simile alle piattaforme rettangolari ma sono più incentrati sul recupero del movimento di flesso-estensione della caviglia. Uno dei modi più utilizzati per far compiere questi esercizi ai bambini è quello di usare delle macchinine che scorreranno sopra la tavola in base a come il bambino muoverà la caviglia, andando in avanti in caso di plantiflessione e andando indietro in caso di flessione dorsale.
  • Esercizi per il controllo del carico: prevedono l’uso di bilance, tavole basculanti con appoggio bipodalico. Si inizia solitamente con esercizi in posizione seduta con il bambino che poggia entrambi i piedi su una particolare tavola che oscilla in latero-laterale, e si chiede di fare maggiore pressione su di un piede rispetto all’altro per permettere alle macchine di scivolare giù. Una volta acquisito un maggior controllo si chiederà al bambino di gestire il tragitto della macchina e di interromperlo in punti determinati dal terapista. Questo richiede un ottimo controllo dello spostamento del carico. In stazione eretta il carico si esercita tramite bilance poste distintamente su ogni piede. Il carico sulle due bilance all’inizio dovrà essere equamente distribuito e quindi si andrà a lavorare per questo. Si usano bilance in quanto forniscono un ottimo feedback visivo.

 

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