Early Start Denver Model

L’Early Start Denver Model

In questo capitolo verrà presentato l’Early Start Denver Model, approccio evolutivo per l’autismo, in quanto, dato che l’intervento del TNPEE deve essere sempre costruito, personalizzato e modificato in base agli interessi e ai bisogni del singolo bambino, per un terapista può essere importante conoscere questo metodo per il trattamento precoce di soggetti con disturbo dello spettro autistico in età prescolare. L’ESDM è, come vedremo, un metodo integrabile e molto affine alla sua formazione professionale, dato i vari aspetti molto simili sia dal punto di vista concettuale sia pratico, che verranno trattati nello specifico nel capitolo successivo.

L’Early Start Denver Model (ESDM, Modello Denver per l’intervento precoce) è stato sviluppato da Sally J. Rogers & Geraldine Dawson, con la collaborazione di Amy Donaldson, Terry Hall, Jean Herbison, Diane Osaki, Laurie Vismara, Chris Whalen e Jamie Winter. È programma di intervento precoce con base empirica e con prove di efficacia scientifica, destinato a bambini con autismo in età prescolare, specificatamente di età compresa tra i 12 e i 36 mesi, che può seguire sino ai 48-60 mesi, rivolto al bambino nella sua globalità e realizzato in collaborazione coi genitori. È uno strumento riabilitativo che si basa sugli interessi e le inclinazioni di ogni bambino per favorire la comunicazione e l’interazione, focalizzandosi su tutti i domini e sui suoi bisogni specifici. Utilizza infatti una serie di strategie di insegnamento di orientamento comportamentale ed evolutivo integrate in un approccio basato sullo sviluppo e sulla relazione, in una cornice di affetto positivo.

Si tratta quindi di un modello “evolutivo” in cui l’intervento è centrato sul bambino per favorire la sua iniziativa, la sua motivazione e la sua partecipazione attraverso un insegnamento intensivo e “naturale”: è infatti una strategia di intervento applicabile in tutti gli ambienti quotidiani (community based), coinvolgendo soprattutto la figura del genitore all’interno della terapia (family centred), e garantendo una continuità dell’intervento riabilitativo in tutti i suoi contesti naturali di vita. L’obiettivo principale è quello di attenuare la gravità dei sintomi dell’autismo e accelerare lo sviluppo in tutti i domini, colmando i deficit di apprendimento derivati dall’incapacità di accedere al rapporto con gli altri, attraverso l’inserimento del bambino in percorsi esperienziali che stimolino la relazione e l’interazione sociale. (Cairo & Cucinelli, 2012)

 

Su cosa si basa

L’ESDM è un modello evolutivo a base socio-relazionale che integra tecniche di apprendimento dal comportamentismo e dall’approccio evolutivo e naturalistico. Si basa infatti su diversi aspetti dei trattamenti comportamentali ABA, fra cui la raccolta sistematica di dati, e integra elementi di modelli Discrete Trail Training (DTT), come il lavoro in rapporto individuale col bambino, applicato secondo procedure rigorose e la strutturazione dell’ambiente educativo necessaria a favorire l’apprendimento. Comprende allo stesso tempo anche elementi derivati dagli approcci comportamentali naturalistici (PRT), come un insegnamento guidato più dal bambino che dall’adulto, l’offerta di materiali e di routine di gioco appartenenti alla vita quotidiana, che favoriscono la motivazione sociale e la generalizzazione delle competenze acquisite, grazie anche al coinvolgimento in prima persona dei genitori all’interno del programma. Il successo dell’intervento deriva quindi dall’equilibrio fra gli elementi di derivazione comportamentale DTT, come la strutturazione ambientale, e quelli di derivazione comportamentale naturalistica come la scelta dei materiali e dell’attività da parte del bambino, attivo protagonista del suo trattamento. (Autismo Italia ONLUS & Vivanti, 2006)

 

Evoluzione e teorie di riferimento

Il Modello Denver

L’ESDM è un’estensione dell’originario primo Modello Denver, sviluppato da Rogers e colleghi a partire dal 1981, all’interno dei programmi per le Disabilità dello Sviluppo dell’Università del Colorado Health Sciences Center (UCHSC), nato come modello di gruppo sempre pensato per bambini con autismo in fascia prescolare, a partire però dai 24 mesi ai 60 mesi. Considerando l’autismo come disturbo dello sviluppo socio-comunicativo, all’interno di questo programma veniva enfatizzato il ruolo delle interazioni positive che portassero i bambini a ricercare un partner sociale per partecipare ad attività piacevoli. Questo modello sottolineò come nei bambini autistici esiste un forte deficit nelle capacità di imitazione, il che portava quindi a una difficoltà e a un impedimento nell’apprendimento e nello sviluppo socio-comunicativo nell’infanzia. Questo deficit non era infatti ancora menzionato nelle teorie sull’autismo di quell’epoca. 

Gli elementi fondamentali del Modello Denver (1981) che sono stati mantenuti anche nell’ESDM sono:

  • team interdisciplinare concentrato su tutti i domini dello sviluppo
  • coinvolgimento e partecipazione della famiglia
  • focus sull’interazione basata sulla reciprocità sociale
  • enfasi sullo sviluppo della comunicazione non verbale e verbale
  • l’importanza dell’imitazioni di gesti, movimenti e espressioni faciali, l’uso di oggetti come mediatori di relazioni e fonte di apprendimento
  • gioco condiviso all’interno delle routines socio sensoriali diadiche come strumento di apprendimento cognitivo
  • spontaneità e modulazione dell’affetto/arousal

Il Modello di Rogers e Pennington sullo sviluppo interpersonale nell’autismo

È un modello evolutivo euristico basato sullo sviluppo interpersonale nell’autismo, proposto da Rogers e Pennington (1991) ed elaborato successivamente da Rogers, Benedetto, McEvoy e Pennington (1996) e Rogers (1999), influenzato fortemente dal lavoro di Daniel Stern e dalle ricerche sulle prime tappe dello sviluppo tipico condotte nei decenni precedenti, in particolar modo sull’imitazione, capacità di cui i neonato dispongono fin dalla nascita, fondamentale per le tappe successive dello sviluppo. Infatti il deficit precoce di imitazione presente nei bambini con autismo interferisce con la sincronia e la coordinazione corporea necessaria tra il bambino e il suo partner comunicativo per stabilire una sincronia affettiva e una coordinazione emotiva reciproca. Questo rende quindi difficile per il genitore rispecchiare gli stati emotivi del bambino, e per il bambino difficoltoso comprendere gli stati emotivi del partner e la sua comunicazione non verbale, condividere attenzione e emozioni, impedendo il raggiungimento delle tappe dello sviluppo intersoggettivo (Stern, 1985).

Il modello di Dawson dell’autismo come disturbo della motivazione sociale

L’ESDM pone le sue radici e le sue basi per le sue tecniche di insegnamento anche dalle ricerche di Dawson e colleghi (2004), i quali hanno ipotizzato una carenza essenziale nella motivazione sociale dovuta alla relativa mancanza di sensibilità per la valenza delle interazioni sociali, evidente nell’assenza di attenzione e interesse per gli stimoli sociali presenti nell’ambiente (il volto, i gesti e la voce umani). Inoltre questa non partecipazione e l’isolamento dall’ambiente sociale compromette lo sviluppo comportamentale dei bambini con DSA e anche l’organizzazione dei sistemi neurali sottostanti alla percezione e alla rappresentazione dell’informazione sociale e linguistica.

Nel suo programma terapeutico infatti l’ESDM si concentra nello stimolare l’attenzione del bambino sugli stimoli sociali all’interno di relazioni diadiche significative e positive.

Pivotal Response Training e ABA

Le strategie del Pivotal Response Training (PRT) – vedi paragrafo 2.2.2 - sono state incorporate nell’approccio dell’ESDM, ed è una delle differenze fondamentali rispetto al Modello Denver originale (1989). Questo perché l’efficacia delle tecniche utilizzate e condivise quindi anche dal metodo Denver sono state dimostrate da diversi studi che documentano miglioramenti nella motivazione del bambino, nella spontaneità e nell’iniziativa sociale, nel linguaggio e soprattutto nel mantenimento e nella generalizzazione della risposta, e che sono:

  • uso di rinforzi intrinseci direttamente legati al comportamento e agli interessi del bambino
  • l’importanza delle scelte e dell’iniziativa del bambino nella terapia
  • l’alternanza tra l’esercizio di abilità già acquisite (mantenimento delle competenze) e l’insegnamento di abilità nuove (acquisizione di competenze in ritardo)
  • condivisione dei materiali, del gioco e dell’interazione con il bambino
  • rinforzo dei tentativi del bambino di mettere in atto un determinato comportamento a qualsiasi grado di accuratezza con il quale il bambino sia in grado di produrlo
  • alternanza dei turni nelle attività
  • gli antecedenti o le istruzioni vengono presentati con chiarezza al bambino

Nell’ESDM viene quindi ripreso il concetto di rinforzo, punto cardine delle teorie comportamentiste, che pone le sue basi negli studi di Pavlov (condizionamento classico) e Skinner (condizionamento operante), ma eliminando rinforzi solo materiali o alimentari, ma scegliendo come rinforzi attività intrinsecamente motivanti per il bambino, e sarà quindi lui e non il terapista a scegliere il tipo di attività. In questo modo sarà quindi possibile ottenere un apprendimento, avendo un rinforzo intrinseco dalla motivazione interna del bambino: è stato infatti dimostrato anche da studi sugli animali che tanto più un rinforzo è intrinseco, tanto più risulta potente ed efficace. L’adulto quindi interviene nel trattamento, ma sempre sulla base delle scelte e degli interessi del bambino. Inoltre vengono riprese dal modello ABA alcuni strumenti di insegnamento e alcune tecniche come il prompting, il fading, lo shaping, il chaining e le catene specifiche di apprendimento ABC (Antecedent, Behaviour, Consequence): Antecedente – Comportamento – Conseguenza. Anche all’interno del modello ESDM è quindi utile evidenziare e studiare le catene ABC per manipolarle, e una gestione abile delle conseguenze permette infatti al bambino di costruire abitudini forti: ma a differenze del modello ABA, dove le sequenze vengono ripetute rigidamente e presentate nello stesso modo, nell’ESDM vengo adattate e rese più flessibili, considerata anche l’età precoce del bambino, permettendogli quindi di generalizzare un comportamento appropriato (spesso comportamenti socio-comunicativi) e di diminuire i comportamenti indesiderati.

In conclusione, essendo l’approccio comportamentista - in particolar modo l’approccio ABA - il metodo di intervento per l’autismo fin ora più studiato, e con il numero maggiore di studi a conferma della sua efficacia, sono stati riassunti in tabella 3.1 i punti in comune e i punti in invece cui l’ESDM si differenzia da questa metodologia:

Punti in comune con l’approccio ABA

Punti di differenza con l’approccio ABA

Basato sul principio dell’apprendimento operante (formato ABC)

No sessioni strutturate di apprendimento come nel metodo Lovaas

Basato su procedure di insegnamento comportamentali (prompting, fading, shaping, chaining)

Focus sull’insegnamento della comunicazione, in particolar modo sulla cnv come precursore della cv

Utilizzo di un programma educativo che considera tutti i domini dello sviluppo

Ideato per bambini di età prescolare, a partire dai 12 mesi

Insegnamento intensivo

Attenzione specifica sulla qualità della relazione e delle emozioni

Basato sull’evidenza empirica

Approccio di insegnamento centrato sul bambino piuttosto che sull’adulto

Necessità di valutazioni sul bambino e valutazione dei risultati dell’intervento

Basato sulle conoscenze più aggiornate in tema di sviluppo

Tabella 3 . 1 : Punti in comune e di differenza tra metodologia ESDM e approccio ABA

 

Principi

Questo metodo si fonda su una base relazionale, la quale sostiene che lo sviluppo è un processo interpersonale, che viene mediato dalla qualità della relazione: l’apprendimento del bambino – in tutti i soggetti, non solo in quelli patologici – avviene attraverso l’interazione con l’adulto, attraverso la creazione di un affetto positivo, dalla sensibilità, reciprocità, e dalla capacità dell’adulto di comprendere e rispondere alle esigenze del bambino. Si riprende quindi la teoria di Lev Vygotskij sulla zona di sviluppo prossimo, concetto fondamentale che serve a spiegare come l'apprendimento del bambino si svolga attraverso l’interazione e l'aiuto degli altri. La zona di sviluppo prossimo è definita come la distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale, che può essere raggiunto con l'aiuto di altre persone, che siano adulti o dei pari con un livello di competenza maggiore. Ancora, si potrebbe citare il concetto di scaffolding di Jerome Bruner, termine utilizzato per indicare l'aiuto e l’intervento di una persona “esperta” (il terapista, il genitore, l’educatore) durante la costruzione del processo di apprendimento del bambino. L’adulto infatti fornisce indicazioni e suggerimenti, consentendo al bambino di effettuare un compito o raggiungere un obiettivo che non riuscirebbe a svolgere in autonomia, non avendo ancora tutte le conoscenze e le abilità specifiche per farlo autonomamente. La metafora dello scaffolding paragona l’adulto alle impalcature che sostengono fisicamente gli operai durante i lavori edilizi.

Dati i deficit nell’ambio socio comunicativo e relazionale dei bambini con DSA, sappiamo che avranno un minor orientamento e attenzione sociale per l’adulto, e che tenderanno a sperimentare meno il gioco con i genitori, che è la base e l’antecedente per apprendere il gioco coi pari: questo quindi li porterà a una maggiore “social deprivation”, che altera il corso dello sviluppo neurologico e psicologico del soggetto. È proprio per questo che è fondamentale agire in questo campo, riportando quindi il bambino all’interno delle relazioni sociali che sperimenterà attraverso lo scambio diadico con l’adulto, sviluppando le capacità di dialogo e di co-costruzione di un gioco.

Inoltre uno dei principi di base dell’ESDM è il ruolo fondamentale investito dalla famiglia e dai genitori. Sono infatti le preferenze e le priorità dei genitori che guidano l’intervento, vengono rispettate le loro esigente e i loro obiettivi, e sono coinvolti in prima persona nei meeting interdisciplinari col team e nelle attività di terapia. Insieme ai terapisti infatti i genitori devono portare avanti e generalizzare le tecniche dell’intervento anche nei contesti naturali e quotidiani, valorizzando l’importanza del gioco a tappeto e di alcune routines come il pranzo o il bagnetto per poterle trasformare in sessioni di apprendimento in modo flessibile e rilassato in un momento di interazione positiva col proprio bambino. Bisogna quindi agire all’interno di setting multipli, che comprendano quindi la stanza di terapia, casa, scuola e la comunità o il contesto in cui è inserito il bambino.

 

Strategie per l’evoluzione dello sviluppo

Dopo questi assunti teorici, esaminiamo ora le strategie pratiche (definite dagli autori del metodo anche come “strategie di insegnamento”) che vengono messe in atto nell’Early Start Denver Model. Dobbiamo prima aver chiaro quali sono gli obiettivi del trattamento con questa metodologia, ovvero l’insegnamento delle fondamenta della vita sociale necessarie allo sviluppo del bambino, che possiamo riassumere in questi punti:

  • imitazione
  • attenzione condivisa
  • comunicazione e regolazione emotiva
  • condivisione delle esperienze, delle emozioni e del gioco
  • sviluppo di un gioco simbolico e sociale
  • sviluppo del linguaggio

Le strategie di insegnamento dell’ESDM rientrano nell’”approccio evolutivo”, come evidenziato anche dalle linee guida SINPIA: all’interno del metodo viene infatti enfatizzato il ruolo del gioco, non solo come cornice di intervento, ma inteso anche come modalità di apprendimento.

L’insegnamento avviene ad un ritmo molto rapido, con obiettivi che ricoprono tutte le aree di sviluppo, attraverso appunto il recupero di tutte le tappe del gioco: partendo quindi dai primi giochi tonico-emozionali che si creano tra il bambino e il proprio genitore nei primi periodi di vita, dove si ricreano le occasioni per potenziare le relazioni sociali. L’insegnamento attraverso il gioco, trasversalmente a tutte le aree di sviluppo, e gli obiettivi focalizzati sui processi di comunicazione e interazione sociale, sono tutti elementi che accomunando questa metodologia a quella del TNPEE.

Parliamo quindi della costruzione di attività congiunte o condivise (Bruner, 1977), ovvero attività di gioco nelle quali entrambi i partner ricoprono un ruolo chiave e costruiscono sui contributi reciprochi. Sono quindi attività di base che costituiscono la cornice per l’apprendimento, e all’interno dell’ESDM sono il veicolo di base per l’insegnamento.

Nelle attività congiunte entrambi i partner sono coinvolti nell’attività, agendo in parallelo o partendo dagli spunti dati dall’altro, elaborando un tema in comune. L’intervento di ognuno dei partecipanti contribuisce al risultato globale dell’attività. Sono attività brevi, di circa 2-4 minuti di durata. È importante partire dalle scelte e da attività motivanti che interessano e coinvolgano il bambino: l’adulto ha quindi il ruolo di controllo del gioco, selezionando gli oggetti tra cui il bambino potrà scegliere, modellando e rinforzando le sequenze corrette dell’attività.

Gli adulti nelle attività quindi modulano e ottimizzano gli stati emotivi, il livello di attivazione e l’attenzione del bambino e rispondono attivamente e in modo sensibile agli spunti comunicativi offerti dal bambino, incoraggiandoli qualsiasi essi siano. L’adulto sottolinea gli aspetti importanti con il linguaggio e le emozioni positive: il linguaggio dell’adulto deve essere quindi sempre appropriato dal punto di vista evolutivo e pragmatico rispetto alle intenzioni e alle capacità comunicative verbali e non verbali del bambino, introducendo il lessico target (nomi, verbi, preposizioni) e stimolando l’imitazione da parte del bambino. L’adulto deve essere in grado di elaborare, far evolvere l’attività aggiungendo delle variazioni, che consentono di aumentare l’attenzione del bambino e l’acquisizione di schemi d’azione e abilità nuove. L’adulto si modula e deve essere in grado di gestire in modo efficace le transizioni da un’attività all’altra, stabilendo una sequenza chiara di inizio-svolgimento-fine.

Solitamente infatti la struttura delle routines di attività congiunte è divisa in queste fasi:

  1. Apertura
  • Attività in parallelo, co-costruzione dell’attività, identificazione dei ruoli
  1. Sviluppo di un tema
  • Imitazione, scambio, costruzione
  1. Introduzione di una “variazione” sul tema
  • Fornire un modello da imitare
  • Far vedere modalità e aspetti diversi
  • Catturare l’attenzione del bambino
  • Ampliare il repertorio di giochi e azioni
  • Lavorare su diverse aree di sviluppo
  • Incoraggiare l’esplorazione, l’iniziativa e la creatività del bambino
  1. Conclusione (avviene quando l’attenzione sta calando, o il valore di insegnamento si sta esaurendo)
  • Organizzazione: se utilizzati, mettere via i materiali
  • Pianificazione
  • Sequenze temporali
  • Transizioni: passaggio a una nuova attività

 

All’interno del programma di trattamento è importante ricorrere a routine e ambienti strutturati, che forniscano una sorta di regolazione esterna per contrastare l’instabilità del bambino.

Le routines possono essere di due tipologie: routines socio-sensoriali o routines basate sugli oggetti.

Le routines socio-sensoriali sono routines diadiche condivise centrate sul partner, con alla base una reciprocità e una modulazione dell’arousal e dell’attenzione. In queste attività non è presente un oggetto, o se è presente non è l’obiettivo dell’apprendimento, ma solo un mediatore di relazione, poiché il fulcro dell’attività è proprio l’interazione. Sono momenti che sono presenti nella relazione tipica tra mamma e bambino, giochi semplici come cucù, nascondino, rincorrersi, il solletico, canzoncine, fare le bolle e guardarle, gonfiare un palloncino… Il bambino deve partecipare volentieri, essere attento e sorridere, non bisogna mai forzarlo ma deve esserci sempre un minimo di partecipazione e motivazione spontanea. L’attenzione del bambino deve essere orientata verso i segnali sociali e comunicativi dell’altra persona: il contatto oculare e il volto, ma anche la voce, il corpo, i gesti e i movimenti. In queste attività è importante saper leggere la comunicazione non verbale e verbale del bambino, alternare i turni soprattutto attraverso il linguaggio del corpo. Sono giochi all’interno dei quali è possibile sviluppare abilità di imitazione, attenzione condivisa, attesa, turni, comunicazione, reciprocità e anche abilità motorie.

Gli adulti nel portare avanti attività interessanti per il bambino, devono prolungarle finché l’interesse non sia all’apice, poi è importante provare a interrompere l’attività, attendere che il bambino comunichi con qualche segnale (anche non verbale, anche solo uno sguardo o un gesto) la sua voglia di continuare e riprendere il gioco, stimolando quindi un’intenzionalità comunicativa in questo scambio, non rimanendo passivo e subendo l’attività, ma richiedendola attivamente.

Inoltre le routines possono ottimizzare il livello di attivazione del bambino, il suo stato e la sua attenzione: possono attivare un bambino solitamente passivo e poco partecipe, distratto e assente nella relazione o calmare un bambino arrabbiato o dal comportamento più iperattivo.

È importante la ripetizione di queste sequenze, in modo da instaurare una vera e propria routine e un repertorio di attività di questo genere.

Le routines socio-sensoriali andrebbero però alternate a routines condivise con oggetti, che implicano quindi un coinvolgimento triadico, un’alternanza dell’attenzione verso l’oggetto, che questa volta costituisce il tema del gioco. L’interazione e la comunicazione sono costanti, sia attraverso la comunicazione verbale che non verbale; l’attenzione è focalizzata tra i due e tra l’oggetto scelto. È solitamente consigliabile avere materiali in doppia copia, in modo che ognuno dei partner abbia un oggetto senza dover competere, e poter quindi creare un gioco parallelo e di imitazione. All’inizio si suggerisce di non fare nessuna proposta o richiesta, semplicemente lasciare libero il bambino con l’oggetto, osservandolo e lasciandogli i suoi tempi. Nella prima fase si può quindi imitare il bambino, narrando e commentando le sue azioni, nominando oggetti e movimenti con un linguaggio semplice. Mentre si inizia a creare il tema dell’attività avverranno delle alternanze di turni, sia scambiandosi il materiale sia con gli oggetti doppi: a volte l’adulto imita il bambino, a volte l’adulto mostra una nuova azione, attirando l’attenzione del bambino e fornendogli un modello da imitare per apprendere un nuovo schema. Infatti quando l’azione diventa troppo ripetitiva o non finalizzata il compito dell’adulto è quello di inserire variazioni o di ampliare il repertorio di azioni, oppure quando il bambino è troppo agganciato nell’attività inserire delle pause, per esempio trattenendo l’oggetto, aspettando quindi lo sguardo o un gesto comunicativo del bambino prima di ridarglielo. Nel momento centrale dell’attività il compito è quindi di incalzare l’apprendimento, quando il bambino è coinvolto e motivato nel gioco posso quindi fare richieste o dare indicazioni, offrire possibilità di scelta al bambino, aumentare il livello dell’attività. Qualsiasi attività venga scelta e sviluppata, come per esempio il didò, non si concentrerà mai solo sul miglioramento della motricità fine, ma allo stesso tempo lavorerà su più obiettivi, come la comprensione, l’imitazione, la comunicazione espressiva e soprattutto la co-costruzione di un gioco condiviso: non è il bambino o l’adulto che giocano, ma la coppia sviluppa il gioco assieme, ampliandolo dalle idee e dalle proposte di uno o dell’altro, e ognuno dei due partner risulta fondamentale nella genesi e nello sviluppo dell’attività.

Queste routines offrono la base per l’insegnamento delle abilità cognitive, comunicativo-linguistiche, adattive, l’imitazione, le abilità di motricità fine e di gioco con i giocattoli, mentre le routines socio-sensoriali si concentrano maggiormente sulle abilità sociali, sul linguaggio e sull’imitazione. La conoscenza delle applicazioni e delle funzioni delle routines condivise, può essere un valido strumento per il TNPEE da integrare nel suo approccio. Il TNPEE grazie alle sue competenze è in grado di modulare le interazioni e gli stati emotivi del bambino, ed è quindi un esperto perfetto per inserirsi in routines socio-sensoriali o con oggetti, utilizzandole come veicoli base per l’insegnamento delle abilità carenti nel bambino con DSA. Le routines possono poi essere degli spunti di giochi o attività con cui agganciare l’attenzione e l’interesse del bambino con DSA, momento spesso difficile per un terapista soprattutto nelle prime sedute dove non si conoscono ancora in modo approfondito gli interessi del bambino.

Un'altra routine che può sembrare scontata ma che in realtà nasconde moltissime opportunità di apprendimento, è il momento di “mettere a posto” i giochi nella conclusione dell’attività. All’inizio delle prime sedute di trattamento sarà il terapista a sistemare il materiale, ma successivamente verrà richiesto l’aiuto o l’esecuzione condivisa di questo momento. Mettere a posto significa tenere un ambiente pulito libero da distrattori, facilitando la focalizzazione dell’attenzione sulla prossima attività scelta. Inoltre questa fase può essere vista come un’aggiunta, uno step aggiuntivo del gioco, che implica abilità cognitive e motorie: aprire i contenitori, scegliere, associare e classificare i materiali, alternare i turni, condividere i ruoli, gestire lo spazio. Inoltre si può lavorare sulla comprensione della consegna e sul linguaggio ricettivo per es. “passami le palline”, “metti qui dentro” … ma anche stimolare l’utilizzo del linguaggio come auto-regolazione per accompagnare i passaggi dell’azione. Un altro obiettivo fondamentale su cui si può lavorare sono le abilità di pianificazione e di sequenze temporali, introducendo al bambino il concetto temporale di futuro: ora si mette via, dopo si fa un nuovo gioco. Questo può essere molto utile ai bambini con autismo, spesso eccessivamente focalizzati sul presente e con difficoltà di anticipazione del tempo successivo, e soprattutto li aiuta ad inibire lo stimolo prevalente di passare da un’attività all’altra quando attratti da nuovi stimoli visivi o sonori. Viene implicitamente chiesto al bambino di sviluppare le capacità di attesa, inibizione, di memoria di lavoro e di pianificazione temporale.

Per catturare l’attenzione del bambino e ottenere la sua collaborazione dobbiamo mostrare quest’attività come se fosse un gioco, che comprende un potente rinforzo estrinseco, spesso necessario per attività non gradite come queste: poter scegliere una nuova attività. Questo espediente può essere utile al TNPEE nei momenti critici come il passaggio da un’attività all’altra o nella conclusione della seduta.

Per un insegnamento condotto in modo ottimale è necessario integrare all’interno delle routines le tecniche dell’analisi del comportamento, utilizzando lo schema ABC. Durante le attività e il gioco devono avvenire numerosi episodi e di insegnamento, mediamente ogni 10-20 secondi. Gli antecedenti del terapista, i comportamenti del bambino che il terapista vuole elicitare, la produzione di conseguenze appropriate, il rinforzo o la correzione devono distinguersi in modo chiaro per essere comprese dal bambino. Il numero di ripetizioni di queste sequenze deve essere appropriato per l’apprendimento o il consolidamento delle competenze acquisite: in generale le nuove abilità vengono esercitate più frequentemente rispetto alle abilità già consolidate, in modo anche da mantenere attiva la motivazione del bambino.

Una strategia importante del trattamento necessaria per i bambini con DSA è imparare a prevenire e/o gestire i comportamenti problema. Nel metodo EDSM ci sono quindi delle strategie che possono risultare interessanti e validi per un TNPEE: il metodo migliore per estinguere un comportamento problema è quello di non rinforzarlo, non dare significato e attenzione al gesto, e di portare l’attenzione del bambino verso un altro stimolo o un altro comportamento adeguato distogliendolo dal suo comportamento disadattativo. Altra soluzione pratica per un terapista può essere quella di modificare la stereotipia o il comportamento problema in un gesto più convenzionale, modellandolo fino a che siamo in grado di distoglierlo dal comportamento deviante. Evitare quindi di dire troppi “no”, che possono risultare poco comprensibili o addirittura rinforzanti, e poiché si rischia di chiudere la relazione instauratesi, fondamentale per il proseguimento del trattamento.

Concludendo, evidenziamo in questo elenco gli errori più comuni effettuati da terapisti o genitori nelle pratiche di insegnamento. Questi errori all’interno dell’applicazione dell’ESDM sono le stesse raccomandazioni e attenzioni che un buon TNPEE dovrebbe porsi e avere all’interno del suo intervento psicomotorio. In entrambi i casi, ESDM e neuro psicomotricità, è fondamentale fare attenzione alla proposta dei materiali, alla motivazione del bambino, al suo livello di sviluppo e gioco, alla chiarezza delle proprie richieste e risposte, in particolar modo evitando:

  • Organizzazione di materiali non motivanti o non appropriati all’età
  • Forzare il bambino in un’attività quando non motivato
  • Richieste non appropriate: troppe o non sufficienti, senza l’alternanza a scelte personali del bambino
  • Turni: troppi (spezzettando troppo il ritmo) o non sufficienti (poco tempo al bambino)
  • Non dare opportunità di iniziative spontanee del bambino, o non rinforzarle
  • Rinforzi non coerenti, contigui o contingenti
  • Troppi prompt dell’adulto, poco chiari

 

Costruire un piano di intervento: valutazione, strumenti e stesura degli obiettivi

Come per ogni intervento educativo terapeutico, è necessario stabilire degli obiettivi di trattamento che, come già evidenziato più volte, devono essere specifici per il bambino preso in carico. La costruzione degli obiettivi ha inizio con una valutazione attuale del livello di abilità del bambino attraverso la scheda di valutazione del programma educativo ESDM. Il curriculum ESDM è uno strumento criteriale che fornisce sequenze di sviluppo in 8 aree:

  • Comunicazione ricettiva
  • Comunicazione espressiva
  • Abilità sociali
  • Abilità di gioco
  • Abilità cognitive
  • Abilità di motricità fine
  • Abilità di motricità grossolana
  • Abilità di comportamento adattivo

È costituita da 148 items organizzati in quattro livelli di abilità che corrispondo a differenti età dello sviluppo: 12-18 mesi (livello 1), 18-24 mesi (livello 2), 24-36 mesi (livello 3), 36-48 mesi (livello 4), e nel somministrarla si parte sempre dal livello più basso per verificare se le prime competenze sono acquisite. È una scala sviluppata specificatamente per bambini con disturbo dello spettro autistico, e la sequenza degli items nei vari livelli riflette la ricerca sullo sviluppo tipico e l’esperienza clinica sui DSA. Il curriculum è solitamente somministrato dal terapista o da un team interdisciplinare ogni 12 settimane, tempo ideale entro cui è necessario formulare nuovi obiettivi. Viene identificato il livello evolutivo presente e il set successivo di abilità più avanzate ancora da acquisire. Nella griglia sono presenti quattro colonne all’interno dei quali inserire i punteggi: osservato (terapista), riferita dai genitori, riferito dalle insegnanti o altri, codice di codifica (A,M,P,N,X). I codici che si possono utilizzare sono:

 

Convenzioni di codifica (punteggi)

 

Codici

+ o S

Superato, prestazione coerente o padronanza dell’attività

A

Acquisito

+/-

Prestazione non coerente

M

Maggioranza

-- o NS

Non superato, comportamento non o difficilmente prodotto

P

Prompt

 

 

N

non in grado

 

 

X

non somministrato

 

I punteggi +/- sono quindi le abilità emergenti, per le quali può essere ancora necessario un prompt.

La valutazione si svolge con le stesse modalità dell’intervento, con uno stile di interazione basato sul gioco, somministrando gli items in modo flessibile e naturale: anche con attività brevi di durata di 3 minuti si possono osservare molti items. Nella stanza è importante anche la presenza del genitore, perché può inserirsi nelle routines di gioco e grazie a un colloquio si possono ottenere molteplici informazioni.

Effettuata la valutazione, si prosegue con la scrittura degli obiettivi. Gli obiettivi devono essere generalizzabili (con setting e persone differenti), devono riguardare azioni funzionali e adattive nel contesto. Gli obiettivi devono generalmente essere raggiungibili in 12/18 settimane, e vengono scelti 2-4 obiettivi per area evolutiva: si preferisce quindi ottenere un numero bilanciato di obiettivi in ogni dominio, piuttosto che enfatizzare un dominio a scapito degli altri. Il numero di obiettivi diminuisce se il mio programma non è intensivo e per esempio il bambino è seguito solo due volte alla settimana dalla terapista. Per gli obiettivi si parte solitamente dalle abilità +/-, abilità emergenti sulle quali bisogna ancora lavorare, e sui primi - (abilità non acquisite) presenti nelle scale evolutive, tenendo in considerazione anche le esigenze della famiglia che sono emerse nella somministrazione della scheda di valutazione.

Nella stesura di ogni obiettivo si parte sempre analizzando il comportamento e l’abilità che si vuole far acquisire come performance spontanea, senza il prompt dell’adulto, lavorando prevalentemente sui comportamenti emergenti.

Si utilizza una struttura molto schematica con una scansione in piccoli “steps”, dalla quale il TNPEE può prendere spunto, sia per stabile obiettivi precisi, a breve termine, e facilmente realizzabili sia per monitorare la possibilità di generalizzazione in altri contesti.

 

Prove di efficacia

Esistono numerose pubblicazioni peer-reviewed che documentano l’efficacia del modello, e otto articoli basati sui dati in pubblicazione o già pubblicati, che includono sia sperimentazioni basate sul caso singolo che sui gruppi. Tra gli approcci evolutivi di intervento precoce per i soggetti con disturbo dello spettro autistico l’ESDM è quello maggiormente documentato.

Il modello ESDM è stato recentemente validato secondo la prospettiva Evidence Based da una ricerca pubblicata su Pediatrics (Dawson, et al., 2010) , uno studio clinico randomizzato e controllato, finanziato dal National Institute of Mental Health (NIMH) condotto presso l’Università di Washington, riportato anche all’interno delle Linee Guida del 2011. Dallo studio emergono miglioramenti significativi in bambini con diagnosi di DSA che hanno ricevuto un intervento ESDM con 25 ore settimanali di terapia dai genitori (5 ore) e da terapisti formati (20 ore) per un periodo di due anni. Sono stati infatti reclutati 48 bambini con autismo idiopatico con età compresa tra i 18 e i 30 mesi, assegnati in maniera casuale al gruppo di ricerca o al gruppo di controllo (A/M) che seguiva un intervento comportamentale nei servizi territoriali monitorato regolarmente, i quali all’inizio del trattamento non differivano per livello di gravità dei sintomi dell’autismo, QI, genere o status socio-economico.

I risultati dell’applicazione sistematica del modello ESDM a due anni dalla valutazione condotta prima dell’inizio del trattamento, hanno evidenziato, in base alla valutazione delle competenze effettuate al termine del training, miglioramenti significativi standard nel punteggio globale alle scale Mullen (Mullen Scales Early Learning, che valuta il QI e gli aspetti del linguaggio) e alla scala Vineland (che valuta il comportamento adattivo) rispetto al gruppo di controllo. In particolare i bambini del gruppo sperimentale presentavano significativi miglioramenti nel Quoziente Intellettivo, nelle competenze di comprensione e produzione linguistica e nella diminuzione dei comportamenti disadattativi: il gruppo ha mantenuto nel complesso un ritmo normativo di crescita nel comportamento adattivo rispetto al campione con sviluppo tipico. Il gruppo di controllo invece, trattato con altri modelli di intervento, non presentava miglioramenti in nessuno di tali ambiti, ma anzi aveva accumulato un ritardo crescente nel comportamento adattivo rispetto al campione normativo, con un peggioramento generale nella socializzazione, nelle abilità di autonomia e motorie più che doppio rispetto a quello registrato nel gruppo trattato con EDSM.

Questo studio rigoroso, randomizzato e controllato ha quindi dimostrato miglioramenti nel QI e nelle abilità comunicativo linguistiche che sono comparabili con quelle pubblicate da Lovaas (1987), e più ampie e generalizzabili rispetto a quelle dello studio randomizzato e controllato sull’approccio Lovaas pubblicato da Smith, Groen, & Wynn (2000). (Rogers & Dawson, 2010)

Importante citare anche uno studio realizzato in Italia, presso l’Ospedale Burlo di Trieste (Devescovi, et al., 2016) che ha valutato l’efficacia di un intervento precoce ispirato ai principi dell’ESDM somministrato con una minor intensità di trattamento - 3 ore a settimana con terapisti formati, associato al coinvolgimento attivo dei genitori e del sistema scolastico – dal sistema di pubblica salute italiana in un gruppo di 21 bambini di età compresa tra i 20 e i 26 mesi per una durata di 15 mesi. Dallo studio emergono miglioramenti statisticamente significativi nelle aree linguistiche e cognitive e un miglioramento dei sintomi dell’autismo valutati attraverso valutazioni standardizzate pre e post trattamento: Bayley Scales of Infant and Toddler Development (Bayley-III), Weschsler Preschool and Primary Scale of Itellingence (WPPSI-III), Autism Diagnostic Observation Schedule (ADOS-2). Per tutte le analisi il p-value è risultato < 0.05, quindi statisticamente significativo. Dai risultati dello studio quindi sembra emergere che un intervento basato sui principi ESDM, coinvolgendo anche i genitori e le insegnanti, risulta efficace anche se somministrato ad un’intensità minore, quindi a un ritmo verosimile a quello elargito dal sistema italiano, con quindi un minor dispendio di risorse economiche.

Sebbene siano necessari altri studi, in particolare dei follow-up a lungo termine per verificare il mantenimento o l’evoluzione dei miglioramenti in un periodo di tempo maggiore, è possibile affermare l’efficacia del trattamento rispetto alla coerenza dei risultati positivi degli studi sin ora condotti. (Rogers & Dawson, 2010)

 

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