Casi clinici, Valutazione testistica, Descrizione delle sedute, Analisi dei risultati - Dalla metacognizione all’intelligenza emotiva

Casi clinici

In questo capitolo, mi occuperò di presentare singolarmente i 4 bambini facenti parte al progetto; da ora in poi, li chiameremo Anna, Francesca, Giorgia e Paolo. Procederò attraverso una descrizione delle mie osservazioni, che vuole essere il più possibile chiara ed efficace e che permetta di crearsi un’immagine il più possibile veritiera del bambino. Per rendere il tutto più immediato, suddividerò le descrizioni in paragrafi, ognuno dei quali sarà dedicato alle 4 aree che ho individuato per evidenziare al meglio gli aspetti più significativi di ogni bambino:

  • Area motorio-prassica
  • Area cognitiva-neuropsicologica
  • Area emotivo-comportamentale
  • Area affettivo-relazionale

Concluderò infine evidenziando le dinamiche del gruppo, il quale con le sue proprietà essenziali concorre ad un’evoluzione positiva individuale.

Anna

Anna è una bambina di 7 anni e mezzo, nata nel marzo 2012. Viene inviata al servizio dalle maestre che denunciano una serie di manifestazioni comportamentali disadattive, che spesso la portano ad essere aggressiva soprattutto nei confronti dei compagni. Dopo un primo periodo di osservazione, le viene diagnosticato un disturbo del comportamento e della condotta. Viene inoltre sottoposta, da prassi, ad una valutazione testistica del funzionamento cognitivo, che si dimostra più che buono (QIT: 107), con un picco in particolare sulle performance (QIP: 113).

Anna vive una situazione familiare non semplice. La madre attraversa periodicamente degli stati depressivi transitori; queste manifestazioni rimanderebbero ad un disturbo bipolare, comunque non riconosciuto a livello diagnostico. In alcuni periodi la madre vive in modo passivo le vicende che riguardano la bambina, mantenendo un atteggiamento silenzioso e cupo a differenza di altri momenti dove si dimostra molto interessata e curiosa rispetto alle proposte in terapia. Il padre è proprietario di una grande fattoria in campagna, all’interno della quale la famiglia vive e lavora; nonostante cerchi comunque di essere partecipe, a causa di questa situazione lavorativa, il padre risulta poco presente nella vita di Anna, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti educativi. Quest’ultimo aspetto, che va a sommarsi agli elementi che riguardano una madre anch’essa impegnata con il lavoro e con delle difficolta psicologiche, fa sì che la bambina passi la maggior parte delle giornate da sola e lontana dalla socialità.

Un ultimo spunto di riflessione riguarda gli aspetti educativi familiari; la madre, in particolare, adotta un sistema molto autoritario, legato ad un atteggiamento punitivo che lavora in particolare sul senso di colpa. Per fare un esempio, se Anna non si comporta come madre e maestre ritengono consono, la madre la punisce lasciandola a casa da scuola, sottolineando come non sia una bambina adeguata e invitando così la bambina stessa ad effettuare un personale “esame di coscienza”, mentre si verifica la punizione.

Ultimamente, inoltre, a scuola sta vivendo una sorta di “accanimento” da parte dei compagni nei suoi confronti, i quali la colpevolizzano per qualsiasi fatto accaduto. Le maestre tendono inoltre a seguire la linea suggerita dalla madre, e quindi a penalizzare la bambina privandola delle attività che lei maggiormente gradisce.

  • Area motorio-prassica: Anna ha raggiunto uno sviluppo motorio adeguato per età. Alcuni aspetti rilevanti da evidenziare riguardano il movimento, il quale risulta fluido ed agile, e ciò le consente uno spostamento molto rapido, soprattutto nella corsa. Il tono, sia di base che di azione, è sempre medio-alto, e questo è generalmente da considerare un punto di forza; tuttavia, quando il tono cresce in maniera eccessiva, Anna tende a non essere in grado di gestire il proprio corpo, abusando della propria forza nel dialogo tonico con l’altro. Quest’ultimo aspetto si verifica parallelamente all’aumentare delle componenti legate all’emotività e alla competitività che l’attività propone, rendendo il corpo il mezzo attraverso cui “sfogare”, far emergere il proprio mondo interiore attraverso il movimento.
  • Area cognitiva-neuropsicologica: è la componente del gruppo che può maggiormente avvalersi di importanti risorse cognitive; non mi riferisco soltanto al valore numerico del QI, ma anche alla sua effettiva verifica ed esplicitazione in alcune fasi della seduta. Anna ha sviluppato una capacità di ragionamento, soprattutto logico, che le consente di comprendere facilmente le consegne e gli scopi, individuando così la via più rapida ed efficace per portare a termine il compito. Tuttavia, Anna tende a sfruttare le sue abilità solo negli ambiti per i quali manifesta maggior interesse, in particolare quelli che richiedono una performance e presuppongono un risultato più o meno positivo a seconda dell’esito della performance stessa (molto brava a scuola). Anna è sicuramente la bambina che più si sta avvicinando al concetto di consapevolezza di sé, tuttavia attraverso una serie di meccanismi cognitivi e neuropsicologici negativi, che si tramutano in comportamenti disadattivi, all’interno di un ambiente sicuramente non facilitante.
  • Area emotivo-comportamentale: Anna vive le sedute in modo molto altalenante a livello comportamentale. L’eloquio, la comunicazione non verbale (sguardo, mimica, gestualità), le manifestazioni emotive, il grado di partecipazione sono tutti aspetti fortemente connessi tra di loro e dipendenti dalla situazione. Nel momento in cui la bambina vive la proposta come un qualcosa di poco motivante o, comunque, per qualsiasi motivo, complessa da affrontare, intuendone gli intenti, tende ad opporsi fermamente, eliminando ogni forma di interazione e chiudendosi in sé stessa, anche a livello corporeo (tipico atteggiamento di chiusura con testa chinata fra le gambe e braccia in protezione). A questa fase di totale inibizione, durante la quale ignora totalmente il mondo esterno, segue una fase aggressiva, a livello verbale ma non solo, con la quale la bambina esprime emotivamente il proprio disagio determinato dalla situazione nella quale si trova. Per concludere, possiamo dire che Anna fatica ad esprimere il proprio vissuto interiore ed il proprio pensiero, il quale sta diventando ingombrante e difficile da gestire; le strategie che la bambina attualmente possiede consistono in manifestazioni comportamentali nella maggior parte dei casi aggressive e disadattive.
  • Area affettivo-relazionale: come annunciato nelle note anamnestiche, Anna non frequenta una rete socio-relazionale ampia. Con gli stessi bambini facenti parte al progetto, non ha sviluppato un legame molto forte, nonostante li conosca da qualche anno. Anna tende ad aumentare il livello di interazione con l’altro nelle attività competitive, dove sente di poter confrontarsi “alla pari” e dunque vincere per sentirsi, in un certo senso, più forte e accettata.

Francesca

Francesca è la bambina più grande del gruppo; è nata infatti nel dicembre 2010 ed ha dunque quasi 9 anni; è seguita presso la “Nostra Famiglia” per una diagnosi generica di ritardo psicomotorio. La bambina da qualche anno frequenta regolarmente la struttura, prendendo parte ad una serie di cicli terapeutici di neuropsicomotricità, sia individuali che di gruppo; Francesca è inoltre seguita da due psicologhe del servizio: una si occupa maggiormente degli aspetti relazionali ed emotivi, l’altra si occupa invece di tener monitorati gli aspetti cognitivi. Nell’ultimo anno, proprio attraverso la somministrazione delle scale WIPPSI, una delle modalità più utilizzate per testare il livello cognitivo, è stato rilevato un QI totale di 79. Il dato risente in particolare delle cadute nelle performance e, secondo protocollo, farebbe rientrare Francesca all’interno di un funzionamento considerato “borderline”; non è stato ancora tuttavia confermato a livello diagnostico.

Relativamente agli aspetti familiari, ce n’è uno molto significativo che non può essere sottovalutato: la presenza di una sorella gemella. La madre descrive le figlie come 2 bambine molto simili in tutto, a partire dall’aspetto fisico ma soprattutto a livello caratteriale (modalità di espressione, temperamento, aspetti comportamentali, …); questo fa sì che la sorella, la quale non presenta anomalie di sviluppo verificate, sia come uno specchio, un rimando continuo per Francesca, ma anche per la madre. Globalmente, la madre si presenta come una signora molto collaborante, comprensiva e accogliente rispetto alle iniziative proposte; tuttavia, non ha accettato di buon grado l’accertamento di una lieve disabilità intellettiva, perché ritiene non vi siano sufficienti criteri per determinarla.

La difficoltà della madre, nel prendere atto del disagio di Francesca e procedere dunque di conseguenza, al fine di uno sviluppo il più possibile equilibrato, è accentuata da questa tendenza continua ad associare le 2 sorelle, utilizzandolo come un meccanismo di difesa, che permette di nascondere parzialmente la realtà di Francesca agli propri occhi; all’interno di un processo di identificazione/differenziazione già reso complicato dalla presenza di una sorella gemella con sviluppo tipico, l’atteggiamento della madre penalizza a maggior ragione Francesca e ne condiziona le modalità.

  • Area motorio-prassica: Francesca è una bambina con molta iniziativa motoria e che prova piacere attraverso il movimento. Presenta tuttavia delle lievi difficoltà, riguardanti i movimenti globali che richiedono un buon equilibrio dinamico e, soprattutto, le attività fino-motorie, in particolare quelle che prevedono un utilizzo simultaneo delle dita. L’attività grafomotoria, ad esempio, risente fortemente di queste difficoltà. La presa non è fissa e difetta in stabilità; il tratto risulta così approssimativo e poco deciso, aspetto evidenziabile soprattutto nel disegno. In generale, possiamo rilevare un impaccio motorio che coinvolge tutte le aree del movimento.
  • Area cognitiva-neuropsicologica: in terapia, si possano riscontrare facilmente dei limiti soprattutto a livello di elaborazione del pensiero, ragionamento e problem solving, determinati da una componente di rigidità cognitiva che confermano i dati delle WIPPSI. Nonostante ciò, Francesca dimostra delle buone competenze attentive, in particolare di attenzione congiunta, che la aiutano a permanere nel compito. La psicologa conferma che talvolta Francesca dà l’impressione di “funzionare” meno bene rispetto a come ci si aspetterebbe. All’interno di una dinamica di gruppo, infatti, la bambina presenta una forte adesività nei confronti degli altri componenti, aspettando sempre che sia l’altro a fare il primo passo per poi imitarne e seguirne i pensieri, i ragionamenti. Questo aspetto non si correla solamente alle problematiche di cui sopra, ma anche a uno stato di ansia crescente al crescere del livello di richiesta, anche se si tratta di un compito facilmente perseguibile da Francesca. Se però opportunamente stimolata, è come le la bambina si sentisse “autorizzata” ad esprimere il proprio pensiero, a prendere decisioni e, seppur a fatica, i risultati sono migliori.
  • Area emotivo-comportamentale: della sua tendenza all’adesività, come aspetto protettivo del comportamento che la priva da eccessive responsabilità, dalle quali un elevato livello di ansia, abbiamo già parlato. Tuttavia, è forse un altro l’elemento che balza immediatamente all’occhio durante le osservazioni di Francesca, e riguarda la sfera emotiva, andando poi a riflettersi sul comportamento. Francesca mostra sempre il suo lato felice, gioioso, amorevole, nascondendo, conseguentemente, la propria dimensione di rabbia, tristezza, frustrazioni. Questo continuo indossare una “maschera felice”, limita il range di emozioni che la bambina esprime ed è un aspetto negativo al fine di raggiungere una competenza emotiva. Anche in situazioni volutamente predisposte come pericolose, fastidiose, scomode da affrontare, Francesca mostra solo alcune sfaccettature di sé, “affondandone” delle altre. Per concludere, possiamo dire che questo tipo di atteggiamento, che ne mantiene sempre l’autostima a livelli troppo alti, a discapito di una consapevolezza di sé scarsa, potrebbe a lungo andare avvicinarsi pericolosamente ad una dimensione di “falso sé”.
  • Affettivo-relazionale: Il fatto di essere sempre molto solare ed aperta, ne facilita le relazioni. Pur mantenendo un rapporto di dipendenza dall’interlocutore, determinato da un livello d’ansia sostenuto, è in grado di gestire una rete di interazioni e scambi comunicativi frequenti, sia con il bambino che con l’adulto. Le modalità relazionali, tuttavia, risentono anch’esse della sua tendenza all’adesività; sostanzialmente, quelle che descrive come amiche, sono in realtà le compagne di classe della sorella gemella. Le capacità di condurre degli scambi interattivi, se messa in situazione, non corrispondono infatti ad altrettanto buone capacità di generarsi spontaneamente una rete socio-relazionale propria. La bambina ha in realtà un solo amico, il quale frequenta anch’egli gli ambienti riabilitativi, e ultimamente sottolinea come si sia un po’ stancato perché Francesca “è sempre allegra e vuole giocare ogni giorno alle stesse cose”

Giorgia

Giorgia è una bambina di 7 anni e 2 mesi, secondogenita. Frequenta il servizio da circa 2 anni per aspetti legati soprattutto alla dimensione scolastica; mamma e maestre rivelano una fortissima componente di ansia da performance ed aspetti psicosomatici, in particolare mal di testa e mal di pancia, che non le consentono di frequentare regolarmente le lezioni. Un altro elemento rilevante riguarda l’alimentazione; è molto selettiva del mangiare e fatica a gestire il pasto, sia a casa che, a maggior ragione, a scuola. Le condizioni sopra citate, non sono state ritenute, per ora, sufficientemente significative da portare ad una certificazione. La bambina è dunque attualmente senza diagnosi. Non sono mai state somministrate scale di valutazione del livello cognitivo, in quanto probabilmente è evidente un funzionamento nella norma.

La famiglia di Giorgia presenta un sistema educativo-affettivo che si può considerare adeguato. Il fratello maggiore, adolescente, frequenta anch’esso la struttura; ad egli è stata diagnosticata una sindrome di asperger e la madre ne sottolinea frequentemente gli aspetti che riguardano una gestione complicata e impegnativa. Oltre ai riferimenti biologico-genetici che potrebbero aumentare il rischio di una predisposizione alle patologie del neurosviluppo (non possiamo tuttavia spingerci oltre perché è un ramo che non appartiene al nostro ambito d’intervento e inoltre non vi sono ancora evidenze scientifiche tali da poter confermare quanto detto con certezza), la presenza del fratello potrebbe inevitabilmente ridurre le attenzioni rivolte a Giorgia nella quotidianità, e ciò ne condiziona le modalità.

o Area motorio-prassica: Giorgia ha acquisito delle buone competenze motorio-prassiche, che comprendono lo sviluppo di una motricità globale molto varia e ricca (cammino, corsa, salto, …). Vi sono tuttavia alcuni aspetti relativi nello specifico ad altre aree, di cui parlerò più avanti, che ne condizionano in maniera importante tutto ciò che riguarda il movimento, in

particolare la modulazione tonica. Quest’ultima risulta deficitaria; il tono aumenta a dismisura soprattutto durante il gioco sensomotorio ed il movimento diventa meno fluido e spezzettato. Giorgia inoltre dimostra un’ipersensibilità al contatto, che la portano a rifiutare o comunque non tollerare il contatto stesso; tale aspetto è confermato da un ipertono generalizzato che la immobilizza nel momento del dialogo tonico con l’altro.

  • Area cognitiva-neuropsicologica: Giorgia presenta, in alcuni rami, delle competenze che vanno al di sopra della media. Andando più nello specifico, l’area linguistica è una di queste; è infatti ampio il racconto verbale di sé, organizzato nel tempo e contestuale alle risposte dell’altro. Con questa buonissima capacità di eloquio e narrazione, che talvolta sfocia in un iperinvestimento verbale, Giorgia sembra voler gridare il suo bisogno di essere ascoltata, capita, accettata; durante questi monologhi, emerge frequentemente la tendenza all’”autogiudizio” e all’”autosvalutazione (es. “Non saprei come fare, non mi ricordo”). Il livello di ansia è il discriminante principale. Quando, durante le terapie o, a maggior ragione a scuola, dove il livello di richiesta si alza, Giorgia percepisce delle difficoltà nel portare a termine un compito, qualsiasi esso sia (ragionamento, movimento, espressione di sé), le angosce e le ansie ne condizionano fortemente il procedere (es. “E’ colpa mia, io ho paura di tutto e mi blocco”).
  • Area emotivo-comportamentale: Giorgia è una bambina molto collaborante e che frequenta volentieri gli ambienti di terapia. Dietro questa caratteristica che ne facilita la gestione, si nasconde però uno stato di allerta continuo che la rende molto vulnerabile. La bambina preferisce dunque, nella maggior parte dei casi, assumere un atteggiamento passivo rispetto alle proposte, più o meno gradite, dell’adulto. A questa in apparenza positiva collaborazione, si oppongono delle fasi di oppositività; non si tratta di una non accettazione della proposta in sé, ma dell’emergere di una serie di manifestazioni psicosomatiche con cui Giorgia giustifica i propri rifiuti (mal di testa e mal di pancia), frequenti a scuola ma anche in terapia. Tuttavia, le manifestazioni psicosomatiche non sono altro che il frutto di un disagio provocato dalla situazione, considerata potenzialmente pericolosa dalla bambina, e che a sua volta determinano i tentativi di fuga dall’attività. Giorgia dimostra di aver sviluppato una buona immagine di sé; fatica tuttavia a proiettare le proprie emozioni all’esterno rispetto a sé, e ciò la rende poco assertiva e resiliente, in particolare di fronte alle novità.
  • Area affettivo-relazionale: il fatto di adottare delle modalità verbali e narrative come canali preferenziali di espressione e comunicazione con l’altro, la avvicinano molto di più al mondo dell’adulto, rispetto a quello del bambino. Giorgia utilizza il monologo per “affascinare” l’interlocutore, con l’obiettivo di focalizzare la sua attenzione solamente su alcuni aspetti di sé e mascherare le sue difficoltà emotive e neuropsicologiche. In questo modo, la bambina ricerca quasi ossessivamente di essere assecondata da parte dell’adulto e fatica a creare delle relazioni stabili con i pari.

Paolo

Chiameremo Paolo l’unico maschio che ha partecipato al progetto. E’ un bambino di 7 anni appena compiuti. Accede alla struttura a pochi mesi di vita, dopo un periodo in Terapia Intensiva Neonatale (TIN). I dati anamnestici ci raccontano di un parto gemellare indotto alla 34esima settimana + 5 per rottura precoce delle membrane da cui segue un importante distress respiratorio. Mentre il fratello sembra non presentare sequele, Paolo presenta delle importanti asimmetrie tra gli emilati, che portano i medici a diagnosticare precocemente un’emiparesi dx.

Inizia dunque a frequentare regolarmente il servizio di fisiokinesiterapia della Nostra Famiglia, a cui vengono integrati nel 2016 alcuni cicli di terapia neuropsicomotoria per componenti legati maggiormente agli aspetti comportamentali. Le valutazioni cognitive danno risultati non particolarmente brillanti ma in norma (QIV: 96, QIP: 91, QIT: 98). Nel 2017 viene sottoposto all’iniezione della tossina botulinica al tricipite surale dell’arto inferiore destro, intervento che sarà probabilmente da ripetere a breve; viene inoltre prescritto un tutore gamba-piede, che Paolo indossa principalmente a scuola e, la sera, a casa.

Il sistema familiare di Paolo tende ad ignorare le difficoltà di Paolo, fin da piccolo; non si tratta di una negazione, ma più di una sottovalutazione degli aspetti problematici del figlio. In un primo momento, questa modalità riguardava gli aspetti neuromotori, ma una diagnosi e una presa in carico precoce hanno permesso alla famiglia di prendere maggiormente in considerazione questi elementi; in un secondo tempo, i genitori non danno peso alle problematiche riguardanti le manifestazioni comportamentali e la regolazione delle emozioni. Nonostante i frequenti segnali d’allarme della scuola, la famiglia non riesce ad adottare delle strategie a livello educativo necessarie per affrontare collettivamente la questione. Inoltre la presenza di un fratello gemello, di cui tuttavia non si sa molto, risulta comunque un elemento rilevante sul quale approfondire.

  • Area motorio-prassica: tutti gli aspetti legati alla motricità, risentono ovviamente in maniera significativa della patologia neuromotoria. La spasticità coinvolge maggiormente l’arto inferiore, rispetto a quello superiore dx; l’ipertono aumenta all’aumentare della velocità o della precisione che richiede il movimento, e compromette in particolare i muscoli posteriori della gamba destra, tra cui il principale è il tricipite surale. L’andatura è tipicamente “falciante”, con una tibio-tarsica che si mantiene costantemente in flessione plantare e non consente un corretto e completo appoggio della pianta (equinismo mobile, non ancora strutturato). Paolo ha tuttavia acquisito l’intera gamma di moduli motori fino alla corsa. Quando si passa dal cammino alla corsa, aumenta vertiginosamente l’ipertono, e ciò mette a rischio l’equilibrio dell’interno movimento. Per quanto riguarda gli arti superiori, una muscolatura dell’arto plegico abbastanza conservata consente una buona funzionalità della mano destra e un lavoro bimanuale efficace, dove la mano destra stessa funge da sostegno al lavoro più specifico della mano sx.
  • Area cognitiva-neuropsicologica: Paolo è globalmente un bambino con delle buone competenze, soprattutto a livello di ragionamento ed elaborazione del pensiero; tuttavia, per esplicitare queste competenze, dev’essere fortemente stimolato ad uscire da uno schema che risulterebbe in sé abbastanza rigido e ripetitivo. Vi sono in particolare alcune tematiche, in particolare il mondo dei videogiochi, che spesso lo imprigionano all’interno di un meccanismo dal quale fatica a venir fuori. E’ una vera e propria ossessione, tanto che Paolo tende a veicolare ogni tipo di domanda, pensiero, o riflessione all’interno di questo mondo virtuale. Paolo presenta inoltre delle difficoltà attentive, che ne riducono i tempi di permanenza. Ciò condiziona in particolare la comprensione di consegne verbali (necessita spesso che gli venga ripetuta 2-3 volte). Il fatto di non aver avuto ancora accesso ad un’immagine di sé completa, che comprenda anche la consapevolezza degli aspetti che evidentemente gli creano difficoltà, come la spasticità dell’arto inferiore destro, può essere considerato in questo caso un elemento a favore. A differenza delle bambine descritte precedentemente, le quali hanno già sviluppato alcuni meccanismi cognitivi “tossici” e/o manifestazioni emotive disadattive, Paolo sembra ancora in uno stato antecedente, e ciò ci permette di poter lavorare serenamente “da 0”.
  • Area emotivo-comportamentale: l’oppositività che spesso ne caratterizza il comportamento, non origina da aspetti provocatori o da uno stato interno che lo frena, come può esserlo l’ansia o il senso di inadeguatezza, ma riguarda principalmente il grado di interesse per una determinata attività; nel caso in cui non venga sufficientemente stimolato dalla proposta, tende ad assumere un atteggiamento insofferente e poco collaborante. Il fatto di aver difficoltà ad accedere completamente al proprio sé, non presuppone necessariamente che il bambino faccia fatica a proiettare parte di esso all’esterno; Paolo infatti solitamente esprime liberamente il pensiero, l’emozione che quell’attività provoca in lui, la motivazione vera per la quale non vuole proseguire (es. “questo gioco è proprio noioso”), e questo possiamo considerarlo un punto a favore. Tuttavia, la propria espressività emotiva è spesso proiettata nel mondo dei videogiochi di cui sopra, all’interno del quale Paolo si impersonifica con dei personaggi virtuali. Infine, è importante sottolineare come fatichi a permanere nel contesto, soprattutto all’interno di cornici di gioco sensomotorio complesse ed elaborate.
  • Area affettivo-relazionale: all’interno delle dinamiche di gruppo, Paolo non ha instaurato delle relazioni stabili con nessun componente; questo non esclude che a scuola possa essersi costruito la propria rete socio-relazionale, che comprende anche il fratello gemello, ma solo se gli altri condividono i suoi interessi. A ridurre le interazioni durante le sedute, contribuiscono probabilmente aspetti di identità di genere; essere l’unico maschio, in un gruppo da 4 bambini, può limitarne il desiderio di relazionarsi con l’altro sesso, in una fase di sviluppo in cui si evidenziano le differenze. A dimostrazione di questo fatto, posso dire che tra me e Paolo si è creato fin dalle prime sedute un buon rapporto di fiducia ed ascolto reciproco, che certamente ne facilita l’affermazione.

 

Valutazione testistica

Trattandosi di un progetto che mira ad un’evoluzione globale per giungere alla maturazione di aspetti più specifici, come del resto la maggior parte dei progetti neuropsicomotori, non è stato facile effettuare un’analisi che ci permettesse di valutare l’efficacia dell’intervento. I test standardizzati che abbiamo tutt’ora a disposizione, i quali, attraverso un’analisi quantitativa, ci permetterebbero di raccogliere le informazioni ottenute attraverso dei dati numerici, non vanno a indagare in modo specifico sugli aspetti a cui abbiamo fatto riferimento, e dunque non rispondono perfettamente alle nostre esigenze.

Abbiamo optato dunque per un’analisi qualitativa, considerata più adatta in quanto ci fornisce una comprensione maggiore e un ragionamento più approfondito dell’oggetto di studio, e ci consente di cogliere ed individuare una serie di sfumature che rimarrebbero altrimenti nascoste al dato numerico.

Nel capitolo seguente elencherò dunque le modalità di valutazione qualitativa che abbiamo individuato, partendo dalla “Checklist sulla competenza emotiva” (M. Di pietro).

Checklist sulla competenza emotiva

Il seguente questionario (allegato A), redatto dallo psicologo e psicoterapeuta Mario Di Pietro, considera le abilità del bambino di gestione dei propri stati emotivi, secondo i principi dell’educazione razionale emotiva. L’educazione razionale emotiva, introdotta in Italia dallo stesso Di Pietro, si afferma come metodica atta a favorire una crescita armonica del bambino, attuata attraverso un percorso che lo guidi ad acquisire consapevolezza delle proprie emozioni e dei meccanismi mentali sottostanti e ad apprendere procedure per fronteggiare in modo costruttivo le difficoltà che può incontrare.

Il questionario è composto da 45 items, suddivisi all’interno di 8 aree specifiche:

  • Riconoscimento delle principali emozioni
  • Comprensione del rapporto tra pensieri ed emozioni
  • Riconoscimento e trasformazione dei pensieri dannosi
  • Fronteggiamento di attività impegnative
  • Reazioni a divieti o richieste sgradevoli
  • Reazioni a situazioni temute
  • Reazioni alle provocazioni e prepotenze
  • Prosocialità

Come detto, si tratta di un test qualitativo delle competenze, basato su una analisi interpretativa dei risultati, e non su punteggi normativi.

Ad ogni Item, possiamo attribuire i seguenti valori, a seconda del funzionamento del bambino:

0 = Abilità completamente assente

1 = Abilità parzialmente acquisita

2 = Abilità completamente acquisita

Abbiamo scelto questa modalità valutativa perché, attraverso i suoi ambiti di indagine che ricalcano e si rispecchiano sulle nostre aree di intervento, ci ha permesso di avere un riferimento della situazione iniziale e di fare un resoconto, alla fine del progetto, della situazione finale, di ogni bambino.

Io e la terapista abbiamo infatti compilato il questionario 2 volte per singolo bambino, all’inizio e alla fine degli 8 incontri. (24)

“La mia storia” ed “Il disegno di me”

Nonostante la validità e la completezza del questionario di Di Pietro, abbiamo ritenuto necessario completare la valutazione testistica integrandovi qualcosa che coinvolgesse in prima persona il bambino. Tuttavia, sia i test somministrati sotto forma di intervista, che, a maggior ragione, quelli compilati direttamente dal bambino, riguardo all’argomento, sono predisposti per un’età superiore, in particolare pre-adolescenza ed adolescenza; per il bambino della scuola primaria, risulta infatti molto più complesso comprendere il significato di determinati items, e dunque rispondere in modo veritiero, rispetto a sperimentarne gli stessi contenuti all’interno di cornici di gioco; non è dunque pensabile di somministrare un test canonico, di difficile comprensione e limitante nelle modalità di risposta.

Ci siamo dunque, ancora una volta, affidati ai “nostri” strumenti di lavoro, esaltando la scrittura ed il disegno come mezzi privilegiati attraverso cui il bambino possa esprimere liberamente sé stesso.

Attraverso “la mia storia”, il bambino può comunicare apertamente gli aspetti del sé che ritiene più significativi in quel dato momento. La scrittura permette di imprimere sul foglio pensieri, sensazioni, emozioni, e può essere facilitante rispetto all’esposizione dello stesso contenuto attraverso altri canali, come quello verbale. Non forniamo particolari indicazioni al bambino, se non un periodo di tempo limitato; in questo modo vogliamo privilegiare il fluire del pensiero libero riguardo a sé, affinché non sia condizionato da consegne vincolanti o ragionamenti imprigionanti.

“Il disegno di me” guida il bambino alla propria rappresentazione, che rispecchierà l’immagine che il bambino stesso possiede di sé a livello di consapevolezza. Non è importante quanto essa sia distorta rispetto alla realtà, a cui contribuiscono anche aspetti grafomotori, ma le dimensioni, i colori, i dettagli e i relativi significati che possono esprimere. Il disegno, globalmente, mette in risalto gli aspetti più profondi del bambino e, il fatto di riferirsi a sé stesso, apre ancora di più ad una serie scenari interessanti.

 

Descrizione delle sedute

Dopo aver costruito una cornice, necessaria per inquadrarne e contestualizzarne i contenuti, possiamo entrare nel vivo del progetto attraverso l’analisi di alcune delle proposte più significative del nostro percorso. Non tutte le attività hanno determinato gli esiti immaginati o sperati, ma da ognuna abbiamo saputo trarre degli spunti interessanti per modificare via via in modo funzionale i contenuti di quelle successive. Lo abbiamo immaginato come un viaggio di 8 sedute, dove ad ogni tappa corrisponde un macro-argomento, un obiettivo, un fattore terapeutico che ci spinge ad agire; tuttavia, il progetto si è rivelato indubbiamente flessibile nelle modalità, a seconda delle risposte dei bambini, ma anche a seconda delle sensazioni che via via il viaggio provocava in me e nella mia tutor. Una cosa è certa: la singola proposta determinava delle risposte totalmente differenti nei bambini, cosicché, ad esempio, se per Francesca poteva rivelarsi molto significativa e funzionale agli obiettivi, contemporaneamente per Paolo risultava poco efficace e stimolante.

In questa disamina cercherò dunque di raccontare alcune tappe del viaggio, facendo riferimento di volta in volta ad uno dei bambini in prima persona, in particolare alle sue modalità di vivere sé stesso, in relazione con me e con gli altri.

Nel corso degli incontri, abbiamo cercato di mantenere una scansione spazio- temporale costante della seduta che, seppur molto semplice e poco articolata, potesse rendere la seduta stessa un minimo prevedibile e rassicurante.

Al consueto “rituale delle scarpe”, che segna l’inizio e la fine della seduta, abbiamo integrato una breve ma significativa attività routinaria, la quale rimane, nel corso degli incontri, costante nel concetto ma variabile nelle modalità. Il cosiddetto “gioco delle domande”, così come lo abbiamo denominato, si svolge parzialmente all’inizio e si conclude al termine della seduta, nello stesso spazio dedicato al rituale delle scarpe.

Ad esso segue l’attività centrale, il fulcro della seduta nonché la fase che richiede più tempo e risorse; solitamente, l’attività centrale segue un filone preciso, che più o meno si collega agli argomenti delle fasi centrali degli incontri precedenti e successivi.

L’attività finale conclude a livello concettuale quello che è stato il mandato dell’attività centrale, modificandone tuttavia le modalità di approccio. Solitamente, quest’ultima si svolge nel vasto spazio sensomotorio o a tavolino, a seconda di come si è svolta l’attività centrale. Per finire, dedichiamo qualche minuto in più al rituale finale delle scarpe e al saluto, integrandovi la conclusione del “gioco delle domande” di cui sopra.

Nella descrizione del viaggio, parto dal racconto di una delle prime tappe, dove ci siamo soffermati sul mondo delle emozioni.

Figura 5: la “stanza grande” di neuropsicomotricità

Figura 6: la “stanza grande” di neuropsicomotricità

Figura 5 e 6: la “stanza grande” di neuropsicomotricità

Il teatro delle emozioni

La sfera emotiva è stata selezionata come una delle macroaree più importanti e significative da sperimentare all’interno del progetto, e sarà dunque oggetto di studio, indagine e lavoro specifico. Portare a consapevolezza uno stato emotivo, è solo l’ultima tappa di un lungo processo dove, tassello per tassello, ci si avvicina all’obiettivo. Per determinare il punto di inizio e ipotizzare una possibile evoluzione in tal senso, siamo partiti dalle competenze base, per poi andare ad affrontare le varie sfaccettature che possiede un’emozione in sé.

Inizialmente, ci siamo dedicati a nominare le emozioni; la difficoltà e l’impaccio iniziale che coinvolge tutti i 4 bambini ci dimostra che non è così scontato “pensare alle emozioni”, nonostante si tratti semplicemente di attribuirne un’etichetta verbale. Ad ogni emozione individuata, abbiamo assegnato una scatolina; siamo passati dunque alla seconda fase, quella del riconoscimento dell’emozione di base in situazioni della vita quotidiana, rappresentate da illustrazioni plastificate, e il successivo posizionamento della figura nella scatolina corrispondente all’emozione stessa. Grazie alla facilitazione visiva, i bambini hanno potuto addentrarsi con più facilità nel mondo delle emozioni, distribuendo con relativa facilità le immagini nelle scatoline e individuando inoltre degli stati interiori “nuovi”, che sono emersi solo in questa seconda fase.

Arriviamo dunque all’ultima tappa: il teatro delle emozioni. Abbiamo suddiviso i bambini in 2 coppie e gli abbiamo chiesto di scegliere un’emozione e rappresentarla attraverso una scenetta, in modo che, alternativamente, l’altra coppia potesse indovinare di che emozione si trattasse. In questa fase, il riconoscimento dell’emozione nell’altro, già sperimentato precedentemente con le illustrazioni, subisce un’evoluzione, in quanto ci si confronta con una situazione che vuole essere il più possibile “reale”. A questo, viene integrata la rappresentazione dell’emozione, dove la rappresentazione stessa di una coppia e la relativa individuazione dell’emozione da parte dell’altra sono interdipendenti.

Non è stato facile per i bambini “isolare” l’emozione scelta per poterla rendere facilmente riconoscibile nella rappresentazione, in quanto, specialmente in una dinamica di coppia, sono emerse una serie di emozioni “supplementari”, che si sono mescolate con quella originaria e che, soprattutto inizialmente, i bambini hanno fatto fatica a gestire (ad esempio ansia e vergogna).

Figura 7: il teatro delle emozioni

Figura 7: il teatro delle emozioni

Il teatro delle emozioni ci aiuta a comprendere meglio il mondo di Paolo, in particolare il suo legame con la sfera emotiva. Durante le scenette, Paolo è il bambino più in difficoltà, sia nel momento della rappresentazione, che, soprattutto, nel momento del riconoscimento. Questo aspetto potrebbe apparire come lo specchio di una forte immaturità emotiva; tuttavia, è necessario fare un passo indietro ed ampliare la digressione. Come già sottolineato nella descrizione, Paolo è “imprigionato” nel mondo virtuale e dunque ogni aspetto del sé viene proiettato nei videogiochi, che non sono altro che dei mondi paralleli non reali ma che si attengono al vero, e nella mente del bambino rispecchiano la realtà. Le stesse emozioni, quando riferite a questi mondi paralleli, risultano correttamente riconosciute e contestualizzate:

“Quando perdo una partita mi arrabbio molto, mentre quando vinco urlo di felicità”

“Io sono innamorato di un videogioco, anzi della femmina di un videogioco; si chiama Anna Stellare … La posso baciare attraverso il tablet, ma non esiste veramente”

“Mi piace la vita perché ci sono i videogiochi, altrimenti sarebbe noiosa … “Mi piace solo giocare con gli amici dei videogiochi, a cui posso scrivere anche; è più forte di me però”

Da queste citazioni possiamo capire come Paolo faccia più volte riferimento alle emozioni che vive, dimostrando di saperle individuare ed esprimerne il contenuto; il fatto di farlo alludendo esclusivamente al mondo virtuale, tuttavia, ne condiziona in modo significativo le modalità con cui egli stesso le vive nel mondo reale, ed è l’origine delle sue difficoltà.

“… ma non esiste veramente” “… è più forte di me” sono affermazioni con le quali Paolo dimostra di essere consapevole della situazione e di saper dare voce al suo pensiero; questo aspetto è decisamente positivo e dobbiamo considerarlo il punto di partenza per guidare Paolo a conoscere, esprimere e sperimentare sé stesso e gli altri nella realtà, attraverso le emozioni.

Dixit

Come accennato nella sezione bibliografica, non è così semplice indagare, testare e sperimentare lo sviluppo delle funzioni metacognitive in bambini al di sotto dei 9 anni; le tecniche neuropsicologiche tutt’ora utilizzate, basate sull’introspezione diretta attraverso in dialogo con il professionista, seppur molto efficaci, non si adattano minimamente alla fascia di età corrispondente, né ad un’impostazione neuropsicomotoria.

Ritenendo tuttavia essenziale poter impostare un lavoro che potesse avere dei risvolti riguardo a tale aspetto, abbiamo individuato un “gioco da tavolo” che risponde perfettamente alle nostre esigenze: il Dixit. Ho parlato di gioco da tavolo tra virgolette, perché in realtà si tratta di un qualcosa di atipico; le caratteristiche di base che generalmente possiede il gioco da tavolo, infatti, come delle regole articolate e ferree, un procedere sempre lineare, il predominio degli aspetti competitivi, sono presenti, ma sono sicuramente meno importanti e passano in secondo piano.

A turno ogni giocatore, chiamato narratore, descrive con una parola o una frase una delle carte che ha in mano, prima di metterla coperta sul tavolo. Tutti gli altri giocatori metteranno a loro volta coperte sul tavolo una delle loro carte, quella che ritengono possa rappresentare la scena descritta dal narratore. Le carte si mischiano, dopodiché vengono girate e la gara inizia: ogni giocatore, a eccezione del narratore di turno (che sa, naturalmente, qual è la sua carta), dovrà indovinare la carta che è stata originariamente narrata. Chi fosse tratto in inganno dalle carte degli altri giocatori regalerà punti ai loro proprietari.

Il gioco, ideato dallo psichiatra infantile francese Jean-Louis Roubira nel 2002, sembra in apparenza molto complesso e poco dinamico, e quindi non adatto ai bambini. Tuttavia, la sua grande forza è proprio quella di potersi trasformare ed assumere uno svariato numero di significati e modalità differenti a seconda dei partecipanti. Tutto ha origine da un materiale ridotto, un semplice mazzo di carte, raffiguranti immagini divertenti, colorate, le quali aprono ad infiniti scenari di interpretazione, dai più concreti ai più allegorici; non vi sono interpretazioni giuste o sbagliate, ciò che conta è il pensiero che quell’immagine ha generato in te.

I nostri giocatori sono i 4 bambini, che esprimono fin da subito interesse e curiosità. Due sono gli aspetti sul quale mi soffermerei, relativamente al nostro gruppo d’interesse: l’elaborazione e la successiva esplicitazione del pensiero da parte del narratore, stimolata dalla raffigurazione scelta, e l’individuazione della raffigurazione stessa da parte degli altri giocatori tra le immagini sul tavolo, attraverso la “lettura” dell’interpretazione del narratore.

Si tratta di meccanismi cognitivi complessi, ma il bambino li vive all’interno di dinamiche molto semplici che si instaurano immediatamente durante il gioco. Non diventa così importante il rispetto delle regole, i punteggi o

la vittoria finale ma le strategie di ragionamento e immaginazione; “scatenare la fantasia” (narratore) e “leggere nella mente del narratore” (giocatori) sono le semplici indicazioni che abbiamo dovuto fornire per spiegare lo svolgimento del gioco, che si è rivelato molto costruttivo, divertente e stimolante.

Figura 8: svolgimento del gioco

Il Dixit globalmente va ad indagare in modo approfondito e completo sugli aspetti riguardanti lo sviluppo cognitivo. Le modalità di Francesca, in particolare, si sono rivelate particolari e sorprendenti. Come ci si poteva attendere, il gioco ha smascherato in modo evidente i limiti che concernono la capacità di ragionamento ed elaborazione spontanea del pensiero. Nel ruolo di narratore, Francesca si trova a dover interpretare liberamente una delle proprie immagini; il fatto di avere di fronte una raffigurazione non così strutturata e facilitante, rende il compito molto complicato per la bambina, al fronte di un funzionamento molto rigido e poco flessibile. Francesca necessita dunque di un’idea, di un input, che le consenta di andare oltre le sue difficoltà.

Tuttavia, quando assume il ruolo di giocatore, Francesca si sente molto di più a suo agio. Nel momento di indovinare la carta scelta dal narratore, la bambina dimostra delle buone abilità di comprensione del messaggio e lettura del significato attribuitogli dal narratore, che le consentono di essere in grado di individuare, quasi sempre, la carta corretta.

Stimolare la produzione e la successiva verbalizzazione spontanea del pensiero, facendo leva sulle sue abilità di ascolto e interazione con l’interlocutore, è uno degli obiettivi principali da perseguire con Francesca.

Figura 9: le carte di gioco

Figura 9: le carte di gioco

 

Perché vieni da Filippo e Cristina?

Fin’ora, nel corso degli incontri, abbiamo privilegiato un lavoro globale, dove abbiamo evidenziato, sperimentato, valorizzato vari aspetti del sé, in particolare pensieri ed emozioni, rimanendo però sempre all’interno di proposte aspecifiche e collettive; giungiamo ora ad un intervento più mirato, specifico che, pur esplicitandosi in una situazione di gruppo, si concentri sul singolo individuo.

Perché vieni da Filippo e Cristina?

Questo è il quesito con cui abbiamo introdotto l’attività; è certamente una domanda dal contenuto forte, un po’ destabilizzante, a cui i bambini hanno fatto fatica inizialmente a comprenderne il significato, prima ancora di cercare di individuarne una risposta. Abbiamo scelto di proporre immediatamente questa domanda con l’obiettivo che diventi come un punto di riferimento, una verità da cercare e trovare progressivamente durante un percorso che si spalma lungo più sedute.

Dopo aver scatenato le prime riflessioni e perplessità, abbiamo riportato in un cartellone la domanda stessa, a fianco della quale ognuno dei bambini ha disegnato la propria sagoma. Il compito dei bambini, in seguito, era quello di selezionare, individualmente in giro per la stanza, le raffigurazioni che rappresentano circostanze nelle quali si rivedono maggiormente, e, dunque, possano aiutare loro a dare la propria personale risposta alla domanda di partenza. Queste illustrazioni sono state scelte da me in modo mirato, e rappresentano situazioni, prevalentemente negative o problematiche, che i bambini possono sperimentare quotidianamente. Il bambino arrabbiato che tira un pugno al compagno, piuttosto che quello che si vergogna a parlare in classe, quello che cammina con difficoltà o quello che viene escluso dagli amici nel gioco, sono solo alcuni esempi di vignette con le quali i bambini hanno potuto confrontarsi.

Con questa attività, andiamo oltre l’interpretazione della situazione (emozione, pensiero, comportamento) rappresentata in figura, alla quale, seppur risulti indispensabile per passare allo step successivo, abbiamo lavorato già con le proposte precedenti; il passo successivo riguarda la capacità di rispecchiarsi, di saper vedere sé stessi in contesti che il bambino sperimenta frequentemente all’interno della società. Per la prima volta ci avviciniamo al concetto di autoconsapevolezza, concentrandoci in particolare sulla consapevolezza del disagio, delle proprie difficoltà, delle situazioni da cui inevitabilmente possono generare manifestazioni emotive esagerate, riflessioni dannose, comportamenti disadattivi.

Una volta scelte le immagini corrispondenti, a turno ogni bambino le incolla sulla propria sagoma, ed esprime di volta in volta il perché secondo lui/lei l’immagine stessa poteva rappresentare il motivo per il quale frequenta la Nostra Famiglia. Questa fase è sicuramente la più complessa, in quanto al già di per sé difficile compito di individuare le figure che, più delle altre, rappresentano sé stessi, si va ad aggiungere la verbalizzazione della scelta e del ragionamento che ha portato a tale. L’attività, nel complesso

molto delicata, ha come previsto scatenato reazioni delle più varie e contrastanti, tutte altresì fondamentali per noi terapisti nell’interpretazione dello stadio di consapevolezza del singolo bambino. Il gruppo, seppur in

questo caso elemento marginale, si è rivelato fondamentale all’interno di una dinamica di ascolto e confronto costruttivo.

Figura 10: cartellone dell’attività

Figura 10: cartellone dell’attività

Anna non sempre vive in modo sereno le varie proposte durante il nostro percorso. Come già evidenziato precedentemente, la bambina tende a cambiare atteggiamento in modo repentino, anche all’interno di una singola seduta, passando improvvisamente da una fase di apertura e interazione con gli altri, ad un’altra di inibizione e aggressività. E’ proprio durante l’attività del cartellone, ad esempio, che si materializza questo tipo di evoluzione del comportamento.

Dopo aver scelto le proprie immagini, nel momento in cui deve raccontare le motivazioni della scelta, Anna si chiude in sé stessa e, per una decina di minuti, mantiene lo sguardo verso il basso e non dice più una parola, nonostante i vari tentativi di coinvolgimento da parte di Cristina.

Analizzando le immagini scelte, possiamo dire con certezza che Anna è stata l’unica a individuare immediatamente le situazioni che la mettono in difficoltà, che possano dunque rispondere al quesito posto originariamente. Questo grado di consapevolezza del proprio disagio superiore, è vissuto negativamente dalla bambina, che tenta dunque di “difendersi” con modalità disadattive quali il rifiuto, l’inibizione e l’aggressività, come nel caso riportato qui sopra.

“Non voglio più andare da Filippo e Cristina, perché mi fanno troppe domande”

Figure 9: esempi di illustrazioni

Figure 10: esempi di illustrazioni

Figure 9 e 10: esempi di illustrazioni

Con questa frase pronunciata alla mamma, Anna esplicita chiaramente le proprie angosce e paure, nel dover affrontare tematiche percepite come scomode. Il progetto vuole veder evolvere la consapevolezza di sé di Anna, passando da fonte di ulteriore disagio interiore a ricchezza dalla quale attingere per uno sviluppo il più possibile armonico ed equilibrato.

Il mio supereroe

Il nostro viaggio è andato ad esplorare nel profondo vari componenti del sé; suddividere il proprio essere, il proprio tutto, in singole parti è stato sicuramente fondamentale per poter vedere affiorare tali parti a livello di consapevolezza. Tuttavia, la vera esplicitazione di sé avviene attraverso l’individuo nella sua totalità/globalità, attraverso uno sviluppo armonico. Con l’attività che abbiamo chiamato “il mio supereroe”, abbiamo cercato di “rimettere insieme i pezzi”, con l’obiettivo di costruire un’immagine di sé integra, matura, consapevole.

Il supereroe/personaggio dei cartoni è riconosciuto generalmente per i suoi superpoteri, o per il fatto di essere alternativamente “buono” o “cattivo”. Etichettare un personaggio per il suo carattere più evidente, è abbastanza superficiale; abbiamo bisogno dunque di conoscere il soggetto a 360°, con le proprie risorse ed i propri limiti, per poterlo comprendere fino in fondo.

Nella prima parte del gioco, effettuo una descrizione il più completa e veritiera possibile di alcuni personaggi/eroi dei cartoni (scelti soprattutto per la loro affinità con i bambini), soffermandomi ad esempio sulle modalità di relazione e sulle caratteristiche temperamentali. I bambini dovevano poi indovinare a quale soggetto mi stavo riferendo scegliendolo tra le varie figure.

Esempio

“Questo personaggio è molto intelligente e sveglio, però è un gran fifone. Di chi si tratta?” “Geronimo stilton”.

A questo punto ci siamo procurati 2 cartelloni, il “cartellone delle risorse” e il “cartellone dei limiti”. In entrambi, abbiamo incollato un’immagine identica per ognuno dei personaggi, e abbiamo riassunto quanto detto nella descrizione suddividendo punti di forza da una parte e punti di debolezza dall’altra. Questa fase si è dimostrata, oltre che una buona base di partenza per la seconda parte, molto divertente e coinvolgente per i bambini, che hanno potuto riscoprire i propri personaggi preferiti attraverso la rappresentazione del loro mondo in un’ottica probabilmente nuova.

Figura 11: cartellone delle risorse

Figura 11: cartellone delle risorse

 

Passiamo ora alla seconda parte; il lavoro fatto precedentemente si concretizza attraverso la trasposizione delle caratteristiche precedentemente elencate, su di sé. Ognuno, a turno, individua le risorse ed i limiti che ritiene di possedere, e, facendosi aiutare dal gruppo, costruisce il proprio supereroe. Facendo leva sulle sensazioni che trasmette in sé l’immagine del supereroe, all’interno di un clima reso piacevole e sereno dalla cornice di gioco creatasi, il bambino ha potuto comporre, tassello per tassello, la propria immagine di sé, unica ed esclusiva, generatasi pescando qua e là tra le caratteristiche dei supereroi.

L’attività si è rivelata molto funzionale agli obiettivi; tuttavia, oltre ad essere particolarmente statica, ha inevitabilmente portato ad un dispendio di energie psichiche non indifferente. A conclusione del cerchio, proponiamo così un gioco sensomotorio nello spazio grande, nella convinzione che il corpo sia il mezzo attraverso cui il pensiero si concretizza tramite il movimento. Scegliamo così un supereroe (un bambino) che, attraverso un comportamento disfunzionale, manifesta una delle sue debolezze; gli altri bambini devono così impersonificare il proprio supereroe che, attraverso le proprie risorse, sia in grado di aiutare il protagonista in difficoltà, abbattendo, “sconfiggendo” il limite.

“Il mio supereroe” è un’attività che ha stimolato i bambini a rafforzare le loro abilità introspettive e di riflessione personale. Giorgia, in particolare, mostra apparentemente di aver acquisito delle ottime competenze in tal senso, competenze che tuttavia non vengono totalmente confermate nel corso del progetto.

Il fatto di verbalizzare continuamente, attraverso monologhi autosvalutativi, o in risposta a relative domande da parte dell’interlocutore, le sue ansie, paure e debolezze non significa che la bambina abbia necessariamente portato a consapevolezza le sue difficoltà. L’attività di cui sopra consiste sostanzialmente nel parlare di sé, cosa che dovrebbe essere un suo punto di forza, facendo riferimento agli aspetti evidenziati nei supereroi; Giorgia tuttavia fatica molto a riconoscersi in situazioni, pensieri, stati d’animo di altri, e, dunque, a costruire un’immagine di sé integra. Per la bambina, infatti, risulta molto complicato immaginare sé stessa come un supereroe, sia attraverso i suoi punti di forza che attraverso i suoi punti di debolezza, così come è stato complicato rispondere alla domanda “perché vieni da Filippo e Cristina?”. Le 2 proposte sopra elencate, in particolare, “smascherano” le criticità di Giorgia riguardo all’autoconsapevolezza, al riconoscere sé stessa all’interno di un contesto sociale, frenata da un livello di preoccupazioni ed ansia che rende complesso un processo di autoindagine interiore.

La tendenza a riferirsi a sé stessa sempre con un’accezione negativa, è utilizzato dalla bambina come uno strumento di difesa rispetto all’esterno, che possa abbassare le richieste dell’altro nei suoi confronti; non si tratta dunque di aver compreso positivamente i propri limiti, ma di una modalità che utilizza indistintamente l’autosvalutazione come mezzo protettivo, non come effettivo sinonimo di bassa autostima, senza aver compreso effettivamente il contenuto delle narrazioni in riferimento a sé stessa, né tantomeno le strategie per poter sopperire a tale disagio.

A conferma di questo ultimo aspetto, vi è l’ultima fase di “il mio supereroe”, quella del gioco sensomotorio. Una volta plasmato, con il nostro contributo, il proprio personaggio, Giorgia fatica a trasformare i suoi punti di forza in strategie per affrontare e “combattere” le difficoltà; ciò dimostra una mancanza di abitudine nel cercare una soluzione al proprio disagio interiore, disagio che viene invece nascosto e giustificato attraverso una bassa considerazione di sé.

L’attività, globalmente, ha permesso ai bambini, Giorgia in primis, di vivere più serenamente il proprio sé, abbattendo o, comunque, rendendo l’argomento meno pesante e complicato da affrontare a livello psicologico. E’ stato inoltre molto utile a noi terapisti per fare chiarezza sulle modalità di Giorgia, su cui intervenire gradualmente con proposte di gioco delle quali “il mio supereroe” ne è un esempio positivo.

Rituale delle domande

Il “gioco delle domande”, o “rituale delle domande”, è l’attività che determina l’inizio e la fine di ognuno dei nostri incontri, come preannunciato in precedenza. Il tutto si risolve in pochi minuti e con modalità molto semplici, ma assume un’importanza molto rilevante, per svariati motivi. Innanzitutto, il fatto di essere riproposto stabilmente, fa sì che diventi per il bambino una certezza indissolubile, che aumenti il grado di fiducia e sicurezza nei confronti del terapista e della terapia in sé, che inquadri la seduta all’interno di una cornice spazio-temporale precisa; spazio e tempo, appunto, rimangono costanti e si ritagliano una collocazione nella quotidianità del bambino.

In aggiunta a quanto detto, possiamo dire che la proposta di variazioni nelle modalità, pur mantenendo una coerenza concettuale ed operativa, rende l’attività dinamica, avvincente, stimolante ed in continua evoluzione.

Al più classico “rituale delle scarpe”, volevamo integrare un qualcosa di più specifico, che potesse in qualche modo preannunciare e condividere i contenuti di ciò che sarebbe stato poi il lavoro centrale. Il “gioco delle domande” consiste nella scrittura, ognuno sul proprio fogliettino, di un quesito, il quale può riferirsi ad una tematica più o meno specifica, a seconda delle indicazioni date da me e Cristina preventivamente. Successivamente, i fogliettini, una volta ripiegati, vengono riposti all’interno di una scatola mantenendo l’anonimato e si può così procedere con il resto della seduta. Una volta giunti agli ultimi minuti, ci si ritrova vicino all’entrata della stanza e via via si pesca un bigliettino ciascuno. Al gioco partecipano tutti i bambini, ma anche noi terapisti; a voce alta, a turno, ogni partecipante leggerà la domanda che si è trovato di fronte, possibilmente non la propria. Infine, lo scrittore corrispondente confesserà e il lettore cercherà di dare una risposta. Possiamo dire che l’attività riassume parzialmente in sé gli intenti dell’intero progetto; stimolare il pensiero, verbalizzare i propri stati emotivi, conoscere sé stesso attraverso l’interazione con l’altro sono solo 3 dei principali obiettivi che il “rituale delle domande” ha in comune con le altre proposte del progetto stesso.

Nel corso degli incontri, questi brevi momenti si rivelano una fonte inesauribile di pensieri, manifestazioni emotive, sensazioni ed interazioni, che non si limitano al contenuto della domanda o della relativa risposta, ma riguardano tutto ciò che accade all’interno del contesto. All’interno delle modalità che si instaurano, di seduta in seduta, io e Cristina abbiamo potuto estrapolare una serie di informazioni essenziali per correggere il nostro stesso approccio a seconda dei bisogni del gruppo, nonché del singolo bambino. Possiamo dire che, globalmente, il “rituale delle domande” si è dimostrato come uno specchio delle caratteristiche dei vari bambini, che riflette alla perfezione e dunque consolida quanto già emerso, per ognuno, durante le altre proposte.

Anna, ad esempio, vive molto spesso in modo insofferente questa fase della seduta. Riporto in particolare un episodio dove, durante uno dei primi incontri, con domande a tema libero, chiede: “Dovete per forza registrarci, e perché?”. La bambina ha trovato nell’attività un mezzo attraverso cui esprimere un proprio disagio; una volta che le viene spiegato da Cristina, la quale ha pescato la domanda, il motivo della videoregistrazione, non vuole a sua volta più discutere nell’argomento e, quando viene sollecitata, risponde in modo molto aggressivo e offensivo verbalmente.

Francesca, al contrario, accoglie l’attività serenamente e con entusiasmo. La sua modalità di vivere la proposta in modo attivo e partecipativo, rafforzano la capacità di Francesca di far riferimento alla stessa fase della seduta precedente, facilitandola nel comprenderne via via i meccanismi. Tuttavia, la bambina manifesta chiaramente le sue difficoltà di elaborazione spontanea di un pensiero, specialmente nei casi in cui non viene fornita una tematica a cui accingere, ma viene lasciato libera espressione.

Giorgia coglie l’occasione, nella maggior parte dei casi, per esprimere le sue sensazioni, attraverso tematiche che si ripetono di volta in volta: paura, tristezza, aspetti psicosomatici, aspetti di isolamento sociale, … Riferendosi nello specifico all’attività vera e propria, tuttavia, Giorgia è facilitata sia nella fase di produzione della domanda, in quanto lo spazio limitato la costringe ad essere concisa ed a riferirsi all’altro e non solo a sé stessa, ma soprattutto nella fase della risposta, dove la specificità del quesito veicola la risposta in un ambito preciso a cui deve attenersi.

Paolo, sia nella fase della domanda che in quella della risposta, tende a far riferimento in modo preponderante al mondo virtuale, indipendentemente dalla tematica preimpostata, non centrando inevitabilmente la risposta stessa. Durante una seduta, ad esempio, dove il tema era “il corpo”, alla domanda “Qual è la parte del corpo che ti piace di più” risponde “Gli occhi, che mi permettono di giocare ai videogiochi e guardare i video su youtube”. In generale, comunque, soprattutto la parte iniziale del rituale, lo aiuta gradualmente a “sintonizzarsi” e ad entrare nei meccanismi delle sedute.

 

Analisi individuale dei risultati

Attraverso una valutazione qualitativa del materiale testistico, al termine del progetto, siamo giunti ad un’analisi individuale dei risultati. Nonostante gli incontri si siano svolti all’interno di dinamiche di gruppo, abbiamo ritenuto necessario privilegiare gli aspetti più significativi che le valutazioni hanno rilevato singolarmente. Nei paragrafi successivi, analizzerò dunque in modo sintetico ciò che è emerso nel singolo bambino e, inoltre, ciò che eventualmente si è modificato nel pre e nel post trattamento.

Anna

L’analisi dei risultati della “checklist sulla competenza emotiva” di Anna, ci rivelano un andamento particolarmente altalenante. Rispetto ad alcune aree specifiche del test, in particolare quelle del “riconoscimento” e della “comprensione” di pensieri ed emozioni, la bambina ottiene dei punteggi molto elevati, sia pre, che, soprattutto, post trattamento; per quanto riguarda invece le aree delle “reazioni”, in particolare quella delle “reazioni alle provocazioni e alle prepotenze”, la bambina non raggiunge dei buoni punteggi, rispetto a quelli degli altri bambini, in particolare nel pre trattamento. In generale, l’analisi dei dati ci conferma che Anna è la bambina che ha ottenuto globalmente i miglioramenti più importanti in termini numerici.

“Il disegno di me” e “la mia storia”, sono momenti vissuti negativamente e, comunque, in maniera poco serena dalla bambina, soprattutto durante l’ultima seduta.

Nonostante si tratti di una proposta piacevole e motivante, e nonostante possieda delle abilità narrative nella scrittura e di cura del dettaglio nel disegno che le permetterebbero di eccellere all’interno del gruppo, Anna probabilmente la percepisce come una richiesta a carattere valutativo, che “testa” le sue abilità di introspezione; dopo una fase oppositiva, tuttavia, completa a suo modo entrambe le attività. Dal confronto tra la storia della prima seduta e quella dell’ultima, in particolare, emergono degli elementi molto significativi.

Non viene mantenuta una continuità tra i contenuti dei 2 elaborati, come ci si poteva attendere; mentre del primo, Anna riporta aspetti superficiali o, comunque, esteriori del sé (Allegato B), nel secondo, nonostante la consegna sia la stessa, dimostra comunque di aver fatto un tentativo di “guardarsi dentro” (Allegato C).

“Sapevo già tutto di me, non serve a niente venire qui”

Con questa frase, Anna riassume il suo pensiero riguardo all’intero progetto. Nonostante si tratti di un messaggio a carattere chiaramente polemico, riteniamo sia comunque positivo il fatto che la bambina dimostri di aver compreso il mandato degli incontri e abbia comunque cercato di trarne le sue personali conclusioni.

Francesca

Globalmente, i punteggi ottenuti da Francesca dalla compilazione della “checklist sulla competenza emotiva” pre trattamento, sono soggetti ad un lieve aumento costante in tutte le aree nel post, evoluzione tuttavia non così significativa. Le difficoltà cognitive della bambina, probabilmente, fanno sì che necessiti di tempistiche più lunghe, affinché si possa rilevare una variazione degna di essere evidenziata. Da sottolineare invece gli aspetti della “prosocialità”, nei quali la bambina ottiene degli ottimi punteggi.

In entrambe le storie, nonostante esse siano molto lunghe ed elaborate, Francesca fatica ad effettuare un’analisi completa di sé. Nella prima, si sofferma esclusivamente sulla descrizione degli aspetti oggettivi (colore dei capelli e degli occhi, data di nascita, classe che frequenta, …); nella seconda, addirittura, Francesca non si rivolge più alla propria persona, ma traferisce l’attenzione su di me; ne risulta una sorta di dedica nei miei confronti, nella quale la bambina dimostra ancora una volta la propria adesività nei confronti dell’altro. Nonostante non abbia ovviamente centrato la consegna, è importante rilevare come nella seconda storia emergano maggiormente i pensieri e le emozioni della bambina, seppur essi non siano rivolti direttamente a sé, manifestando una maggior abilità di comunicare i propri stati interni nei confronti dell’altro. (Allegato D)

Infine, i disegni trasmettono ambedue un messaggio di apertura, serenità e positività, attraverso colori vivi, espressioni dei volti gioiose, e raffigurazioni che rimandano all’amore. Il contenuto, in sé, risulta abbastanza ripetitivo e stereotipato. (Allegato E)

Giorgia

Se le sezioni riguardanti la “comprensione” ed il “riconoscimento” delle emozioni, subiscono un picco nella valutazione post trattamento, partendo comunque da punteggi già sufficientemente alti, altrettanto non si può dire per le sezioni relative al “fronteggiamento” e alle “reazioni”, che stazionano a livelli insufficienti anche nella seconda parte. I risultati della “checklist sulla competenza emotiva” di Giorgia rispecchiano le previsioni, in quanto la risposta ad una determinata situazione negativa, che vuole essere il più adattiva possibile, possiamo considerarla una fase successiva all’iniziale identificazione della situazione stessa, e rappresenta il vero punto di debolezza della bambina.

Il livello di ansia e angoscia, determinata da una serie di pensieri dannosi riguardo ad una determinata situazione, rende complessa l’attuazione di comportamenti positivi che possano fronteggiare le difficoltà, e dovrà essere dunque oggetto di lavoro specifico.

E’ ancora una volta la stesura de “la mia storia”, che ci fornisce degli spunti interessanti; considerando le sue eccelse abilità narrative, ci si attendeva che Giorgia fosse in grado di imprimere su carta dei contenuti che parlassero di sé, ma entrambe le storie ci rivelano un qualcosa che va oltre i consueti monologhi orali. Nella prima, la bambina si racconta attraverso delle emozioni “negative” (rabbia e tristezza), e questo rispecchia pienamente l’atteggiamento di Giorgia che, specialmente a inizio progetto, tende a raccontare solamente gli episodi più avversi del sé; tuttavia, seppur si tratti di emozioni che si correlano esclusivamente a situazioni di difficoltà, il fatto che le esprima riferendosi agli amici, i cui atteggiamenti sono determinanti nel scaturire nella bambina un’emozione piuttosto che un’altra, è comunque positivo e non così frequente nelle sue verbalizzazioni. (Allegato F)

Anche nella seconda storia, in poche righe, Giorgia ci racconta molto. Nella prima parte, fa riferimento all’attività “il mio supereroe”, che, come sottolineato nei capitoli precedenti, l’ha segnata molto.

“Mi sono sentita Shrek, Geronimo, Pimpi e Violetta”

Mantenendo la trasposizione dei personaggi che le abbiamo associato durante l’attività, racconta di sé in modo completo, parlando per la prima volta anche dei punti di forza. La frase finale è un ringraziamento rivolto a me e Cristina; Giorgia non si riferisce direttamente alle attività, ai giochi, ma ci ringrazia “per l’aiuto che mi avete dato”. La bambina così dimostra di essere riuscita andata oltre il carattere giocoso e divertente del progetto, e di averne compreso il significato ultimo. (Allegato G)

Paolo

A differenza degli altri casi, la “checklist sulla competenza emotiva” di Paolo mostra un andamento abbastanza lineare, sia confrontando la valutazione pre e post trattamento, che facendo riferimento alle singole aree di indagine. In particolare, i punteggi ottenuti nella fase precedente al progetto, stazionano su valori abbastanza bassi, ma non hanno alcun crollo in nessuna delle sezioni del test; i punteggi al termine del progetto hanno subito una buona evoluzione, costante in tutte le aree, senza tuttavia alcun particolare picco.

Sono invece i disegni di Paolo ad essere lo specchio dell’evoluzione del bambino all’interno del progetto. Durante il primo incontro, realizza 2 elaborati; nel primo, rappresenta al centro del foglio uno schermo dove è riportata la chat tra 2 giocatori di un videogioco e, in uno spazio marginale in alto a sinistra, all’interno di un riquadrino, una piccola testa che, a suo dire, lo raffigura “come uno youtuber”. Nonostante la consegna fosse chiara e la prima raffigurazione fosse già sufficientemente significativa, gli chiedo di realizzarne un altro, dove possibilmente si rappresentasse in primo piano. (Allegato H)

Paolo si ritrae sostanzialmente trasferendo gli elementi del primo disegno anche nel secondo; La testa molto piccola come quella inserita del riquadro, il corpo sostituito da un grande schermo come quello precedente, al cui interno scrive la parola “videogiochi”, ed a cui infine attacca 2 braccia e 2 gambe. (Allegato I)

Le raffigurazioni abbastanza preoccupanti ma molto indicative, alla fine del progetto vengono sostituite da un “disegno di me” molto semplice, dove Paolo si rappresenta interamente, da solo, al centro del foglio.

Il mondo dei videogiochi appartiene in modo molto forte ed invalidante alla vita di Paolo, ma già il fatto che nell’ultimo disegno non abbia effettuato dei riferimenti in tal senso, concentrandosi solo su di sé, possiamo considerarlo un piccolo traguardo.

Anche le storie di Paolo sono molto interessanti. La seconda, in particolare, è composta da 3 parole: “sono molto dolce”; nonostante non lo abbia dato a vedere durante l’attività del supereroe, durante la quale è emerso all’unanimità l’aspetto della dolcezza, attraverso la scrittura Paolo ha manifestato chiaramente che scoprire questo attributo di sé lo ha sorpreso e segnato, tanto da riportarlo come unico elemento della propria storia di fine progetto.

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