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CONCLUSIONI - Comportamenti non sociali nei Disturbi dello Spettro Autistico

Conclusioni Finali - In questa ultima parte desidero porre alcune considerazioni personali volte soprattutto ad analizzare due aspetti riguardanti la vita quotidiana del rapporto con il bambino autistico:

  • importanza dell’intervento psicomotorio;
  • il ruolo ed il sostegno alla famiglia.

 

Importanza dell’intervento psicomotorio

L’evoluzione paradigmatica di un trattamento psicomotorio dovrebbe svilupparsi attraverso i seguenti punti:

  • l’evoluzione del comportamento spontaneo del bambino sulla scena psicomotoria,
  • gli scopi progressivi della terapia psicomotoria,
  • le strategie comunicative del terapista, che a loro volta influenzano il comportamento successivo del bambino.

Inizialmente ci si trova di fronte ad un comportamento caratterizzato da evitamento dell’ambiente fisico ed umano, da parte del bambino. Scopo dell’intervento psicomotorio in questa fase iniziale, è la liberazione del repertorio comportamentale spontaneo ed un contenimento delle cosiddette “condotte tossiche”. Si inizia con una condivisione a distanza delle azioni del bambino, che si compie di solito in un silenzio verbale che esalta l’influenza della postura, della prossemica e della “scena” della stanza di psicomotricità, sul comportamento stesso del bambino. Ciò produce una liberazione del repertorio adattivo soprattutto in relazione all’utilizzazione del mondo inanimato che, più di quello umano, interessa prevalentemente il bambino autistico.

Momento comportamentale successivo del bambino, è l’avvicinamento all’ambiente fisico, l’esplorazione. In questa fase, l’intervento psicomotorio deve puntare al contenimento spazio-temporale, attraverso la strategia cosiddetta del rifornimento, che consiste nel fornire al bambino ciò di cui egli ha materialmente bisogno (oggetti, spazi d’azione, territori…) mentre si sopprime il “rumore di fondo”, ossia gli oggetti, le azioni inutili, per lui non significative.   Non si cerca di modificare il contenuto delle sue azioni, ma di contenerle nel tempo (i quarantacinque minuti della seduta) e nello spazio (la stanza di psicomotricità).Contrariamente alla tappa precedente, il rifornimento richiede al terapista una maggiore utilizzazione, benchè ancora discreta, del gesto e dello sguardo nel compiere delle azioni come: raccogliere, dare, distribuire, posare, togliere, impilare, agganciare, annodare.   Ciò genera i primi contatti tra bambino e terapeuta, i quali evolveranno verso una forma interattiva, il rispecchiamento, ossia un’imitazione empatica delle azioni del bambino, mentre vi conferisce uno stile ludico. Spesso questa imitazione è reciproca, nel senso che pure il bambino imita le azioni del terapeuta. Scopo di questa tappa del lavoro psicomotorio, è l’incoraggiamento al dialogo corporeo.  La fase successiva ha come obiettivo fondamentale l’attivazione della simulazione e del gioco simbolico. Dal rispecchiamento nasce una vera e propria interazione: il terapista tenta prudentemente di modificare la relazione simmetrica stabilitasi tra sé e il bambino, ovvero cerca di abbandonare il comportamento imitativo e inizia a proporre delle situazioni nuove, esprimendosi con una mimica facciale e corporea spesso enfatizzate. Il contenuto delle azioni non funge più da semplice stimolo, ma diventa mezzo di scambio tra i due attori. E’ l’inizio del “fare finta di”, del gioco funzionale e simbolico. L’espressività del terapista implica ugualmente un suo linguaggio verbale inizialmente piuttosto teatrale, in seguito più neutro, e principale vettore della comunicazione durante le ultime due tappe: la direttività e la propositività verbale.

In queste ultime due fasi, la terapia ha come obiettivo quello di aiutare il bambino a mantenere l’attenzione su un qualsiasi compito, e a compierlo senza rinunciare allo sforzo in occasione della minima difficoltà (come è invece spesso il caso nei soggetti autistici), e ciò può essere raggiunto attraverso il rispetto delle regole dei giochi, la risoluzione di compiti semplici dietro richiesta, la sollecitazione dell'attenzione, della concentrazione, favorendo la comprensione dei messaggi verbali attraverso un continuum che ha come obiettivo finale l’attivazione del linguaggio spontaneo.

La propositività verbale realizza, così, una progressiva soppressione del linguaggio non verbale.
Quando il bambino accetterà di “dialogare” con il terapista e di collaborare anche ad alcuni esercizi di natura cognitiva e prattognosica, la terapia psicomotoria in senso stretto del termine potrà dirsi conclusa.

 

Il ruolo ed il sostegno alla famiglia

La famiglia del bambino affetto da autismo si trova a dover affrontare una situazione più stressante di qualunque altra famiglia di bambino handicappato, a causa della scarsa conoscenza delle caratteristiche della sindrome non solo nella gente comune, ma spesso purtroppo anche d a parte di professionisti, terapeuti e insegnanti.

L’errata interpretazione risalente agli anni ‘50 e ‘60 della sindrome autistica come disturbo emotivo imputabile ad un errato rapporto del bambino con la madre o entrambi i genitori è infatti dura a morire malgrado le inequivocabili evidenze di danno biologico e l’attuale interpretazione ufficiale dell’autismo come disturbo generalizzato dello sviluppo, in parte anche per la difficoltà della famiglia stessa a d accettare che un bambino apparentemente perfetto, spesso bellissimo, sia portatore di un grave handicap mentale che lo accompagnerà per tutta la vita: meglio sperare di aver sbagliato qualcosa, e che cambiando il proprio atteggiamento tutto tornerà normale.

Ben presto tuttavia la disillusione si farà strada con il suo carico di disperazione e solitudine di fronte a un problema senza via d’uscita, aggravato spesso dall’incomprensione di parenti, amici e perfino dei professionisti cui ci si rivolge per chiedere aiuto ad alleviare le evidenti sofferenze del bambino e la propria inadeguatezza nell’affrontare le difficoltà del vivere quotidiano.

Le peculiarità della sindrome, e non viceversa, rendono infatti difficile e doloroso il rapporto della famiglia con il proprio bambino, e costituiscono una fonte aggiuntiva di stress che spesso minaccia la sopravvivenza dell’unità familiare.

Una forma di terapia incentrata sull’interazione dei genitori con i figli potrebbe rappresentare una valida forma di trattamento per l’autismo, a costi decisamente inferiori rispetto a quelli di altre terapie in uso per questa patologia. Questa terapia ha dato ottimi risultati per quanto riguarda il comportamento e l’uso del linguaggio nei bambini affetti da autismo o altri disordini comportamentali gravi. I bambini autistici hanno difficoltà più o meno elevate nell’utilizzo e nell’interpretazione del linguaggio verbale e corporeo e nell’interazione con le altre persone, anche con i genitori. Questo nuovo approccio terapeutico agisce con l’obiettivo di rafforzare l’interazione fra genitori e figli. L’approccio è incentrato sul bambino, afferma G. Mahoney, che ha partecipato alla ricerca, ed è in contrasto con la convinzione diffusa che l’educazione dei bambini autistici debba essere altamente strutturata e debba “dirigerli” nell’apprendimento di determinate capacità. Mahoney spiega che questa strategia non è basata su lezioni strutturate, quanto piuttosto su un miglioramento dell’interazione quotidiana, di routine, dei genitori con i loro figli. Questo tipo di terapia prevede anche una netta diminuzione nel ricorso ai terapisti, limitato in media a un incontro alla settimana, fatto che porta a un netto risparmio sul costo che le famiglie devono affrontare per curare i piccoli pazienti. Gli studi condotti hanno mostrato un netto miglioramento nei bambini coinvolti, soprattutto nelle capacità di comunicazione; il tasso calcolato di sviluppo nella capacità di esprimersi mediante il linguaggio e di comprensione del linguaggio è stato pari a circa il 167% nel corso di un anno di trattamento, e ha riguardato circa l’80% dei soggetti. Ci sono stati anche miglioramenti in altri aspetti critici di questa patologia, relativi alle sfere sociali ed emozionali. Secondo Mahoney, è indispensabile approfondire ulteriormente le ricerche, per comprendere a fondo le potenzialità di questo innovativo approccio terapeutico.

 

PRINCIPALI FONTI DI STRESS PER LA FAMIGLIA DEL BAMBINO AUTISTICO

1) Mancanza di interazione

Vera o apparente che sia, l’indifferenza del bambino autistico verso i familiari che già hanno investito amore e dedizione sulla loro creatura apparentemente perfetta costituisce precocemente una vera tragedia affettiva: i genitori si sentono rifiutati da un bambino che non corrisponde ai loro sentimenti e che tuttavia non possono nè vogliono lasciare.

Non tutti i bambini autistici sono incapaci di dimostrare affetto verso i familiari: alcuni, considerati in passato in come affetti da Psicosi Simbiotica, possono mostrare un attaccamento perfino eccessivo.

Tuttavia anche in questo caso, pur meno drammatico, il senso di responsabilità verso una creatura che capiscono indifesa di fronte al mondo e di cui ben presto intuiscono la sofferenza li sprona a cercare in tutti i modi di aiutarla, senza riuscire a tradurre l’attaccamento affettivo in partecipazione emotiva alla vita di famiglia o in apprendimento.

2) Problemi di comportamento

La vita familiare è ben presto sconvolta dai problemi di comportamento tipici del bambino autistico, soprattutto dagli episodi di auto o etero aggressività: nulla è più doloroso che assistere impotenti al dramma del bambino che si morde, si graffia a sangue, si picchia o batte la testa contro il muro, o che, portato con il cuore colmo di speranza tra i suoi coetanei li allontana a morsi e calci.

La paura e l’angoscia che generano questi episodi apparentemente incomprensibili portano spesso alla rinuncia di una qualunque regola o coerenza educativa, precipitando ancor di più il bambino nell’incertezza e la famiglia nell’isolamento sociale.

Anche problemi di comportamento meno gravi, come pianto o riso irrefrenabili e apparentemente immotivati, grida o lancio di oggetti, e così via generano sconcerto e angoscia, e contribuiscono fatalmente all’isolamento sociale del bambino e dell’intera famiglia.

3) Incomprensione sociale

Le stranezze del comportamento del bambino autistico nel migliore dei casi vengono interpretate nell’ambito sociale come espressioni di maleducazione di cui il genitore è responsabile; anche la famiglia più unita e agguerrita si trova così a dover affrontare, oltre alle difficoltà di convivenza col proprio bambino, il giudizio, le critiche e l’insofferenza di vicini, parenti e amici della cui solidarietà avrebbero invece enormemente bisogno.

Per lo più tuttavia la gente comune conosce dell’autismo la credenza errata che il comportamento autistico sia imputabile al cattivo rapporto con la madre; anche nella famiglia più consapevole e più preparata si insinua il dubbio, si rimugina il passato, e il senso di colpa logora la coppia e peggiora fatalmente il già difficile rapporto con il bambino.

Ancora più drammatica è l’incomprensione che spesso la famiglia incontra al momento dell’inserimento del bambino nella scuola materna e più tardi nella scuola dell’obbligo: ì pregiudizi sull’autismo e la scarsa preparazione in materia degli insegnanti, la scarsa disponibilità a collaborare o l’ignoranza da parte delle strutture sanitarie ne fanno ben presto un piccolo intruso da tollerare per il minor tempo possibile, accampando ogni scusa per ridurre il tempo di frequenza scolastica.

La fonte principale di stress per la famiglia non è più l’isolamento o il comportamento del bambino, ma il rifiuto sociale: i genitori stessi si sentono rifiutati nel loro bambino, ancora una volta soli contro tutti.

4) Incertezza per il futuro

Quand’anche la famiglia abbia superato la fase della disperazione, e sia stata correttamente informata sulle cause e le caratteristiche della sindrome autistica, resta tuttavia perennemente angosciata dall’incertezza per il futuro del proprio bambino, e non solo dallo spaventoso ma ancora relativamente lontano momento della vecchiaia e della morte ("chi si occuperà di lui, chi lo capirà quando noi non ci saremo più?"),   ma  anche  dal   futuro più prossimo

("sarà accettato a scuola? avrà un insegnante preparato? otterrà le ore di sostegno necessarie a svolgere un programma speciale? ") o addirittura dell’indomani ("andrà tutto bene o mi chiameranno ancora una volta d a scuola pregandomi di portarlo a casa?").

Quando poi si sia raggiunta una vera consapevolezza sulla gravità della sindrome autistica, e sull’inesistenza di soluzioni dignitose per il futuro di un adulto affetto da autismo, lo stress diventa disperazione, e non esiste genitore di bambino autistico che non speri di poter sopravvivere al proprio figlio pur di non doverlo abbandonare ad un futuro di emarginazione, con un ulteriore carico di sensi di colpa e di impotenza.

5) Fatica e impossibilità a svolgere una vita normale

La vita con un bambino autistico è estremamente faticosa: spesso ai problemi di comportamento, difficili da gestire, si aggiungono iperattività, problemi di sonno e di alimentazione.

L’iperattività del bambino, per lo più inconsapevole del pericolo, non dà tregua, e spesso la casa diventa una prigione spoglia in cui barricarsi, porte e finestre sbarrate da chiusure di sicurezza, ogni oggetto fragile ancora integro fatto sparire, cibo e bevande lontano dalla portata del bambino; e ancora restano da sorvegliare rubinetti, fornelli e così via, neanche uscire di casa dà tregua: una passeggiata al parco si trasforma facilmente in un inseguimento affannoso e un attimo di distrazione può essere fatale.

Tuttavia neanche il genitore di un bambino tranquillo riesce a darsi pace: il suo isolamento, il vederlo passare ore a guardarsi le mani o giocherellare con uno spago lo angoscia, lo sprona a cercare di coinvolgerlo in giochi o attività domestiche, per lo più ricavandone ansia e frustrazione.

Non esistono vacanze per la famiglia di un bambino autistico, ammalarsi è un lusso, riposarsi impossibile; la fatica è schiacciante, e i rapporti familiari ne sono ben presto incrinati.

La madre, per mancanza di aiuti adeguati, deve per lo più rinunciare al lavoro.

La fatale conseguenza di tutte queste difficoltà è l’isolamento sociale della famiglia e del bambino stesso, a dispetto di una legge quadro che dovrebbe garantire l’integrazione sociale della persona handicappata.

 

POSSIBILI INTERVENTI SULLA FAMIGLIA

La famiglia è il primo ambiente sociale in cui ogni bambino si trova a vivere: l’integrazione nella vita di famiglia è perciò il primo scopo d a perseguire in un programma di riabilitazione e integrazione della persona autistica.

Aiutare il bambino a sviluppare capacità interessi e relazioni nell’ambito familiare si traduce in un miglioramento della vita presente e futura della famiglia e del bambino stesso: il benessere dell’uno è indissolubile da quello dell’altra.

Nessun genitore può assistere passivamente allo sviluppo del proprio bambino; un programma di intervento dovrebbe non solo essere preparato tenendo conto della conoscenza profonda che ogni famiglia h a del proprio figlio, delle esigenze e dello stile di vita familiari, ma anche prevedere una partecipazione della famiglia stessa come partner essenziale nella preparazione ed esecuzione del progetto.

A questo scopo sarebbe opportuno offrire alla famiglia un supporto individualizzato a partire dai suoi bisogni e dalle sue potenzialità.

 

FORME DI SUPPORTO ALLA FAMIGLIA

1) Informazione

Una corretta informazione sulle caratteristiche della sindrome autistica è il primo passo per aiutare i genitori a comprendere e affrontare efficacemente i problemi del loro bambino.

Colpevolizzare la madre o anche solo tacere su un dubbio che la diagnosi stessa può portare con sè è inaccettabile, sgombrare il campo da sensi di colpa assurdi e anacronistici é doveroso e non può che tradursi in u n miglioramento dei rapporti familiari e conseguentemente in un a maggiore serenità del bambino stesso.

Tuttavia accettare l’idea dell’handicap del proprio bambino, quando si era sperato di poter cambiare tutto semplicemente cambiando se stessi, può essere traumatizzante, e soprattutto la comunicazione di alcune caratteristiche utili più che altro come strumenti operativi, in particolare della coesistenza di ritardo mentale, può essere percepito negativamente in consonanza col senso comune, e difficile da accettare se non si ha ben chiara la differenza fra capacità, intelligenza e sensibilità, e il rispetto dovuto in ogni caso ad ogni persona umana.

2) Formazione e addestramento

"Il bambino non mi guarda, non mi obbedisce, si comporta come se neanche esistessi o addirittura sembra burlarsi di noi. Come dobbiamo comportarci con lui?"

A questa domanda molti professionisti rispondono "Fate semplicemente i genitori".

Ma "fare i genitori" di un bambino autistico non è affatto semplice, s e non si viene messi a conoscenza su come è possibile ottenere attenzione e collaborazione, e se non si sanno affrontare nel modo giusto i problemi di comportamento, oggi interpretati come espressione dell’incapacità ad esprimere i propri bisogni e desideri.

La famiglia, si vede quindi costretta ad informarsi autonomamente e rischia di perdersi in una miriade di informazioni e tentativi, mentre dovrebbe essere adeguatamente preparata ad intervenire efficacemente nell’educazione del proprio figlio, e ad adottare altre forme di comunicazione, attraverso la preparazione congiunta da parte di professionisti e familiari di un programma da svolgere a casa con l’aiuto di controlli periodici, o almeno tempestivamente e costantemente informata delle modalità degli apprendimenti raggiunti al di fuori dell’ambito familiare.

Un intervento attivo della famiglia nel campo della autonomie di base e della comunicazione permetterebbe di dedicare più tempo nell’ambito extrafamiliare     ad     interventi     di     altro      tipo ( rieducazione in campo motorio e cognitivo).

Il coinvolgimento attivo della famiglia in un adeguato programma riabilitativo rappresenta inoltre l’aiuto più efficace a superare sensi di colpa e di inadeguatezza: attraverso il ruolo di partner di educatori e insegnanti i genitori si appropriano degli strumenti indispensabili per svolgere il proprio ruolo e riacquistano fiducia nelle proprie capacità.

3) Pianificazione e assistenza

L’angoscia della famiglia per l’incertezza del futuro del proprio bambino dovrebbe essere alleviata da una precoce programmazione del suo futuro: sapere che il bambino frequenterà una scuola materna e una scuola dell’obbligo come tutti gli altri bambini, seguito da persone competenti, prontamente disponibili e il più possibile stabili, realmente interessate al problema e motivate ad intervenire all’unisono con i familiari per sviluppare al massimo le potenzialità del bambino può rappresentare un enorme sollievo.

La formazione di personale sanitario e scolastico competente è perciò u n aiuto indispensabile non solo per il bambino, ma anche per la famiglia.

Resta purtroppo per ora irrisolto il problema della vita da adulto della persona autistica, e sarebbe doveroso fin dall’infanzia del bambino prospettare soluzioni dignitose e qualificate in vista del venir meno dell’aiuto familiare.

Accettare un figlio handicappato ma con una strada futura già delineata sarebbe assai più facile e certamente la qualità della vita familiare n e sarebbe molto migliorata.

4) Coordinamento dei servizi

Benchè la legge quadro sull’handicap preveda che tutte le istituzioni ( sanità, scuola, assistenza) debbano farsi carico dell’integrazione della persona handicappata, nella realtà spesso ognuna interviene in modo autonomo non sempre coerente, e la famiglia deve farsi carico di sollecitare incontri o trovare attività di tempo libero.

I bambini autistici si possono ammalare come tutti gli altri bambini, m a anche le necessità sanitarie costituiscono un problema per la famiglia della persona autistica, per la difficoltà diagnostica da parte di medici che non conoscano l’handicap o per la mancanza di strutture ospedaliere attrezzate per operare su questi soggetti: allo stress della malattia si aggiunge quindi l’ansia di trovare un intervento adeguato.

Sarebbe quindi opportuno individuare un responsabile che garantisca la coerenza degli interventi educativi in un programma globale, e individui in caso di necessità i professionisti e le strutture più adatte ad intervenire in caso di malattia.

5) Aiuto sociale ed emotivo

La famiglia del bambino dovrebbe essere aiutata a mantenere il più possibile il tipo di vita e la relazioni sociali precedenti alla nascita del bambino autistico: questo significa poter disporre dell’aiuto di personale competente che permetta ai genitori di disporre del tempo per coltivare relazioni sociali e alla madre di conservare il posto di lavoro messo seriamente in pericolo dalla mancanza di una presa in carico efficace del bambino. In ogni caso la famiglia ha bisogno di spazi di libertà: infatti non bisogna dimenticare che anche i fratelli del bambino autistico hanno diritto alle cure dei genitori, che come in tutte le altre famiglie possono intervenire malattie o doveri di assistenza verso i parenti anziani, e che il bambino autistico non deve essere il fulcro, ma uno dei componenti della famiglia. Anche la vita di coppia deve poter essere coltivata, e nell’ambito del programma individualizzato del bambino sarebbe opportuno prevedere brevi periodi di vacanza in un ambiente adeguato e preparato in modo da garantire il giusto riposo necessario alla famiglia per "ricaricarsi" e trovare nuove energie per affrontare la vita quotidiana. La solidarietà e la comprensione che si possono trovare nell’ambito delle Associazioni dei familiari non dovrebbero sostituirsi alla possibilità di mantenere relazioni e interessi al di fuori del problema autismo, per non diventare una ulteriore fonte di emarginazione della famiglia.

Un aiuto concreto a mantenere la vita di relazione, una prospettiva dignitosa seppur impegnativa per il futuro, una chiara dimostrazione di fiducia da parte degli operatori, la disponibilità ad una accoglienza competente e serena da parte della strutture preposte all’inserimento sociale della persona autistica costituiscono inoltre il più valido aiuto emotivo per la famiglia.

 

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