Percorsi di trattamento neuropsicomotorio al momento dell’emergenza Covid: terapia mediata dal genitore con utilizzo di videofeedback; intervento in età scolare; trattamento che diventa accompagnamento verso l’età adulta

INDICE PRINCIPALE

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LORENZO: LA TERAPIA MEDIATA DAL GENITORE CON UTILIZZO DI VIDEOFEEDBACK

Il caso che verrà ora descritto è quello di un bambino il cui intervento in presenza è stato sospeso dopo soli due mesi dall’inizio ed è proseguito a distanza con coinvolgimento del genitore e intervento indiretto sul bambino. Durante il periodo del lockdown, è stata mantenuta una cadenza settimanale degli incontri, durante i quali la mamma e la terapista si sono confrontate su diverse tematiche utilizzando il supporto di video. La mamma, infatti, mandava durante la settimana dei filmati di momenti di gioco con il figlio, che venivano poi analizzati dalla terapista e revisionati insieme utilizzando la tecnica del videofeedback.

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RACCOLTA ANAMNESTICA

L. esegue una prima visita neuropsichiatrica all’interno del servizio pubblico su suggerimento delle educatrici dell’asilo nido, per difficoltà di interazione con i pari e di linguaggio.

Anamnesi

L. nasce nell’aprile 2017 da parto eutocico alla 37+5 SG.

Anamnesi familiare: L. è il primogenito di madre e padre di origini italiane, vissuti in Venezuela fino al settimo mese di gravidanza. In famiglia viene parlata prevalentemente la lingua spagnola, ma entrambi i genitori comprendono e parlano fluentemente l’italiano.

Vengono segnalati dei cugini in linea materna con ritardo nell’acquisizione del linguaggio. Non vengono riferite altre patologie degne di nota o deficit sensoriali.

Anamnesi fisiologica: la gravidanza, in seguito a fecondazione in vitro, ha un decorso fisiologico. Il parto è eutocico e avviene alla 37+5 SG. Il peso alla nascita è di 3610 grammi. La perinatalità è regolare e le dimissioni avvengono in terza giornata. L’alimentazione prevede allattamento materno esclusivo fino al 9° mese, con svezzamento abbastanza veloce. Viene riferita una buona tolleranza per tutti gli alimenti, fatta eccezione per un breve periodo nel luglio 2019 (2 anni e 3 mesi) durante il quale L. era diventato più selettivo, non assaggiava alimenti nuovi e mangiava meno del solito.

La deambulazione autonoma viene acquisita ai 13 mesi.

La lallazione compare tra i 9 e i 10 mesi, le prime parole sono riferite ai 12 mesi.

A 2 anni e mezzo viene inserito all’Asilo Nido per mezza giornata, con interruzione successiva causa emergenza Covid-19.

Anamnesi patologica: niente di rilevante.

Valutazione neuropsichiatrica

Alla valutazione neuropsichiatrica, avvenuta in dicembre 2019 presso il Servizio di Neuropsichiatria Infantile, vengono evidenziate competenze comunicative immature. Comprende ordini semplici e contestualizzati. La produzione è limitata a rare parole e accompagna il gioco con suoni adeguati per l’aspetto soprasegmentale.

Indica ed osserva in viso l’interlocutore. Il gioco è prevalentemente imitativo. È molto sensibile ai divieti e alle frustrazioni (ricerca la vicinanza della mamma e piange). Vengono ipotizzati un disturbo del linguaggio espressivo in bambino esposto a bilinguismo ed una immaturità nella regolazione delle emozioni.

La Neuropsichiatra suggerisce di intraprendere un trattamento logopedico e neuropsicomotorio. Richiede inoltre una valutazione audiologica (esame audiometrico, impedenzometria e visita ORL). Vengono forniti ai genitori dei suggerimenti finalizzati al sostegno del linguaggio.

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PERCORSI DI TRATTAMENTO AL MOMENTO DELL’EMERGENZA

Inizia il trattamento logopedico con una professionista che esercita in regime privato nel mese di febbraio 2020, ma il percorso viene interrotto dopo due incontri a causa dell’emergenza COVID-19 e ripreso poi direttamente nel mese di luglio, senza contatti intermedi per avviare una presa in carico a distanza.

Il trattamento neuropsicomotorio prende avvio nel mese di gennaio 2020 presso la Cooperativa Sociale Jonathan, dopo alcuni incontri di osservazione-valutazione, con la presenza della mamma in stanza, durante i quali vengono rilevati diversi elementi circa il profilo di funzionamento del bambino. Tali elementi permettono di stilare un progetto riabilitativo sulla base dei bisogni rilevati.

Osservazione psicomotoria

L’osservazione neuropsicomotoria viene svolta seguendo come traccia la “Scheda di osservazione psicomotoria” tratta da “Il contratto terapeutico in terapia psicomotoria. Dall’osservazione al progetto” [Berti E., Comunello F., Savini P., (2001)]. Viene ora riportata la sintesi delle osservazioni. (allegato 1)

Struttura sensomotoria

Il tono di base di L. è tendenzialmente basso, con accentuato aumento nei momenti di emozione (saltella sul posto, batte le mani o le dondola, vocalizza con tono di voce molto alto). La regolazione avviene attraverso la mamma, che è lui stesso a ricercare. La voce è molto presente nell’azione, con vocalizzi acuti e poco modulati.

Esplora gli oggetti con vista e tatto, sperimenta in modo spontaneo, attraverso la manipolazione, incastri, travasi ed equilibri/disequilibri. Ricerca e richiede inoltre giochi sensomotori passivi di disequilibrio (dondolamenti, trascinamenti, cadute).

Le reazioni a stimoli sonori non sono sempre costanti, ma si evidenzia una maggiore risposta a stimoli gravi.

Dal punto di vista motorio-prassico, vengono evidenziate buone capacità nell’ambito degli schemi di movimento e della motricità globale, adeguate risultano anche la coordinazione occhio-mano e le prassie ideomotorie semplici. La capacità manipolativa è invece influenzata dal tono tendenzialmente basso: non manipola materiale plastico, lo tiene tra le mani per farlo rotolare o lanciarlo.

Discriminazione e memoria

Dopo aver manipolato gli oggetti, L. dimostra un interesse per la loro classificazione: tende a selezionare e separare gli oggetti per colore, dimostrando inizialmente fatica ad accettare di usarli insieme.

Preferisce riproporre situazioni e giochi già sperimentati e conosciuti in prima persona o imitando azioni compiute in precedenza dall’altro.

Necessita della presenza dell’adulto per costruire un gioco e portarlo avanti nel tempo. Da solo, tende a passare da un’attività all’altra se incontra con lo sguardo qualcosa che lo attira. Se viene ingaggiato in un’attività condivisa per lui interessante, riesce a portarla avanti anche per lungo tempo.

Adeguamento

L. dimostra un aumento tonico nelle situazioni emotivamente cariche, ma anche competenze di adattamento tonico-posturale all’altro (mamma), che ricerca attivamente attraverso il contatto visivo e corporeo per essere facilitato nella regolazione.

Fatica nelle transizioni e nei passaggi da un’attività all’altra, in questi casi dimostra una scarsa tolleranza alla frustrazione. Allo stesso modo, si evidenzia una ridotta accettazione delle regole e una minima tolleranza ai “no”. Se aiutato nella regolazione, risulta poi facilmente agganciabile alla proposta successiva. Allo stesso modo, fatica inizialmente ad accettare variazioni di gioco condiviso, ma se sostenuto dall’adulto riesce a trovare interessante anche la proposta di nuove modalità di gioco.

Comunicazione e relazione

L. è molto attento all’altro che spesso imita nelle azioni, riproponendole anche a distanza di tempo. Richiede la presenza dell’altro utilizzando lo sguardo, i vocalizzi e le produzioni verbali monosillabiche, portando l’oggetto all’adulto o accompagnandolo in direzione dell’oggetto stesso. Utilizza inoltre molto il canale non verbale per esprimere intenzioni e richieste (gesti, variazioni della mimica, variazioni della prosodia).

Sono presenti rare produzioni spontanee monosillabiche e bisillabiche duplicate, non sempre inerenti al contesto. Si registrano tentativi di imitazione della produzione dell’adulto, caratterizzati da semplificazioni non stabili sul piano articolatorio, ma più vicini al target rispetto a quelli spontanei (atuto/oto per aiuto). Comprende frasi semplici, richieste verbali contestualizzate e segni gestuali. Risponde con sì/no, mimica, vocalizzi e gesti.

Sintesi delle osservazioni

Gli elementi di maggiore rilievo emersi dall’osservazione-valutazione risultano essere:

  • Adeguate competenze motorio-prassiche globali, ma ridotte competenze manipolative e di motricità fine, caratterizzate da una difficoltà di modulazione tonica;
  • Repertorio di gioco limitato, con tendenza a riproporre in modo rigido attività già sperimentate e conosciute o a passare velocemente da un’attività all’altra;
  • Difficoltà nella regolazione emotiva e ridotta tolleranza della frustrazione (difficoltà ad accettare cambiamenti, variazioni e “no”);
  • Produzione verbale estremamente limitata (mono/bisillabica), non sempre coerente con il contesto;
  • Comprensione di frasi semplici, richieste verbali contestuali e segni gestuali.

Progetto riabilitativo e intervento in presenza

In seguito all’osservazione, vengono individuate come aree di maggiore fragilità quelle legate alla regolazione emotiva, alla permanenza nelle attività e all’iniziativa e variazione di proposte e attività.

Queste fragilità, associate alle difficoltà emerse in ambito familiare ed educativo circa il rispetto delle regole e la tolleranza delle frustrazioni, portano alla decisione di intraprendere un percorso terapeutico con il coinvolgimento della mamma presente in stanza. Durante le sedute, la terapista guida la mamma all’acquisizione di adeguate modalità di relazionarsi con il bambino, finalizzate alla sua evoluzione.

Vengono quindi individuati i seguenti obiettivi:

  1. Favorire la pianificazione e l’organizzazione dell’azione
    • Aumentare i tempi di permanenza nell’azione. Perché questo obiettivo venga raggiunto, è importante favorire il rallentamento dei tempi del bambino attraverso il rallentamento dei tempi di chi si relaziona con lui. Sarà in particolare importante guidare la mamma ad acquisire una consapevolezza sull’importanza dello stare in situazione, del non essere troppo veloce a introdurre cambiamenti e nuove proposte e dell’allungare i tempi di attesa. Sarà inoltre importante sfruttare la ripetizione con variazioni, in modo da motivare il bambino a permanere in una stessa attività per durate maggiori, riducendo però le caratteristiche di rigidità e ripetitività.
    • Ampliare le esperienze, le proposte di gioco e la variabilità delle stesse. Per raggiungere questo obiettivo,  è  fondamentale  partire dalla spontaneità del bambino e dalle proposte che lui porta, per inserirvisi progressivamente e portare ad una sempre maggiore variabilità e complessificazione. A tal fine, è utile sfruttare l’imitazione del bambino, in modo da restituire un senso di efficacia alle sue azioni attraverso il loro riconoscimento e la loro valorizzazione. Nel momento in cui egli riconosce il gioco condiviso, si possono inserire delle variazioni sui materiali o sulle modalità, finalizzate all’ampliamento delle attività sperimentate e accettate. Per fare un esempio, partendo da una proposta del bambino, come quella di costruire una torre con i cubi per distruggerla, si può portarlo ad introdurre delle variazioni, come costruire un muro per distruggerlo e poi costruire un muro per nascondervisi dietro. A tal proposito, potrebbe inoltre essere utile tenere un “libro delle sedute” in cui poter inserire, al termine di ogni seduta, delle immagini o dei disegni rappresentanti le attività svolte. In questo modo, durante gli incontri successivi il bambino potrà avere a disposizione un repertorio variegato di attività e giochi già sperimentati tra cui poter scegliere.
    • Sviluppare la capacità di progettazione. A tal fine, è utile non anticipare il bambino nel momento della pianificazione di un’attività, fornendogli giochi già preparati, ma accompagnarlo nella costruzione e nella programmazione, lasciando spazio alla sua iniziativa ed eventualmente inserendo delle variazioni per guidarlo, riprendendo se necessario le attività presenti nel “libro delle sedute” e introducendo delle piccole variazioni.
  2. Favorire lo sviluppo delle competenze comunicativo-relazionali
    • Sviluppare una maggiore efficacia comunicativa. A tal fine, è fondamentale non anticipare il bambino nel soddisfacimento dei suoi bisogni, ma aspettare che si attivi e ricerchi delle modalità di espressione adeguate e funzionali a farsi capire dall’altro. Lasciando infatti della pause, il bambino sarà maggiormente motivato a trovare delle strategie di espressione efficaci.
    • Favorire lo sviluppo del linguaggio. Risulta importante, per favorire L. nell’acquisizione di un linguaggio verbale maggiormente adeguato, modulare il linguaggio con lui utilizzato. Innanzitutto, è utile che i genitori gli si rivolgano utilizzando un solo idioma, in modo da favorirlo nell’acquisizione delle etichette verbali. Inoltre, è importante rivolgersi a lui utilizzando un linguaggio semplice e chiaro, tarato sulle sue attuali competenze. Questo significa che, considerando il livello del bambino che utilizza al momento parole-frasi, è necessario rivolgersi a lui utilizzando frasi composte da due parole (sostantivo + verbo, sostantivo + aggettivo). In questo modo, il bambino è favorito nell’acquisire le competenze immediatamente successive a quelle attuali. Risulta inoltre utile utilizzare etichette ad alta frequenza, in modo da guidarlo nell’acquisizione adeguata dal punto di vista fono-articolatorio di queste. Per motivarlo ad utilizzarle, si possono rivolgere al bambino delle richieste che presuppongono come risposta la ripetizione del termine, come nelle richieste di scelta (ad esempio: “Vuoi mela o pera?” il bambino dovrà necessariamente utilizzare un termine tra i due per rispondere). Questo processo può avvenire nella quotidianità e all’interno delle cornici di gioco.
    • Potenziare le abilità sociali e il senso di reciprocità all’interno di cornici di gioco condiviso. È importante guidarlo all’acquisizione di una migliore comprensione dell’alternanza dei turni e del rispetto dei tempi, proponendo giochi che richiedano la presenza dell’altro per essere portati avanti, ma che allo stesso tempo necessitino di un’alternanza di turni e ruoli (giochi strutturati, ma anche giochi corporei interattivi).
  3. Favorire l’evoluzione della regolazione emotiva e dell’adeguamento rispetto all’altro e all’ambiente
    • Sviluppare una maggiore capacità di modulazione e regolazione emotiva Essendo la modulazione tonica maggiormente critica nelle situazioni ad alta carica emotiva, risulta fondamentale per la terapista e soprattutto per la mamma riuscire ad identificare quando l’attivazione emotiva è eccessiva e modulare le proposte di conseguenza. Risulta quindi importante leggere le reazioni emotive del bambino in situazioni troppo coinvolgenti e modulare la proposta in modo da favorire la sua regolazione. Per fare un esempio concreto, si può pensare ad un gioco in cui la mamma si nasconde e ricompare poi dicendo qualcosa ad alta voce. Una situazione di questo tipo sarebbe senz’altro troppo attivante dal punto di vista emotivo, comportando una forte disregolazione nel bambino. La proposta potrebbe quindi essere modulata riducendo il timore della “scomparsa della mamma” (la mamma nasconde solo il volto ma tutto il resto del corpo rimane visibile al bambino) o minimizzando la paura dovuta all’elevato tono di voce (quando ricompare, la mamma utilizza un tono di voce più basso e più grave).
    • Favorire il riconoscimento e l’accettazione delle regole provenienti dall’altro e dal contesto. Per tale obiettivo, è fondamentale che la madre riconosca l’importanza del riuscire a mantenere una coerenza nell’ambito delle regole. Questo significa stabilire poche regole chiare, riuscire a mantenerle e a portarle avanti nel tempo, non cedendo alle provocazioni o ai tentativi di metterle alla prova. In questo modo, il bambino comprenderà di non poter transigere su alcuni aspetti e accetterà sempre più facilmente le regole e i “no” stabiliti dall’adulto.

Vengono inoltre perseguiti degli obiettivi rivolti direttamente alla mamma, mirati a potenziare i suoi strumenti per costruire un’interazione positiva efficace con il bambino, che ne favorisca l’evoluzione:

  • Favorire una maggiore modulazione tonica nell’interazione con il bambino;
  • Favorire una maggiore chiarezza comunicativa, mantenendo la coerenza tra linguaggio, richieste ed intenzioni;
  • Lasciare spazio all’iniziativa del bambino.

Durante le sedute, la mamma si dimostra sempre attenta a ciò che la terapista suggerisce e propone e segue in modo adeguato e funzionale le iniziative e le modifiche che lei apporta alle attività del bambino. Si dimostra quindi particolarmente ricettiva a ciò che la terapista propone, ma risulta essere ancora piuttosto dipendente dalla presenza della professionista. Fatica infatti a promuovere in autonomia delle iniziative adeguate.

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TRATTAMENTO A DISTANZA

Il percorso neuropsicomotorio viene interrotto dopo due mesi, a marzo 2020, a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19, viene ripreso a distanza nell’aprile 2020 e di nuovo in presenza nel luglio 2020.

Durante il periodo di chiusura, viene proposto ai genitori di iniziare un percorso di coaching online attraverso l’analisi di brevi video di momenti di gioco inviati dalla mamma durante la settimana. Gli incontri seguono una cadenza settimanale. Di volta in volta vengono individuati da mamma e terapista dei micro obiettivi di lavoro durante i quali la mamma si focalizza nei momenti di gioco con L., revisionandoli poi insieme alla terapista durante l’appuntamento successivo.

Questo cambiamento di percorso ha portato alla necessità di modificare gli obiettivi e il progetto riabilitativo precedentemente stabiliti. Mentre gli obiettivi precedi erano infatti finalizzati all’evoluzione funzionale del bambino, i nuovi sono primariamente rivolti alla mamma e al far emergere in lei competenze e strategie adeguate alla costruzione di momenti di interazione positiva con il bambino, in rapporto alle sue necessità.

In particolare, sono state affrontate con la mamma diverse tematiche:

  • Osservare le posture della mamma per favorire l’interazione con il bambino;
  • Creare momenti di gioco che favoriscano l’attenzione congiunta;
  • Creare dei turni nel gioco per favorire l’alternanza e la collaborazione;
  • Inserire dei tempi di attesa, per favorire l’iniziativa e l’espressione verbale;
  • Utilizzare il linguaggio come modello per integrare la comunicazione gestuale;
  • Aumentare i tempi di attesa in seguito ad un problema o ad una frustrazione, per favorire il bambino nella ricerca di una soluzione alternativa o nel formulare una richiesta;
  • Differenziare i momenti di gioco dalle altre situazioni in modo da facilitare la comprensione delle diverse regole legate al variare dei contesti;
  • Partire dall’iniziativa spontanea del bambino nella costruzione di un gioco condiviso;
  • Favorire il collegamento tra parola e azione con l’uso di un linguaggio semplice e legato ad azioni/oggetti presenti;
  • Favorire la manipolazione, la  modulazione  tonica,  la  coordinazione occhio-mano e le abilità manuali (forbice, pennello, pennarello).

Dalla lettura degli obiettivi, si nota come quelli riferiti al periodo di riabilitazione a distanza appaiano molto più specifici e concreti. Normalmente, infatti, la terapista individua dei macro obiettivi generali che declina in obiettivi specifici e concreti nella pratica. Il confronto settimanale con la mamma ha invece richiesto l’esplicitazione anche dei micro obiettivi per poter evidenziare i cambiamenti in una sola settimana, ragionare concretamente con lei su cosa è cambiato e su quali possano essere i micro obiettivi successivi. Questi devono essere sufficientemente semplici, chiari e concreti da essere facilmente comprensibili dalla mamma e da poter essere tenuti in considerazione durante i momenti di gioco quotidiani.

Il trattamento mediato dalla madre ha visto un lavoro prioritario sugli elementi dell’interazione e della relazione con l’altro, elementi critici emersi già al momento dell’invio da parte delle educatrici dell’asilo nido. Il papà non ha potuto essere partecipante attivo al progetto di intervento a distanza, in quanto bloccato all’estero per tutto il periodo di lockdown. La mamma riferiva tuttavia di condividere con il padre il lavoro che veniva svolto.

Durante i primi incontri, si è cercato di favorire nella madre la consapevolezza del suo stile relazionale e della comunicazione non verbale, con particolare interesse alle posture come mediatori funzionali nell’interazione con l’altro. Questo ha portato ad una riflessione suoi modi d’azione e di interazione, funzionale al loro controllo ed eventualmente alla modifica.

Acquisita una consapevolezza sufficiente da parte della mamma, si è cominciato ad introdurre obiettivi più specifici rivolti direttamente al bambino e ai suoi bisogni. In primo luogo, ci si è concentrati sugli aspetti relazionali di attenzione all’altro, condivisione e collaborazione. Raggiunti presto buoni risultati su questo piano, il focus dell’intervento è passato alla regolazione emotiva (tolleranza alla frustrazione, rispetto delle regole), allo sviluppo del linguaggio e all’evoluzione della motricità fine. L’individuazione degli obiettivi avviene ad ogni incontro, assecondando le richieste della mamma nei confronti di ciò che lei percepisce essere le maggiori difficoltà del bambino. Il compito della terapista in questo caso è di verbalizzare e di rendere chiaro alla mamma ciò che lei percepisce come sensazioni e guidarla, fornendole dei suggerimenti concreti di possibili attività da svolgere insieme.

Gli incontri di confronto tra mamma e terapista seguono quasi sempre lo stesso schema. Durante la settimana precedente all’incontro, la mamma si impegna a creare dei momenti di interazione e gioco con il figlio, cercando di seguire i suggerimenti dati precedentemente dalla terapista, registra i giochi e condivide con la terapista i video, della durata di circa cinque minuti. La terapista, dal canto suo, si impegna, una volta arrivati i video, ad osservarli in autonomia per cogliere i particolari di maggiore rilievo da riportare poi alla madre come nuovi spunti di riflessione e come indicatori dell’evoluzione del bambino.

Ogni incontro inizia con un breve momento di confronto tra mamma e terapista, quest’ultima si informa sull’andamento della settimana. In questo momento, è più spesso la mamma a portare le problematiche incontrate nelle proposte di gioco o nella quotidianità in casa con il bambino.

Segue poi un confronto circa le attività suggerite e gli obiettivi che erano stati individuati durante l’incontro precedente. A supporto, vengono riguardati insieme i video e la terapista si sofferma su ciò che aveva precedentemente individuato come elementi salienti della sequenza. Cerca inoltre di verbalizzare ciò che la mamma aveva riportato poco prima e ciò che non riesce bene a comprendere, evidenzia ciò che ha funzionato e riflette insieme alla mamma su come si potrebbe agire in modo alternativo per modificare ciò che invece non ha funzionato. Perché questo sia effettivamente efficace, non si limita a commentare e riportare ciò che osserva, ma ferma i frammenti di immagini e chiede a lei cosa ha notato e le motivazioni per cui secondo lei ciò si è verificato. In questo modo, la mamma si trova a riflettere su cosa è avvenuto e sui comportamenti propri e del figlio, facendo propri i suggerimenti della terapista. Se la professionista si limitasse a descrivere e a spiegare lei stessa, la madre faticherebbe molto di più a rendersi conto di cosa è avvenuto e a eventualmente riproporre le attività in modo efficace e funzionale all’evoluzione del bambino.

Al termine dell’incontro, la mamma riporta ciò che sono per lei le difficoltà maggiori e gli aspetti prioritari. La terapista si occupa quindi di individuare gli obiettivi di lavoro per l’incontro successivo, che vengono poi modulati, e di fornire delle strategie per riuscire a lavorarvi e creare un’evoluzione.

La madre diventa più consapevole di sé, dei propri strumenti e delle attività che può fare con il proprio figlio. Il bambino ha la possibilità di sperimentarsi in attività pensate per essere alla sua portata e per favorire il suo sviluppo su diversi piani.

Durante gli incontri, si evidenziano tuttavia anche alcune criticità. Quella più evidente è legata alle problematiche di connessione a internet. Spesso infatti si creano incomprensioni legate al malfunzionamento dell’audio o del video. Anche le spiegazioni e le dimostrazioni pratiche da parte della terapista risultano difficoltose in quanto è limitato un elemento chiave della comunicazione, ovvero quello non verbale. Per quanto possibile, la professionista cerca comunque si sopperire a tali difficoltà preparandosi vicino gli oggetti e gli strumenti che potrebbero servirle per chiarimenti o dimostrazioni pratiche.

Esempi di incontri

I primi incontri sono stati i più difficili per la mamma, in quanto ha dovuto mettersi in gioco in un modo per lei nuovo. La terapista ha cercato di guidarla ad uscire dagli schemi di gioco tipici dell’adulto, in favore del riconoscimento e dell’inserimento nel gioco spontaneo del bambino. La mamma tendeva infatti a proporre giochi molto strutturati, molto complessi, che riprendevano le attività e i giochi che normalmente fanno gli adulti (es: preparare pizza e gnocchi con il pongo e fingere di mangiarli, giocare a bowling, pescare con i magneti). Tendeva inoltre spesso a osservare, commentare o organizzare ciò che L. faceva, senza creare realmente un gioco condiviso. Dopo averle suggerito di provare ad inserirsi maggiormente nel gioco spontaneo di L., la mamma ha cercato di introdurre giochi che prevedevano l’utilizzo di materiali per lui interessanti (macchinine e piste, palline).

Sono stati selezionati in particolare due incontri che dimostrano in modo chiaro l’evoluzione della mamma nella costruzione dei momenti di gioco e le conseguenze che questa ha nella partecipazione alla relazione e al gioco da parte del bambino.

Il primo incontro verrà descritto trascrivendo alcune parti della conversazione avvenuta tra mamma e terapista e narrandone invece altre. Questa scelta è legata alla volontà di enfatizzare alcuni elementi che emergono durante la conversazione e l’approccio che la terapista utilizza per favorire le riflessioni da parte della mamma.

Del secondo incontro, verrà invece riportata la descrizione di un frammento di video inviato dalla mamma alla terapista. Il breve video verrà analizzato con la tecnica della “microanalisi”, descritta nel capitolo precedente tra le competenze specifiche del Terapista della Neuro e Psicomotricità. Questa scelta è legata alla volontà di evidenziare in modo specifico i cambiamenti che sono avvenuti nell’iniziativa e nel gioco spontaneo del bambino, nel loro riconoscimento da parte della mamma, nell’alternanza del turno e nella costruzione di una narrazione simbolica condivisa.

I temi affrontati nei due incontri si possono in parte sovrapporre, ma vengono sviluppati in modo molto diverso.

Il primo incontro qui riportato avviene il 27 aprile. Si evidenziano diversi elementi che denotano il tentativo della mamma di seguire i suggerimenti della terapista circa il gioco spontaneo, l’interazione e la condivisione del gioco. Allo stesso tempo, però, la mamma riporta le difficoltà da lei incontrate nel creare un gioco adatto, che li interessasse e divertisse.

[Lorenzo e la mamma iniziano un gioco che prevede l’utilizzo di una pista elettrica per macchinine. Entrambi hanno a disposizione un secchio di palline. Le macchinine vengono utilizzate per mandarsi reciprocamente le palline che l’altro richiede, facendole spingere da una macchinina elettrica. Le palline assumono un significato simbolico, quindi le palline arancioni diventano arance, quelle gialle limoni e quelle viola mirtilli.] Mamma: “Dovevamo lavorare sul mantenimento dei turni e ho pensato che questo gioco fosse l’ideale per fargli rispettare il suo turno, che lui non possa continuare a giocare se io non faccio la mia parte e così. Lui prende spesso le macchinine e la pista per giocare, io ho aggiunto la parte delle palline”

Terapista: “Lei come ha sentito questo gioco rispetto a quello delle altre volte?”

M: “È stato tranquillo, gli è piaciuto però forse non si è divertito tanto… non so perché, è stato concentrato, ha giocato, lo ha portato avanti, ma non era divertito come le altre volte”

T: “Anche secondo me era molto concentrato in quello che stava facendo, quindi forse questa attenzione ha portato un po’ in secondo piano la parte più di piacere e di divertimento, di empatia ed emozione. C’erano anche tante richieste: scegliere che palline mandare, guardare il colore, trovare dove posizionarle. Lo hanno impegnato su un piano di attenzione e lei si è sentita di doverlo coinvolgere di più, giusto?”

M: “Sentivo che rispondeva, era coinvolto nel gioco, però non era divertito, non rideva da matti come le altre volte che ride tanto”

T: “Come l’ha vissuta?

M: “Abbastanza con tranquillità, non si può essere sempre al massimo del divertimento. Ci vogliono momenti tranquilli ogni tanto, no?”

T: “Certo, però sa se alle volte vediamo una risposta meno entusiasta di quella che ci aspettiamo, tendiamo ad enfatizzare per cercare di tirarci dietro l’altro, cerchiamo di compensare. Se l‘è sentito?”

M: “Sì, è vero... Dicevo le cose con tono scherzoso e allegro per coinvolgerlo, è vero”

Mamma e terapista guardano insieme il video del gioco e la terapista evidenzia la molteplicità di elementi che il bambino doveva avere sotto controllo e gestire (colori, macchinine, numero delle palline, rumori, luci, movimento del treno). Viene chiarito come questo effettivamente faccia venire meno la relazione, come si guardino meno tra di loro e come questo può aver causato ciò che la mamma aveva percepito come mancanza di partecipazione. In realtà, lui ha partecipato molto al gioco con gli oggetti, ma meno alla relazione. Viene quindi riportata l’attenzione su quello che era l’obiettivo fissato: incoraggiare la relazione, il fare insieme. In questo caso, invece, entrambi erano molto focalizzati sulla performance.

Terapista e mamma riflettono poi sul tempo delle azioni: entrambi mantengono un ritmo molto veloce negli scambi e nelle risposte. Questo non aiuta il bambino nel trovare strategie risolutive nuove. Per favorirlo in questo, gli si può chiedere “Cosa possiamo fare?”, in questo modo egli sente di non essere solo, ma al contempo ha modo di prendersi il suo tempo per pensare e trovare una soluzione alternativa al problema.

Dall’osservazione del video, emerge un elemento che origina un confronto tra mamma e terapista circa diverse tematiche. Durante il gioco, infatti, la mamma chiede al bambino di mandargli un limone e lui carica la macchina con una pallina “Azul” (=blu). Vedendola arrivare la mamma prende una sua pallina blu dal suo secchio e dice “Un altro mirtillo! No, il mirtillo no!” e lancia la propria pallina via. Quando arriva però la pallina da parte di L., la prende e finge di assaggiarla (la porta vicino alla bocca, finge di dare un morso e masticare), dicendo poi “Ah ma è buono, mi piace, sì.”.

Dopo aver interrotto il video a questo punto, la terapista chiede alla mamma quali altre cose avrebbe potuto fare in quel momento. Verbalizza che probabilmente si era sentita in difficoltà perché aveva chiesto altro, quindi istintivamente aveva detto che non andava bene, se ne era poi pentita ed aveva cercato una strategia per modificare la situazione. La mamma conferma questa teoria, spiegando di aver voluto dimostrare al bambino di accettare la variabilità e la flessibilità, dimostrando concretamente di essere disposta ad assaggiare cose che non si conoscono, senza rifiutarle a prescindere. La riflessione verte quindi ora sull’effettiva difficoltà di L. ad accettare le variazioni, con la tendenza ad essere piuttosto rigido. Per questo motivo, l’intuizione della mamma circa l’accettazione della variabilità è stata senz’altro ottima. Tuttavia, sarebbe stato maggiormente efficace avere una comunicazione coerente e quindi più chiara per il bambino. Importante in queste situazioni è infatti mantenere una coerenza sulla variabilità, altrimenti il bambino impara nel tempo che tutti i “No” possono diventare “Sì”. Il tema del “No” è anch’esso un ambito su cui mamma e papà stanno molto puntando con L. nella quotidianità. La terapista suggerisce quindi che è preferibile prendere del tempo per pensare cosa fare e dare una risposta coerente, in cui anche il linguaggio verbale trasmetta un messaggio chiaro. Con L., date le difficoltà che presenta sul piano del linguaggio, è preferibile utilizzare poche parole e controllare il non verbale, che è ciò che lui comprende più facilmente.

La mamma si ricollega quindi al tema del “no”, riportando i progressi che stanno avvenendo su questo fronte. Riferisce che prima avevano “paura delle possibili reazioni del bambino” e che per questo motivo evitavano di fare richieste che potessero farlo arrabbiare. Ora sono invece maggiormente consapevoli degli strumenti che hanno a disposizione ed hanno quindi cominciato ad introdurre maggiori richieste e a dare risposte chiare sul “no”. La terapista suggerisce quindi ulteriori strumenti che possono utilizzare in questo ambito. Fondamentale è controllare il proprio stato emotivo: il bambino si allinea con i genitori, se essi sono tranquilli tenderà a tranquillizzarsi, se sono agitati tenderà ad agitarsi. È inoltre utile dire pochi “no”, ma essere coerenti con quelli stabiliti. Se non si tratta di “no” assoluti ma momentanei, è necessario dare al bambino un riferimento concreto per comprendere quando sarà “sì” (es: dopo aver mangiato, dopo aver riordinato).

L’attenzione di entrambe viene poi riportata sul creare delle strutture con regole in cui inserire il gioco.

T: “Anche nel gioco, è importante riuscire a variare, tenere un livello emotivo… accorgersi di queste cose e di quanto siamo noi adulti ad irrigidire le situazioni perché abbiamo bisogno di regole per giocare, noi adulti non siamo più abituati a giocare. Il fatto di avere delle regole, come nei giochi in scatola o nelle carte, è funzionale a capire come funziona il gioco e a far subentrare la competizione. Il bambino con il gioco cresce ed impara, ha bisogno di provare, sperimentare, sbagliare. La curiosità nel provare e nel fare è fatta di questo, capisce un po’ alla volta cosa sta facendo. A noi invece sembra confuso, noi vediamo la confusione, lo vediamo fare tante cose e ci sembra non stia facendo niente. Se invece lo guardiamo con attenzione, vediamo quante cose ci sono realmente nel gioco. Poi le regole se le costruisce. Forse noi abbiamo bisogno di partire dicendo “Ok la pista è qui, i colori sono questi, le macchinine sono queste”. È bellissimo che lei si sia resa conto che non tutte le regole andavano bene. Con il mirtillo, ad esempio, si è resa conto che quella regola non serviva. È importante fare questo passaggio, capire quanto mettiamo noi e quanto spazio lasciamo al bambino.”

La conversazione si conclude con una riflessione su come potrebbe evolvere il gioco tra mamma e bambino alla luce di quanto detto.

M: “Avevo pensato che se era un gioco a turni, poteva andare bene questa cosa di passarsi le palline finché erano tutti limoni e tutte arance da una parte”

T: “Sì, ma proviamo a fare in modo che ci siate tutti e due nel gioco. L’altra volta Lorenzo giocava e lei guidava il gioco. L’obiettivo della turnazione è di fare insieme, se io non faccio tu non fai, creare situazione di gioco in cui entrambi siamo necessari. Con tante regole, lo spazio di movimento è limitato, togliendo le regole possiamo fare più cose, dobbiamo capire insieme cosa stiamo facendo per riuscire a mantenere il senso. Non è detto che avere più varianti crei confusione, anzi, si possono fare tante cose con quelle palline. L’importante è capire cosa si sta facendo, avere una coerenza e una chiarezza. La coerenza viene attraverso le azioni, facendo, quello che io rispondo a quello che tu fai. Così si costruisce attraverso il gioco, facendo insieme.

Possiamo pensare a questa cosa per la prossima volta, proviamo a pensare ad un gioco

con poche regole ma su cui possiamo vedere l’interazione, le risposte e le domande che vi fate. Non pensi al telefonino e al video per me, giocate. Cerchi però di essere consapevole di cosa fate e di cosa avviene anche in lei, di come si sente. Magari scegliamo un gioco semplice, in cui l’attenzione non sia su cosa si fa ma su cosa si costruisce insieme. Cosa può essere? Costruzioni, vedere cosa viene fuori, senza decidere, una cosa che fate man mano che giocate. Perché con la pesca, ad esempio, si può solo pescare, con le palline si possono fare tante cose. Il gioco di oggi è stato molto interessante, ma ci sono tante cose. Proviamo a semplificare un po’ in modo da vedere se riusciamo a starci dentro mettendo poche regole.”

M: “Ho capito, quindi senza elementi preimpostati. Vedere come va avanti il gioco senza preimpostare. Questa volta siamo partiti con tutto già organizzato.”

T: “Ma è andato bene così! Adesso proviamo ad affrontare questa cosa, stare nel gioco senza avere l’obiettivo di fare una cosa, ma cercare di essere in relazione, giocare insieme e vedere come va, tenendo d’occhio le cose venute fuori oggi.”

M: “Va bene, comunque sto vedendo il progresso in Lorenzo. Lo vedo più grande, capisce di più, ho più sicurezza io con lui di come guidarlo. Mi piace molto questo modo di lavorare, aiuta a vedere cose che magari uno fa intuitivamente senza accorgersene o proprio non fa. Così mettiamo chiarezza su cose che nel gioco vengono fuori e che poi si usano nel quotidiano, nel modo di educarlo.”

Questo incontro risulta essere molto chiaro circa il modo di procedere attraverso il videofeedback. Guardare il video non significa solamente descrivere e commentare ciò che è avvenuto. Significa anche cogliere le motivazioni dietro ciò che è successo, significa riportare alla quotidianità gli elementi che emergono (ad esempio, il tema del “no”), significa dare una spiegazione alle perplessità che la mamma riporta e fornirle degli strumenti per affrontarle e superarle [Rusconi Serpa et al. (2009)].

Dagli incontri successivi, è apparso chiaro come la mamma si sia impegnata a seguire i suggerimenti dati dalla terapista. Ha infatti cercato di creare giochi con meno regole, in cui il suo intervento fosse rivolto prevalentemente a partecipare alle azioni del bambino e a ciò che gli veniva in mente, piuttosto che a portarlo su giochi organizzati e strutturati da lei. Cominciano infatti ad emergere giochi di tipo simbolico. Inizialmente utilizzano oggetti verosimili (costruzioni per creare le casette e personaggi) e creano narrazioni attraverso le azioni del personaggio. Già utilizzando tale modalità, si evidenzia in L. una maggiore condivisione con l’altro nel gioco, una maggiore iniziativa ed un maggiore utilizzo del linguaggio per comunicare con l’altro.

La terapista suggerisce quindi di provare a ridurre l’utilizzo degli oggetti, in favore di un maggiore utilizzo del corpo. Si cominciano quindi a creare dei giochi in cui entrambi sono presenti e sono in relazione, in cui la condivisione e la comunicazione corporea e verbale hanno la prevalenza.

Il video ora descritto è tratto dall’incontro avvenuto il 19 maggio.

Lorenzo e la mamma si trovano sul divano. Stanno facendo insieme un gioco simbolico in cui fingono di essere sopra una barca circondata dal mare e fingono di pescare e di avvistare animali. Improvvisamente L. finge di catturare qualcosa e di mangiarlo. Si crea uno scambio in cui si alternano nel far finta di tenere il pesce e di mangiarlo. Al gioco simbolico, sono abbinate piccole sequenze di gioco sensomotorio in cui i due si buttano sui cuscini del divano dietro e di fianco a loro.

 

DESCRIZIONE DELL’AZIONE

DESCRIZIONE NARRATIVA

INTERPRETAZIONE

1:39

M. e L. sono seduti agli estremi  opposti  del divano, rivolti  l’uno verso l’altro. L. è in ginocchio, la mamma a gambe incrociate, leggermente piegata in avanti, con il volto all’altezza di quello di L. Si guardano negli occhi. L. apre la bocca. La copre con entrambe le mani    produce   dei vocalizzi “Ah ah ah”.

Si  butta avanti poggiando la testa sul cuscino davanti a sé. La mamma lo segue con lo sguardo. Dicendo “Cosa hai mangiato? Un pesciolino per sbaglio!”, si protende verso il bambino, avvicinando il proprio volto al suo.

Tocca la mano del bambino e batte con l’AS destro sul cuscino dove è poggiato il bambino il quale solleva la testa e la guarda.

M. e L. sono seduti uno di fronte all’altro, agli estremi opposti del divano. I cuscini dello schienale sono abbassati sulla seduta. La mamma ha il busto inclinato verso di lui. Ha il volto alla sua altezza per facilitarlo nell’aggancio visivo. L. è seduto in ginocchio con un tono piuttosto basso e guarda la mamma negli occhi. Con un movimento molto veloce porta le mani a coprire la bocca e con un tono di voce molto alto ed acuto esclama “Ah ah ah”. Con un movimento molto veloce ed ampio, si lancia in avanti appoggiandosi al cuscino davanti a sé. La mamma segue le azioni del bambino con lo sguardo e con voce con intonazione ascendente chiede “Cosa hai mangiato?” rispondendo subito con tono di voce alto “Un pesciolino per sbaglio!”. Si avvicina verso di lui poggiandosi sul cuscino, con la mano tocca la mano del bambino. Il viso si avvicina a lui e ricerca il suo sguardo. L solleva la testa e la guarda a sua volta.

M. e L. sono seduti uno davanti all’altro agli estremi opposti del divano. Improvvisamente L. apre la bocca e subito la copre, fingendo di dover trattenere qualcosa all’interno. Si butta in avanti sul cuscino, cui si appoggia con tronco e viso, dicendo “Ah ah ah”.

La mamma prontamente dà un significato all’azione del bambino chiedendo “Cosa hai mangiato?” e rispondendosi con “Un pesciolino per sbaglio!”. Si avvicina poi verso di lui per vedere e per aiutarlo a liberarsi dal pesce e lo tocca sulla mano. Questo cattura l’attenzione di L. che subito solleva il volto dal cuscino e guarda la mamma.

1:42

La mamma avvicina la mano alla bocca di L. tenendola in pronazione. Solleva quindi l’arto elevandolo sopra il proprio capo. La mano è a pinza superiore. L. segue l’azione guardando il volto della mamma. Lei esclama “Era un pesciolino, guarda!” e muove velocemente la mano dx avanti e indietro mantenendo la presa. La mano si sposta davanti ai suoi occhi. L. si alza in posizione quadrupedica, poggiando su mani e ginocchia. Apre la bocca e ride. La mamma ripete “Guarda! Era un pesciolino!” e ride.

La mamma porta la sua mano dx vicino alla bocca di L. e finge di prendere qualcosa. Raddrizza velocemente il tronco ed estende il braccio sopra la propria testa. Accompagna la sua azione seguendo la propria mano con lo sguardo. L. si raddrizza a sua volta e guarda il volto della mamma tenendo la bocca leggermente aperta.

La mamma comincia a muovere rapidamente la mano avanti e indietro mantenendo una  pinza salda  ed esclama con tono di voce alto  e acuto “Guarda!   Era   un pesciolino!”. Continuando con il movimento  veloce, sposta lo sguardo verso L. che ora sta invece guardando la mano con la bocca molto aperta in espressione sorpresa. Ridendo, la mamma si riavvicina a lui e abbassa  la propria mano, posizionandola nella   direzione dell’incrocio tra i loro sguardi.

Lei  allora  finge di prendere il pesce dalla bocca del bambino e lo solleva in aria per vederlo meglio e dice “Era un pesciolino, guarda!”. Per rendere più realistico il fatto che stia tenendo in mano il pesce, la muove velocemente, come se il pesce stesse cercando di divincolarsi. Per facilitare il bambino nell’osservare ciò che lei sta facendo, abbassa la mano, posizionandola nella direzione del suo sguardo. I due si stanno divertendo, accompagnano tutte le azioni con delle risate e condividono l’attenzione nella stessa direzione attraverso lo sguardo.

1:53

L. si alza in stazione eretta passando dalla posizione in ginocchio, a cavalier servente e appoggiandosi con la mano al cuscino di fianco a sé. Comincia a camminare in direzione della mamma, apre la bocca. La mamma dice “Oooh” e continua a muovere la mano davanti al proprio volto, sollevando anche l’AS sin. L. tende i propri AASS verso di lei, si butta, afferrandole l’AS con il proprio e con il busto e portando la sua bocca alla mano della mamma. Dice “Aaaam” e si butta completamente sulla  mamma.  La mamma si lascia cadere indietro  e poggia  la schiena sui cuscini dietro di sé, ridendo.

Mantenendo lo sguardo in direzione della mano della mamma, L. si alza in piedi e con dei passi veloci si dirige verso di lei. Entrambi tengono la bocca aperta, mentre L. produce dei vocalizzi divertiti. La mamma accompagna il movimento del bambino con un “Oooh” divertito, continuando con i movimenti veloci della mano. Quando è abbastanza vicino, L. tende gli AASS verso la mamma che è pronta a riceverlo, appoggia il proprio busto all’AS dx della mamma e porta la sua  bocca  verso  la mano, tenendole l’AS. Esclama con tono di voce grave “Aaaam”. La mamma lo sostiene al tronco con il proprio AS  sin  e  si  lascia cadere all’indietro, accompagnando  il movimento veloce di L.

Il bambino si mette quindi in piedi e si muove velocemente verso la mamma, pronto a ricatturare il pesce con la bocca che è tenuta aperta in direzione della mano della mamma.

Non appena vi è vicino, finge di mordere nuovamente il pesce, accompagnando il movimento con “Aaaam” e fingendo questa volta di tenerlo in bocca.

La mamma lo tiene a sé e si butta verso l’indietro rotolando sulla schiena per risollevarsi subito. Il movimento viene fatto insieme.

2:00

La mamma esclama “L’hai mangiato!” e si rimette in posizione seduta accompagnando il bambino verso la stessa posizione con il proprio tronco e AS. L. si mette seduto spingendosi con gli AASS a quelli della mamma. La mamma dice “Anche io voglio un pesciolino!”. L. si alza quindi in piedi spingendosi con gli AASS sul tronco della mamma e cammina verso bracciolo opposto del divano. La mamma si mette in ginocchio e lo segue dicendo “Prendiamo i pesciolini!”. L. si sporge dal bordo del divano, batte le mani sul bordo esterno, si raddrizza e si rigira verso la mamma. Eleva l’AS dx davanti al volto della mamma tenendo la mano chiusa a pugno.  Guarda  la mamma e dice “Passioline”.

Lo stringe a sé con entrambi gli AASS e ridendo esclama “L’hai mangiato!”. Lo sguardo di L. è ancora rivolto verso la mano. Rimbalzando sulla schiena, la mamma si rimette seduta accompagnando anche il bambino. Prontamente esclama “Anche io voglio un pesciolino!”. L. si alza quindi subito in piedi e si rivolge verso il lato opposto del divano. La mamma si mette in ginocchio verso di lui, esclamando “Prendiamo i pesciolini!”. L. si protende verso l’esterno del divano, sporgendo tronco e AASS e torna a rivolgersi verso la mamma, riproducendo quello che lei aveva fatto precedentemente. Solleva l’AS dx sopra la sua testa, davanti al volto della mamma, che lo guarda, e toccandola all’altro AS con l’altra mano. Esclama con voce acuta “Passioline” e comincia a muovere rapidamente la mano avvicinandola alla bocca della mamma.

Tornati seduti, la mamma richiede un pesce anche per sé e il bambino prontamente si attiva per soddisfare la sua richiesta: si dirige verso il bordo opposto del divano, finge di catturare un nuovo pesce all’esterno e si rivolge verso di lei. La mamma segue la sua azione verbalmente (“Prendiamo i pesciolini”) e posturalmente, mettendosi in ginocchio rivolta verso di lui. Questa volta lui stesso finge di tenere il pesce in mano, imitando il movimento veloce visto fare dalla mamma poco prima e il verbale dicendo “Passioline”, ad indicare che tra le mani sta tenendo proprio un pesciolino.

2:03

Comincia  a  muovere velocemente  la mano avanti  e indietro avvicinandola sempre di più  alla  bocca della mamma.  Con  l’altra mano la tocca sul petto. La mamma   è in ginocchio, una  mano appoggiata al cuscino di fianco e l’altra vicino al viso di L. Si abbassa leggermente, posizionandosi in posizione frontale rispetto a lui. Si protende verso di lui e avvicina la bocca alla sua mano. Quando la mano di L. e la bocca della mamma si toccano, la mamma si butta indietro dicendo “Mmmmm” e tornando distesa sui  cuscini, portando AAII e AASS in estensione ed elevazione. L. contemporaneamente si butta sui cuscini laterali appoggiandosi con il busto.  Di  rimbalzo, aiutandosi con la spinta delle braccia, la mamma solleva leggermente le spalle e guarda L. Lui solleva il busto e la testa appoggiandosi sulle mani e la guarda. La mamma si rimette seduta. Entrambi ridono.

Lei rivolge il proprio busto verso il bambino e si posiziona con la bocca all’altezza della mano del bambino. La mamma  segue   il movimento della mano del  bambino  con  la bocca    finchè   il bambino non la tocca. Con un movimento veloce, accompagnandosi  con un urlo “Mmmmm”, si butta  all’indietro, enfatizzando   il movimento  con  gli AASS  e il sollevamento di AAII. Appena tocca con la schiena il divano, si risolleva in posizione seduta   ridendo  e guardando il bambino. L.    butta  invece lateralmente e  subito risolleva tronco e spalle per guardarla e seguire il suo movimento. Entrambi  ridono  con tono di voce molto alto.

La mamma segue il gesto del bambino con il movimento della testa e, quando riesce a catturare il pesce finto con la bocca, si butta nuovamente all’indietro. Il bambino invece si butta lateralmente sui cuscini che ha vicino.

Entrambi sono molto divertiti e accompagnano tutta la sequenza con risate.

Dall’analisi di questo breve frammento video della durata di soli venti secondi, appare chiaro come le modalità di interazione della mamma con il bambino si siano molto modificate rispetto all’incontro precedente. La relazione tra di loro non è infatti mediata da nessun oggetto e il bambino risulta essere molto più partecipe. Mantiene una relazione continua con la mamma attraverso l’aggancio visivo, la postura, il contatto fisico, le risate e i vocalizzi che accompagnano l’azione e l’imitazione dei gesti compiuti dalla mamma. Il bambino è inoltre libero di apportare al gioco le modifiche che preferisce, dato che non sono state prestabilite delle regole. Non a caso, infatti, questa breve sequenza di gioco è partita dall’iniziativa del bambino che ha finto di avere qualcosa in bocca. La mamma è stata molto rapida nel dare un’interpretazione congruente al bambino e un significato a ciò che lui aveva appena fatto. Questo ha consentito di creare una narrazione simbolica condivisa e di poter ripetere la sequenza introducendo progressivamente delle variazioni. La mamma ha infatti colto l’occasione anche per mantenere l’alternanza dei turni e la necessità di condividere e collaborare con l’altro per riuscire a portare avanti il gioco.

Lei stessa, durante la chiamata avuta con la terapista, riferisce di essere molto soddisfatta di come è andato questo momento di gioco, ha riconosciuto l’evoluzione del bambino e della relazione rispetto ai video precedenti. Questa nuova modalità di gioco, secondo il suo parere, ha permesso di far emergere diversi aspetti di relazione e condivisione che lei si era prefissata, all’interno di un contesto spontaneo. Questo, secondo lei, è stato un elemento chiave, che ha permesso a L. di essere maggiormente partecipe e protagonista e di portare lui stesso una maggiore iniziativa. Ha ammesso inoltre di essersi divertita molto anche lei.

La terapista ha quindi colto l’occasione per enfatizzare tutti gli elementi positivi che c’erano stati all’interno del gioco (durato molto di più dei venti secondi descritti). In particolare, ha individuato come elementi particolarmente efficaci il dare un significato alle azioni del bambino accompagnandolo verbalmente e l’allungare i tempi di permanenza in una attività introducendo progressive variazioni.

Al momento, lui non utilizza ancora parole per comunicare, ma tende piuttosto ad associare suoni o gesti all’azione. La terapista spiega che il gioco simbolico è una modalità chiave per lo sviluppo del linguaggio in quanto richiede di riferirsi a qualcosa di non presente, così come le parole. Tendenzialmente, infatti, sviluppo del linguaggio e sviluppo del gioco simbolico procedono di pari passo.

La scelta da me fatta di analizzare questo frammento di video attraverso la tecnica della microanalisi consente inoltre di cogliere alcuni elementi peculiari dello stile relazionale di ciascuno dei due. Entrambi tendono ad avere un ritmo molto veloce, per cui le azioni si susseguono rapidamente una dopo l’altra con minime pause di attesa. La mamma inoltre tende ad utilizzare lo sguardo, la postura ed il contatto per favorire la relazione con l’altro. Anche in L. questi elementi sono abbastanza usati, ma non tanto quanto dalla mamma. Egli ha inoltre un tono nell’azione tendenzialmente basso, che si contrappone invece al tono di voce, generalmente alto ed acuto.

L’utilizzo di questa tecnica ha inoltre permesso di scindere chiaramente cosa avviene, come avviene e come questo può essere interpretato. Questo favorisce l’analisi oggettiva del frammento e la sospensione del giudizio.

Come la mamma aveva già riportato alla conclusione della conversazione trascritta precedentemente e come conferma questa volta, tale modalità di intervento a distanza ha permesso alla terapista di inserirsi veramente nella quotidianità e nella famiglia. Da ciò deriva una maggiore soddisfazione da parte della mamma, che sente riconosciuti i propri bisogni, le proprie esigenze e le proprie opinioni, e al contempo una maggiore efficacia della relazione e senso di autoefficacia in lei, divenuta più consapevole degli strumenti che ha a disposizione.

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CONCLUSIONI

L’intervento a distanza mediato dalla madre e avvenuto tramite l’utilizzo del videofeedback ha portato ad un’evoluzione evidente da parte della mamma e del bambino. Lei è infatti riuscita a modificare il proprio modo di relazionarsi con il figlio, accogliendo la spontaneità e l’iniziativa del bambino e riuscendo ad inserirvisi in modo adeguato e funzionale su più piani. Questo ha portato ad un’evoluzione del bambino che ora partecipa in modo maggiormente funzionale alla relazione con l’altro (attenzione e adeguamento all’altro, alternanza dei turni, variazioni della mimica e della prosodia), accetta e tollera maggiormente le regole e le frustrazioni dimostrando una migliore regolazione emotiva, utilizza maggiormente il linguaggio verbale ed in modo più comprensibile ed ha migliorato le proprie competenze motorie, specialmente nell’ambito della motricità fine, che appare ora maggiormente funzionale e modulata.

I cambiamenti sui piani emotivo-affettivo e relazionale, in particolare, hanno permesso, al momento della ripresa delle attività in presenza, di modificare il progetto riabilitativo e le modalità di intervento. Ora L. segue un percorso di trattamento individuale, la presenza della mamma non è più prevista in stanza e il bambino accetta senza fatica di entrare da solo. Grazie alle competenze acquisite, la mamma può proseguire il lavoro in casa. La terapista si è resa disponibile ad un confronto con i genitori qualora loro lo ritengano opportuno, per monitorare le modalità che essi utilizzano in casa ed eventualmente fornire nuovi spunti e suggerimenti.

Tutto ciò è stato reso possibile dal fatto che la terapista ha saputo cogliere e riadattare le proprie competenze pratiche e le proprie conoscenze teoriche. Nel lavoro rivolto al genitore, non ha infatti fatto riferimento a nessun metodo specifico di intervento. La sua formazione precedente le ha però permesso di cogliere gli elementi chiave di diversi metodi teorici e di applicarli alla propria esperienza, per riuscire a sostenere in modo adeguato il percorso insieme alla mamma.

La maggior parte dei metodi di intervento che prevedono il coinvolgimento del genitore sono rivolti al trattamento dei quadri con disturbi dello spettro autistico. Questo è legato al fatto che vengono generalmente sperimentati con un campione di bambini con disturbi dello spettro autistico, quadro tra i più frequenti. Non vengono invece sperimentati scientificamente con bambini che presentano altre tipologie di disturbi, ma questo non significa che non possano essere efficaci anche nel loro trattamento. La creatività del terapista, basata sullo studio e sulla conoscenza, permette di riconoscere i punti di forza dei diversi metodi e di saperli adeguare alle esigenze e ai bisogni del bambino, qualunque sia il suo quadro clinico.

 

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GIULIA: L’INTERVENTO NEUROPSICOMOTORIO IN ETÀ SCOLARE

Il caso che verrà ora descritto è quello di una bambina di età scolare, seguita già da diversi anni per la terapia neuropsicomotoria. Il suo percorso di trattamento ha visto progressive evoluzioni per adeguarsi all’età e ai suoi nuovi bisogni. Nel periodo precedente il lockdown, Giulia seguiva un doppio percorso di trattamento neuropsicomotorio: uno in piccolo gruppo per potenziare gli aspetti attentivo-esecutivi ed un altro sempre in piccolo gruppo per promuovere la regolazione del corpo e del movimento attraverso la relazione con l’altro. Entrambi i percorsi sono stati ripresi nella modalità a distanza, ma con alcune novità.

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RACCOLTA ANAMNESTICA

Anamnesi

Giulia nasce nel settembre 2010 in Russia.

Anamnesi fisiologica: alla nascita, la bambina viene riferita essere sana, con un peso neonatale di 2615 grammi e indice di Apgar 8 e 9. Dalla documentazione in possesso dei genitori adottivi, è segnalato possibile abuso d’alcol della madre naturale.

Viene inserita in Istituto all’età di un anno e tre mesi. Viene poi adottata da una famiglia italiana all’età di tre anni. Dopo l’arrivo in Italia, la bambina acquisisce velocemente la lingua italiana e viene inserita nella scuola dell’infanzia dopo circa sei mesi.

I genitori riferiscono che al suo arrivo la bambina presentava spesso comportamenti aggressivi, quali morsi, pugni e pizzicotti eterodiretti. Teneva spesso una mano in bocca e ricercava il contatto di rassicurazione con la mamma (dormiva con lei tenendole la mano). Mangiava molto velocemente, senza masticare. All’inserimento nella scuola dell’infanzia, dimostrava difficoltà nel relazionarsi con i pari: non le piaceva il contatto con gli altri bambini dai quali si divincolava.

Anamnesi patologica: nella cartella clinica dell’Istituto in cui era stata inserita è presente la  diagnosi  di  “ritardo  dello  sviluppo  psicolinguistico  di genesi cerebrale-organica, sindrome specie neurotica, allergia post vaccinale, ipermetropia lieve di ambedue gli occhi”.

Valutazione neuropsicomotoria (maggio 2017) e progetto terapeutico

I genitori si rivolgono alla Cooperativa Sociale Jonathan all’età di sette anni, richiedendo una valutazione neuropsicomotoria su consiglio delle insegnanti.

Durante il primo incontro, i genitori riferiscono difficoltà comportamentali sia in ambito scolastico (difficoltà a rimanere seduta al proprio posto, tendenza a mettere tutto sul piano di una gara che vuole vincere a tutti i costi) che in ambito familiare (difficoltà nella gestione delle regole, atteggiamenti di sfida con la mamma, bisogno che tutto sia ordinato e sotto il suo controllo, con reazioni eccessive ai cambiamenti della propria organizzazione).

L’osservazione neuropsicomotoria viene svolta seguendo come traccia la “Scheda di osservazione psicomotoria” tratta da “Il contratto terapeutico in terapia psicomotoria. Dall’osservazione al progetto” [Berti E., Comunello F., Savini P., (2001)] (allegato 1). Viene ora riportata la sintesi delle osservazioni. Vengono inoltre somministrati il protocollo APCM-2 (dai 6 agli 8 anni) per indagare le abilità motorio-prassiche e il test TPV per le abilità visuo-percettive.

Struttura sensomotoria

G. dimostra buone competenze motorie globali in termini in equilibrio e coordinazione. Ricerca il piacere legato alla motricità e alla sensomotricità con la costruzione di percorsi, dai quali emerge però una difficoltà nell’ideazione e nel mantenimento del progetto. Tende a passare velocemente da un’azione all’altra. L’azione, inoltre, è accompagnata dall’utilizzo della voce per descrivere ciò che fa o per spiegare all’altro cosa fare.

Si evidenzia una fragilità nella motricità fine, soprattutto per difficoltà nella separazione e singolarizzazione dei movimenti delle dita, con ricadute nell’ambito grafomotorio.

Discriminazione e memoria

Si evidenzia una difficoltà di mantenere l’attenzione sostenuta durante la somministrazione delle valutazioni testistiche. Tende ad avere tempi di risposta brevi e risposte spesso impulsive e casuali.

Fatica a ideare e a mantenere progetti chiari nella costruzione del gioco, introducendo molti cambiamenti che lo rendono confuso e difficile da condividere con l’altro.

Propone soprattutto giochi motori, con strutture precise e regole da seguire. Propone anche il gioco simbolico, ma non arriva a costruire una narrazione di gioco da condividere con l’altro.

Il disegno risulta adeguato per l’età, anche se si assiste nella realizzazione ad un progressivo calo di attenzione nella cura del tratto.

Adeguamento

Accetta con qualche difficoltà il cambiamento rispetto alle sue proposte, dimostrando un bisogno di prevedere e controllare l’altro, l’azione e lo spazio. Sembra evitare le situazioni di gioco particolarmente coinvolgenti sul piano emotivo.

Comunicazione e relazione

Utilizza il linguaggio nel gioco per dare precise indicazioni all’altro su come fare le cose. Utilizza quindi le richieste verbali per controllare le modalità e le azioni dell’altro. Emerge una difficoltà nel comprendere le istruzioni verbali.

Sintesi delle osservazioni

Dai cinque incontri di osservazione-valutazione emerge un profilo caratterizzato da difficoltà sul piano attentivo-esecutivo (soprattutto nell’ambito della pianificazione), impulsività e difficoltà di regolazione emotiva e motoria. Gli elementi di maggiore rilievo, in particolare, risultano essere:

  • Difficoltà nell’ambito della motricità fine (singolarizzazione delle dita), con ricadute nelle prestazioni grafomotorie;
  • Difficoltà nel mantenere l’attenzione sostenuta e tendenza all’impulsività;
  • Difficoltà nell’ideazione e nella pianificazione di sequenze di azioni e di narrazioni di gioco;
  • Difficoltà a creare giochi condivisibili e narrazioni simboliche interattive,
  • Difficoltà ad accettare i cambiamenti e bisogno di prevedere gli eventi;
  • Evitamento delle situazioni emotivamente coinvolgenti ed attivanti;
  • Linguaggio verbale usato con modalità di controllo dell’altro.

Viene quindi previsto un trattamento neuropsicomotorio individuale rivolto a:

  • Favorire il potenziamento delle abilità grafo-motorie e di motricità fine;
  • Promuovere l’ampliamento delle esperienze, delle proposte di gioco e la variabilità delle stesse;
  • Allungare i tempi di realizzazione e di permanenza in un’azione;
  • Favorire una progettualità più chiara, consapevole e condivisa con l’altro;
  • Favorire l’espressione della sfera emotiva sul piano corporeo, simbolico, verbale e rappresentativo con un maggiore investimento e un’apertura alla sfera emotiva nel gioco simbolico.

Valutazione neuropsichiatrica (marzo 2018)

La terapista della Neuro e Psicomotricità suggerisce una valutazione neuropsichiatrica, presso il Servizio di Neuropsichiatria Infantile, per ulteriori approfondimenti degli aspetti attentivi e grafo-motori e per sostenere le difficoltà emerse in ambito scolastico. In questa occasione, la madre riferisce vivacità motoria, atteggiamento provocatorio e di sfida, talora con aggressività agita.

Dall’esame neurologico, emergono impaccio nella motricità fine e difficoltà di inseguimento dello stimolo visivo.

La lateralizzazione è sinistra per mano, occhio e piede, ma scrive con la destra. Dall’osservazione neuropsichiatrica, emerge una difficoltà nello stare ferma, ma una buona collaborazione nelle attività proposte. Viene descritto un grafismo immaturo con alcune particolarità rispetto ai temi rappresentati (temi che richiamano difficoltà nei legami affettivi e nella rappresentazione psico-emotiva di sé). Vengono segnalati infine elementi di indifferenziazione nel relazionarsi con gli altri.

Valutazione logopedica (marzo 2018)

Alla valutazione logopedica, svolta contestualmente a quella neuropsichiatrica, vengono descritte competenze linguistiche orali nella media, sia in comprensione che in produzione.

A livello lessicale, presenta adeguate competenze in comprensione, mentre dimostra qualche difficoltà nel recupero dell’etichetta semantica in produzione.

La lettura risulta adeguata in rapidità, ma sono necessarie richieste di attenzione per la correttezza. Sono presenti difficoltà di attenzione del testo letto in autonomia, mentre comprende il testo su ascolto.

Valutazione psicologica (dicembre 2019)

I genitori di G. si rivolgono ad una psicologa clinica, che esercita in regime privato, per una valutazione circa gli apprendimenti e un sostegno nell’ambito emotivo-affettivo.

La bambina viene valutata utilizzando il test WISC dal quale emerge un QI totale di 82, un indice di elaborazione di 91 e un indice di memoria di lavoro di 64. Vengono inoltre valutati gli apprendimenti, valutazione da cui emerge un profilo borderline, con difficoltà in ambito visuo-spaziale e in ambito matematico.

Dalla somministrazione delle scale CBCL (Child Behaviour CheckList) emerge un’indicazione per tratti ansiosi.

Ipotesi diagnostica

A seguito delle valutazioni, emerge un quadro di “Iperattività associato a difficoltà comportamentali in bambina adottiva”.

Evoluzione del trattamento neuropsicomotorio

Nei tre anni di trattamento neuropsicomotorio, si è assistito ad un progressivo cambiamento dei progetti riabilitativi, per adeguarli all’evoluzione del profilo di funzionamento della bambina.

Il primo progetto prevedeva un intervento di tipo individuale, rivolto al rallentamento e all’organizzazione del movimento da parte della bambina. Per fare questo, il lavoro si è rivolto principalmente all’aumento dei tempi di permanenza nelle attività, in favore di un controllo dell’impulsività e di un aumento della progettualità. Importante è stato inoltre il lavoro rivolto all’acquisizione dei prerequisiti per gli apprendimenti, ancora deficitari. Parallelamente, la bambina è stata guidata ad una maggiore condivisione con l’altro all’interno delle cornici di gioco, all’accettazione del confronto e delle proposte dell’altro e all’ampliamento e all’arricchimento delle proprie. Questo è avvenuto soprattutto all’interno di cornici di gioco simbolico. Nel contesto di rapporto uno ad uno, la possibilità di confronto ed adeguamento all’altro risultava però limitata. Per l’anno successivo è stato quindi stabilito un passaggio in contesto di piccolo gruppo.

Nella prima parte dell’anno, G. è stata inserita in una coterapia in coppia con una bambina di pari età e difficoltà simili. Il trattamento si è rivolto alla gestione dei vissuti emotivi e alla tolleranza della frustrazione derivante dal confronto con l’altro. Questo è avvenuto all’interno di narrazioni simboliche interattive sempre più complesse.

A metà anno, è stata inserita nel gruppo un’altra bambina e sono aumentate le richieste di tipo attentivo-esecutivo, sempre all’interno della cornice ludico-simbolica. È stata favorita una progressiva consapevolezza delle proprie emozioni e dei propri agiti, attraverso una regolazione emotiva nel gioco e nel movimento.

L’evoluzione sul piano attentivo-esecutivo e l’età della bambina hanno portato, nell’anno successivo, all’attivazione di un intervento maggiormente strutturato, rivolto al potenziamento specifico delle funzioni cognitive superiori e dell’autoregolazione.

INDICE

PERCORSI DI TRATTAMENTO

I percorsi di valutazioni e diagnosi sono seguiti dal servizio pubblico.

Nel settembre 2019 G. inizia un intervento psicologico privato, presso la psicologa clinica che aveva precedentemente svolto le valutazioni degli apprendimenti. In questo ambito vengono trattati inizialmente gli apprendimenti, con spazi di colloquio individuale. Successivamente, questo diventa per G. uno spazio dove portare i propri vissuti emotivi (reazioni, comportamenti, impulsi, ricordi e pensieri legati all’adozione). Il percorso è stato sospeso durante il periodo di lockdown e ripreso successivamente, focalizzando l’intervento sull’elaborazione dei vissuti emotivo-affettivi.

Fin dall’inizio, è presente una buona collaborazione tra la neuropsicomotricista, la psicologa, la neuropsichiatra e gli insegnanti. A questi ultimi vengono date indicazioni nel settembre 2019 circa le strategie per favorire le dinamiche di interazioni positive con i pari. Vengono inoltre forniti suggerimenti circa gli apprendimenti (es: fornire testi già scritti e limitare le produzioni del testo scritto, ridurre il carico per casa, fornire schede di recupero apposite).

I genitori sono inoltre seguiti, dalla stessa psicologa che ha in carico la bambina, con un percorso di sostegno psicologico-psicoeducativo (un incontro ogni due settimane) e un percorso di parent training.

Verifica neuropsicomotoria (luglio 2019)

Durante il percorso di trattamento, erano stati individuati come prioritari gli elementi di regolazione emotiva, l’impulsività, la gestione della frustrazione, il contenimento delle reazioni e lo sviluppo di una maggiore consapevolezza circa gli stati emotivi.

Dagli incontri tenuti con la scuola e con la famiglia durante l’anno di trattamento, emergono miglioramenti sul piano attentivo nel lavoro individuale e nelle reazioni verso i compagni (prima fisiche, ora verbali).

Permangono inoltre le difficoltà nel monitoraggio delle proprie azioni, che causano frequenti errori e tendenza alla loro perseverazione. Nonostante i miglioramenti nella tolleranza alle frustrazioni, permangono le difficoltà nell’accettazione degli errori, soprattutto all’interno di un contesto di confronto con l’altro.

Emergono inoltre alcuni comportamenti compulsivi, come il bisogno di riordinare il proprio banco e quello dei compagni disponendo le matite in ordine di grandezza, con forti reazioni se l’ordine viene scompigliato, e tendenza a selezionare e separare il cibo nel piatto.

Area motorio-prassica  (somministrazione del protocollo APCM-2)

Permangono difficoltà nell’ambito della sequenzialità, dei movimenti di mani e dita e dell’oculomozione (perde frequentemente l’aggancio visivo e anticipa nell’inseguimento).

Area attentivo-esecutiva

Si rileva un miglioramento nell’attenzione visiva e nella memoria visuo-spaziale. Rimangono deficitarie l’attenzione uditiva e la memoria di lavoro.

Alla somministrazione della prova “Torre di Londra”, emerge un profilo al 5° percentile, caratterizzato da impulsività nella risposta (tempi di decisione bassi) e da un gran numero di tentativi. È quindi scarsa la capacità di pianificazione e di monitoraggio in fase di esecuzione. Tende a procedere in modo casuale o violando le regole per riuscire a raggiungere l’obiettivo.

Area comunicativo-relazionale

A seguito dell’ingresso di una nuova bambina nel gruppo, G. fatica ad accettare la sua presenza, mettendo alla prova la relazione con l’altra bambina e con la terapista, prima di poter trovare un nuovo equilibrio nel gruppo. Dimostra però entusiasmo di fronte alle proposte della terapista, riuscendo progressivamente ad accettare anche quelle delle altre bambine.

Fatica a controllare il corpo ed il movimento nei momenti di piacere e di emozione.

Sintesi delle osservazioni

Gli elementi che vengono quindi evidenziati come maggiormente deficitari sono:

  • Impulsività e ridotta pianificazione;
  • Difficoltà di monitoraggio delle azioni e tendenza alla perseverazione;
  • Difficoltà nella memoria di lavoro;
  • Difficoltà ad accettare i propri errori, soprattutto nel confronto con l’altro;
  • Difficoltà di regolazione emotiva e motoria.

Permane quindi la necessità di potenziare le funzioni esecutive, l’attenzione e la modulazione tonico-emotiva.

Nuovo programma riabilitativo

Vengono quindi iniziati due percorsi in parallelo:

  • Percorso di potenziamento attentivo-esecutivo secondo il metodo Benso di Training Cognitivo Integrato;
  • Percorso di arte marziale in piccolo gruppo, condotto dalla neuropsicomotricista e finalizzato a:
  • Sostenere l’attenzione sul proprio fare e sul contesto circostante;
  • Allungare i tempi di attenzione, affinando le capacità esecutive sul piano grosso motorio (pianificazione, memoria di lavoro, inibizione, attenzione sostenuta, flessibilità attentiva);
  • Relazionarsi con l’altro in termini di ascolto e di rispetto;
  • Sperimentare interazioni corporee con altri bambini e con l’adulto;
  • Controllare e modulare il proprio agire motorio attraverso il feedback tonico dato dall’azione condivisa con l’altro;
  • Imparare a gestire le proprie emozioni, il proprio corpo e il proprio respiro con maggiore consapevolezza e a modularli nell’azione.

INDICE

TRATTAMENTO PRIMA E DURANTE L’EMERGENZA COVID-19

G. inizia quindi in settembre 2019 due percorsi di trattamento in parallelo con una Terapista della Neuro e Psicomotricità.

Training Cognitivo Integrato secondo il Metodo Benso

Il metodo prevede una strutturazione precisa delle attività all’interno della seduta ed una continua taratura della difficoltà delle richieste sulle base delle abilità dell’individuo.

La strutturazione che viene seguita da G. prevede:

  • Gioco di attivazione: viene proposto un gioco che richiede un’elaborazione cognitiva dell’informazione in tempi rapidi, in modo da favorire l’attivazione dell’attenzione (aumenta l’Allerta Fasico, che favorisce l’attivazione del Central Executive Network e il mantenimento dell’attenzione sostenuta e focalizzata). A questo scopo vengono proposti diversi giochi che richiedono velocità, flessibilità ed inibizione. Ne sono esempio i giochi in cui viene chiesto di denominare l’immagine o dire un particolare dell’immagine (colore, numero) a seconda di dove viene messa la carta (pila di destra o di sinistra) e il gioco delle frecce per il quale bisogna indicare la direzione congruente se la freccia è blu o la direzione opposta se la freccia e rossa;
  • Ape 10 carte: viene chiesto alla bambina di sommare o moltiplicare le ultime due carte presentate. Il range numerico viene stabilito sulle cifre con le quali l’operazione è completamente automatizzata, per non influire sul carico attentivo. Le carte vengono poste sempre una sopra l’altra a formare una pila e viene mantenuto un ritmo incalzante. È quindi richiesto di tenere in memoria di lavoro la carta nascosta e di elaborare cognitivamente l’operazione per dire il risultato. La nuova carta presentata deve essere tenuta in memoria per l’operazione successiva. Vengono eseguiti in tutto quattro giri, alternando somma e moltiplicazione, in modo da allenare anche la flessibilità. Viene tenuto in considerazione il tempo impiegato per completare le operazioni di tutte le carte e il numero di errori. La nuova taratura viene fatta nel momento in cui il numero di errori è estremamente ridotto e comporta l’aggiunta del numero successivo.

All’ultimo allenamento prima dell’interruzione del trattamento in presenza, G. era arrivata ad utilizzare carte da zero a due e ad avere queste prestazioni:

 

Tempo

Errori

Prima somma

26 secondi

1 errore

Prima moltiplicazione

28 secondi

2 errori

Seconda somma

26 secondi

2 errori

Seconda moltiplicazione

28 secondi

4 errori

  • Ape 10 Tabellone: viene presentato alla bambina un tabellone con molti numeri. Le viene chiesto di sommare o moltiplicare gli ultimi due numeri indicati. Rispetto alle richieste attentivo-esecutive della precedente prova, aumenta la richiesta di attenzione sostenuta, in quanto l’attività dura più a lungo. Sono richieste inoltre un’attenzione visuospaziale, in quanto sono presenti molte cifre, e una maggiore inibizione, per riuscire a selezionare solo la cifra necessaria a dare la risposta corretta, escludendo quelle intorno. La taratura avviene la prima volta che la prova viene somministrata: la prova viene interrotta non appena vengono raggiunti i due errori. Dalla volta successiva, si aggiungono cinque secondi ad ogni allenamento. Si tiene in considerazione il numero di errori. All’ultimo allenamento prima dell’interruzione del trattamento in presenza, G. era arrivata a sommare e moltiplicare cifre da zero a due, non mantenendo il dito puntato dopo l’indicazione (togliendo il dito dopo aver toccato il numero si richiede una maggiore attenzione e memoria di lavoro).

Cifre

Tempo

Errori

0 - 2

1 minuto 42 secondi

6 errori somma

5 errori moltiplicazione

  • Matrice: viene presentata una tabella con numeri, lettere ed immagini e viene chiesto di memorizzarla per poterla poi rievocare in riga, in colonna, in diagonale e a chiocciola. La progressione (aggiunta di un elemento da imparare o ampliamento della tabella, incrementando un solo elemento alla volta tra i due finchè la tabella non risulta completa) avviene quando non vengono compiuti errori alla rievocazione per almeno due incontri. È richiesta un’attenzione sostenuta, una memoria di lavoro per rievocare le informazioni in ordine differente e una flessibilità.

All’ultimo allenamento prima dell’interruzione del trattamento in presenza, G. era arrivata a studiare la matrice in autonomia.

Tipo tabella

Tempo

Numero errori

Tipo rievocazione

Tabella 3X4 con 12 elementi

1 minuto 30 sec

per la rievocazione

2 errori

Righe e colonne

Quando il trattamento è stato interrotto a causa dell’emergenza sanitaria da COVID-19, la terapista ha fornito ai genitori gli strumenti e le indicazioni per proseguire con il percorso di potenziamento in casa. Ha infatti inviato ai genitori una scheda con la spiegazione degli esercizi passo per passo, le indicazioni su come svolgerli e il materiale da stampare. Ha fornito inoltre dei suggerimenti su come inserire queste attività nella routine quotidiana:

  • Tre volte alla settimana fare un gioco di attivazione + tabella + un gioco al pc (10 minuti in tutto)
  • Una volta alla settimana fare un gioco di attivazione + matrice + un gioco al pc (10 minuti in tutto)

Per i giochi al pc, è stata data indicazione di utilizzare due siti in particolare: “Rete aperte – esercizi per la mente” e “Training cognitivo – funzioni esecutive”.

Sono stati inoltre suggeriti dei video e dei giochi da poter fare insieme ai genitori, basati sulla pratica dello yoga per favorire la consapevolezza e la regolazione del corpo.

Per favorire infine la didattica a distanza e la gestione dei compiti, la terapista ha fornito delle indicazioni pratiche da poter seguire come “buone regole”:

  • Pianificare la giornata ed il tempo dedicato ai compiti, per una durata continuativa di non più di trenta minuti, intervallati da brevi attività piacevoli di svago;
  • Organizzare lo spazio: togliere tutto dalla scrivania, tranne quello che serve per i compiti;
  • Decidere quali compiti fare, i tempi e le pause: partire dalle cose più difficili, scrivere la lista delle cose da fare e delle pause in modo che sia sempre visibile e che si possano cancellare i compiti mano a mano che vengono svolti;
  • Impostare il timer/clessidra per il tempo necessario a portare a termine quel compito: non dev’essere troppo stretto, ma nemmeno eccessivamente lungo, calibrato sui tempi della bambina, in modo che mantenga un buon ritmo;
  • Fare brevi esercizi da seduta quando è stanca, nervosa o poco attenta (esempio: schiacciare i palmi delle mani davanti al corpo);
  • Al termine del compito, impostare il tempo deciso per la pausa concordata.

Dopo un mese di sospensione degli incontri tra bambina e terapista, sono ripresi gli allenamenti di potenziamento a distanza. La terapista ha inizialmente utilizzato gli stessi materiali e le stesse modalità di somministrazione previsti per l’allenamento in presenza, inquadrando dunque con la propria videocamera il tavolo su cui presentava le carte, anziché se stessa.

Da subito è emerso un calo delle prestazioni in tutte le prove, con progressivo miglioramento nel giro di un mese e mezzo.

APE 10 CARTE

 

9 aprile

28 maggio

 

Somma

Moltiplicazione

Somma

Moltiplicazione

Tempo

56 secondi

53 secondi

38 secondi

39 secondi

Errori

1 errore

0 errori

3 errori

O errori

APE 10 TABELLONE

 

9 aprile

28 maggio

 

Somma

Moltiplicazione

Somma

Moltiplicazione

Cifre

0-2

0-2

0-3

0-3

Tempo

40 secondi

45 secondi

1 min 15 sec

1 min 15 sec

Errori

Taratura (2)

Taratura (2)

1 errore

1 errore

MATRICE

 

9 aprile

28 maggio

Tipo tabella

4X4 con 12 elementi

4X4 con 13 elementi

Tempo rievocazione

5 min 45 sec

4 min 17 sec

Numero errori

1 errore

1 errore

Tipo rievocazione

Righe, colonne, diagonali, chiocciola

Righe, colonne, chiocciola

Appare evidente come ci sia stata una caduta generale delle prestazioni nelle diverse prove al primo incontro in modalità a distanza, con una ricaduta sul numero di errori e sui tempi.

Questo calo è senz’altro legato a diversi fattori:

  • Il percorso di potenziamento prevede un programma intensivo e continuativo nel tempo, per mantenere allenate le abilità acquisite e riuscire ad incrementarle continuativamente. Un’interruzione del percorso impedisce il mantenimento  di  un’adeguata curva di apprendimento, portando ad un’inevitabile caduta;
  • La videocamera della terapista era incorporata allo schermo del suo computer.

Per riuscire quindi ad inquadrare le carte e le tabelle in modo che fossero visibili per la bambina, era costretta ad abbassare il proprio schermo, senza possibilità di monitorare l’immagine e G.. Inoltre, non sempre la telecamera riusciva ad inquadrare il piano d’appoggio in modo completo e frequentemente era presente il riflesso dello schermo che impediva di decifrare le carte plastificate;

  • Le difficoltà di connessione hanno una ricaduta inevitabile sui tempi con cui lo stimolo compare. Infatti, la percezione che la bambina aveva dell’indicazione e del cambio di carta era leggermente differita rispetto alla loro reale presentazione e ciò comportava un accumularsi di ritardi nella risposta. Inoltre, la connessione di G. risultava spesso instabile, causando interruzioni del video o dell’audio e impedendo quindi di proseguire in modo adeguato.

Per cercare di ovviare a questi problemi, la terapista ha ricreato i materiali da lei utilizzati su PowerPoint e ha individuato dei siti online che proponevano attività simili. Il fatto di creare materiali specifici utilizzando il PowerPoint consente alla terapista di gestire la velocità di esposizione degli stimoli, adattandola e tarandola sulla base delle esigenze di G.. Nei siti e nelle app, al contrario, i tempi sono standardizzati e non modulabili nella presentazione dei singoli stimoli rispetto alla prestazione del bambino. Con la trasformazione in formato digitale operata dalla professionista, sono risultate quindi ridotte le difficoltà legate ai tempi differiti di presentazione dello stimolo e della risposta. Attraverso la modalità “condivisione schermo”, infatti, la terapista può comandare l’avanzare dei comandi con un tasto. In questo modo, sono state ridotte anche le criticità legate alla presentazione degli stimoli tramite videocamera. Questo, sommato alla ripresa di un allenamento costante, ha permesso a G. di riavvicinarsi alle prestazioni avute prima del lockdown.

Conclusione del percorso

Nel mese di luglio 2020, G. è stata sottoposta a una rivalutazione con utilizzo di strumenti standardizzati. Sono stati utilizzati in particolare il test Torre di Londra e il protocollo MEA per la valutazione delle competenze attentivo-esecutive.

Sono emersi miglioramenti delle funzioni esecutive, in particolare della memoria di lavoro, della pianificazione, del monitoraggio e del problem solving.

Questo è stato evidenziato dalla “Torre di Londra”, il cui punteggio finale è passato dal quinto al cinquantesimo percentile, il numero di mosse è stato ridotto e anche il numero di volte in cui le regole sono state violate. Permane comunque un’impulsività generale, rilevata dalla presenza di tempi decisionali molto brevi.

Dal protocollo MEA, invece, emergono fragilità nel recupero dell’etichetta verbale (prova di Naming, prestazione inferiore al primo percentile), nella percezione visuo-spaziale (prova di Visual Search in rapidità, prestazione inferiore al primo percentile) e nella categorizzazione di informazioni in memoria di lavoro (prova di Categorizzazione, al quinto percentile). Permangono quindi come aree da potenziare l’inibizione, l’attenzione selettiva, l’attenzione sostenuta e la memoria di lavoro in doppio compito.

In generale, si evidenzia comunque un importante miglioramento nelle prove di attenzione e di funzioni esecutive. Questo è senz’altro il risultato dei trattamenti specifici perseguiti con continuità nel tempo, adattati e tarati sulla base delle competenze della bambina durante tutto l’andamento del percorso.

Intervento neuropsicomotorio coniugato con l’arte marziale

Nel settembre 2019, G. ha cominciato un nuovo percorso di trattamento di gruppo con altre tre bambine della stessa età. Considerate l’età e le esigenze del piccolo gruppo, l’intervento neuropsicomotorio non risultava ormai essere il più adeguato ed è stato quindi proposto un programma che prevedeva l’utilizzo delle arti marziali. Queste ultime forniscono agli incontri gli elementi che le caratterizzano: un contesto di riferimento ben preciso (kimono, saluto iniziale e finale) e i giochi e le attività che vengono generalmente proposti durante un allenamento di arte marziale. Ovviamente le attività vengono riadattate dalla terapista a seconda delle esigenze e degli obiettivi individuati. Vengono in particolare proposti giochi e attività finalizzati a:

  • Potenziare la consapevolezza di sé, dell’altro e dell’ambiente attraverso un’attenzione rivolta al proprio corpo e al proprio corpo nella relazione con l’altro;
  • Incrementare le competenze motorio-prassiche;
  • Potenziare le abilità comunicativo-relazionali ed emotivo-affettive attraverso il confronto con l’altro e la gestione delle emozioni;
  • Favorire lo sviluppo delle abilità attentivo-esecutive attraverso richieste finalizzate al controllo cognitivo dell’azione e al controllo dell’emotività in favore del controllo esecutivo.

L’utilità di inserire l’arte marziale in questo contesto risiede soprattutto nell’attenzione che viene rivolta alla sperimentazione del proprio corpo e alla relazione corporea controllata con l’altro. Questo permette infatti di far emergere dei forti vissuti emotivi, ma anche di imparare ad esserne consapevoli e riuscire a modularli e modularsi nella relazione con l’altro. Come descritto da Benso e riportato nel capitolo 2 della tesi, il controllo dell’emotività è presupposto fondamentale per riuscire a far prevalere il controllo cognitivo.

Mindfulness “Il fiore dentro”

Al momento dell’interruzione degli incontri in presenza, si sono presentati nuovi bisogni legati alle diverse richieste ambientali. G. ha cominciato a manifestare un aumento di comportamenti impulsivi, con comparsa di agiti aggressivi nei confronti di oggetti della casa, a cui sono seguite difficoltà di gestione da parte dei genitori. Questi hanno prontamente chiesto aiuto alla terapista su come poter aiutare la bambina a ridurre questi comportamenti, indicatori di uno stato di forte tensione e agitazione emotiva. Tali comportamenti erano probabilmente legati ad una difficoltà di adeguamento alla nuova situazione, alla difficoltà a gestire le nuove richieste e alla fatica di regolarsi in autonomia.

La terapista ha quindi deciso di anticipare un percorso in programma per i mesi successivi: un percorso di Mindfulness. La scelta è stata dettata da diverse ragioni:

  • I nuovi bisogni espressi dalle bambine del gruppo e da G. in particolare richiedevano un intervento rivolto alla gestione dell’impulsività e alla regolazione emotiva e comportamentale. Il percorso di Mindfulness è finalizzato proprio ad acquisire degli strumenti per imparare a riconoscere i propri stati emotivi e i propri pensieri e per riuscire a gestirli e ad esprimerli in modo adeguato;
  • L’esigenza di seguire un percorso a distanza rendeva impossibile mantenere un progetto come quello seguito precedentemente in palestra, con necessari cambiamenti di modalità, strumenti e attività;
  • Il percorso di Mindfulness è un percorso strutturato che prevede otto incontri, durante i quali l’attenzione di ciascuno è rivolta verso di sé e la relazione con gli altri passa in secondo piano. È quindi più facile seguirlo da casa rispetto ad un percorso che richiede molto movimento e regolazione di sé rispetto all’altro.

Il programma seguito è stato un percorso MBSR (Mindful based Stress Reduction) “Mindfulness – Il fiore dentro”, studiato per essere rivolto a bambini tra i sei e i dodici anni, età dello “stadio operatorio concreto” (secondo la teoria di J. Piaget), e comincia ad essere capace di introspezione e di confronto costruttivo con l’altro, rimanendo all’interno di una realtà concreta e tangibile.

Il programma prevede otto incontri (a cui si somma un incontro preliminare con i

genitori) della durata di circa quarantacinque minuti ciascuno. Ogni incontro comprende una pratica formale (con tre brevi sessioni di meditazione) e una parte psicoeducativa (con presentazioni didattiche da parte dell’insegnante, discussione e condivisione di esperienze). Al termine vengono assegnati degli “homework”, finalizzati a rinforzare ed approfondire l’apprendimento raggiunto durante l’incontro o a creare un collegamento con le tematiche che verranno affrontate in quello successivo.

Preparazione: incontro di orientamento con i genitori

L’incontro è finalizzato alla spiegazione ai genitori dei principi teorici sui quali il programma si basa e su come questi si esplicano durante gli incontri. Viene spiegato il concetto di “mindfulness” secondo la definizione classica di Jon Kabat Zinn: “Mindfulness significa porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante”. I genitori hanno inoltre la possibilità di sperimentare in prima persona un’attività che verrà poi proposta anche alle figlie: l’“esercizio dell’uvetta”. Viene chiesto loro di prendere un chicco d’uva o d’uvetta, vengono poi guidati al suo assaggio, utilizzando la vista, il tatto, l’olfatto, la percezione in bocca ed il gusto. Ciò permette loro di sperimentare la consapevolezza in un atto quotidiano.

Vengono infine date indicazioni pratiche su come gestire gli incontri: è richiesta la costanza nella partecipazione, è preferibile posizionarsi in stanze confortevoli e silenziose dove poter mettere a terra un tappetino e un cuscino e indossare un abbigliamento comodo. Viene inoltre chiesto loro di procurare dei semplici materiali che verranno utilizzati durante gli incontri.

  1. Incontro uno: c’è un giardino segreto dentro di me

Durante il primo incontro, la terapista introduce il gruppo alla mindfulness. Per fare ciò, utilizza la metafora del “giardino segreto”. Si tratta di un posto che ognuno ha dentro di sé e che può essere facilmente raggiunto portando l’attenzione al proprio respiro e all’aria che entra ed esce dalla pancia e dal petto. Le bambine vengono invitate a raggiungerlo ogni qualvolta ne sentano il bisogno.

La terapista spiega quindi gli obiettivi di questo programma: sviluppare la “super attenzione”, l’essere consapevoli di quello che accade nel corpo e nella mente momento per momento.

Vengono inoltre presentate delle “linee guida”: un patto che ciascuno si impegna a rispettare. Questo sarà spesso ripreso durante gli incontri, come regole che le bambine si sono impegnate a seguire per permettere una buona riuscita del programma.

Seguono tre momenti di meditazione e riflessione: l’ascolto consapevole, la lettura di un passo de “Il giardino segreto” di Frances Hodgson Burnett e il ritorno al proprio giardino segreto attraverso la consapevolezza del respiro.

  1. Incontro due: la mente del principiante

Il secondo incontro prevede una migliore comprensione di cosa siano la mindfulness e la “mente del principiante”. Vengono proposte delle nuove meditazioni: la meditazione sul respiro con la girandola, la” mindful eating”e la meditazione “del fiore al vento”. L’obiettivo dato per la settimana successiva è quello di prestare attenzione ad azioni che vengono normalmente messe in atto in modo automatico e osservare cosa può essere scoperto nel momento in cui vengono realizzate in modo consapevole e attento.

  1. Incontro tre: un pensiero è un pensiero

L’obiettivo dell’incontro è quello di guidare le bambine al concetto di “mente vagabonda” e di cominciare a porre l’attenzione sui pensieri che sorgono e cessano quando vengono analizzati attentamente. Lo scopo è quello di aiutare le bambine a comprendere come i pensieri siano temporanei e mutevoli.

Viene quindi introdotto il concetto di “pensieri non gentili”. Viene fatta una riflessione sul ruolo che tali pensieri hanno sul comportamento e su come la mindfulness insegni a riconoscerli e a rispondervi in modo adeguato, trattandoli come qualunque altro pensiero che può essere soffiato via attraverso una bolla di sapone.

L’incontro si conclude con una “meditazione camminata”, in cui viene chiesto di prestare attenzione a come il proprio corpo entra in contatto con il terreno.

  1. Incontro quattro: i colori delle emozioni

Durante l’incontro viene ripreso il tema dei pensieri come elementi non fattuali e vengono introdotte delle attività finalizzate allo sviluppo dell’intelligenza emotiva, attraverso un lavoro sull’esplorazione e sulla gestione delle emozioni positive e negative.

L’esplorazione delle emozioni avviene attraverso il riconoscimento della loro espressione corporea. Le emozioni vengono quindi paragonate ad un’onda: iniziano piano piano, crescono fino a raggiungere un picco e poi tornano a diminuire fino a scomparire. È nel momento di picco che la mente ed il corpo sono completamente invasi dall’emozione e si rischia di non pensare con chiarezza e di agire in modo impulsivo. Le bambine raccontano quindi delle esperienze in cui le emozioni erano troppo forti per essere controllate.

L’incontro si conclude con la “meditazione dei quattro sassi”, per cui ciascun elemento descritto (fiore, montagna, spazio, acqua) esistono delle caratteristiche che ognuno ha dentro di sé (freschezza, solidità, libertà, riflessione) e che favoriscono la gestione delle emozioni forti.

  1. Incontro cinque: gli eventi stressanti

Gli obiettivi dell’incontro sono di esplorare i pensieri non gentili, le emozioni negative e le sensazioni fisiche, che si provano quando si fanno esperienze stressanti, e di introdurre delle modalità di osservazione e accoglimento non giudicante di queste esperienze.

Nel corso dell’incontro, le bambine vengono guidate a cambiare la prospettiva da cui osservano le cose: il modo in cui gli eventi vengono percepiti dipende da noi, sta a noi decidere se avere pensieri negativi e provare quindi emozioni negative, o se trovare il lato positivo e provare emozioni positive.

Al termine dell’incontro viene mandato alle bambine il “Cartoncino del conforto”, contenente una frase che può essere riletta nei momenti di difficoltà, per ritrovare calma e serenità.

  1. Incontro sei: la consapevolezza prima di agire

L’incontro è focalizzato sul portare a consapevolezza il “minuto prima dell’azione”. Spesso si tende ad agire seguendo il “pilota automatico”, che porta a seguire gli impulsi con rapidità. Attraverso questo percorso si cerca di essere presenti il minuto prima dell’azione, fermarsi il tempo necessario per valutare con più calma le cose e decidere come agire di conseguenza. A partire da alcune esperienze riportate delle bambine in cui loro stesse raccontano di aver seguito il pilota automatico, viene guidata una riflessione su come sarebbero cambiate le conseguenze se si fossero fermate prima e se avessero pensato a cosa stava per succedere. Il momento prima dell’azione è il momento in cui si sceglie, in cui si avverte la presenza di un impulso, ma si decide di non assecondarlo, seguendo invece la “mente saggia”. Questa è la mente consapevole che nota cosa accade nel momento in cui accade e permette di essere liberi di scegliere consapevolmente le azioni da compiere.

Seguono la “meditazione della montagna” e la pratica del “Body Scan”, attività volte a portare a consapevolezza le sensazioni legate al corpo.

  1. Incontro sette: io e l’altro da me

Lo scopo dell’incontro è quello di guidare le bambine a rispondere in modo consapevole, anziché reagire impulsivamente agli stimoli, praticando l’assertività e il rispetto dei diritti e degli spazi degli altri.

Riprendendo ciò che le bambine hanno riportato dagli homework della settimana, la terapista porta l’attenzione sulle situazioni in cui la comunicazione è difficile, con conseguenti sensazioni di frustrazione e di incertezza. Vengono messe in scena delle situazioni esemplificative che     le   bambine vivono  spesso  nella  quotidianità, rappresentando dapprima la situazione come abitualmente avviene. Dopo aver riflettuto insieme su come sarebbe potuta andare diversamente la discussione utilizzando una comunicazione assertiva, viene riproposta la scena e si osservano le differenze. L’assertività è il riconoscere ed esprimere le proprie emozioni e manifestare i propri bisogni e desideri in modo onesto, diretto e rispettoso degli altri. Un comportamento non assertivo può essere passivo o aggressivo.

Viene quindi introdotto il concetto di “gentilezza amorevole”, che può essere rivolta verso di sé o verso gli altri, intesa come un principio etico che connota il vivere e che connette profondamente tutte le creature.

La meditazione proposta durante l’incontro è la meditazione camminata “una bolla tra le bolle”. Questa è finalizzata al consolidamento dei concetti di interconnessione con gli altri e del rispetto dei propri e degli altrui confini.

  1. Incontro otto: il fiore dentro

L’obiettivo dell’incontro finale è quello di consolidare gli atteggiamenti di gentilezza verso se stessi, al fine di aumentare la capacità di essere compassionevoli nei propri confronti, di sentirsi amati ed essere più resilienti di fronte alle avversità della vita. La gentilezza amorevole verso di sé non è basata sul confronto con gli altri, ma sul vedere se stessi come un fiore unico e bellissimo, prezioso per il solo fatto di esistere.

Il percorso si conclude con la scrittura di una lettera rivolta a se stesse e un passaggio (metaforico a causa della distanza) di un gomitolo tra le bambine ad indicare che il percorso si è concluso, ma permane un collegamento tra i partecipanti.

Conclusione del percorso

È stato per G. un percorso piuttosto difficile, in quanto le ha richiesto impegno, costanza e soprattutto messa in gioco di vissuti emotivi per lei forti. Durante i primi incontri era molto entusiasta, ma nell’ultima parte del programma ha cominciato a manifestare la fatica utilizzando frasi come “Non vedo l’ora che finisca”, “Non ne possono più di vedervi”. Oltre alla fatica legata al programma, G. esprimeva in questo modo la sua preoccupazione verso la fine del percorso. È infatti una bambina che fatica ad accettare le transizioni e i cambiamenti. Svalutando l’importanza delle situazioni, rende più accettabile per sè la loro conclusione. Questa strategia difensiva è facilmente comprensibile se si considerano i suoi vissuti legati all’adozione, che la portano ad affrontare con difficoltà i cambiamenti e ad aver paura delle interruzioni delle relazioni. Questi timori la portano a mettere in atto dei comportamenti di chiusura dei rapporti con gli altri, per evitare che siano gli altri a chiudere prima.

I comportamenti messi in atto durante gli incontri sono stati quindi valorizzati come elementi di consapevolezza e di riconoscimento dei propri stati emotivi. Insieme si è cercato di trovare modalità più efficaci per comunicare il disagio, senza entrare in conflitto con gli altri, prediligendo espressioni maggiormente assertive. In questo modo, G. è inoltre riuscita a relazionarsi con le altre bambine in modo maggiormente adeguato, riducendo le critiche come ricerca di confronto. Interessante a tal proposito è stata l’evoluzione della relazione con una delle tre bambine. Tra le due era infatti presente un conflitto dettato da alcune modalità di relazione simili (ad esempio, l’essere molto critiche e attente nei confronti degli altri). Nel momento in cui è stata favorita la comunicazione assertiva e la “gentilezza amorevole”, si sono però rese conto di essere interessate l’una all’altra e le loro modalità di interazione sono diventate maggiormente positive ed adeguate alla costruzione di una relazione.

Durante i primi incontri, inoltre, G. tendeva a completare tutti gli homework come fossero compiti scolastici, quindi sentendoli come un dovere e cercando di dare risposte per soddisfare la desiderabilità sociale. Durante gli ultimi incontri, questo atteggiamento si è ridotto, spostando l’attenzione sul fatto che si tratta di compiti utili per sé, non per gli altri, e che devono essere inseriti all’interno della routine quotidiana. È così riuscita ad aumentare progressivamente la sua capacità di riflessione sugli stati interni, ricollegandosi in modo sempre più spontaneo a pensieri, emozioni e stati corporei. Anche durante gli incontri, attraverso le esercitazioni pratiche e le attività di role playing, è riuscita a portare sempre di più le esperienze concrete da lei vissute, dimostrando di riuscire a trasportare nella quotidianità ciò che il programma le aveva offerto.

Ha dimostrato inoltre una sempre migliore capacità di riflessione e di comprensione circa i propri pensieri e i vissuti emotivi, riuscendo a mettersi in discussione e a gestirli in modo più adeguato.

Durante gli incontri, le maggiori difficoltà sono state legate al rispetto del turno e delle opinioni degli altri, difficoltà dovute all’impulsività che caratterizza il quadro della bambina. Per superarle sono state introdotte dalla terapista diverse strategie. Spesso è stato necessario riportarla alle regole firmate durante il primo incontro e riguardanti l’aspettare il proprio turno, l’ascolto degli altri, l’assenza di giudizio e la libertà di non partecipare. Quest’ultima regola in particolare è stata più volte ripresa per darle la possibilità di scegliere se proseguire o abbandonare. Per favorirla nell’attesa del proprio turno e nell’ascolto e rispetto del turno degli altri, le è stato proposto di manipolare qualcosa (pongo, palline antistress) mentre le altre bambine parlavano. Impegnandosi in tale attività, si riduceva in lei la ricerca di stimolazioni sensoriali e sensomotorie intense e di attenzione.

Al termine del percorso, è stato fatto con ogni coppia genitoriale un incontro individuale, durante il quale la terapista ha dato indicazioni su come poter continuare ad utilizzare il materiale dato per la Mindfulness anche nella quotidianità. Sono quindi stati esplicitati i temi affrontati, in particolare quelli del riconoscimento delle emozioni, del “minuto prima dell’azione” e dell’assertività. La terapista, in particolare, ha suggerito di chiedere alla bambina cosa fosse stato fatto durante il percorso, di introdurre come rituale una piccola meditazione insieme la sera prima di andare a letto e di andare a rivedere insieme le schede nei momenti in cui G. fosse apparsa più agitata, in modo da recuperare le strategie fornite e ritrovare il controllo.

INDICE

CONCLUSIONI

Le modifiche apportate al progetto riabilitativo di G. sono state fondamentali per poter proseguire in modo efficace con il trattamento delle sue maggiori fragilità. I cambiamenti hanno visto un riconoscimento delle difficoltà espresse dalla bambina durante il periodo di lockdown e sono stati finalizzati prevalentemente al loro sostegno. Nel momento dell’interruzione dei trattamenti a distanza, G. stava seguendo due percorsi diversi, uno rivolto al potenziamento attentivo-esecutivo, l’altro alla modulazione e regolazione motoria ed emotiva. Per essere adattati alle necessità dell’intervento a distanza, i cambiamenti introdotti sono stati vari.

Il percorso di Potenziamento Cognitivo Integrato secondo il Metodo Benso ha visto una modifica dei materiali per renderli utilizzabili anche nella nuova modalità. Inoltre, ci sono stati un maggior coinvolgimento della famiglia e una condivisione di strumenti con essa. Il riadattamento degli strumenti, ricreati appositamente in formato digitale dalla terapista, e la creazione di nuovi hanno permesso di proseguire con il training specifico e anche di fornire un supporto nello svolgimento dei compiti durante la DAD. La terapista è stata infatti coinvolta anche nella gestione della didattica a distanza, risultata molto difficile per G. e la mamma. Per questo, sono state fornite indicazioni per favorire l’organizzazione e la strutturazione del momento dei compiti, in modo che diventasse più accettabile. In aggiunta, per promuovere l’attenzione, sono stati suggeriti dei giochi di attivazione da fare prima e di rilassamento da fare durante le pause.

Le difficoltà di regolazione emotiva emerse in modo importante durante il periodo di lockdown hanno invece richiesto un cambiamento completo di progetto rispetto al precedente, con un focus sulla gestione degli stati emotivi, mentali e corporei. Per questo è stato realizzato il programma Mindfulness “Il fiore dentro”. Questa è stata una ricchezza per G. e la sua famiglia, che ha potuto trovare delle modalità per favorire la bambina nella propria regolazione e per creare dei momenti di condivisione e di interazione piacevole e serena tra genitori e figlia.

Fondamentale è stata la capacità della terapista di mettersi in ascolto della bambina e dei genitori per riconoscere le loro nuove esigenze. Nel corso dei mesi, si è assistito ad un’evoluzione anche da parte della professionista, che di volta in volta ha individuato le criticità dell’intervento e ha cercato di rimodularsi di conseguenza. Le maggiori difficoltà incontrate hanno riguardato:

  • connessione a tratti instabile che interferiva con interruzioni nell’interazione e nelle attività;
  • individuazione di uno spazio tranquillo dal quale la bambina si potesse collegare, senza che vi fossero eccessive distrazioni, e dove ci fosse la possibilità di disporre di un tavolo o di uno spazio a terra dove poter svolgere le attività richieste;
  • il materiale utilizzato per le attività e le sue modalità di presentazione.

Si possono quindi individuare tre fasi di intervento a distanza:

  1. Condivisione dei materiali con la famiglia e spiegazione di come utilizzarli;
  2. Incontri bambina-terapista e primo approccio all’intervento a distanza con utilizzo del video;
  3. Percorsi di Potenziamento Cognitivo e di Mindfulness con la bambina, con modifiche specifiche per ridurre le criticità incontrate nella fase due.

Nel corso dei mesi, G. ha dimostrato di essere riuscita a trovare delle strategie per favorire la relazione con gli altri e il controllo degli impulsi e del movimento nelle situazioni stressanti. Le valutazioni testistiche hanno inoltre dimostrato miglioramenti in ambito attentivo-esecutivo. Ha in più acquisito maggiori capacità di organizzazione dello spazio e dei compiti, per poter seguire la didattica a distanza in autonomia.

Al momento della ripresa delle attività in presenza, la bambina si è trovata a chiedersi a cosa servisse tutto ciò che stava facendo, rivelando quindi una buona capacità di riflessione e di riconoscimento delle proprie difficoltà. Per rispondere a questi suoi dubbi, la terapista ha utilizzato la tecnica del videofeedback, mostrandole delle parti tratte dai primi incontri avvenuti a distanza e delle parti degli ultimi. Ha creato inoltre delle tabelle di confronto tra i risultati delle valutazioni testistiche dell’anno precedente e dell’anno corrente. La bambina, in questo modo, ha potuto osservare e accorgersi da sola dei cambiamenti avvenuti nel proprio comportamento, dell’iniziale difficoltà nel regolarsi e nel gestirsi e della progressiva acquisizione di strategie per farlo (mandare via i pensieri disturbanti, riflettere prima dell’azione o ad azione appena iniziata, interrompendola). Il confronto dei risultati dei test, reso più comprensibile dall’utilizzo di grafici ed immagini, è stata per lei un’ulteriore prova del fatto che le fatiche che stava facendo fossero effettivamente efficaci per renderla più competente. Questo le ha permesso di riconoscere il senso dei percorsi seguiti e di ritrovare la gratificazione e la motivazione per proseguire.

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ANNA: QUANDO IL TRATTAMENTO NEUROPSICOMOTORIO DIVENTA ACCOMPAGNAMENTO VERSO L’ETÀ ADULTA

Viene ora esposto il terzo caso clinico. Anna è un’adolescente di diciassette anni. Il suo percorso di trattamento si rivolge quindi alle difficoltà legate al quadro clinico e all’età. Si tratta infatti di un’età in cui è fondamentale un’attenzione particolare ai vissuti emotivo-affettivi, legati alla propria disabilità e al periodo di transizione dall’età infantile a quella adulta. Per questo, fondamentale è il confronto con i pari. Durante il periodo di lockdown, l’aspetto della socialità diventa però molto più complesso e compaiono nuove difficoltà che il Terapista deve affrontare, modificando di molto il progetto riabilitativo.

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RACCOLTA ANAMNESTICA

Anamnesi

Anna nasce nel luglio 2003.

Anamnesi fisiologica: la gravidanza e la perinatalità sono riferite regolari. Lo sviluppo psicomotorio è riferito essere stato in ritardo: comincia a gattonare ai 15 mesi e a deambulare a 18 mesi. Ai 18 mesi vengono segnalate anche le prime parole, l’arricchimento del vocabolario procede lentamente.

Il controllo sfinterico viene acquisito in epoca, ma fino all’età scolare (sette anni) permangono episodi di enuresi in momenti di particolare coinvolgimento emotivo.

Si evidenzia un ritardo nello sviluppo affettivo-relazionale. A. presenta un temperamento instabile ed impulsivo, con frequenti cambi di umore, non sempre in seguito a cause comprensibili. Dimostra una scarsa tolleranza alle frustrazioni, con tendenza a piangere spesso quando non le viene dato ciò che richiede. È presente una difficoltà di contenimento e di consolazione: quando piange, è difficile farla smettere e non si consola con il contatto fisico o con le rassicurazioni dei genitori. Fatica, inoltre, a separarsi dalla figura materna.

Anamnesi patologica: non si evidenziano eventi di rilievo.

Anamnesi familiare: non vengono riportate familiarità per disturbi o patologie.

Valutazione neuropsicomotoria (dicembre 2009) e progetto riabilitativo

A. arriva alla Cooperativa Sociale Jonathan per la prima valutazione neuropsicomotoria nel dicembre 2009, all’età di sei anni. La valutazione avviene su suggerimento delle insegnanti, che osservano nella bambina difficoltà di regolazione, irruenza fisica e impaccio motorio.

La neuropsicomotricista rileva un ritardo neuropsicomotorio globale, caratterizzato da alcune peculiarità sul piano sensomotorio e su quello comunicativo-relazionale.

Per la stesura della relazione, viene utilizzata la guida fornita da Berti E., Comunello F., Savini P., all’interno de “Il contratto terapeutico” (2001) (allegato 1).

Struttura sensomotoria

Sul piano motorio, si evidenzia un’importante impulsività ed una tendenza a muoversi molto, in modo impacciato, goffo e frammentato: inciampa e sbatte spesso, non sa andare in bici senza rotelle, scende le scale appoggiando entrambi i piedi su ogni gradino. Fatica a modularsi rispetto agli oggetti e agli spazi intorno a sé, soprattutto fatica a calcolare spazi e distanze. Sono presenti inoltre difficoltà nelle abilità manuali (utilizzo della forbice, mettere e togliere scarpe e calzini, aprire e chiudere cerniere e bottoni). Le competenze grafico-rappresentative sono immature.

Sperimenta il piacere sensomotorio e ricerca e accetta il movimento passivo, preferendo toni alti e movimenti veloci.

Discriminazione e memoria

I tempi di attenzione sono estremamente brevi, con cambi di azioni e di attività molto rapidi. Dimostra un’incapacità di permanere in un progetto e un bisogno di introdurvi continui aggiustamenti.

Si evidenzia inoltre una difficoltà nel comprendere gli effetti delle azioni, con tendenza ad agire per prove ed errori. Utilizza modalità d’azione spesso ripetitive e stereotipate, per mancanza di strategie alternative.

Il gioco è ripetitivo, prevalentemente esplorativo e funzionale. Con alcuni oggetti (bambole, cavalli) sono presenti semplici sequenze di simbolizzazione.

Adeguamento

La regolazione emotiva risulta essere critica. La disorganizzazione emotiva è accompagnata da una disorganizzazione del movimento e la mimica non appare coerente. Fatica ad affrontare i vissuti emotivi all’interno della cornice di gioco, che raramente viene mantenuta, anche per una difficoltà nel differenziare finzione e realtà. Tende a riproporre nel gioco contenuti catastrofici, che la portano ad una forte disregolazione emotiva e motoria.

Tende a voler controllare le situazioni, accettando con difficoltà le variazioni proposte dall’altro.

Comunicazione e relazione

Il linguaggio è povero (frase semplice), molto presente e accompagna il movimento, in modo spesso non coerente con il contesto e non comunicativo. Spesso utilizza frasi stereotipate. Non comprende concetti astratti e modi di dire.

La voce è bassa, mono-tono, alle volte rauca e con ridotta capacità di modulazione.

Lo sguardo è veloce e sfuggente e viene raramente impiegato nella relazione con l’altro. Fatica ad accettare i tempi di attesa e a rispettare i turni.

Sintesi delle osservazioni

Nel complesso, A. presenta un quadro di ritardo globale dello sviluppo, con compromissione su tutti i piani, soprattutto su quello cognitivo ed affettivo-relazionale.

È presente una generale incapacità di utilizzare le proprie competenze e un’importante difficoltà di regolazione e di modulazione del proprio corpo e della propria emotività rispetto all’altro e all’ambiente. Si evidenziano, inoltre, in particolare:

  • Motricità impacciata, impulsiva e disorganizzata;
  • Difficoltà nella motricità fine e nelle prassie;
  • Tempi di attenzione brevi, con frequenti e rapidi cambi di attività;
  • Difficoltà di comprensione degli effetti delle proprie azioni, con tendenza ad agire per prove ed errori in modo ripetitivo;
  • Gioco esplorativo e funzionale, rari elementi simbolici non inseriti in cornici di gioco simbolico per incapacità di differenziare finzione e realtà;
  • Difficoltà di regolazione emotiva;
  • Ridotta tolleranza alla frustrazione e ai cambiamenti;
  • Linguaggio verbale povero, non sempre comunicativo e contestualizzato;
  • Deficitari indicatori sociali (sguardo, rispetto del turno).

L’intervento neuropsicomotorio si propone quindi di:

  • Ampliare le sperimentazioni sensomotorie: trovare piacere nell’organizzare il movimento in giochi sensomotori, rendere il gioco sempre più consapevole e quindi più modulato rispetto ad azioni, oggetti, riferimenti spazio-temporali e all’altro;
  • Costruire significati reali per riempire di senso le sue azioni, rendendole contestualizzate, ordinate ed efficaci, favorendo un utilizzo maggiormente adeguato del linguaggio.

Valutazione neuropsichiatrica (agosto 2010)

La valutazione neuropsichiatrica avviene presso il Servizio di Neuropsichiatria Infantile su suggerimento della neuropsicomotricista, ma i genitori non accettano subito la richiesta ed impiegano un anno per accedere.

Viene svolta in questa occasione una valutazione del profilo cognitivo, in seguito alla quale viene fatta una diagnosi di “Ritardo mentale moderato”, con quoziente intellettivo di 47.

Dalla valutazione emergono in particolare linguaggio e funzioni simboliche poveri e in lenta maturazione, un ritardo nelle acquisizioni scolastiche iniziali e una persistenza di immaturità espressiva ed atteggiamenti infantili.

Viene inoltre valutata attraverso la somministrazione del Modulo tre del test ADOS (Autism Diagnostic Observation Schedule), volto ad indagare tre aree di funzionamento: area dell’interazione sociale reciproca, area del linguaggio e della comunicazione, area dei comportamenti stereotipati e ripetitivi e della ristrettezza di interessi. Dalla valutazione, emerge un sospetto diagnostico per un disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato, facente parte dei disturbi dello spettro autistico.

Trattamento neuropsicomotorio

Il trattamento neuropsicomotorio procede con incontri individuali per tre anni e viene poi sospeso per scelta della famiglia.

Durante i tre anni, si è cercato di favorire un’evoluzione globale della bambina. Le aree di maggiore intervento sono state:

  • Area motoria: favorire l’organizzazione e la modulazione del movimento. A. ha dimostrando di utilizzare il movimento in modo sempre più consapevole, competente, modulato ed efficace, per riuscire a raggiungere dei risultati adeguati attraverso le proprie azioni;
  • Area neuropsicologica: allungare i tempi di pianificazione e di permanenza nelle attività, compiere delle scelte attive attraverso dei tentativi per prove ed errori, portare ad un’evoluzione del gioco simbolico. A. è riuscita ad aumentare i tempi all’interno delle attività e a rendere queste ultime maggiormente variabili nelle tematiche e coerenti con il contesto. Ha dimostrato inoltre un aumento dell’efficacia nella realizzazione dei progetti e nella loro messa in atto. A. riesce a gestire meglio le cornici di gioco simbolico, ricercando maggiormente la condivisione con l’altro, mantenendo una narrazione coerente e riuscendo a portare elementi emotivi più forti;
  • Area comunicativo-relazionale: ampliare le modalità relazionali e i codici comunicativi. A. ha sviluppato migliori reciprocità e comunicazione non verbale. Rispetta maggiormente i turni, impiega di più lo sguardo nella relazione con l’altro e la mimica è più variabile e coerente. Permane una difficoltà nell’espressione emotiva che, seppur migliorata, comporta un aumento della disorganizzazione motoria.

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PERCORSI DI TRATTAMENTO AL MOMENTO DELL’EMERGENZA

Presa in carico neuropsicomotoria (2017)

I genitori di A. tornano a rivolgersi alla Cooperativa Sociale Jonathan quando la ragazza ha quattordici anni. Al momento della nuova richiesta di presa in carico, A. era da poco stata inserita all’interno di un istituto professionale (con obbligo di formazione di tre anni) e la famiglia aveva riscontrato una difficoltà del contesto di rispondere alle esigenze della ragazza. Durante i cinque anni di sospensione del trattamento, A. aveva frequentato dei gruppi sportivi rivolti ai ragazzi con disabilità. Con l’ingresso alla scuola secondaria di secondo grado, i gruppi sportivi sono stati sospesi e le occasioni di incontro con i pari sono risultate ridursi notevolmente. La nuova richiesta da parte dei genitori era quindi quella di inserirla in contesti di gruppo per favorire la crescita e l’evoluzione delle autonomie.

Dalle valutazioni fatte all’inizio della nuova presa in carico, emerge un arresto alla fase delle operazioni concrete semplici (età di riferimento tra i 7 e i 9 anni). Risultano sufficienti le competenze nelle autonomie personali e invece carenti le abilità nelle autonomie sociali. Emerge un’importante necessità di sostegno nella decodifica delle situazioni relazionali complesse.

Viene quindi proposto alla famiglia di intraprendere un percorso all’interno di un contesto di gruppo. Il progetto proposto si rivolge prevalentemente al potenziamento delle competenze relazionali con i pari e al miglioramento delle autonomie sociali. Di fondamentale importanza risulta essere la condivisione periodica con la famiglia e con la scuola degli obiettivi e delle strategie per potenziare ed ampliare le competenze acquisite nel contesto di terapia. Il lavoro della famiglia si rivolge prevalentemente alle autonomie personali, mentre la scuola si occupa di potenziare gli apprendimenti funzionali all’autonomia sociale (riconoscere il valore dei soldi e saperli contare, sapersi orientare nello spazio e saper utilizzare i mezzi di trasporto per percorrere autonomamente il tragitto casa-scuola).

Nel corso degli anni, tuttavia, si assiste ad un progressivo indebolimento delle risorse di A., in termini di funzionamento cognitivo ed adattivo, con comparsa di una sintomatologia psicosomatica, caratterizzata da forti mal di stomaco e gastriti e forti mal di testa. La famiglia viene quindi incoraggiata a richiedere un nuovo accesso al Servizio per dare un sostegno psicologico ad Anna.

Percorso psicoterapico

Dall’età di quindici anni, A. è seguita in un percorso di psicoterapia con una psicoterapeuta, che esercita in regime privato, con cadenza mensile. L’intervento è stato avviato a causa del progressivo impoverimento delle funzioni cognitive e, in parallelo, dell’aumento di sintomi psicosomatici e dello sviluppo di pensieri e preoccupazioni di tipo ossessivo. Tale percorso ha la funzione di accompagnarla nell’elaborazione dei propri vissuti. La psicoterapeuta è molto attenta a ciò che A. riporta verbalmente durante gli incontri e cerca di guidarla ad analizzare le situazioni descritte utilizzando una diversa chiave di lettura e a darsi delle spiegazioni circa ciò che avviene intorno a lei. Il lavoro svolto dalla psicoterapeutica è molto concreto, basato sugli eventi che avvengono intorno alla ragazza in contesto familiare, scolastico e riabilitativo.

La psicoterapeuta, inoltre, incontra la mamma con cadenza semestrale per condividere le strategie e i progressi.

Due volte all’anno, inoltre, la psicoterapeuta e la psicomotricista si incontrano per condividere gli obiettivi del progetto terapeutico e per dare indicazioni alla famiglia per favorire la gestione della ragazza in casa.

Terapia farmacologica

Parallelamente alla presa in carico psicoterapica, in seguito ad una valutazione neuropsichiatrica presso il Servizio di Neuropsichiatria Infantile, è stata introdotta una terapia farmacologica, per favorire il controllo della patologia psicosomatica e dei ricorrenti pensieri ossessivi. Questa è a base di Risperidal e Iamotrigina.

Verifica neuropsicomotoria (2019)

Nel settembre 2019, con l’inizio dell’ultimo anno scolastico, in vista della conclusione del percorso di studi, A. comincia un graduale inserimento lavorativo con dei laboratori pomeridiani all’interno di una Fattoria Sociale. In previsione del cambiamento, la terapista somministra ai genitori di A. il protocollo Vineland-II, per l’analisi del comportamento adattivo e l’individuazione di obiettivi di trattamento specifici. Emergono come punti di forza le “abilità del vivere quotidiano” in ambito domestico e il dominio “gioco e tempo libero”, mentre risultano molto deboli l’ambito della “socializzazione” e le “abilità del vivere quotidiano in comunità”.

  • Comunicazione: se interessata e motivata all’argomento, mantiene conversazioni di durata anche di quindici minuti, ma tende a voler condurre lei la conversazione portandola su argomenti di suo interesse, se diversi da questi fatica a mantenere l’attenzione. Modula in modo appropriato tono, volume e ritmo della voce, fatta eccezione per le occasioni in cui le si proibisce qualcosa in contesto familiare;
  • Abilità del vivere quotidiano: A. dimostra di aver acquisito buone autonomie di cura personale (igiene e pulizia di sé, abbigliamento, preparazione di cibi seguendo ricette, utilizzo del denaro). Permangono tuttavia alcune difficoltà nel riconoscere l’abbigliamento in modo coerente rispetto alla stagione e alle condizioni meteorologiche, nel partecipare attivamente alle faccende domestiche riconoscendo queste attività anche come un suo compito, nella scelta di attività, interessi, gusti e preferenze, nel riconoscimento del tempo e nell’autonomia per strada (non si reca da nessuna parte da sola, ma rispetta le regole della strada);
  • Socializzazione: manifesta interesse verso l’altro e conversa con semplici domande e risposte con persone conosciute, difficilmente instaura nuove relazioni. Fatica a riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, tende ad immedesimarsi in quelle degli altri, soprattutto se sono di tristezza e di dolore, aumentando l’intensità dell’emozione stessa.

Progetto riabilitativo

A seguito della valutazione, gli obiettivi di trattamento individuati sono stati diversi.

  • coprirsi la bocca quando sbadiglia, starnutisce, tossisce
  • essere autonoma nella gestione della cura di piccole ferite e nell’uso del termometro
  • essere autonoma nell’assumere le pastiglie nell’arco della giornata

OBIETTIVI A BREVE TERMINE

  • aiutare in casa, utilizzando anche aspirapolvere e prodotti specifici per la pulizia
  • sparecchiare la tavola anche se non viene richiesto, partendo dal suo posto
  • avviare e accettare il processo di scelta e l’eliminazione di una opzione

OBIETTIVI A MEDIO LUNGO TERMINE

  • comprendere i modi di dire più comuni, l’ironia e le prese in giro affettuose da parte di amici e parenti
  • sapersi dare un obiettivo a medio-lungo termine che possa essere raggiunto
  • adeguare l’abbigliamento al clima e al tempo
  • organizzare in autonomia le uscite con gli amici
  • instaurare conversazioni con persone nuove
  • mantenere una conversazione, accettare di trattare argomenti diversi dai propri interessi e sapersi inserire in una conversazione già avviata
  • analizzare le conseguenze di un’azione conosciuta prima di compierla

FINALITÀ GENERALI

  • essere in grado di modularsi e gestire la frustrazione e le preoccupazioni nei diversi contesti di vita e con persone differenti
  • prendere  consapevolezza  di  sé,  dei propri limiti e delle potenzialità
  • introduzione all’alfabetizzazione emotiva

Trattamento in presenza: progetto “Imparo a far da me”

A. viene inserita in un contesto di gruppo, il cui obiettivo generale è quello di favorire l’acquisizione delle autonomie sociali e delle competenze relazionali con i pari. Sono previsti incontri settimanali. Durante il primo incontro del mese, i ragazzi scelgono cosa fare durante i successivi, cercano le informazioni necessarie per realizzare la scelta e si dividono i compiti per metterli in atto. Alcuni esempi sono:

  • Andare a mangiare al ristorante/pizzeria: richiede una scelta di dove andare sulla base delle preferenze e delle esigenze di ciascuno (A. è celiaca), verificando in internet la posizione e il menù. Si stabilisce poi chi è responsabile della prenotazione e il luogo dell’incontro. Durante la serata, inoltre viene richiesta una capacità di utilizzare gli strumenti specifici del luogo (menù) per scegliere cosa mangiare e saperlo ordinare, indicando eventuali richieste specifiche. Durante la cena, viene favorita l’autonomia nel gestire il mangiare, il bere ed eventualmente l’interazione con i camerieri. Questa diventa inoltre un’occasione per la cura dell’igiene personale e la gestione del bagno (riconoscere in quale bagno andare, quante volte). Al termine, ogni ragazzo paga in autonomia utilizzando il proprio denaro;
  • Andare al cinema: richiede una ricerca per individuare i film del momento e un accordo tra i ragazzi per il film da scegliere sulla base degli interessi di ciascuno. Viene utilizzata come strategia quella di leggere la trama e guardare il trailer, per avere un’idea reale di cosa viene trattato nel film. Un ragazzo, inoltre, si fa carico di controllare gli orari e di avvisare gli altri nei giorni prima dell’appuntamento. Durante l’incontro, è richiesto ai ragazzi di orientarsi in autonomia in ciò che il servizio offre, scegliendo eventualmente se prendere qualcosa da mangiare e da bere, ordinarlo e pagarlo;
  • Andare a fare una passeggiata: richiede una scelta di dove andare e della strada da percorrere e una capacità di orientarsi seguendo i riferimenti topologici, concreti o tramite app, rispettando le regole della strada;
  • Andare a giocare a bowling o in altre sale giochi: richiede una capacità di verificare la posizione del posto, di utilizzare i mezzi pubblici per arrivarci e di rispettare le regole specifiche del luogo.

Gli obiettivi di lavoro sono quindi rivolti al favorire l’acquisizione delle autonomie sociali, legate al saper gestire in autonomia o con minimo supporto il proprio tempo libero (comprendente saper scegliere cosa fare, come metterlo in pratica e come spostarsi nella città per raggiungerlo). Tutto questo avviene all’interno di un contesto di gruppo, in modo da favorire la  relazione e la comunicazione con i pari, il riconoscimento dei vissuti legati agli stati emotivi ed affettivi legati all’età e alla disabilità e la loro comprensione attraverso la condivisione e il confronto con gli altri.

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TRATTAMENTO A DISTANZA

Incontri di gruppo

Durante il periodo di lockdown, la terapista ha mantenuto l’incontro in gruppo con A. e altre due ragazze di pari età, entrambe con Sindrome di Down ma con profili cognitivi differenti tra di loro (una ragazza con disabilità intellettiva lieve e l’altra media). La scelta di proseguire con questo gruppo è legata al fatto che le tre ragazze erano precedentemente inserite insieme all’interno progetto “Imparo a far da me”, accomunate da un’esigenza di potenziare le competenze interattivo-relazionali e l’ambito delle autonomie e da bisogni di intervento tra loro complementari. Il proseguimento a distanza è diventato un’occasione per mantenere la relazione con il gruppo e un momento di contatto e di confronto con i pari.

L’avere degli appuntamenti non sempre fissi per sentirsi in videochiamata ha enfatizzato l’imprevedibilità degli incontri. Durante il trattamento in presenza, infatti, potevano avvenire degli imprevisti legati, ad esempio, al trovare chiuso il posto dove si era scelto di andare o al non avere sufficiente denaro per pagare quanto era stato ordinato. L’adulto era però sempre al fianco del ragazzo per facilitarlo nell’individuare delle strategie per superare le difficoltà. Con l’inizio del trattamento a distanza, gli imprevisti hanno cambiato forma e hanno cominciato ad essere legati direttamente alla presenza dell’altro, ad esempio ritardi dei partecipanti o spostamenti degli appuntamenti. Questi imprevisti, nell’intervento a distanza, vengono più difficilmente gestiti da A. e percepiti come mancanza di volontà di sentirla. Ciò contribuisce ad amplificare il suo stato di angoscia rispetto alle relazioni con gli altri.

Durante le videochiamate risulta inoltre per lei molto più complessa la comprensione della comunicazione non verbale, che passa attraverso mimica, sguardo, voce e gestualità, e fatica a riconoscere le reali motivazioni dietro le frasi degli altri, percependole spesso come accuse e critiche nei suoi confronti. Queste difficoltà sono senz’altro legate alle caratteristiche del quadro clinico di A. e comportano una fatica nell’immedesimarsi negli altri e nel cogliere i significati non letterali delle frasi.

Tale difficoltà è emersa, ad esempio, in seguito ad un messaggio di A. al quale un’altra ragazza del gruppo ha risposo “Anna che poema hai scritto!”. La frase era stata interpretata da A. come una critica verso di lei e verso il suo messaggio. Questo ha portato a riflettere sulla difficoltà di comprendere le intenzioni, l’ironia e i modi di dire, in assenza di vicinanza fisica. Questa situazione ha permesso di esplicitare l’importanza di mettersi nei panni degli altri quando si scrive un messaggio e di pensare a come gli altri potrebbero interpretare le frasi, ma allo stesso tempo anche l’utilità di chiedere chiarimenti all’altro quando non si capisce ciò che intende dire, anziché focalizzarsi solamente sull’interpretazione negativa. Essendo la capacità di immedesimazione molto difficoltosa per A. a causa del suo quadro clinico, è importante che riconosca la possibilità di chiedere spiegazioni nel momento in cui si sente in difficoltà di fronte ad un’affermazione altrui. Se lasciata libera di dare una propria spiegazione, infatti, tende ad avere pensieri disturbanti ricorrenti, nei quali si sente sola ed incapace di gestire le situazioni.

Nel corso degli incontri, tali incomprensioni sono sempre più presenti e, per questa ragione, la mamma chiede alla terapista di poter aggiungere un appuntamento individuale, in modo da poterla guidare nella gestione del nuovo contesto e nella sua comprensione.

Durante gli incontri di gruppo sono state inoltre affrontate diverse tematiche. L’obiettivo ricorrente di volta in volta è stato quello di favorire dei momenti di condivisione di esperienze e confronto con l’altro. Per questo motivo, di settimana in settimana, si è cercato di proporre attività che creassero un impegno il cui obiettivo potesse poi essere condiviso nonostante la distanza. Tra le attività proposte, alcuni esempi sono state:

- Preparazione di una torta da mangiare insieme: è stata scelta insieme una torta che tutte potessero fare. La terapista si è quindi occupata di fornire a ciascuna la ricetta con le fasi di preparazione descritte con il supporto di immagini per favorirne la comprensione. All’incontro successivo, è stata fatta insieme la merenda, ciascuna mangiando la fetta della propria torta. L’attività era finalizzata, oltre che al divertimento di fare merenda insieme a distanza, al seguire una ricetta in autonomia (sequenza di istruzioni), per riuscire a creare una pietanza;

  • Condivisione della propria canzone preferita: durante un incontro, è stato chiesto alle ragazze di pensare alla propria canzone preferita da far poi ascoltare alle altre durante l’incontro successivo. È stato quindi richiesto di saper riconoscere i propri interessi, tenendo in considerazione anche i possibili interessi dell’altro, e saper scegliere una sola canzone. Il momento dell’ascolto, inoltre, si è rivelato un’occasione per esprimere in modo adeguato le proprie opinioni, riconoscendo le possibili differenze di gusti e accettandole;
  • Riconoscimento delle emozioni: il lavoro è finalizzato, per A., al riconoscimento delle emozioni di base per riuscire a differenziare i propri stati emotivi. In passato, A. aveva dimostrato buone competenze metacognitive e di consapevolezza emotiva. Negli ultimi tempi però, ha cominciato ad identificarsi esclusivamente nella tristezza, riconoscendo questa come una modalità per attirare più facilmente l’attenzione dell’altro (ad esempio, dire “Sono triste” o cominciare a piangere si è rivelata per lei una strategia efficace per ricevere maggiori attenzioni). Nel lungo periodo, questa si è strutturata come unica espressione emotiva. Questo meccanismo è inoltre stato alimentato dal fatto che A. ha progressivamente cominciato a riconoscere solo le esperienze causanti tristezza, trascurando invece quelle di felicità, rabbia o paura. Come in un circolo vizioso, questo ha portato ad un progressivo aumento di pensieri ossessivi e della sintomatologia psicosomatica. Reintrodurre quindi la differenziazione di base delle emozioni (felicità, paura, tristezza, rabbia) è per lei un obiettivo molto importante, per guidarla a riconoscere elementi che possono causare le diverse emozioni e per ridurre l’identificazione esclusiva nella tristezza. Nel corso degli incontri, inoltre, sono state introdotte tre sfumature per ciascuna emozione, per guidarla al riconoscimento delle possibili variazioni di intensità delle stesse. Per favorire il riconoscimento e l’immedesimazione nelle diverse emozioni, sono state utilizzate delle carte rappresentanti le espressioni mimiche corrispondenti.

Gli incontri settimanali in videochiamata sono stati per le ragazze un’occasione per continuare a sentirsi parte di un gruppo, per non sentirsi sole ed abbandonate. Questo è stato un tema centrale, in quanto è stato molto importante riflettere insieme su come le relazioni siano state sottoposte a inevitabili cambiamenti, ma come questo non abbia portato a modifiche sostanziali nei rapporti. Una difficoltà per A. è infatti stata quella di comprendere il nuovo concetto di amicizia: essere amici non significa vedersi e sentirsi sempre, ma significa sapere di poter contare sugli altri nel momento del bisogno. Obiettivo del trattamento, in questo ambito, è stato quindi quello di favorire un’acquisizione sempre più matura della concezione dei rapporti interpersonali, che siano essi familiari o amicali.

Incontri individuali

Durante gli incontri individuali, i temi affrontati sono stati piuttosto differenti. Innanzitutto, questi appuntamenti settimanali sono stati per A. una possibilità di avere uno spazio dedicato esclusivamente a sé. Anche per la terapista, questa si è rivelata essere un’occasione per entrare nella quotidianità della ragazza e comprendere in modo più diretto ciò che prima era stato solamente raccontato dalla mamma. Spesso, infatti, quest’ultima aveva riportato episodi di “crisi”, durante i quali A. perdeva totalmente il controllo, cominciando ad urlare e a piangere, rendendo difficile per la mamma riagganciarla e riportarla alla realtà. Generalmente, questi episodi avvenivano come conseguenza di discussioni con il padre oppure di eventi in cui A. dava una propria interpretazione a comportamenti altrui (es: “Non mi ha risposto ad un messaggio”), dando avvio ad una serie di pensieri persecutori e paure dalle quali non riusciva da sola a distanziarsi (es: “Nessuno mi vuole”, “Resterò per sempre da sola”).

La situazione familiare di A. risulta piuttosto complessa e difficile.

La mamma è l’unica vera figura di riferimento per A.. Da quando la figlia era piccola, la mamma ha dimostrato fatica ad accettare le difficoltà della bambina. Questo risulta evidente dal ritardo nella richiesta di valutazione e di diagnosi (prima presa in carico a sei anni) e dalla successiva continua ricerca di cause organiche e funzionali alle problematiche, enfatizzata da diversi percorsi di trattamento intrapresi (riabilitazione funzionale per ripercorrere le tappe dello sviluppo motorio, dieta selettiva per eliminare enzimi che potessero essere concausa dell’iperattività, trattamento ortottico per le abilità visuospaziali). Negli anni, ha dimostrato sempre più un atteggiamento di iperprotezione nei confronti della figlia, con la tendenza a sostituirsi spesso a lei o a fare da mediatrice tra lei e il mondo esterno. Nella madre, la ragazza identifica l’unica persona in grado di comprenderla e di fornirle ciò che lei vuole: un’attenzione esclusiva nei suoi confronti in un rapporto uno a uno. A. fatica quindi molto a separarsi dalla mamma e richiede la sua presenza e il suo sostegno in tutti i contesti di vita, esprimendo anche verbalmente la paura di perderla. Allo stesso tempo, tuttavia, A. è consapevole del fatto che la madre non la abbandonerà e questo la porta ad avere con lei, e solo con lei, dei comportamenti di irrequietezza molto forti. La mamma, parallelamente, accetta il ruolo che la figlia le ha attribuito ed è spesso lei stessa ad inserirsi nelle relazioni della figlia. Questo è legato ad una componente di consuetudine e ad una difficoltà a fare un passo indietro ed accettare di vedere la figlia messa alla prova in situazioni complesse. La tendenza è quindi quella di anticiparla. Nonostante sia consapevole dell’importanza di lasciarla sperimentare, una volta in situazione fatica a trattenersi dall’aiutarla e dal sostituirsi a lei.

Il padre è presente in casa, ma ha un rapporto conflittuale con A. e non supporta molto la madre nella gestione della figlia. Il padre, infatti, non è mai stato presente nei percorsi riabilitativi della figlia, ha partecipato raramente ad incontri e colloqui e tuttora non si lascia coinvolgere nei progetti e nell’individuazione di strategie da utilizzare in casa per favorire la gestione della ragazza. A. si sente sempre molto giudicata dal padre e legge tutti i suoi comportamenti come delle accuse nei suoi confronti, alle quali reagisce con degli sfoghi con la madre.

A. ha inoltre un fratello minore che, a partire da marzo 2019, ha cominciato a soffrire di depressione in seguito ad un evento traumatico, cosa che ha causato un periodo di ospedalizzazione e l’inizio di una terapia psicofarmacologica. La depressione ha avuto delle conseguenze negative su A., che ha visto venir meno la totale attenzione della madre nei suoi confronti e ha cominciato quindi a mettere in atto con più frequenza dei comportamenti per recuperarla (sintomi psicosomatici e crisi di pianto).

La terapista ha quindi ritenuto importante coinvolgere la mamma nell’individuazione di strategie per favorire la gestione e la regolazione della figlia in casa. Mamma e terapista si sono spesso confrontate in assenza della ragazza. Durante gli incontri, la professionista ha cercato di riflettere insieme a lei sulle situazioni difficoltose e su come poterle gestire. La mamma è apparsa una persona competente, con risorse e strumenti adeguati, ma con difficoltà nel loro utilizzo all’interno delle situazioni concrete.

I suggerimenti forniti dalla terapista e concordati con la psicoterapeuta sono stati diversi e rivolti alla gestione dei comportamenti in ambito domestico. Si è cercato di trovare delle modalità di risposta ai comportamenti problema che emergevano in casa, che non richiedessero un coinvolgimento ed una partecipazione troppo grande da parte dei familiari, in quanto non sarebbero stati in grado di gestirli e di mantenerli nel tempo con coerenza:

  • Quando il padre sente che A. sta cominciando a reagire in modo eccessivo ad un fatto accaduto, è utile che egli si allontani in modo da non alimentare il possibile conflitto che potrebbe venirsi a creare con altre discussioni;
  • Quando A. si dimostra in preda ai pensieri ossessivi, è importante ricondurla al concreto, ripercorrere insieme tutta la sequenza di eventi e accadimenti, per riuscire a dare una lettura adeguata alla realtà, inibendone la distorsione. È quindi importante guidarla a dare diverse letture agli eventi, selezionando insieme quelle maggiormente plausibili;
  • Quando A. riporta situazioni di difficoltà legate al gruppo e che le creano forte disagio, è importante che la mamma esprima la sua comprensione, ma che rimandi A. ad un confronto con la terapista per risolvere il problema. In questo modo A. potrebbe smettere di considerare la mamma come unica persona in grado di aiutarla e alla quale delegare la soluzione delle criticità (es: “Ho capito cosa vuoi dirmi, ma io non posso aiutarti, devi parlarne con…”);
  • È importante sostenere le richieste di attenzione rivolte alla mamma in modalità adeguata, ignorando invece quelle che avvengono in maniera disfunzionale (es: accogliere “Mamma andiamo a fare una passeggiata insieme?”, ignorare “Stai qua a tenermi per mano” o i pianti);
  • È fondamentale dare messaggi verbali chiari, cercando di ridurre l’utilizzo di mimica e gesti, che potrebbero invece lasciare maggiore spazio alle interpretazioni (es: dire “Mi sto arrabbiando”, anziché sbuffare). In questo modo A. viene resa maggiormente partecipe e risulta per lei più comprensibile ciò che sta accadendo;
  • I supporti visivi risultano essere estremamente facilitanti per A., come riscontrato dalla terapista durante le sue attività, per riuscire a prevedere cosa deve accadere, anticiparlo ed essere più autonoma nella gestione delle attività. Possono essere utilizzati in diversi modi, ad esempio per creare calendari mensili e settimanali, per stabilire gli obiettivi da raggiungere (es: aiutare a sparecchiare, preparare una ricetta da sola, terminare un’attività) e per poi spuntarli quando sono stati raggiunti. Il loro utilizzo è stato anticipato da un lavoro svolto dalla terapista insieme ad A..

Oltre ai suggerimenti dati alla madre, la terapista è intervenuta direttamente con la ragazza per darle degli strumenti per prevenire l’insorgere dei comportamenti problema e la loro gestione quando in atto. Per quanto riguarda la gestione, la terapista si è proposta come “figura altra” in grado di supportarla nei momenti di difficoltà. Importante è stato cercare di ripercorrere gli avvenimenti per individuare la causa scatenante e tentare poi di dare diverse letture al problema iniziale, in modo da fornire ad A. altre possibili interpretazioni tra cui scegliere, variando dal suo sentirsi “incapace e sola”.

Per favorirla invece nella prevenzione e anticipazione, un elemento molto importante è stato quello di guidarla a trovare una nuova routine, delle attività da poter fare in casa, in modo da ridurre i momenti in cui si sarebbe potuta trovare annoiata ad amplificare i propri pensieri.

Per creare una nuova routine è stato utilizzato un calendario visivo: ogni giornata è stata suddivisa in tre spazi da riempire (uno alla mattina e due al pomeriggio) con differenti attività. L’attività selezionata per ogni momento della giornata veniva indicata all’interno del calendario con un’immagine rappresentativa.

La prima difficoltà è stata quella di individuare delle possibili attività da poter fare in casa, in quanto la sua tendenza era quella di passare le giornate guardando la televisione. Dopo essersi sorpresa di tutto ciò che avrebbe potuto fare, è stata guidata dalla terapista a scegliere cosa fare nei vari momenti. Ha dimostrato infatti una certa fatica nell’attribuire una sola attività ad ogni spazio vuoto. Alle volte, invece, non sapeva come riempire gli spazi perché nulla le sembrava andare bene per quel momento della giornata.

Questo ha rivelato una difficoltà non solo nello scoprire cosa poter fare, ma anche nel selezionare cosa voler fare. Le incertezze nello scegliere erano dovute prevalentemente al timore di eliminare l’opzione migliore e di deludere le aspettative degli altri, elementi che manifesta in tutti i contesti in cui è richiesta una scelta (es: giochi da fare, film da guardare, ordinare al ristorante). È stato quindi molto importante rassicurarla sul fatto che ogni scelta è giusta, che non c’è nulla di sbagliato che può implicare un enorme problema.

Per facilitarla, la terapista ha utilizzato una progressione graduale. All’inizio ha suggerito due attività da disporre in due spazi, in modo da richiedere una scelta ma non uno scarto, aumentando progressivamente il numero di scelte e di spazi, fino ad arrivare alla possibilità di riempire tre spazi scegliendo tra quattro opzioni di attività.

La costruzione della routine ha permesso di scandire e differenziare i tempi e i giorni, evitando che vi fosse una totale uniformità. In questo modo, A. ha potuto investire il tempo in modo maggiormente adeguato. Quando a posteriori le veniva chiesto cosa avesse fatto, la prima risposta era comunque “Niente”. Recuperando il calendario della settimana, è però riuscita sempre di più a raccontare attività ed eventi.

Questa si è rivelata un’ottima occasione per favorire lo sviluppo delle autonomie in casa. All’interno del calendario, è stata infatti inserita come attività anche quella di aiutare nelle faccende domestiche. Per facilitarla nella loro realizzazione, è stata utilizzata la strategia di scomposizione delle attività complesse in microattività rappresentate visivamente. Le sequenze sono state condivise con la famiglia e utilizzate per guidare A. nella gestione autonoma in questo ambito, con grande soddisfazione sia della ragazza che della mamma.

calendario della settimana

calendario della settimana - 2

Nel tempo, è stata A. stessa a richiedere di individuare nuove attività da poter svolgere in casa, anche chiedendo suggerimenti alla terapista su come fare, dimostrando di riconoscere la possibilità di chiedere aiuto.

Confrontando il primo e l’ultimo calendario creati, appare evidente come nell’ultimo sia presente una maggiore variabilità di attività, a dimostrazione del fatto che questo si è rivelato essere uno strumento utile per A., per scoprire cosa è possibile fare in casa e per differenziare le giornate e i momenti della giornata.

INDICE

CONCLUSIONI

Durante il periodo di intervento a distanza, gli obiettivi dell’intervento della terapista si sono dovuti modificare per assecondare le nuove normative vigenti.

Con l’inizio del nuovo progetto terapeutico, la terapista ha cercato di coinvolgere tutta la famiglia, ognuno secondo le proprie possibilità. Entrando direttamente in casa ogni settimana, ha infatti avuto la possibilità di venire maggiormente a conoscenza degli elementi di criticità all’interno del contesto familiare. Prima era infatti la mamma che riportava le difficoltà di gestione in casa, che non ritrovavano però una reale corrispondenza nel contesto di gruppo. Con la nuova modalità, la terapista ha invece potuto assistere direttamente alle difficili dinamiche familiari, osservando le reazioni di A.. Importante è stato quindi il lavoro di supporto intrapreso con la madre, la quale frequentemente si trova in difficoltà e non supportata dagli altri componenti della famiglia, che spesso risultano essere i fattori scatenanti delle reazioni disregolate di A.. Osservare insieme a lei la ciclicità degli eventi e della loro comparsa ha permesso di creare e trovare delle nuove strategie per favorire la rottura di queste abitudini disfunzionali per la ragazza e per la famiglia.

Anche gli obiettivi di lavoro hanno subito delle modifiche, in parte legati al nuovo lavoro di rete che si è venuto a creare e in parte legati alle nuove condizioni dell’intervento a distanza.

Non è più stato possibile favorire lo sviluppo delle autonomie legate al contesto urbano e sociale, ma è stato possibile potenziare le autonomie legate all’ambiente domestico. Il dover stare sempre in casa, in primo luogo, ha permesso ad A. di avere la possibilità di sperimentarsi in questo contesto, data la riduzione delle pressioni legate al dover rispettare tempi e ritmi frenetici dettati dai diversi impegni della vita precedente. Questo ha consentito anche alla mamma di potersi dedicare maggiormente a questi aspetti, assecondando i tempi a lei necessari per sperimentarsi in autonomia e coinvolgendola maggiormente nelle routine domestiche (pulizie, riordino, cucina). Per facilitare questo percorso, la terapista ha potuto utilizzare e fornire alla famiglia i supporti visivi alla comunicazione, facilitando la scomposizione e quindi la comprensione delle attività complesse.

Parallelamente, i supporti visivi si sono rivelati efficaci nel favorire il mantenimento di una routine. Attraverso la creazione di calendari per immagini, A. ha potuto sperimentarsi nella “scelta del cosa fare”, scoprendo attività gratificanti da poter fare in casa, in alternativa al guardare la televisione o il computer, e coltivando invece nuovi interessi in modo autonomo o condiviso con gli altri. Inoltre, la costruzione di calendari suddivisi per giorni e per momenti della giornata ha favorito la differenziazione di orari e giorni.

La terapista ha avuto un ruolo importante nel sostenere la famiglia nella regolazione dei nuovi vissuti emotivo-affettivi che sono emersi, anche a causa della nuova situazione, e che né la ragazza né la famiglia riuscivano a gestire. Si è rivelata questa un’occasione per poter riflettere sulla varietà di emozioni e affetti, sul loro riconoscimento (a livello corporeo e mentale) e sulla loro gestione. A tal fine, l’utilizzo di strumenti come quelli del CAT-kit si è rivelato senz’altro utile: il poter associare l’emozione ad un’immagine concreta e a una percezione corporea reale ha aiutato A. ad identificare le situazioni in cui queste vengono sperimentate, riuscendo quindi a differenziare maggiormente le situazioni a seconda dello stato emotivo.

Come per ogni adolescente, anche per A. la distanza dai pari è risultata essere un elemento critico. Per questo motivo, la terapista ha cercato di mantenere, per quanto possibile, una continuità su questo piano, creando dei momenti di socialità e di condivisione online. Questi incontri hanno messo maggiormente in luce le difficoltà che A. presenta nel relazionarsi con i pari. Ciononostante, la terapista ha cercato di promuovere il confronto con l’altro e il riconoscimento del fatto che, nella condivisione con l’altro, è possibile trovare esperienze comuni e nuovi spunti di riflessione.

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