Meccanismi biologici della plasticità

Cosa si intende per plasticità? Un materiale è plastico quando è soggetto ad un cambiamento proprio come accade al cervello quando apprende, poiché il SNC può imparare qualcosa di nuovo, modificando la sua organizzazione funzionale, la sua rete di connessioni o la sua struttura, e generare nuovi comportamenti.

Già dal XIX secolo, alcuni studiosi, come Cajal (1904), Golgi (1904) e Sherrington (1897)  avevano iniziato a parlare di plasticità cerebrale. Sherrington introdusse il termine di sinapsi per descrivere la zona di contatto tra due neuroni. Egli era convinto che il processo di apprendimento generasse  nuove sinapsi, ipotesi ripresa dallo psicologo Hebb, che descrisse nel 1949 quello che poi fu definito "apprendimento hebbiano": se l’assone di una cellula eccita più volte un’altra cellula, si assisterà a delle modificazioni morfologiche o metaboliche in uno o entrambi i neuroni, e se più cellule vengono attivate contemporaneamente in maniera ripetuta, queste diventeranno associate, ossia l’attività di una faciliterà l’attività dell’altra. Altro punto importante definito da Hebb (1949) è la differenza a livello neurale fra memoria a breve termine (MBT) e a lungo termine (MLT): la prima è mantenuta per pochi minuti da un’attività neurale continua, mentre la seconda è vista come la sedimentazione della memoria stessa (Kandel, 2007). L’apprendimento vero e proprio avviene quando, in seguito a stimolazione continua, vi è  crescita di nuove sinapsi che comportano sintesi proteica (Kandel, 2007, Moro, 2010).

Gli esperimenti iniziati negli anni ’60, hanno evidenziato come l’ambiente influenza la struttura ed il funzionamento del SNC attraverso due principali linee di ricerca: gli effetti che un ambiente arricchito può indurre nel cervello dei ratti (Rosenzweig e Bennet, 1996)  e gli effetti della deprivazione sensoriale visiva sulle aree corticali del gatto (Hubel e Wiesel, 1963).

I primi (Rosenzweig e Bennet, 1996) dimostrarono che la combinazione di stimoli sociali, sensoriali e motori  generano cambiamenti importanti a livello corticale (Moro V., 2010 p. 40). Dopo venticinque giorni dalla loro nascita,  i ratti furono divisi in tre  gruppi: condizione standard con cibo e acqua (CS); condizione di ambiente impoverito, cioè un’animale solo (CI); condizione di ambiente arricchito (grande gabbia con tanti altri oggetti oltre al cibo e all’acqua) (CA). Tutti i ratti vennero lasciati per ottanta giorni nell’ambiente stabilito. Al termine di questo periodo, quelli nella condizione CA dimostrarono un aumento di peso della corteccia occipitale dovuto ad un aumento delle ramificazioni dei dendriti dei neuroni piramidali.
Questo dimostrava che un ambiente arricchito può influenzare le variazioni funzionali e biologiche del SNC, oltre che rivelare la presenza di plasticità cerebrale.

Sempre intorno agli anni ’60, i neurofisici Hubel e Wiesel, per sostenere la plasticità del cervello e l’importanza dell’ambiente per lo sviluppo armonico, eseguirono degli esperimenti nell’ambito della derivazione sensoriale, in particolar modo quella monoculare, nei cuccioli di gatto, allo scopo di comprendere in che modo potesse indurre cambiamenti strutturali o funzionali nei neuroni del corpo genicolato laterale del talamo e nella corteccia striata, strutture cruciali per il sistema visivo. Questi esperimenti diedero risultati diversi sul corpo genicolato in base all’età del gatto: in quelli deprivati dalla nascita, le cellule nervose che ricevevano informazioni dall’occhio chiuso avevano ridotto il loro nucleo del 40%, mentre in quelli deprivati dopo aver elaborato informazioni visive, le cellule si atrofizzavano meno rispetto ai primi. Se invece la deprivazione  si esercitava su gatti adulti non avveniva nessun cambiamento. 

Gli studiosi continuarono le ricerche sia su gatti appena nati sia su gatti adulti, tenendo però anche in considerazione che le cellule nervose della corteccia visiva sono cellule binoculari e rispondono ad entrambi gli occhi. Si voleva verificare se la deprivazione monoculare inducesse nei neuroni della corteccia visiva uno spostamento di dominanza oculare dall’occhio chiuso all’occhio aperto. Si riscontrò che tale cambiamento di dominanza oculare era molto evidente se l’esperimento era eseguito prima che il periodo critico di sviluppo della corteccia visiva terminasse, si riduceva con gatti con precedente esperienza visiva, era inesistente con gatti adulti. Poichè la deprivazione monoculare provocava uno spostamento di dominanza oculare nella corteccia striata differente a seconda dell’età dell’animale, i due studiosi pensarono di provocare una chiusura bilaterale degli occhi in gatti adulti per indurre una cecità bilaterale, aspettandosi un’assenza di risposta delle cellule corticali. Il risultato fu  invece  una risposta a tratti anomala o assente come se si trattasse della distruzione di connessioni pre-determinate, situazione molto diversa da quella di assenza di stimolazione post-natale. Questo dimostra che il sistema visivo è predisposto a rispondere agli stimoli visivi ambientali con una sorta di equilibrio tra le informazioni provenienti dai due occhi (Moro, 2010,  p. 44) .

“Il mantenimento di sinapsi non dipendeva solo dal numero di input in entrata, ma anche dalla normale interrelazione tra le diverse vie afferenti. Di conseguenza, nell’immaginare come un’organismo potesse essere influenzato dall’esperienza, le possibilità forse si sarebbero allargate se, invece di usare il solo concetto di uso o disuso, si fosse usato il concetto di interdipendenza di  sinapsi diverse in una singola cellula” (Hubel e Wiesel, 1965, p.1057).

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