L'approccio psicomotorio
In un contesto così complesso in cui si intersecano sistema nervoso, sistema immunitario e sistema endocrino, l’uomo soddisfa i propri bisogni attraverso il movimento del corpo nello spazio.
L’attività motoria (Cottini, 2003) costituisce un aspetto fondamentale dello sviluppo dell’essere umano che assume particolare rilevanza durante l’infanzia, in quanto mezzo attraverso cui il bambino può esplorare non solo l’ambiente circostante, ma anche fare conoscenza delle proprie sensazioni e delle proprie capacità attraverso l’atto di manipolare, afferrare, toccare i vari oggetti, scoprendone le loro caratteristiche. La motricità diventa essenziale per la maturazione biologica dell’organismo e funge da canale di comunicazione tra il bambino ed il mondo che lo circonda (Cottini, 2003).
La psicomotricità sostiene ed enfatizza l’importanza dell’integrazione degli aspetti motori e psicologici, in modo particolare durante lo sviluppo, al fine di restituire all’individuo la propria unicità; per questa ragione, nell’individuarne i fondamenti neurofisiologici, si riferisce ad un concetto di sistema nervoso (Pisaturo, 1996, p.31) che non fa distinzione tra “apparato nervoso della vita di relazione”, (formato dall’asse cerebrospinale, dai gangli sensitivi annessi e dai nervi cerebrospinali , che permettono all’organismo di rapportarsi con il mondo), e apparato nervoso della vita vegetativa, o sistema nervoso autonomo, (formato dai gangli, situati nella parte ventrale della colonna vertebrale, collegati tra loro e con i nervi cranici e spinali). Il sistema nervoso studiato in ambito psicomotorio, vede le complesse strutture cerebrali che regolano le funzioni superiori (pensiero, coscienza) intimamente connesse tra loro e con le strutture che presiedono al controllo della motricità (Pisaturo, 1996). L’approccio psicomotorio considera gli aspetti neurofisiologici e comportamentali sempre in connessione tra loro come manifestazioni diverse di uno stesso evento; di queste ne valuta gli aspetti qualitativi e quantitativi al fine di poter osservare il soggetto in tutta la sua complessità.
In una gerarchia di elementi del corpo umano, il sistema nervoso a livello centrale e periferico controlla tutta la motricità (Boscaini, 2008), dalle manifestazioni più semplici alle più complesse, poiché il fine ultimo di tutti i processi mentali, inclusi quelli relativi alla percezione, all’attenzione, alla memoria, alle influenze emozionali e sociali, e ai processi decisionali, è produrre azioni motorie appropriate, volontarie ed involontarie (Purves et al., 2009).
I comportamenti, che richiedono una motricità più propriamente espressiva, si organizzano, secondo Wallon, (1967), a partire dalla strutturazione dello schema corporeo, i cui prerequisiti funzionali sono: il controllo muscolare, la coordinazione, l’equilibrio, la lateralità e la strutturazione spazio-temporale.
Il controllo muscolare è subordinato alla capacità di regolazione del tono (Cottini, 2003) che trae origine da fattori genetici e neurofisiologici, ma è anche in stretta relazione con aspetti affettivi ed emozionali; è ritenuto il fondamento della psicomotricità ed è definito da Pisaturo (1996, p.74) come “lo stato di tensione attiva del muscolo, mantenuto costantemente da meccanismi di regolazione”.
Il tono è mantenuto attivo grazie ad una regolazione periferica (recettori tendinei e muscolari) ed una regolazione centrale (area motoria corticale, gangli della base, nuclei grigi del tronco, nucleo vestibolare, cervelletto, formazione reticolare) che controllano il funzionamento dei motoneuroni e che garantiscono non solo la tensione necessaria al movimento dei vari segmenti (dinamico), ma anche quella sufficiente al mantenimento del tono nello stato di riposo. La relazione tra tono ed emozioni, studiata accuratamente da Wallon (1931), si stabilisce precocemente nel bambino ed è funzionale all’espressione delle emozioni che gli garantiscono l’accudimento del caregiver (Pisaturo 1996). Attraverso le modulazioni toniche del corpo, quindi il suo irrigidirsi o rilassarsi, il bambino esprime la propria reazione rispetto ad uno stimolo esterno che gli garantirà l’attenzione necessaria da parte del caregiver ( Pisaturo, 1996, p.75).
Questo alternarsi di tensione e distensione verrà ad assumere una funzione comunicativa definita anche dialogo tonico (De Ajuriaguerra, 1979), prima forma di interazione dell’essere umano con l’ambiente esterno e base di ogni altro tipo di comunicazione, compreso il linguaggio.
Il tono, ha la sua sede nel muscolo ed è all’origine del movimento; dà caratteristiche qualitative alla motricità che diventa caratteristica di quel soggetto in quella particolare situazione perché ne riassume la condizione fisiologica, psicologica ed affettiva. La coordinazione, intesa come “esecuzione di un atto motorio finalizzato utilizzando in maniera sinergica le varie strutture corporee impegnate” (Cottini, 2003, p. 33) è lo specchio della maturazione del sistema nervoso centrale e della capacità di regolazione del tono, che permettono un riadattamento continuo e finalizzato del movimento sulla base dello stimolo esterno, rispondendo ad input fisiologici, psico-affettivi e cognitivi .
Una forma particolare di coordinazione motoria è l’equilibrio, definito da Cottini (2003, p. 33) come “l’esito della ricerca dell’esatta posizione del corpo nella statica e nel movimento”. Esso non risponde esclusivamente a fattori biologici o biomeccanici, ma é influenzato anche da aspetti affettivi già implicati nella regolazione del tono. Il movimento di riequilibramento secondo Cottini (2003, p. 34) è frutto dell’integrazione di informazioni provenienti dalle sensazioni plantari, cinestesiche, labirintiche (propriocettive) e visive (esterocettive), che si strutturano grazie alla complessità dell’esperienza motoria, consentendo la presa di coscienza del rapporto dei vari segmenti tra loro e della loro globalità , rispetto all’ambiente esterno.
Il concetto di lateralità, intesa come preferenza per l’utilizzo di un emilato, è già stata descritta nel primo capitolo. Una struttura che assume particolare importanza nel controllo della motricità lateralizzata è il corpo calloso. Il corpo calloso consiste in circa 200 milioni di assoni che uniscono i due emisferi, non solo unendo tra loro aree omologhe, ma facendo sì che una determinata regione di un emisfero venga ad essere associata con regioni differenti dell’emisfero opposto (Boscaini, 2008). Si ritiene che tali fibre abbiano lo scopo di presiedere la partecipazione dei due emisferi in tutte le funzioni (Bear, et al., 2002). La funzione del corpo calloso è di fondamentale importanza nello sviluppo funzionale di un cervello lateralizzato (Westernhaus, et al., 2011) e della dominanza laterale intesa come capacità di conferire ad uno degli emisferi l’iniziativa della organizzazione dell’atto motorio (Giacomazzi, 2010). Tale fenomeno implica una diversificazione tra i due emisferi che comporta una specializzazione funzionale per il sistema nervoso centrale, legato al concetto di fruibilità con il minimo sforzo (Boscaini, 2008).
Un’altra struttura propria del sistema nervoso centrale che assume particolare rilievo in psicomotricità, è la formazione reticolare. Essa funziona come un sistema relativamente autonomo che influenza le strutture nervose di tutto l’asse cerebrospinale. Responsabile della veglia corticale, la formazione reticolare regola attraverso vie nervose discendenti diverse funzioni somatiche e vegetative (tono posturale, attività motoria, respiro, pressione arteriosa, frequenza cardiaca), mentre attraverso vie nervose ascendenti, dirette al diencefalo e alla corteccia cerebrale, modula il flusso degli impulsi provenienti dai recettori di tipo somatico e viscerale (Boscaini, 2008). Lo stato di vigilanza corrisponde al mantenimento generale di uno stato di consapevolezza, che interessa aspetti molteplici del comportamento. A questo stato oggettivo, sopravviene l’esperienza soggettiva di un sistema integrato in azione, che è la coscienza (Pisaturo, 1996). Tale complesso sistema contempla informazioni che dalla periferia giungono al sistema nervoso centrale e viceversa, con meccanismi recettoriali che trasmettono l’input dell’azione contemporaneamente alla sua realizzazione (Pisaturo 1996).
La strutturazione spazio-temporale è un altro aspetto rilevante nell’approccio psicomotorio. Dagli studi di Piaget (1946), Cottini (2003) afferma che nei primissimi mesi di vita del bambino, il concetto di spazio è legato alla percezione dell’apparato anatomico funzionalmente più significativo; il primo spazio percepito è lo spazio della zona orale, costituito dagli organi della suzione che mantengono il sostentamento. Questo concetto si amplia con lo svilupparsi della prensione e della capacità di portare il cibo alla bocca: l’arricchirsi della quantità e qualità degli schemi motori permette il passaggio ad uno spazio prossimale (5 mesi circa). Sempre secondo Piaget (cit. in Cottini 2003), bisognerà attendere l’integrazione delle sensazioni provenienti dai vari organi di senso e la creazione della rappresentazione dell’oggetto affinchè il bambino inizi ad acquisire i concetti di vicinanza, lontananza, ordine e separazione. Sarà la nascita del pensiero simbolico che permette al bambino di comprendere i vari tipi di relazioni esistenti tra gli oggetti distinguendo tra queste i rapporti topologici (sopra, sotto, avanti, dietro, destra e sinistra).
L’acquisizione del concetto di tempo è strettamente connessa a quello di spazio (Cottini, 2003, Boscaini, 2008, Vecchiato, 2007), del quale ne ricalca l’evoluzione: a partire dalla percezione del ritmo cardiaco e respiratorio, il bambino passa, con il pensiero simbolico, ad un tempo rappresentato (Cottini, 2003, p. 37); successivamente il concetto di tempo oggettivo, universale, che include in se il significato di inizio, durata e fine si distinguerà dal concetto di tempo soggettivo, legato all’affettività del soggetto ed a come egli percepisce e vive la situazione in quel momento.
Questa idea di globalità tra aspetti neurofisiologici e psichici è da integrarsi con il concetto di motivazione, che assume un ruolo fondamentale in psicomotricità. E’ l’intenzionalità che permetterà al soggetto di scegliere forme diversamente evolute di motricità (Pisaturo, 1996). Il movimento si può generare sul piacere della relazione, per il desiderio di esplorare e di sperimentare attraverso le azioni, che diventano frutto della propria individualità e trovano la loro massima espressione nel raggiungimento dell’autonomia (Pisaturo, 1996, Vecchiato, 2007, Boscani, 2008). Alla presenza di stimoli che innescano una reazione relativa alla frustrazione e gratificazione del bisogno (Vecchiato, 2007), si attiva il sistema neurovegetativo, insieme a circuiti strutturatisi durante lo sviluppo attraverso le esperienze con l'ambiente esterno (Vecchiato, 2007, Siegel, 2001). Questi elementi sollecitano il movimento attribuendogli intenzionalità, e significato, in funzione dei propri vissuti (Vecchiato, 2007).
La figura 2.2 sintetizza il passaggio dalle prime esplorazioni dell’ambiente esterno, alla motricità finalizzata ed intenzionale. Questa dimensione di maturità psicomotoria si esprime pienamente nel raggiungimento della prassia, ovvero la capacità di muoversi coerentemente ad un progetto motorio finalizzato ed intenzionale che implica contemporaneamente l’acquisizione del pensiero simbolico e delle tappe maturative del sistema nervoso; la capacità di muoversi liberamente e adeguatamente nello spazio circostante e nella relazione diventa espressione di sé e comunicazione con l’altro.
psicomotricità
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progressivo adattamento all’ambiente attraverso
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la motricità riflessa
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la motricità esplorativa imitativa
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la motricità finalizzata intenzionale (relazionalità più matura)
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COMUNICAZIONE
Figura 2.2. Rappresentazione schematica della definizione di psicomotricità. Tratto da Pisaturo (1996).
Il concetto di autonomia è un aspetto importante nella pratica psicomotoria e strettamente connesso con l’intenzionalità del gesto perché permette al soggetto di accedere alla scelta dell’azione da intraprendere e dei comportamenti più personali da agire. Come sarà illustrato successivamente, la psicomotricità, mira a ricreare attraverso il movimento spontaneo, in un setting specifico, quelle condizioni nelle quali il soggetto rivive, attraverso il corpo, sensazioni ed emozioni appartenenti al proprio vissuto. La funzione dello psicomotricista sarà quella di interagire con il paziente promuovendo, se necessario, iniziative che sostengono l’autonomia e le caratteristiche positive, enfatizzando le potenzialità ancora inespresse.
Indice |
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Capitolo 1 |
La plasticità Cerebrale |
1.6 Lateralità |
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Capitolo 2 |
L'Approccio Psicomotorio |
2.3.2 Il setting |
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2.3.3 Le attività |
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Capitolo 3 |
L'approccio psicomotorio in un caso di medulloblastoma |
3.2 Il caso di K. |
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Tesi di Laurea di: Giovanna BONAVOLONTA |