Definizione, Tappe dello Sviluppo, Percezione del concetto del Tempo e del Ritmo

TEMPO

RITMO

 

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TEMPO

Definizione del concetto del tempo

Ordine, durata e successione sono componenti indispensabili per descrivere la temporalità. Per ordine si intendono delle stimolazioni di natura identica o simile, in grado di organizzarsi tra di loro e sufficientemente intense. La durata, soprattutto nel bambino, è influenzata dall’esperienza soggettiva, raramente, coincide con la durata oggettiva del tempo vissuto; Il tempo, per essere definito, presuppone sempre il confronto di due durate. Infine, la successione è la percezione che c’è un dopo, che c’è stato un prima e che, quindi, si è in un tempo presente. Per Piaget il tempo rappresenta: “una nozione intellettuale che si costruisce in modo graduale, parallelamente sia al costruirsi della rappresentazione di un mondo esterno ordinato (...) sia alla conquista sempre più consapevole da parte del soggetto della propria identità1. Lo sviluppo del concetto di tempo segue dunque le fasi tipiche dello sviluppo intellettivo, secondo due tappe:

  • dalla nascita all’acquisizione del linguaggio, con l’esercizio degli schemi senso-motori, si stabilisce un’iniziale rappresentazione del tempo;
  • dall’acquisizione del linguaggio al pensiero ipotetico-deduttivo, con l’esercizio delle funzioni rappresentative, quella nozione primitiva evolve e si cristallizza nel concetto di tempo oggettivo.

Dice Piaget: “Lo sviluppo del tempo, parallelo a quello dello spazio, procede da un egocentrismo pratico iniziale, per cui gli avvenimenti sono ordinati in funzione di un’azione propria, d’altronde immobilizzata in un continuo presente, ad una obiettivazione tale che gli avvenimenti si concatenano in un ordine che finisce con l’inglobare la durata propria e i ricordi, in quanto episodi particolari di questa vera e propria storia2. Si passa, quindi, da una prima fase di completa indifferenziazione tra spazio e tempo, ad una graduale distinzione tra i due parametri, grazie alla capacità del bambino di uscire dal proprio egocentrismo e di rappresentarsi le azioni prodotte da lui stesso o dagli altri, collocandole in un flusso temporale continuo.

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Tappe dello sviluppo del concetto di tempo

Prima tappa: stadio senso-motorio (0-2 anni)

Alla nascita non c’è il concetto di tempo omogeneo, ma sono presenti una serie di azioni coordinate che comportano una non distinzione tra ordine temporale ed ordine spaziale.

  • Nello stadio dei riflessi (1 mese) e in quello delle reazioni circolari primarie (1-4 mesi), il bambino acquisisce una nozione “pratica” di tempo, scandito dal prima e il dopo delle azioni; costruisce quindi una forma di “organizzazione temporale primaria”, basata su impressioni di durata relativi a propri atteggiamenti di attesa del soddisfacimento di un bisogno, di un desiderio (ritorno della madre), di sforzo (per raggiungere un oggetto), di riuscita o di insuccesso.
  • Nello stadio delle reazioni circolari secondarie (4-8 mesi), il bambino inizia a costruirsi serie temporali soggettive, che diverranno oggettive, ovvero cadenzate da una consequenzialità imposta dall’esterno.
  • Solo con lo stadio della coordinazione mezzi-fini (8-12 mesi) e quello delle reazioni circolari terziarie (12-18 mesi) il bambino è in grado di affrontare situazioni nuove e ciò gli permette di acquisire le nozioni di oggetto, di spazio, di causa e di tempo oggettivo.
  • Nello stadio della comparsa della funzione simbolica (18-24 mesi), il processo si conclude con l’acquisizione da parte del bambino della capacità di rappresentarsi le serie temporali: il passato è pienamente ricordato e il futuro può essere anticipato.

Seconda tappa (2-11 anni)

Sviluppando in maniera graduale il concetto di tempo, il bambino deve dapprima impossessarsi delle capacità logiche per padroneggiare i concetti temporali e della reversibilità del pensiero, per poi impadronirsi delle nozioni di successione, di contemporaneità, di simultaneità e di durata. A partire dall’acquisizione del linguaggio, con la simbolizzazione di un prima e di un dopo, ha luogo la vera e propria cristallizzazione della rappresentazione del tempo, ovvero la sua concettualizzazione. Piaget individua altri tre stadi di stabilizzazione della nozione di tempo, che corrispondono ai periodi di sviluppo cognitivo da lui elaborati: quello intuitivo (dai 2-3 anni ai 6-7 anni), quello operatorio concreto (dai 6-7 anni ai 10 anni), quello operatorio formale (successivo ai 10-11 anni).

  • Nello stadio intuitivo, il bambino già è capace di seriare durate temporali, ma è ostacolato dal realismo infantile, che lo induce a commettere degli errori quando il compito di seriazione avviene in un determinato spazio percettivo condizionato dalla velocità con cui si presentano gli eventi. Il concetto di prima e di dopo temporali non è dissociato dall’ordine spaziale; questa indifferenziazione tra successioni temporali e spaziali è dovuta al concetto di irreversibilità. Non avendo raggiunto la reversibilità operatoria del pensiero, due eventi sono considerati come entità separate legate da congiunzioni del tipo “e, poi”, ma non in senso temporale.

Negli stadi successivi, il bambino regola le interazioni tra spazio e velocità, in modo che le serie temporali si coordinino.

  • Nello stadio operatorio concreto il bambino è in grado di esprimere le relazioni di precedenza o successione di due eventi, utilizzando locuzioni come “prima di, dopo di”, senza seguire necessariamente l’ordine reale di accadimento dei fatti. Presenta una differenziazione di tipo intuitivo, non sufficientemente affidabile, in quanto fortemente influenzata dalla soggettività. È necessario l’apporto di operazioni metriche e qualitative per costruire in maniera efficace relazioni di tipo temporale.
  • Nello stadio operatorio formale il bambino comprende le relazioni temporali grazie all’acquisizione di un pensiero reversibile che gli permette di ricostruire mentalmente il percorso del tempo nelle varie situazioni che gli si presentano. Ha raggiunto la capacità di decentrarsi, di vedere le cose da punti di vista diversi: il tempo viene considerato come omogeneo, uniforme e continuo.

La completa elaborazione del concetto di tempo dipende, infine, dalla acquisizione della nozione di velocità: quando il bambino prende coscienza che le durate non hanno a che fare con lo spazio in cui i fenomeni si presentano, ma dipendono dalla velocità, allora è completamente compiuta la rappresentazione astratta del tempo.

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Fattori che influenzano la percezione del concetto di tempo

La percezione dello scorrere del tempo è dipendente dal vissuto della persona, ovvero da ciò che svolge, sente, assimila e vive, durante il passare del tempo. Piaget ha individuato due categorie di fattori che influenzano la durata vissuta durante un’azione:

  • i fattori periferici quali lo sforzo, la velocità, i risultati materiali delle azioni;
  • i fattori centrali, ovvero della coscienza pura del tempo.

Cardaci, riprendendo quanto enunciato da Piaget, ha individuato dei fattori che influiscono sulla percezione del tempo:

  • variabili categorizzate da Piaget come “fattori periferici”: sforzo (difficoltà dell’azione svolta), soddisfazione (livello di soddisfazione relativo al vissuto), interesse (livello di noia o divertimento percepito), orizzonte temporale (quando ha avuto luogo l’azione), risultati (risultati ottenuti dall’azione), prevedibilità (livello di prevedibilità relativo al vissuto), velocità (la velocità con cui tale azione viene svolta);
  • variabile categorizzata da Piaget come “fattore centrale”: coscienza (la coscienza oggettiva del tempo).

Piaget, parlando di percezione del tempo, fa riferimento a due tipologie di tempo: un tempo metrico, cioè come il bambino misura lo scorrere del tempo, e un tempo vissuto, cioè psicologico, che si ottiene valutando come viene interpretato uno stato di attesa rispetto a uno stato di interesse. Piaget insiste, infatti, sulla differenza tra tempo dell’attesa e tempo dell’interesse e sul rapporto tra la valutazione delle durate e la difficoltà d’esecuzione dell’azione svolta. Si è evidenziato che per il bambino (4-12 anni), uno stato di vuoto e immobilità sembra avere una durata maggiore rispetto ad un momento di divertimento e movimento. Ciò avviene perchè un’attesa è vista come una vera e propria azione nel corso della quale si è costretti ad arginare le proprie energie e a porre un freno alla propria motricità. Di conseguenza, si può affermare che il sentimento di durata dipende dalle regolazioni affettive dell’azione: se si prova un sentimento di noia, di fatica o di sforzo, la durata trascorsa sarà valutata in modo diverso. Questa illusione permane anche nell’adulto, ma è il bambino ad essere soggetto ad un numero maggiore di errori, a causa dell’assenza di risultati esterni all’azione a cui appoggiarsi per valutarne la durata. Un altro aspetto che può modulare e, di conseguenza, alterare la percezione del tempo sono le emozioni. Studi recenti3  sui meccanismi neurofisiologici della percezione del tempo hanno suggerito che la percezione del tempo non sia veridica, bensì modulata dai cambiamenti nel contesto ambientale. I meccanismi funzionali e neurali, sottostanti le distorsioni temporali indotte dalle emozioni, rimangono tutt’ora poco chiari.

I risultati di alcuni studi indicano che la percezione di espressioni corporee paurose aumenti il livello di eccitazione che, a sua volta, acceleri il sistema alla base della rappresentazione del tempo. L’effetto delle espressioni corporee sulla percezione del tempo è quindi coerente con i risultati di altri stimoli emotivi altamente eccitanti, come le espressioni facciali emotive4.

La percezione del concetto di tempo a livello neurale

Sono stati fatti diversi studi per comprendere le basi neurali della percezione del concetto di tempo. In particolare, in uno studio5 si è utilizzata la fMRI per esaminare il corso temporale dell'attivazione, associato a diversi componenti di un'attività. Sono stati distinti i sistemi associati alla codifica degli intervalli di tempo da quelli relativi al confronto degli intervalli e all'implementazione di una risposta. L'attivazione nei gangli della base si verifica presto ed è stata associata in modo univoco alla codifica degli intervalli di tempo, mentre l'attivazione cerebrale avviene in ritardo, suggerendo un coinvolgimento in processi diversi dalla temporizzazione esplicita. È stata osservata un'attivazione corticale precoce, associata alla codifica degli intervalli di tempo, nella corteccia parietale inferiore destra e nella corteccia premotoria bilaterale, implicando questi sistemi nell'attenzione e nel mantenimento temporaneo degli intervalli. L'attivazione tardiva, nella corteccia prefrontale dorsolaterale destra, è emersa durante il confronto degli intervalli di tempo. I risultati mostrano, perciò, la presenza di una rete dinamica di attivazione cortico-subcorticale associata a diversi componenti dell'elaborazione delle informazioni temporali. Un altro studio6 che ha previsto l’utilizzo della fMRI ha dimostrato che nella corteccia premotoria mediale, in particolare nell’area motoria supplementare (SMA), le unità neurali sintonizzate su diverse durate sono mappate in modo ordinato in porzioni contigue della superficie corticale. Ciò suggerisce una sintonizzazione sensibile alla durata, come un possibile meccanismo neurale alla base del riconoscimento del tempo, e dimostra che la rappresentazione di una caratteristica astratta come il tempo possa dipendere da una disposizione topografica di una rete neuronale sensibile alla durata. I risultati mostrano che porzioni distinte dell’area motoria supplementare (SMA) rispondano preferenzialmente a durate diverse; questo potrebbe essere il meccanismo che ci consente di percepire in modo efficiente che è trascorsa una certa durata. A seguito dei diversi studi sopra enunciati è possibile affermare che gli esseri umani abbiano un sistema sensoriale specifico (o diversi sistemi complementari) che governa la percezione del tempo. Questa percezione sarebbe gestita da un sistema distribuito che coinvolge la corteccia cerebrale, il cervelletto e i gangli della base. Fondamentale è il cervelletto che serve per coordinare il movimento elaborando i dati provenienti dal resto del sistema nervoso. Un’altra area che misura il tempo si trova nel lobo frontale destro, che ha anche un ruolo importante nella memoria a breve termine; in questa zona si valutano durate dell’ordine dei secondi. Quando bisogna valutare durate di minuti, ore o giorni, entra in gioco un’altra zona cerebrale: i gangli basali, due gruppi di neuroni che attraverso il neurotrasmettitore dopamina controllano i muscoli, ma sono anche fondamentali nella valutazione della durata di un evento; la dopamina tende, infatti, a produrre la sensazione che il tempo trascorra più velocemente.

La disorganizzazione temporale in età evolutiva

Prendendo come riferimento la situazione a livello neurale illustrata precedentemente, si vuole ora evidenziare come queste aree, implicate nella percezione del concetto di tempo, se danneggiate, possano comportare diverse problematiche. Una di queste è l’aprassia motoria7, disturbo della cognizione motoria superiore, sequela frequente e rilevante del risultato dell'ictus emisferico sinistro (Goldenberg, 2009). Nei pazienti con aprassia è particolarmente disturbata la prestazione della pantomima dell'uso dell'oggetto e cioè il processo di suscitare un movimento significativo e transitivo; questo può essere attivato da un nome di uno strumento o mostrando la sua immagine. Nel 1982, Heilman, Rothi e Valenstein hanno proposto un modello per spiegare i processi relativi all'esecuzione dei gesti: l'input visivo o linguistico viene trasferito alla corteccia parietale sinistra, che, a sua volta, attiva le aree premotoria e motoria per l'esecuzione del movimento. Un prerequisito per l'uso di “oggetti pantomimanti” (“pantomiming object8”) è l'attivazione dello schema motorio che corrisponde alle caratteristiche fisiche dell'oggetto; un secondo requisito importante è la corretta esecuzione di quello schema motorio senza che l'oggetto sia presente. Dagli studi di imaging strutturale e funzionale per l’identificazione delle basi neurali della pantomima è emerso che è prevalentemente subordinata a una rete emisferica sinistra composta dal lobo parietale inferiore, il giro frontale inferiore e, in misura minore, da regioni frontali medie e inferiori temporali. All'interno di questa rete, la corteccia parietale svolge il ruolo chiave; più specificamente, il lobo parietale (inferiore) sembra essere coinvolto nel processo di attivazione di appropriati schemi motori in assenza dell'oggetto reale. Oltre a memorizzare gli schemi motori, la corteccia parietale sinistra è anche coinvolta nell'attivazione di questi schemi motori nel contesto dell'uso di “oggetti pantomimanti”, mentre la corteccia frontale è subordinata all’esecuzione, la corteccia temporale posteriore si occupa dell'identificazione degli oggetti nel contesto dell'azione (Johnson-Frey, 2004; Lewis, 2006). Un altro aspetto che può risultare deficitario, a seguito di un danno a livello del lobo temporale sinistro, è la comprensione del linguaggio sovramodale9. Dagli studi post-mortem su pazienti afasici di Broca e Wernicke, la corteccia frontale inferiore e parieto- temporale inferiore sono state implicate come aree corticali critiche per la produzione linguistica e la comprensione del linguaggio. L'avvento dei metodi di neuroimaging funzionale ha fornito prove per la rappresentazione di sottofunzioni linguistiche differenziate nelle aree dei lobi frontale e temporale. Nel lobo temporale sono state rivelate aree relative all'elaborazione di stimoli acustici (Griffiths, Warren, Scott, Nelken e King, 2004; Nelken, 2004; Ojemann, Schoenfield- McNeill, & Corina, 2002; Scott, 2005). Inoltre, gli studi di imaging funzionale hanno sottolineato il ruolo delle aree di associazione temporale nella percezione degli stimoli verbali uditivi (Binder et al., 1999,

2000; De ́monet et al., 1992; De ́monet, Price, Wise, & Frackowiak, 1994; Narain et al., 2003; Perani et al., 1996; Price et al., 1996; Scott, Blank, Rosen e Wise, 2000). Da questi studi sono emerse ulteriori prove per le funzioni indipendenti dalla modalità della corteccia temporale e temporo-parietale dell'emisfero dominante. In particolare, la struttura centrale impegnata nella percezione del linguaggio sopramodale è il lobo temporale sinistro, su entrambe le sponde del solco temporale superiore. Il polo temporale e una regione caudale, comprendente il giro sovramarginale e il piano temporale, sono stati trovati di grande importanza per quanto riguarda la percezione del linguaggio a livello di comprensione. Infine, un recente studio10 in fMRI ha dimostrato attivazioni nel solco frontale superiore sinistro e nel solco intraparietale sinistro, supportando l'ipotesi che una rete fronto-parietale sinistra sia critica per O-WM (“orthographic working memory”). Questa rete permette ai sistemi di memoria di lavoro di mantenere efficacemente l'identità e l'ordine degli elementi conservati in memoria, per un tempo sufficiente a consentire la loro selezione e il trasferimento alle successive fasi di elaborazione. La memoria di lavoro richiede rappresentazioni sia temporalmente stabili, sia ben specificate, degli elementi che compongono la stringa da produrre. In condizioni normali, queste due proprietà sono necessarie affinché gli elementi della rappresentazione vengano selezionati e trasmessi ai processi successivi nell'ordine corretto. L'incapacità di mantenere la stabilità temporale e il carattere distintivo rappresentativo danno luogo, rispettivamente, ad effetti di decadimento ed interferenza, che si manifestano in schemi di errore distinti, inclusi effetti di posizione seriale distinti; questo decadimento temporale è responsabile dell'oblio nella memoria di lavoro.

Ritmo

Definizione del concetto di ritmo

“Il ritmo come il tempo sono due forme di adattamento della realtà, due modi di regolazione che si concatenano l’uno con l’altro11”. Il ritmo è dunque un elemento essenziale della strutturazione temporale in quanto sottende l’adattamento al tempo. Possiamo definire ritmica qualsiasi organizzazione e strutturazione di fenomeni, siano essi visivi, uditivi o motori, che avvengono in maniera successiva nel tempo e che si ripetono ciclicamente. Il ritmo risulta caratterizzato da un aspetto qualitativo, i fenomeni vengono infatti percepiti con un proprio ordine ed una propria organizzazione strutturale, e da un aspetto quantitativo, relativo a un certo numero di fenomeni aventi una durata nel tempo. Piaget scrive: “il ritmo assicura la propria autoregolazione con i mezzi più elementari, fondati sulle simmetrie e le ripetizioni12. Il ritmo viene quindi definito come fattore di conservazione della struttura stessa, un principio regolatore. Ha una natura dinamica che ci permette di concepirlo non solo come un criterio di raggruppamento e di selezione preferenziale, ma anche come un concetto produttivo, rivolto alla costruzione di nuove strutture. Il ritmo è quindi una struttura fondamentale della vita organica e psichica, capace di intervenire nei processi primari di regolazione cognitiva.

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Fattori che influenzano la percezione del ritmo

Secondo Piaget, l'ordinamento temporale degli eventi e la durata degli intervalli sono operazioni elementari dalla cui integrazione si sviluppa la possibilità di misurare il tempo. È quindi presente una sovra-determinazione ritmica che presiede all’esistenza degli organismi nel mondo e fa parte della fisiologia interna di un individuo: l’organismo adatta questi due vincoli tramite un meccanismo di autoregolazione.

I ritmi biologici

Un ritmo biologico può essere descritto come un sistema oscillante nel quale eventi identici si producono a intervalli di tempo sensibilmente uguali. I parametri che caratterizzano un ritmo biologico sono tre: periodo, amplitudine e fase. Negli organismi viventi, il periodo, corrispondente alle variazioni ambientali, è di circa 24 ore. L’amplitudine serve a misurare l’intensità dei fenomeni ritmici e dipende dai fattori ecologici; anche la fase è sensibile all’influenza delle fluttuazioni ambientali. Le prime osservazioni sui ritmi biologici risalgono all'antica Grecia: nel IV secolo a.C. Androstene nota che le foglie del tamarindo si aprono durante il giorno e chiudono di notte. Nel 1729, l'astronomo francese Jean-Jacques d'Ortous de Mairan, osserva il comportamento della Mimosa pudica (le cui foglie si aprono di giorno e chiudono di notte) per determinare se questo movimento fosse dovuto all’esposizione alla luce del sole e riporta che, se messe al buio, il loro movimento continua indisturbato13. Nel '900 si prova che questi ritmi derivano da proprietà intrinseche delle cellule e non dipendono direttamente da fattori esterni. Si dimostra infatti che quando si passa da una situazione di alternanza luce-buio, ad una di temperatura e buio costanti, la durata di alcuni ritmi giornalieri non è più di 24 ore ma può aumentare o diminuire; questo porta alla nascita del termine circadiano (circa un giorno)14. Il ritmo endogeno dell'organismo è dunque circa di 24 ore, la luce sincronizza questo ritmo con le condizioni ambientali. Si dimostra così che tutti gli animali e le piante possiedono un “orologio interno”15. Nel corso dell’evoluzione si sono quindi creati questi meccanismi biologici in grado di sincronizzare il funzionamento dell’organismo con le condizioni cicliche ambientali. Ciò è stato possibile perché gli animali, così come le piante, si sono adattati ai cambiamenti periodici dell’ambiente naturale (l’alternanza del giorno e della notte, il succedersi delle stagioni, le escursioni di illuminazione e di temperatura) e, in relazione ad essi, hanno sviluppato dei ritmi biologici, quali il sonno e la veglia, la fame e la sazietà, dai quali dipende la loro sopravvivenza. La scoperta di questo “orologio biologico” ha stimolato la ricerca della sua localizzazione a livello anatomica nell'organismo. I primi esperimenti a riguardo permisero di trovarne la localizzazione centrale a livello dell’ipotalamo, in particolar modo nella regione del nucleo soprachiasmatico (SCN). All'inizio degli anni '70 degli esperimenti mostrarono infatti che, se questa zona è danneggiata, si osserva una perdita dei ritmi circadiani; la ritmicità circadiana si ritrova anche a livello dell'attività elettrica dei singoli neuroni che lo compongono. Si è poi dimostrato che anche quando i neuroni del SCN vengono isolati e fatti crescere in una situazione artificiale in vitro, continuano a mantenere l'attività ritmica anche per diversi giorni. Successivamente si è mostrato che esistono anche “orologi periferici” a livello di diversi organi (nel fegato, nell'ipofisi, nel cuore, nei reni…), modulati da quello centrale. Oltre ai ritmi circadiani si è dimostrata l’esistenza di altri fenomeni che si ripetono con frequenze diverse: i ritmi ultradiani nel caso di un periodo più breve e i ritmi infradiani nel caso di ritmi più lunghi. Molti processi fisiologici si ripetono con un ritmo ultradiano, come le onde cerebrali in un elettroencefalogramma, i ritmi ormonali. Un altro termine coniato da Halberg è quello di cronobiologia, definita come lo “studio della struttura temporale di ciascun essere vivente e di quella delle sue alterazioni16”, che sostiene come la vita umana sia caratterizzata dal fluire di una serie di eventi condizionati da influenze esterne e interne: “Dall'interazione tra organismo ed ambiente esterno scaturiscono i ritmi biologici, cioè le variazioni temporali di funzioni fisiologiche, che hanno andamento periodico e riproducibile17”. Le variazioni ritmiche di un certo numero di fattori ambientali sono quindi capaci di influenzare i ritmi biologici. L'alternanza della luce e dell'oscurità è uno dei sincronizzatori più potenti per i vegetali e per gli animali, mentre, nell'uomo, sembra essere di natura socio-ecologica: la distribuzione del nostro riposo e della nostra attività durante le 24 ore, legata a degli imperativi sociali.

I ritmi motori spontanei

Fraisse definisce il ritmo motorio come una serie di movimenti ordinati nel tempo che sono contemporaneamente percepiti ed eseguiti; questi movimenti devono essere eseguiti in una banda molto stretta che coincide con i limiti dell’induzione successiva. Quando c’è un ritmo è possibile, a livello neurale, anticipare il movimento successivo. Il ritmo motorio permette quindi la costruzione della percezione del tempo perché gli stimoli sono percepiti distinti, ma collegati senza soluzione di continuità. Fin dai primi mesi di vita il bambino presenta dei movimenti ritmici di flessione-estensione degli arti superiori ed inferiori, un’attività sottocorticale che si trasforma progressivamente, dal terzo mese, con la maturazione delle strutture corticali, fino ad arrivare allo sviluppo dell’attività ritmica più importante: il cammino. Il cammino permette di elaborare le informazioni secondo il binario ritmico del passo, nelle prime settimane di vita è automatico e manifesta una ritmicità evidente, prodotta dall’alterno appoggiarsi della pianta dei piedi. Attorno ai tre mesi questa marcia automatica scompare insieme all’ipertonia che la sosteneva e i movimenti degli arti inferiori diventano caotici e incapaci di sfociare in una qualsiasi progressione. Infine, attorno ai 12 mesi, si instaura il cammino che all’inizio è caratterizzato da completa aritmia; questa a poco a poco si armonizza in una marcia ritmica, che successivamente si automatizza. L’esperienza del ritmo si costituisce e si integra con rapporti sensoriali e cinestesici, mediante la convergenza di dati posturo-motori, tattili, vestibolari, visivi e uditivi in forma assai precoce. Un altro movimento ritmico nel bambino, e forma di tempo motorio spontaneo, è il dondolamento che può investire tutte le parti del corpo e verificarsi addirittura durante il sonno. Secondo Fraisse18, può essere interpretato come una regolazione della tensione muscolare che permette l’acquisizione di un controllo dei movimenti e il riconoscimento delle sensazioni cinestesiche del proprio corpo. Inoltre, la sollecitazione muscolare generata sembra produrre una sensazione di benessere che corrisponde a una soddisfazione primaria. Wallon19 pensa che i dondolamenti del bambino piccolo corrispondano ad un profondo equilibrio tra le funzioni di relazione, che non sono ancora sviluppate o che sono represse, e l'attività posturale. Fin dalla nascita il dialogo del bambino con il mondo si compie attraverso le relazioni tonico-emotive congiuntamente all'attività digestiva e respiratoria, si dice infatti che “il fanciullo vive in un circolo tonico chiuso, in cui predominano le reazioni automatiche e dal quale egli esce mediante scariche toniche reazionali (movimenti indiscriminati) o fasi di rilassamento relativo (sonno)20. Vi è quindi uno stretto legame tra la funzione tonica e la sua variazione, come modo di espressione spontanea delle emozioni primarie. Il tono gioca un ruolo preponderante nella presa di coscienza del Sé e della distinzione dell'Io e dell'Altro. Sulla base di una equilibrazione del tono si potrà poi sviluppare la funzione transitiva del movimento, l'attività volontaria efficace e coordinata.

La disorganizzazione ritmica in età evolutive: ricadute funzionali

Si è ipotizzato pacemaker interno che fornisce il ritmo all’orologio biologico; questo pacemaker sarebbe a sua volta influenzato dallo stato di attivazione del sistema nervoso (arousal). Si sono dimostrati cambiamenti nella percezione del tempo in connessione con differenti stati di vigilanza, e, dunque, con variazioni intervenute nel funzionamento di questo ipotetico pacemaker. Si è scoperto, inoltre, che la percezione della durata è influenzata da certe sostanze chimiche (per esempio, l’alcool, la caffeina) che alterano i ritmi corporei; generalmente, i fattori che accelerano i processi organici tenderebbero ad accorciare la percezione della durata, viceversa gli elementi che rallentano tali processi tenderebbero ad ampliarla. Si è dunque ipotizzato che i meccanismi di pacemaker possano essere sensibili ad agenti chimici (psicofarmaci) o a semplici stimoli psicofisici e ciò condizionerebbe la percezione soggettiva della durata. Il pacemaker, operando come generatore di ritmo, traduce la successione degli stimoli in una percezione di successione, ovvero in percezioni temporali soggettive, stabilendo un’equazione che connette tempo fisico, misurato negli esperimenti in termini di millesimi di secondo, e tempo esperito dai soggetti. Il pacemaker a sua volta interagirebbe con i sistemi attentivi e mnestici, risultando influenzato da essi. Una delle principali ipotesi teoriche è la scalar timing theory (SET) di John Gibbon21, secondo la quale il processo di percezione del tempo si articolerebbe in tre momenti: quello dell’orologio, quello della memoria e quello della decisione. Nel primo momento, stimoli molto brevi, dell’ordine dei millesimi di secondo, metterebbero in funzione meccanismi interni di tipo pacemaker che, in particolari condizioni, opererebbero con determinate frequenze; si attiverebbero poi meccanismi mnestici di confronto (working memory, reference memory); e, in ultimo, interverrebbe un processo di comparazione che condurrebbe alla percezione e valutazione soggettiva delle lunghezze temporali degli stimoli somministrati (momento della decisione).

Una possibile ricaduta funzionale durante l’età evolutiva, riconducibile ad una disorganizzazione temporale, e di conseguenza ritmica, è la disprassia. “Le disprassie (…) sono caratterizzate dall’esistenza di profonde perturbazioni nell’organizzazione dello schema corporeo e della rappresentazione temporale22. La disprassia implica “il deficit di esecuzione di un gesto intenzionale e difficoltà rispetto alla pianificazione, programmazione ed esecuzione di una serie di atti deputati al raggiungimento di uno scopo23”. Nella disprassia risultano deficitari la capacità di immagazzinare la rappresentazione del modello da utilizzare e riutilizzare rispetto alle sue componenti e nella sua globalità, così come la capacità di autocontrollo e di verifica del risultato. Ogni azione necessità di una sinergia tra le diverse funzioni processanti e i processi di controllo, e della coordinazione, programmazione e attenzione simultanea della sequenza degli atti necessari per il conseguimento di azioni finalizzate a uno scopo. L’elemento temporale viene spesso coinvolto in questa difficoltà, dal momento che ogni automatismo ha una propria durata ritmica, la quale implica un prima e un dopo, ovvero un’organizzazione nel tempo e nello spazio. Sottolineando le difficoltà a livello aspetti temporali, si può riscontrare: mancanza di ordine e sequenzialità spazio-temporale, difficoltà nella riproduzione di sincronie e successioni, difficoltà ritmiche (mancanza di costanza e/o omissione/alterazione delle pause), difficoltà di modulazione del tono muscolare e, nelle sequenze di contrazione–decontrazione di distretti muscolari, difficoltà di riconoscimento dei rapporti temporali, scarsa organizzazione del proprio tempo e scarsa capacità di fare stime temporali. La definizione di disprassia viene messa in relazione alle basi anatomo-funzionali del movimento, la cui organizzazione non dipende soltanto dai neuroni afferenti alle aree motorie, ma è frutto delle stette connessioni tra aree motorie e aree sensoriali. In particolare, la corteccia frontale e la corteccia parietale sono fortemente interconnesse tra di loro, formando circuiti destinati a lavorare in parallelo e ad integrare informazioni sensoriali e motorie, relativi a determinati effettori.


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  • 21 Gibbon J., Scalar expectancy theory and Weber's law in animal timing, 1977
  • 22 Ajyraguerra J. e Macelli D., Psychopathologie de l'enfant, Masson, 2000
  • 23 Sabbadini L., La disprassia in età evolutiva: criteri di valutazione ed intervento, Springer - Italia, 2005

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