In terapia neuropsicomotoria si deve tener conto dell’uso degli oggetti

Il termine deriva dal latino obiectum  cioè cosa gettata contro, posta innanzi.[11]

«L’oggetto è ciò che è posto innanzi ai sensi ed alla mente: in esso si realizza la mediazione tra corpo e ambiente, ciò che rende tangibile all’uomo la sua presenza nel mondo e rende questo accessibile e trasformabile».[12]

Una terapia neuropsicomotoria che sia non-verbale deve tener conto dell’importanza dell’uso e del non-uso degli oggetti, della modalità con cui vengono manipolati, perché è proprio attraverso gli oggetti che il bambino normale attua i primi contatti e le prime modificazioni della realtà esterna. L’oggetto esiste in relazione al corpo ed è funzionale perché è investito dall’individuo che gli assegna il suo valore  ( ad esempio affettivo come può esserlo un orsacchiotto di peluche per un bambino).

Il bambino “normale” si relaziona all’oggetto inizialmente con un’esplorazione, poi ci agisce ed infine diventa un simbolo . Lo stesso avviene in terapia neuropsicomotoria. Il bambino studia l’oggetto, lo manipola per apprezzarne tutte le caratteristiche per un tempo variabile e con la modalità che preferisce ( ad esempio l’esplorazione può avvenire con la bocca oltre che con le mani e per un tempo più lungo o più breve del previsto), poi ci gioca, ci agisce e spesso avviene il passaggio alla simbolizzazione.

Il percorso per quanto sia simile non è detto che sia sempre lo stesso. Basti pensare a quello che Winnicot chiama “oggetto transizionale” che per alcune caratteristiche come ad esempio il fatto che sia costituito da una stoffa particolare, o abbia una consistenza morbida, e  poiché viene scambiato in determinati momenti possa sostituire il corpo della madre.

Capita frequentemente anche che i bambini portino durante le sedute terapeutiche un oggetto da casa , che non sia necessariamente “transizionale”, segno della volontà di mantenere un legame con l’esterno, con la famiglia, in quella che è la dimensione spazio- tempo della terapia che dovrebbe essere distaccata  dalla quotidianità. Ma succede anche l’inverso cioè che il bambino voglia portarsi a casa qualcosa appartenente alla stanza di terapia, che sia anche il pezzo di una costruzione, ma è il ricordo, la testimonianza del piacere di qualcosa che accade dentro e che vorrebbe portare fuori, nello spazio-tempo della non seduta.

In genere gli oggetti utilizzati in terapia, a seconda della loro funzionalità e capacità rappresentativa che possono evocare nel bambino, vengono suddivisi in due grandi categorie: strutturati e non strutturati.

I primi sono oggetti, giochi che indirizzano il bambino verso attività definite: ad esempio le automobiline, i peluches, le costruzioni, ma anche piccoli giochi di società.

Il materiale non strutturato, invece, include tutta una serie di oggetti che per la loro forma, struttura non ha una funzionalità unica ma si presta all’azione del bambino così come egli crede sia opportuna.  Questo materiale, rispetto a quello strutturato, offre una più ampia possibilità di azione oltre che una maggiore possibilità di esperienze sensomotorie, emotive, sicuramente più arcaiche e simboliche.

Ovviamente affinché si acceda al simbolismo nel gioco è necessaria la presenza della possibilità di azione senza la quale non si potrebbe manipolare l’ambiente, e che tra l’altro favorisce sicuramente la costruzione dell’Io corporeo .

Gli oggetti non strutturati del setting terapeutico sono cuscini di dimensioni variabilissime ( da quelli piccoli di alcune decine di centimetri a quelli poco più grandi del metro), di colori e tessuti differenti, stuoie, tappeti, stoffe di vario tipo, consistenza e colore. Questo materiale ha importanti caratteristiche tattili e termiche che favoriscono il contatto totale col corpo, quindi coinvolgono la sensorialità più arcaica come quella cinestetica, vestibolare oltre che tattile. Scatenano forti emozioni e vissuti arcaici che risultano particolarmente adatti per bambini con livelli di sviluppo primitivi o anche di livelli di sviluppo superiori che però hanno vissuto male o non vissuto queste fasi evolutive primitive ed a cui viene data la possibilità di riviverle attraverso una regressione. La caratteristica base di questi oggetti consiste nel fatto che evocano il simbolo e quindi svolgono una funzione simbolica scelta dal bambino e  lo fanno attraverso l’esperienza sensoriale diretta.

Altri oggetti non strutturati sono i tunnel, contenitori abbastanza grandi da poter accogliere un bambino, o anche cubi di gommapiuma capaci di essere agiti dal bambino che ci può salire sopra perché lo sorreggono, ma che può anche lanciare o spostarli per costruire qualcosa perché sono altrettanto leggeri quanto resistenti. Rispetto ai tappeti, stoffe e cuscini questi oggetti favoriscono maggiormente il movimento, la manipolazione, lasciando emergere ed a volte esplodere tutte le emozioni con essi connesse, attraverso il piacere di lanciare, spingere, arrampicarsi, costruire, distruggere, smontare, cadere.

Molto spesso con questo materiale si effettuano delle costruzioni, frequentemente si tratta di una casa: uno spazio protettivo, in cui difendersi, nascondersi, uno spazio nello spazio di una stanza che possa essere vissuto , posseduto,  che a volte viene condiviso che a volte può simboleggiare il luogo dove si ritrova l’intimità e la sicurezza che a volta manca in esterno; spazi chiusi, aperti, che vengono costruiti in altezza o in ampiezza; torri da scalare, da distruggere.

Questi oggetti fanno si che  i bambini vivano delle emozioni  reali scaturite anche dalla veridicità delle sensazioni che provano durante il gioco. Da qui si sviluppa poi l’attività simbolica del gioco in modo quasi naturale.

Gli spazi costruiti variano ovviamente da bambino a bambino, spesso vengono riproposti nelle diverse sedute gli stessi tipi di spazio che però, generalmente con l’evoluzione del bambino, subiscono delle modificazioni per diventare via, via più elaborati. Accade frequentemente che una volta superata la manipolazione ripetitiva degli oggetti  e passati alle costruzione o all’uso più complesso o anche solo finalizzato degli oggetti si arrivi anche all’esplosione della comunicazione verbale. Segno questo che sia il linguaggio che il gesto sono la stessa espressione dell’essere anche se secondo modalità differenti.

L’uso degli oggetti non si sottrae alla messa in relazione con le altre categorie analogiche, perché, è opportuno ricordarlo, si sta parlando di un sistema unico anche se scomposto diversi aspetti.

Gli oggetti sono in relazione col tempo, infatti la sequenza di gesti, le variazioni d’uso degli stessi sono modalità del bambino di controllare il tempo. Risulta importante però che prima che essi vengano utilizzati siano in una collocazione spaziale propria che li riconosca come oggetti della stanza. Allo stesso modo al termine della terapia gli oggetti devono ritornare nel posto da cui sono stati presi per cessare di essere il simbolo di qualcosa e riacquistare il valore di oggetto. È uno dei rituali che si creano nella stanza che segna l’inizio ed il termine della seduta, non solo come connotazione temporale, ma anche come termine del gioco, termine del simbolo e della valenza affettiva di cui è stato investito l’oggetto.

Tra il materiale non strutturato si ritrovano ancora cerchi, bastoni, corde, palle: è il materiale che più spontaneamente invita all’azione, prestandosi sia alla senso-motricità che al simbolismo. Così le corde diventano manette, fruste, i bastoni diventano fucili, spade, cavalli, pale con cui scavare, arnesi da lavoro.

Con il progressivo sviluppo l’uso degli oggetti inizia a diventare meno simbolico e più funzionale. I giochi sopra descritti consentono una presa di distanza dalla necessità di vivere le proprie emozioni a livello simbolico e di avvicinarsi al piano rappresentativo-simbolico.

 


[11] Cfr. Il nuovo Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, N.Zingarelli,  Zanichelli,XI edizione.

[12] Cfr. Il labirinto e le tracce, una ricerca di terapia infantile attraverso la comunicazione non verbale, E.Berti, F.Comunello, G.Nicolodi, Giuffrè Editore, 1988.

Tratto da www.neuropsicomotricista.it  + Titolo dell'articolo + Nome dell'autore (Scritto da...) + eventuale bibliografia utilizzata

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